Monthly Archives: gennaio 2019

Contro xenofobia e razzismo

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AladinewsEditoriali&dintorni

lampada aladin micromicro Disuguaglianze. 65a8916a-80ee-4435-a9ce-bf86c24e300fIL FISCO SGABELLO DEI RICCHI La drammatica analisi dell’organizzazione umanitaria che combatte la fame nel mondo. Una ristretta élite controlla le risorse del pianeta. La globalizzazione crea le diseguaglianze. Quasi un terzo dell’estrema ricchezza è frutto di un’accumulazione ereditaria. Si riduce la progressività delle tasse.
di Federico Cenci su InTerris. Ripreso da Aladinews.
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4b4f540d-43f2-4a88-96fa-4be064daf582Il reddito di cittadinanza: molti limiti e qualche opportunità Remo Siza | 14 Gennaio 2019 su welforum.it welforum-it-logo. Ripreso da Aladinews.
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Disuguaglianze. Il rapporto dell’OXFAM

65a8916a-80ee-4435-a9ce-bf86c24e300fIL FISCO SGABELLO DEI RICCHI

La drammatica analisi dell’organizzazione umanitaria che combatte la fame nel mondo. Una ristretta élite controlla le risorse del pianeta. La globalizzazione crea le diseguaglianze. Quasi un terzo dell’estrema ricchezza è frutto di un’accumulazione ereditaria. Si riduce la progressività delle tasse
di Federico Cenci su InTerris

Correva l’anno 1968, epoca di contestazioni e di illusioni di cambiamento, quando il sociologo americano Robert K. Merton affermava: “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. Parole che sembrano quanto mai profetiche oggi, cinquantuno anni dopo, leggendo l’ultimo Rapporto Oxfam su povertà e diseguaglianze uscito in concomitanza con l’apertura del Forum economico di Davos. Secondo lo studio dell’OXFAM (Oxford Committee for Famine Relief), l’1% più ricco possiede metà della ricchezza aggregata netta totale del pianeta (il 47,2%), mentre 3,8 miliardi di persone, che corrispondono alla metà più povera degli abitanti del mondo, possono contare sullo 0,4 per cento. E ancora: nel mondo una elite di 26 ultramiliardari possiede una ricchezza equivalente a quella della metà più povera del pianeta. Il sito In Terris ne ha parlato con Mikhail Maslennikov, consulente politico di Oxfam Italia.

Papa Francesco ha detto: “Se prevale come fine il profitto, la democrazia tende a diventare una plutocrazia”. Siamo di fronte a questa degenerazione?
“Chi si trova al vertice della piramide distributiva dispone indubbiamente di un considerevole potere di influenza. Può con maggiore facilità condizionare le scelte dei decisori politici, perpetuando interessi di parte, spesso a discapito degli interessi della collettività. Non è purtroppo un’affermazione teorica: il condizionamento politico concorre oggi, insieme ad altri fattori, al mantenimento dei privilegi e all’acuirsi delle disuguaglianze economiche in molti Paesi”.

Ma la creazione di ricchezze economiche non rappresenta anche un beneficio per tutti?
“Tra le giustificazioni economiche mainstream della disuguaglianza vi è l’idea che la prospettiva di accumulare ricchezza incentivi l’innovazione e gli investimenti, incoraggiando gli sforzi individuali e l’assunzione di rischio, favorendo la crescita economica di cui alla fine beneficiano tutti. Tuttavia, sono tante le evidenze a riprova del fatto che gli attuali livelli di disuguaglianza non siano il risultato di sforzi, assunzione di rischio e tangibile attività produttiva, quanto di quello che gli economisti chiamano rendita. La rendita economica è realizzabile attraverso una posizione monopolistica sui mercati: i monopoli soffocano gli investimenti e l’innovazione, non necessitano di investimenti quanto i propri concorrenti per mantenere la posizione dominante sul mercato e sono in grado di eliminare o acquisire sul nascere imprese più innovative che vi si affacciano. Il clientelismo e la già citata manipolazione delle politiche pubbliche a proprio vantaggio è un altro fenomeno che permette agli interessi di parte di arricchirsi ulteriormente a discapito del resto della società: una forma di rendita di posizione. Per quanto riguarda la ricchezza, un peso considerevole lo ha la rendita ereditaria, a valenza meritocratica nulla: attualmente circa un terzo dell’estrema ricchezza risulta frutto di eredità e nei prossimi 20 anni 500 tra le persone più ricche del pianeta trasferiranno ai propri eredi oltre 2400 miliardi di dollari, una somma superiore al Pil dell’India, un Paese con 1,3 miliardi di abitanti. Non nascondiamoci astrattamente dietro al merito: da solo non giustifica affatto le distanze economiche fra le persone. Per spiegare le attuali disuguaglianze non ci si può invece esimere dall’esaminare a fondo i meccanismi di accumulazione della ricchezza e formazione dei redditi, discuterne pubblicamente e valutarne l’accettabilità sotto il profilo di eticità ed efficienza”.

Quanto la globalizzazione determina quelli che lei definisce “meccanismi di accumulazione di ricchezze?
“La globalizzazione ha prodotto molti benefici e opportunità, ma ha al contempo determinato l’aumento dei divari economici in molti Paesi. 7 cittadini su 10 vivono in Paesi in cui la disuguaglianza è aumentata negli ultimi 30-35 anni. La libera circolazione dei capitali ha contribuito a erodere il potere contrattuale dei lavoratori, innescando una forsennata corsa globale al ribasso sui salari, diritti e tutela del lavoro. A pagare un prezzo carissimo sono ad esempio i milioni di ‘invisibili’ che lavorano nelle code delle filiere globali di produzione. Occupati in lavori precari e pericolosi, con tutele minime e retribuzioni che non permettono di condurre un’esistenza dignitosa. Un esercito (con tante riserve disponibili) che non beneficia in maniera equa degli utili che contribuisce a produrre. Utili che vengono investiti in misura sempre più limitata nell’impresa, trasformandosi piuttosto in lauti dividendi per gli azionisti e finendo reinvestiti sui mercati finanziari, spesso per il riacquisto di azioni proprie (buyback) con conseguente apprezzamento del titolo e dei patrimoni finanziari dei proprietari”.

C’è anche un problema fiscale dietro le diseguaglianze?
“Politiche fiscali ben disegnate contribuiscono alla riduzione delle disuguaglianze generate sui mercati. Negli ultimi 40 anni tuttavia il grado di progressività dei sistemi fiscali nazionali si è estremamente ridotto. Nei Paesi ricchi, ad esempio, dal 1970 al 2013, l’aliquota più alta sui redditi delle persone fisiche è calata dal 62 al 30 per cento. Lo stesso trend decrescente ha riguardato anche le aliquote delle imposte sui redditi d’impresa: si stima che dal 2000 al 2016 l’aliquota effettiva versata da un campione di 90 grandi corporation sia scesa dal 34 al 24 per cento. Chi potrebbe contribuire di più gode oggi di condizioni tra le più favorevoli negli ultimi decenni. La corsa al ribasso sulla tassazione d’impresa si è ulteriormente acuita: favorisce un’aggressiva pianificazione fiscale d’impresa e pratiche elusive dai costi elevatissimi per i bilanci pubblici”.

In che modo?
“Ai fini fiscali le società di un gruppo multinazionale sono considerate oggi come “entità separate”: tramite prestiti infra-gruppo o praticando prezzi inflazionati per transazioni fra società sussidiarie della stessa multinazionale, i colossi riescono a trasferire gli utili realizzati in Paesi a medio-alta fiscalità e attribuirli a sussidiarie registrate in Paesi dal fisco amico, riducendo enormemente i propri oneri fiscali globali. Così facendo le grandi corporation, contravvengono, spesso del tutto lecitamente, al principio che gli utili debbano essere registrati e tassati nei Paesi in cui conducono le loro attività e creano valore. Un fenomeno – quello dell’erosione delle basi imponibili e del trasferimento degli utili d’impresa – che costa agli erari di tutto il mondo fino a 240 miliardi di dollari all’anno”.

Esistono segnali incoraggianti?
“C’è consapevolezza che la disuguaglianza generi forte inquietudine civica, costituisca un problema per la sostenibilità della crescita economica, la mobilità e la coesione sociale, mini la fiducia nelle istituzioni. La consapevolezza si deve tuttavia trasformare in misure politiche efficaci. La disuguaglianza d’altronde non è ineluttabile, ma è il frutto di precise scelte politiche. Contrastarla non è più rimandabile ed è altresì questione di volontà politica”.
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(Da In Terris). Ripreso dal sito chiesadituttichiesadeipoveri.

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Newsletter

logo76Newsletter n. 133 del 31 gennaio 2019

IL TIRANTE CHE NON TIENE

Care amiche ed amici,

Oggi giovedì 31 gennaio 2019 ultimo giorno del mese

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Reati ministeriali e autorizzazione a procedere. Quid juris per Salvini? Dare o negare l’autorizzazione?
31 Gennaio 2019
Red su Democraziaoggi.
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AladinewsEditoriali&dintorni

lampada aladin micromicroIl bene fa bene. Ospitiamo una presentazione della “Casa della Speranza” per i papà separati: una encomiabile iniziativa promossa dal “Centro di Accoglienza San Vincenzo De Paoli” nell’ambito delle attività volte a dare risposte alla marginalità sociale. Leggete quanto segue. E’ tutto ben spiegato. Non vi sfuggano in calce allo scritto tutte le informazioni per contribuire al finanziamento di quest’opera meritoria. Date quello che volete, quello che potete, ma date! 1812fff6-7d60-4efa-80bc-e4df439d441f Casa della Speranza per i papà separati.
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rocca-03-2019-mini_01molte-facceANZIANI: dall’emergenza all’invecchiamento attivo
Di Fiorella Farinelli, su Rocca 3/2019, ripreso da Aladinews.
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IMPARARE SU SARDU IN SARDU

francesco-casulade Frantziscu Casula
Deo pesso chi sa limba sarda (cun s’istoria, sa literadura, s’arte, su teatru, sa cultura sarda) depet intrare in sas iscolas comente materia curriculare, obrigatoria pro totus, duncas aintro de s’orariu iscolasticu normale. No comente isseperu de carchi mastru e professore de bona voluntade.
Ma tocat a crarire luego chi no bastat a imparare su sardu, no bastat a insegnare su sardu. Tocat a imparare in sardu, tocat a insegnare in sardu. Comente narant e sustenint sos linguistas e sos istudiosos de glottodidattica, sa limba veiculare depet esser sa limba chi si cheret imparare e insegnare. In ateras paraulas non podimus pensare de insegnare su sardu in Italianu. E mancu de impreare su sardu sceti pro insegnare su sardu etotu o sa literadura e s’istoria sarda.
Amento a custu proprositu su chi at iscritu unu linguista italianu de balore, mannu e famaud, Renzo Titone:”L’insegnamento della lingua come materia a sé, non produce effetti significativi, se la lingua non è usata come strumento di insegnamento di altre materie e come mezzo per l’espletamento delle attività ordinarie, ossia come mezzo di comunicazione nelle situazioni di vita”.
E Ite cheret narrer “come mezzo di comunicazione nelle situazioni di vita”?
Cheret narrer chi non bastat a imparare una limba: tocat a l’impreare, semper. In calesisiat ocasione. Ca si una borta imparada una limba no s’impreat, est comente chi siat una limba morta. Comente sutzdit oe a su latinu o a su grecu.
Duncas est de importu mannu a imparare su sardu ma una borta imparadu b’at bisonzu de s’impreu sotziale: de l’allegare in sos ufitzios, in sos logos de su traballu, in sa bida de cada die comente in sas occasione ufitziales.
E no tocat solu a la faeddare ma puru a l’iscriere: peri in sos medios modernos comente in Facebook.
E a la leghere: in sos libros e in sos giornales. Ma peri in sa publicidade e in sa toponomastica.
E a l’ascurtare in sa radio, in sa televisione e in Internet.
Da totu su chi apo naradu resurtat chi tenimus a in antis de faghere una rivolutzione manna de aberu: s’imparu de su sardu depet serbire pro mudare sa vida, sa sotziedade sarda, sa comunicazione, dae monolingue e monoculturale in bilingue e pluriculturale.
Proite totu custu?
Ca su biadu de Cicitu Masala naraiat (e deo so de acordu): a unu populu che li podes moere totu e sighit a bivere ma si che li moes sa limba si nche morit.
Sigomente nois cherimus galu bivere, no podimus permitere chi sa limba nostra – chi cheret narrere s’istoria, sa tzivilidade, sas righinas, sas traditziones sardas – si nche morgiat.

Oggi mercoledì 30 gennaio 2019

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
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3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Regionali. C’è un voto “utile” fuori dei grandi schieramenti
30 Gennaio 2019
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
A campagna elettorale iniziata per l’elezione del nuovo Presidente della Regione e per il rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna vorrei richiamare le discriminanti di principio alle quali riterrò coerente attenermi e che ho già in precedenza puntualizzato.
La prima è che non voterò candidati presidenziali (e conseguentemente nemmeno gli schieramenti […]

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3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Credete ai sondaggi? Se sì, ecco le previsioni attuali: Solinas primo, Zedda secondo, M5S terzo, gli altri fuori. Ma la situazione è in movimento
29 Gennaio 2019
Red su Democraziaoggi.
Sondaggio Swg per La Nuova Sardegna.
Ai sondaggi non crede è più nessuno o quasi. Dopo il precedente Trump/Clinton, la Brexit e altri casi eclatanti nessuno li prende sul serio. Comunque il sondaggio SWG, commissionato dalla Nuova Sardegna, dà un vantaggio a Christian Solinas, candidato governatore del centrodestra, tra il 33 e il 37%, seguito […]

sondaggi-29-1-19
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Chiesa e Elezioni sarde

3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Pastorale del lavoro, appello agli elettori
(a cura della Redazione di Ortobene)
Il coordinamento regionale della Pastorale sociale e del lavoro, riunitosi qualche giorno fa a Oristano per iniziativa del segretario Francesco Manca, alla presenza del vescovo delegato monsignor Giovanni Paolo Zedda, ha ritenuto utile, in vista delle prossime elezioni regionali fare un appello ai cattolici sardi e ai cittadini di buona volontà.
Di seguito il testo integrale del documento.

Il bene fa bene

lampada aladin micromicroOspitiamo una presentazione della “Casa della Speranza” per i papà separati: una encomiabile iniziativa promossa dal “Centro di Accoglienza San Vincenzo De Paoli” nell’ambito delle attività volte a dare risposte alla marginalità sociale. Leggete quanto segue. E’ tutto ben spiegato. Non vi sfuggano in calce allo scritto tutte le informazioni per contribuire al finanziamento di quest’opera meritoria. Date quello che volete, quello che potete, ma date!
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1812fff6-7d60-4efa-80bc-e4df439d441fCasa della Speranza per i papà separati è un’iniziativa che s’inserisce nell’ambito delle attività del Centro di accoglienza S.Vincenzo, ne completa il raggio degli interventi che vengono così a interessare “Minori, Giovani, Donne, Uomini” bisognosi di specifici interventi di aiuto e di promozione sociale.
Casa della Speranza nasce nel 2013 con la finalità di contribuire a dare prime risposte al disagio dei padri separati “poveri e disoccupati”. Situazione che sta assurgendo a fenomeno inserito nella crisi economico–sociale della nostra Società.
L’intervento prende via via forma e definizione nel 2014. Le modalità operative che lo caratterizzano ne fanno un “laboratorio esperienziale”. Potremo parlare di ”scommessa”.
In sintesi la sua presentazione: [segue]

Nuove tassazioni: chi ci perde e chi ci guadagna

3047f668-d6ea-43cd-bb89-f2c925cbc2cbLauro in versione macroeconomica
di Roberta Carlini, su Rocca

Hanno vinto le elezioni promettendo i sondaggi i loro elettori sono contenti, anzi se ne aggiungono altri. Come mai? Per rispondere alla domanda, non converrà concentrarsi sullo sport di moda della lamentela sull’ignoranza degli elettori, o sulle armi di distrazione di massa (gli immigrati, gli arresti-spettacolo, la pastasciutta del ministro). Sarà più utile guardare per chi aumentano le tasse, e quando. Ne verrà fuori che la manovra economica del governo giallonero, per quanto pasticciata e contraddittoria, è scientifica su un punto: il premio alla base elettorale, lo scambio quasi commerciale voto-premio. Un caso Lauro – il sindaco che prima delle elezioni regalava una scarpa, e dopo le elezioni la seconda – in versione macroeconomica.
[segue]

Oggi martedì 29 gennaio 2019

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
De Magistris sui migranti: movimento senza velleitarismi
29 Gennaio 2019

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Cambia, tutto cambia…

molte-facceANZIANI: dall’emergenza all’invecchiamento attivo
di Fiorella Farinelli, su Rocca 3/2019

casa-della-vela-loghettoSi chiama Senior Cohousing, e ci stiamo provando da qualche anno anche in Italia. Una delle nostre migliori pratiche, con riconoscimenti anche internazionali, è Casa alla Vela di Trento. Una residenza fatta di abitazioni private e di spazi comuni – giardino, orto, cucina, lavanderia, benessere e convivialità – in cui abitano cinque ultraottantenni parzialmente autonomi e sette studenti universitari. Gli studenti pagano un affitto agevolato e ricevono dei voucher in cambio di prestazioni non occasionali di cura e di aiuto. I servizi di assistenza familiare H 24 sono condivisi e quindi meno costosi di quelli individuali, l’animazione sociale e il rapporto con il territorio sono gestiti dal volontariato, il tutto funziona con un’economia mista tra mercato e dono.

economia dello scambio e della condivisione
Ce ne sono altre di esperienze analoghe, a Milano, a Torino, in Emilia, in Toscana. Almeno una quarantina, ha censito la Fiera dell’Abitare Collaborativo del 2017. Anche su scala più grande. Come il Villaggio della Speranza di Bologna, composto di appartamenti separati con molti e attraenti spazi e servizi comuni, dove sono ospitati 126 nuclei familiari, molti composti da anziani soli, altri da giovani coppie italiane e straniere. A gestirlo in questo caso non è come a Trento una Cooperativa Sociale ma la Caritas, e alle risorse necessarie all’investimento hanno contribuito, dal 1991 ad oggi, oltre 8000 donatori, privati e istituzionali.
Non tutte le iniziative guardano principalmente o solo agli anziani ma tutte sono connotate dall’intenzione di garantire relazioni e comunicazione intergenerazionali, una gestione fatta di reciprocità e condivisione, valori e attività ispirati al benessere e alla promozione di modelli di vita comunitari.
In tutte c’è l’intenzione di offrire accoglienza e opportunità alle tante fragilità sociali ed economiche fonti di infelicità e di solitudine, nuclei con persone disabili, mamme sole con bambini piccoli, lavoratori in difficoltà, persone che, se hanno bisogno di aiuto, potrebbero anche darne. Ovunque con forme di collaborazione tra pubblico, privato, non profit. Spesso con il sostegno importante di Regioni e Comuni, e con interventi di Fondazioni e di Banche etiche.
Si guarda a realtà europee assai più avanti di noi, come le 400 e oltre iniziative nella piccola Olanda e alle 150 di un altro piccolo paese come la Danimarca. Ma a tessere il filo di un contesto economico e normativo più favorevole ora sono anche le istituzioni europee, e il Cohousing Sociale, figlio di interpretazioni più o meno generative della Sharing Economy – l’economia dello scambio e della condivisione – sta diventando un tema di attualità un po’ ovunque. Anche in Italia, quindi, con proposte e progetti sostenuti oltre che da Fondazioni, Enti e Associazioni del privato sociale, anche dalla Cassa Depositi e Prestiti e prossimamente, si spera, dalla Banca Europea per gli Investimenti. Sarà questa la direzioni di marcia di un nuovo welfare?

emergenza anziani
I guai connessi al modello attuale dell’abitare in città – più siamo in tanti a popolare i contesti urbani e più siamo soli – non riguarda esclusivamente gli anziani. Anche le mamme e i padri separati o single stanno diventando un’emergenza.
Ma è certo che a soffrire di più delle conseguenze dell’impoverimento progressivo delle relazioni, a trovarsi smarriti e impotenti per la quasi estinzione di nuclei familiari fatti di nonni, figli, nipoti, per il sempre più diffuso allontanamento fisico dei figli e dei parenti, per la graduale dissoluzione delle reti parentali tradizionali e della vita comunitaria e intergenerazionale, sono gli anziani soli. Per tanti motivi, che hanno a che fare anche con la condizione esistenziale di chi sa che ciò che resta da vivere ormai non è molto. Difficile, anzi per lo più impossibile che a compensare i vuoti e le difficoltà, economiche e relazionali degli anziani siano i servizi sociali del pubblico, sempre più poveri e circoscritti – quando va bene – alle situazioni più critiche. Anche il ricorso alle «badanti», favorito da un’immigrazione straniera che oggi è troppo energicamente scoraggiata, non è e non sarà una soluzione. Non solo perché è molto costosa – e i suoi costi si assommano a quelli di abitazioni diventate spesso troppo grandi e onerose per chi ci viva da solo – ma perché finisce col chiudere gli anziani in una bolla tutelata ma socialmente separata. E anche perché richiede una gestione degli aspetti contrattuali e anche relazionali del rapporto anziano/badante che in molti casi è difficile da gestire in assenza di figure parentali o amicali che se ne prendano la responsabilità. Una soluzione poco sostenibile, dunque, sia economicamente che umanamente.

quel periodo di vita tra autosufficienza e non autosufficienza
Eppure qualche soluzione di tipo nuovo bisogna trovarla. In Italia gli anziani che vivono da soli sono 3,5 milioni. Più di metà ha più di 75 anni. Il 46% ha una pensione inferiore a 1000 Euro mensili. Non solo. Il modello di assistenza che abbiamo avuto negli ultimi anni, basato sullo star soli finché si può e poi per i non autosufficienti il ricovero in residenze assistite, non tiene conto del fatto che di solito non si passa più in modo netto dall’autosufficienza alla non autosufficienza, ma che ci sono sempre di più lunghi percorsi di vita in situazione intermedia, in cui la solitudine e l’impoverimento secco delle relazioni spegne le energie e la capacità di vivere. Produce ansia, senso di insicurezza, depressione, isolamento. Accentuando e accelerando i processi di decadimento anche cognitivo, demenza senile compresa.

nuovo modello dell’abitare
Non va bene, allora, che la spesa pubblica punti solo sulle pensioni e sul sistema sanitario (su cui si rovesciano tanti guai che potrebbero essere prevenuti, e curati altrimenti). Occorrono servizi nuovi, non troppo costosi per il pubblico in quanto capaci di far convergere risorse economiche e umane diverse. Ed è un nuovo modello dell’abitare, allora, la carta più importante da giocare. Un abitare insieme, tra simili e anche tra diversi per età, stili di vita, convenienze, energie individuali, capacità. Per continuare a sentirsi vivi per il solo fatto di potere collaborare all’orto, al giardino, alla cucina. Non inutili perché si dà un’occhiata ai bambini, e si gioca a carte con loro o si dà un aiuto ai compiti finché non tornano i genitori. Non marginalizzati perché nel campetto di basket o nella piscina della residenza arrivano i ragazzetti del quartiere o perché è lì che si fanno le loro feste di compleanno. Per affrontare meglio ciò che resta della vita. Per un «invecchiamento attivo», come consiglia dagli inizi del 2000 l’Organizzazione mondiale della Sanità.

una vecchiaia diversa una risorsa importante
Se la domanda di questi nuovi modelli dell’abitare si sta facendo stringente, è proprio perché anche la vecchiaia, come altre fasi della vita, è diventata diversa da quella di qualche decennio fa. Se forse non è del tutto vero – o almeno non per tutti – quello di cui siamo stati recentemente informati dai soloni della geriatria, e cioè che la vecchiaia vera, quella che un tempo cominciava dopo i sessanta, oggi non comincia che a 75 anni, è però vero che il miglioramento delle condizioni di vita e soprattutto i progressi della medicina e del nostro sistema sanitario hanno cambiato tante cose. Rendendo concreta, e per molti fattibile, l’idea che si possa sentirsi ed essere attivi a lungo, anche dopo un by pass, un intervento di protesi all’anca, una diagnosi di diabete, una terapia oncologica. Anche dopo la perdita dei compagni di una vita, l’uscita definitiva dal lavoro, gli amici che se ne sono già andati. Anzi che bisogna farlo per misurarsi al meglio con le difficoltà della vecchiaia.
I numeri sugli anziani nel nostro paese confermano che l’età avanzata non significa automaticamente né per tutti scampoli di vita segnati irrimediabilmente dalla non attività, dall’egocentrismo senza occhi ed orecchie per gli altri, dal silenzio affettivo e relazionale. Più del 20% del volontariato stabile è, in Italia, fatto di anziani, anche oltre i settanta e perfin gli ottant’anni. Moltissimi, dopo la pensione, svolgono altre attività, non solo hobbistiche, ma di partecipazione attiva alla soluzione di problemi familiari, dei figli e dei nipoti. Le nonne e i nonni italiani, si sa, sono «supernonni», più che in Francia, in Gran Bretagna, in Germania, sostegno spesso decisivo alla conciliabilità tra lavoro e genitorialità delle giovani mamme. Il numero degli over 65 impegnati nell’accudimento dei nipoti è altissimo.
I risparmi di una vita – e la forte tendenza a risparmiare anche dopo, con il 54% degli anziani che, secondo Istat, continuano a farlo – sono stati durante la crisi e sono tuttora una risorsa importante per figli e nipoti. Sono tantissime le donne anziane che riescono a prendersi cura dei genitori vecchissimi e dei più piccoli, e che contemporaneamente aiutano altri. E sono tanti i vecchi disponibili e motivati ad essere utilizzati anche gratuitamente nella scuola, nella formazione professionale e in quella continua per trasmettere elementi dei mestieri artigiani e delle professionalità maturate in passato.
Checché se ne dica in questo tempo generoso solo di risentimenti e di malevolenze, gli anziani italiani non sono affatto un peso insopportabile per l’insieme della società, ma continuano in molti ad essere un’energia positiva. Tre su quattro, secondo alcune indagini, dichiarano infatti di sentirsi utili, e di voler continuare ad esserlo. Anche se, secondo una recente indagine Ipsos, in Italia avvertono più che in altri paesi il disagio di non sentirsi riconosciuti come cittadini di pieno diritto. Sono gli effetti maligni delle turbolenze sociali e politiche di questa fase, le «rottamazioni» forzate, le pensioni usate per «fare cassa», l’accusa di non volersi fare da parte minacciando i diritti delle generazioni più giovani. Dimenticando che è ai contributi da lavoro e alle tasse pagate per decenni dalle generazioni che hanno cominciato a lavorare anche prima di essere maggiorenni che si deve, in questo paese, la costruzione del welfare, l’istruzione gratuita, lo sviluppo del sistema sanitario nazionale.
Ma la vecchiaia c’è, con tutti i suoi affanni e i suoi bisogni. E sarebbe responsabile e civile, in un paese in cui per fortuna, ma anche per merito loro, gli anziani vivono più a lungo, progettare e concretizzare forme di welfare capaci di tutelarla e di valorizzarla. Per l’interesse non solo loro, ma di tutti.
Fiorella Farinelli
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La foto in coda riporta la prima pagina della rivista Rocca n.3/2019

AladiNewsEditoriali

lampada aladin micromicrod232b811-6c5b-43f8-805c-97f7498fbecepensatoreReddito di base universale e incondizionato: un’idea radicale per affrontare l’insicurezza economica e l’esclusione sociale del nostro tempo di Gianfranco Sabattini su AladinewsEditoriali.
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4b4f540d-43f2-4a88-96fa-4be064daf582Il reddito di cittadinanza: molti limiti e qualche opportunità Remo Siza | 14 Gennaio 2019 su welforum.it.
- Su Aladinews.
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Consiglio direttivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

coordinamento-democraziaSintesi della discussione e delle conclusioni del Consiglio direttivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale
Roma 26/1/2019
[segue]