Monthly Archives: settembre 2019

Che succede?

c3dem_banner_04UN NUOVO ’68. IN DIFESA DEL PIANETA
28 settembre by Forcesi | Su C3dem.
Norma Rangeri, “E’ nato un nuovo ‘68” (Manifesto). Guido Viale, “Niente sarà più come prima” (Manifesto). Greta Thunberg, “I politici non ammettono il fallimento sul clima” (intervista ad Avvenire). Sofia Ventura, “Ecco il primo movimento per il pianeta” (La Stampa). Brunello Giovara, “Senza partito” (Repubblica). F. Menga e S. Thanopulos, “Greta Thunberg e lo spirito della democrazia” (Manifesto). Enrico Giovannini, “E’ possibile unire ambiente e sviluppo senza fare debiti” (intervista al Foglio).
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NOTE SUL PD. E SULLA “SINISTRA LIBERALE” NEL PD
29 Settembre 2019 by Forcesi | su C3dem.
LibertàEguale, Convegno di Orvieto 2019: Enrico Morando, “I problemi dell’Italia e i compiti della sinistra liberale”; Stefano Ceccanti, “La sinistra liberale alla difficile prova del governo”; Dario Parrini, “La sinistra liberale, il partito a vocazione maggioritaria e gli altri soggetti”. Graziano Delrio, “Pd giù nei sondaggi? Paghiamo il prezzo di una scissione grave” (intervista al Corriere). Maria Elena Boschi, “Presto altri arrivi dal Pd e da Fi” (intervista al Messaggero). Rosy Bindi Tornata sulla breccia), “Il partito è troppo timido e la scissione non è finita” (intervista a Repubblica). Piero Ignazi, “La vera sinistra di Renzi” (Repubblica). Franco Monaco, “Italia Viva, il partito dell’io” (Settimana news”). Michele Salvati, “Che farà Renzi fuori dal Pd?” (Foglio). Rino Formica, “Renzi è come i pazzi, si crede Napoleone” (Il Fatto). Linda Laura Sabbadini, “Il fattore donna in politica spinge Renzi verso il femminismo” (La Stampa). Daniela Preziosi, “La svolta di Zingaretti. Manifesto per il nuovo Pd” (Manifesto). Massimo Cacciari, “Caro Zingaretti è scaduto anche il tuo yogurt” (Espresso). Matteo Orfini, “Al Pd serve un congresso vero” (Foglio). Matteo Renzi, “Emergenza crescita, ora o mai più” (Sole 24 ore).

“L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”

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Presentazione del Rapporto ASviS 2019
“L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile”
A seguito della straordinaria richiesta di partecipazione, l’evento di presentazione del Rapporto ASviS 2019 si terrà, alla presenza del Presidente della Repubblica, presso la sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica.
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Venerdì 4 ottobre 2019
Sala Sinopoli
Auditorium Parco della Musica
via Pietro de Coubertin, 30
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La partecipazione all’evento è possibile solo previa registrazione da effettuare entro e non oltre il 1° ottobre attraverso il modulo di richiesta accredito.
- Scarica il programma.

Lunedì 30 settembre 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
La storia stravolta a propaganda dal parlamento europeo
30 Settembre 2019 su Democraziaoggi.
Una mozione improvvisamente comparsa fra le carte del Parlamento europeo e messa subito in discussione, come l’inizio di una nuova vita, riduce la responsabilità del nazismo (che non è peggio del comunismo). Anzi, chiama il comunismo (a volte definito “stalinismo”) sul banco dei grandi colpevoli, come un’unica, delittuosa organizzazione, dimenticando […]
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Che succede?

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I RAGAZZI, IL FUTURO, L’ETICA, IL CAPITALISMO…
27 Settembre 2019 su C3dem.
Mauro Magatti, “I ragazzi di Fridays for Future. Non si sogna mai da soli” (Avvenire). Massimo Calvi, “La proposta dei Saturdays for Future” (Avvenire). Guido Viale, “La parabola ascendente del ciclone Greta” (Manifesto). Massimo Ammaniti, “Greta, un’Antigone che combatte le leggi degli adulti” (Corriere). Alessandro Campi (critico), “Il populismo ambientalista” (Messaggero). Leonardo Becchetti, “Compriamoci il futuro. Acquisti responsabili” (Avvenire). Stefano Zamagni, “Servono trasformazioni radicali e non semplici riforme” (intervista ad Avvenire). Martin Wolf, “Come il capitalismo truccato sta uccidendo la democrazia” (Il Fatto). Franco De Benedetti, “Capitalismo in crisi?” (Foglio). Marilisa Palumbo, “La svolta etica del capitalismo” (Corriere della sera, agosto). Giorgio Barba Navaretti, “La svolta etica sarà guidata dai millennials” (Sole 24 ore, agosto).

Nel Tempo del Creato

ch-evang-29-9-19Nel tempo del creato la Chiesa Evangelica Battista di Cagliari in comunione con le altre confessioni cristiane promuove una preghiera ecumenica; tema di questo anno è la biodiversità. Vi aspettiamo domenica!
https://seasonofcreation.org/it/home-it/

Domenica 29 settembre 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
Quale eredità del ‘68?
28 Settembre 2019
di Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Del ricordo dei fatti svoltisi in un periodo oramai lontano mezzo secolo non è rimasto quasi più nulla; a richiamarlo alla memoria delle generazioni presenti provvede un piccolo libro che, andando controcorrente, intende rimarcare come, in quel periodo, i protagonisti non siano stati solo i lavoratori delle fabbriche (la “classe operaia”), ma anche […]
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AMBIENTE / SARDEGNA
I politici contro cui si scaglia Greta Thunberg sono proprio quelli sardi
28/09/2019 alle 09:19 su vitobiolchini.it

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Carbonia. L’Azienda Carboni Italiani (ACaI), ‘ente asservito agli interessi dei gruppi industriali privati’
29 Settembre 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Questo è il quinto post sulla fondazione di Carbonia. Gli altri sono stati pubblicati nelle domeniche precedenti a partire dal 1° settembre scorso.
Il carbone, ancora il più importante fra i combustibili industriali, le miniere, uno dei ’settori chiave’ della politica autarchica (Rosario Romeo, Breve storia della grande industria in Italia, Cappelli 1980, pag. 200), nel 1935 nasce il […]

Gianni Loy. La prima volta che ho visto il mare

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gloy-piece-sinnai – Sabato 19 ottobre 2019 – ore 21. TEATRO CIVICO – Viale della libertà, SINNAI.
con: LIA CAREDDU MARCO BISI ELEONORA GIUA
musiche: ALESSANDRO OLLA
regia: CRISTINA MACCIONI
Due persone distanti, nel tempo e nel luogo, intrecciano un dialogo, mentre uno speaker scandisce il susseguirsi degli avvenimenti, gli sbarchi inarrestabili.
Il dialogo smussa le differenze. Il passato ed il presente, il collettivo e l’individuale, trovano una sintesi.
Il canto della disperazione, di quelli che fuggono alla ricerca di speranza, si fonde con quello di coloro che quella fuga, in altre direzioni, l’hanno intrapresa tanto tempo prima.
Gli echi, i suoni, si accavallano. Le voci, alla fine, trovano l’unisono. La soluzione non è ancora a portata di mano, ma un’idea, almeno un’emozione, perlomeno, si intravede.
- Ingresso: 8 euri -

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Che succede?

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SUICIDIO ASSISTITO/ SENTENZA DELLA CORTE /2: LA CHIESA, I MEDICI
27 Settembre 2019 su C3dem.
Gianni Cardinale sulle reazioni nella Cei: “Così avanza la cultura della morte” (Avvenire). Domenico Agasso jr, “Fine vita. Il turbamento di papa Francesco” (La Stampa). Enrico Peyretti, Lettera (Avvenire). Giuseppe Lorizio, teologo, “Quell’ora incerta è la cifra dell’umano” (Avvenire). Mons. Bruno Forte, “Noi vescovi sconcertati. Questa è una pagina grave” (intervista al Corriere). Mons. Domenico Pompili, vescovo di Rieti, “Il dolore si contrasta con scienza e medicina non con il ricorso alla morte” (intervista a La Stampa). Mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, “La chiesa non si fermi ai principi. Affrontiamo la realtà” (intervista a Repubblica). Padre Alberto Maggi, “Io sacerdote lasciai detto che in caso di danni cerebrali dovevano staccare la spina” (intervista al Messaggero). Roberto Colombo, “Non basterà più solo l’obiezione di coscienza” (Avvenire). Alberto Gentili, “E la chiesa, scettica sui partiti, punta tutto sui sanitari” (Messaggero). Margherita De Bac, “Il no dei medici” (Corriere). Filippo Anelli, Fed. Medici, “Il mondo della sanità resiste” (intervista all’Avvenire).
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SUICIDIO ASSISTITO/ SENTENZA DELLA CORTE /1: I GIURISTI, LA STAMPA, LA POLITICA
27 Settembre 2019 su C3dem.
Massimo Luciani, “Ecco che cosa cambia con la sentenza” (intervista a Repubblica). Vladimiro Zagrebelsky, “La sentenza non istiga al suicidio” (La Stampa). Cesare Mirabelli, “Il passo avanti e le ombre da diradare” (Messaggero). Giovanni Maria Flick, “Decisione equilibrata. Ora subito una legge” (intervista a Il Fatto). Massimo Villone, “Il rischio di un eccesso di vincoli” (Manifesto). Francesco D’Agostino, “Nessuna apertura all’eutanasia, nella sentenza” (intervista al Sole 24 ore). Stefano Ceccanti, “Nota del 26 sett.” (blog). Ezio Mauro, “Gli ultimi diritti da ascoltare” (Repubblica). Mario Ajello, “La barriera infranta tra libertà e fede” (Messaggero). Marco Tarquinio, “Chiamati all’umanità” (Avvenire). Luigi Manconi, “Il diritto e la misericordia” (Repubblica). Graziano Delrio, “Tuteleremo la vita fragile” (intervista a Avvenire). Carlo Bertini, “Pd e M5S già trattano sulla nuova legge” (La Stampa).
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GRAN BRETAGNA. LEZIONE DI DIRITTO
25 Settembre 2019 su C3dem.
Sabino Cassese, “Una lezione di diritto per i politici britannici” (Corriere della sera). Guido Neppi Modona, “Se le Corti sono baluardi delle democrazie” (Il dubbio). Massimo Villone, “La solidità di una costituzione non scritta” (Manifesto). Marco Olivetti, “Dilaga lo stato confusionale” (Avvenire). Vittorio E. Parsi, “Se la politica fugge i doveri” (Avvenire).
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Sabato 28 settembre 2019

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Quale eredità del ‘68?
28 Settembre 2019
di Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Del ricordo dei fatti svoltisi in un periodo oramai lontano mezzo secolo non è rimasto quasi più nulla; a richiamarlo alla memoria delle generazioni presenti provvede un piccolo libro che, andando controcorrente, intende rimarcare come, in quel periodo, i protagonisti non siano stati solo i lavoratori delle fabbriche (la “classe operaia”), ma anche […]
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27 Settembre 2019 by Forcesi | su C3dem.
Mauro Magatti, “I ragazzi di Fridays for Future. Non si sogna mai da soli” (Avvenire). Massimo Calvi, “La proposta dei Saturdays for Future” (Avvenire). Guido Viale, “La parabola ascendente del ciclone Greta” (Manifesto). Massimo Ammaniti, “Greta, un’Antigone che combatte le leggi degli adulti” (Corriere). Alessandro Campi (critico), “Il populismo ambientalista” (Messaggero). Leonardo Becchetti, “Compriamoci il futuro. Acquisti responsabili” (Avvenire). Stefano Zamagni, “Servono trasformazioni radicali e non semplici riforme” (intervista ad Avvenire). Martin Wolf, “Come il capitalismo truccato sta uccidendo la democrazia” (Il Fatto). Franco De Benedetti, “Capitalismo in crisi?” (Foglio). Marilisa Palumbo, “La svolta etica del capitalismo” (Corriere della sera, agosto). Giorgio Barba Navaretti, “La svolta etica sarà guidata dai millennials” (Sole 24 ore, agosto).
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AMBIENTE / SARDEGNA
I politici contro cui si scaglia Greta Thunberg sono proprio quelli sardi
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Alla ricerca di un nuovo ordine mondiale

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Angelo Panebianco e la ricostruzione dell’ordine internazionale per salvaguardare la “società aperta” dell’Occidente.

di Gianfranco Sabattini

Angelo Panebianco e Sergio Belardinelli, già docente di Scienze politiche, il primo, e docente di Sociologia dei processi culturali presso l’Università di Bologna, il secondo, hanno dato alle stampe il volume “All’alba di un nuovo mondo” dove, ognuno di essi ha scritto un saggio, secondo punti di vista diversi, per approfondire la seguente tesi: “solo un ordine liberale può diventare un ordine politico legittimo sostenuto dall’approvazione e dal consenso dei più”, col quale risolvere i problemi politici, sociali, economici e geopolitici che caratterizzano il mondo occidentale di oggi.
La prospettiva adottata dagli autori si rifà – avvertono essi nella Premessa – a un sano “realismo”, nella sua duplice valenza normativa/prescrittiva e descrittiva/interpretativa, precisando che sul piano normativo il realismo è assunto solo per anticipare che le loro analisi sono fondate sull’osservazione della realtà per come essa è; ciò, al fine di evitare di evidenziare la gravità dei problemi ed illudere che le loro “soluzioni siano tutte semplici e tutte a portata di mano”. Sul piano descrittivo/interpretativo, invece, il realismo delle riflessioni degli autori sta ad indicare che dei fatti esaminati essi intendono considerare tutti gli aspetti, anche quelli sgradevoli, in quanto tutti attengono al comportamento dell’uomo, nel senso che sono la conseguenza più della fisiologia che della patologia del “vivere sociale”. Pertanto, per descrivere nel modo più obiettivo possibile tutti i fatti attinenti il comportamento sociale dell’uomo e svolgere un’analisi “sulle loro cause, materiali e spirituali”, il compito principale cui deve attenersi l’analista è il realismo.
Se si considerano i fatti che allo stato attuale affliggono il mondo occidentale, tutto – affermano gli autori – sembra evidenziare che si è “all’alba di un mondo nuovo, del quale, ovviamente, nessuno può prevedere quali saranno i precisi contorni. Molto dipenderà dal realismo col quale la nostra e le generazioni che seguiranno sapranno affrontare le sfide che incombono”.
Le considerazioni che seguono fanno prevalente riferimento al saggio di Panebianco, ma le sue riflessioni sulla crisi di natura economica, politica e sociale dell’Occidente trova una giusta collocazione nel quadro della crisi spirituale illustrata dal saggio di Belardinelli.
Come sempre è accaduto nei periodi più bui – sostiene Panebianco – “da alcuni anni è tornata a circolare in Europa, ma anche negli Stati Uniti, la cupa profezia sull’incipiente tramonto dell’Occidente”. Nel mondo occidentale, e soprattutto in Europa, si è diffusa “una predisposizione d’animo dell’imminente fine di un’epoca, che lascia presagire l’alto rischio cui sarebbe esposta la “società aperta” occidentale con i suoi gioielli (la rule of law, il governo limitato, i diritti individuali di libertà, la democrazia, l’economia di mercato, la scienza) [...], onore e vanto dell’Occidente”. In particolare, la democrazia liberale sarebbe esposta al rischio d’essere sostituita da “regimi illiberali di varia natura”. La profezia del suo “tramonto”, secondo Panebianco, non deve meravigliare in quanto essa, trattandosi di un regime misto di governo della maggioranza e di diritti individuali di libertà, ha sempre rappresentato un campo di tensioni e di conflitti, fertile terreno per la proliferazione di ricorrenti idee catastrofiste.
Con la conclusione del secondo conflitto mondiale, era sembrato che la democrazia liberale si fosse definitivamente consolidata, dopo la fine dell’assedio dell’Occidente da parte del comunismo sovietico e della sua diffusione, oltre che nell’Europa ex comunista, anche in altre parti del mondo. Nei decenni successivi al crollo del Muro di Berlino, il “vento” a favore della democrazia liberale è cambiato, prefigurando, secondo molti analisti politici, il pericolo che essa sia ora “in procinto di lasciare il posto a democrazie illiberali”; è accaduto così che all’ottimismo liberaldemocratico, seguito alla fine della Guerra Fredda, si sia sostituito – afferma Panebianco – “il timore di un futuro cupo” per la democrazia liberale. Da dove nasce questo timore?
Secondo molti studiosi di scienze politiche, la cupa preveggenza deriva dalla improvvisa comparsa e diffusione in tutti i Paesi dell’Occidente ad economia avanzata di movimenti populisti, che hanno dato origine all’avvio di un processo di indebolimento dei tradizionali intermediari politici (i partiti), determinando il passaggio dalle vecchie “democrazie di partito” alle nuove “democrazie del pubblico”, fondate su rapporti diretti tra leader e popolo. Un processo, questo, che ha reso il funzionamento delle democrazie molto più instabile che nel passato, in quanto caratterizzato da un’alta “volatilità” dell’opinione pubblica e degli orientamenti elettorali, a causa del succedersi di crisi economiche, sociali e politiche delle società occidentali.
A parere di Panebianco, due scuole che si contendono la spiegazione dei cambiamenti che hanno messo in crisi le antiche democrazia liberaldemocratiche, consolidatesi dopo la scomparsa dei totalitarismi nel corso della seconda metà del secolo scorso: per la prima, i cambiamenti sono riconducili a situazioni contingenti e riassorbili in quanto provocati da eventi di natura congiunturale; per la seconda, invece, i cambiamenti sono la conseguenza del fatto che, nell’intero Occidente, sono iniziati processi di lungo periodo, che hanno determinato che tali mutamenti non siano facilmente “riassorbiti”
La prima scuola riconduce i mutamenti a tre cause principali: innanzitutto alla lunga crisi economica iniziata nel 2007-2008; in secondo luogo, ai flussi migratori, che hanno coinvolto gran parte dei Paesi dell’Occidente e che, combinando i loro effetti a quelli della Grande Recessione, hanno determinato la diffusione di reazioni xenofobe; in terzo luogo, all’aumento dello stato di insicurezza percepita da gran parte delle popolazioni dei Paesi in crisi. Secondo questa scuola di pensiero, l’Occidente può riassorbire in pochi anni gli effetti dei cambiamenti registrati, se le “democrazie liberali e, con esse, la società aperta occidentale, riprenderanno l’antica vitalità, quando e se quelle ragioni di crisi scompariranno o perderanno vigore”.
Assai diversa è la spiegazione fornita dalla seconda scuola, per i cui analisti i cambiamenti avvenuti nei Paesi occidentali avanzati sono l’esito di processi di lungo periodo, che possono essere di natura economica, oppure socio-culturali. Dal punto di vista economico, secondo questa suola, i cambiamenti deriverebbero dal fatto che sarebbe finita la fase di crescita e di sviluppo che ha caratterizzato l’intero Occidente per più di due secoli. La fine di questa fase avrebbe dato origine alla cosiddetta “grande divergenza”, che è valsa a separare i Paesi economicamente sviluppati dai Paesi arretrati. Però, la divergenza, causata dal processo di globalizzazione, che ha preso il via verso la fine del secolo scorso (con la rivoluzione tecnologica nei sistemi di trasporto e di comunicazione) è stata per buona parte corretta da una successiva “grande convergenza”; a seguito di questa, molti Paesi arretrati hanno potuto superare il loro ritardo sul piano economico, spesso a scapito di quelli di più antico sviluppo economico.
Anche dal punto di vista socio-culturale, i mutamenti sarebbero il risultato di processi di lungo periodo che, all’interno dei Paesi economicamente sviluppati dell’Occidente, avrebbero determinato, sostiene Panebianco, l’”indebolimento delle barriere che un tempo separavano i detentori dei ruoli di autorità (politici, economici, culturali) da tutti gli altri”; si trattava, infatti, di barriere che consentivano la formazione e l’esistenza di oligarchie, che la rivoluzione occorsa soprattutto nel campo delle tecnologie dell’informazione, hanno travolto, in quanto hanno reso contendibili molti status ruoli politici, economici e sociali (un tempo occupati da ristretti gruppi) da parte di una platea di soggetti molto più estesa di concorrenti.
Se le ragioni addotte dalla seconda scuola sono corrette – osserva Panebianco – “allora perde plausibilità l’argomento secondo cui basta la ripresa economica a riassorbire la sfida populista alle democrazie liberali”, nel senso che i cambiamenti (di natura strutturale e irreversibili) intervenuti nelle società moderne avrebbero “per l’Occidente riflessi potenti sul piano occupazionale”, con conseguenze negative sul ritmo della crescita economica e un crescente aumento delle disuguaglianza sul piano distributivo. In conseguenza di ciò, quale che sia la natura delle causa dei mutamenti intervenuti nelle società moderne economicamente avanzate (processi di lungo periodo di natura economica o di natura socio-culturale), l’instabilità crescente dell’economia e della democrazia espone le società aperte occidentali a rischi che “non sono facilmente riassorbibili. Sono invece il portato di irreversibili cambiamenti di lungo periodo”. Quali prospettive si offrono oggi alle società aperte occidentali perché possano sottrarsi al rischio che i loro “gioielli” (il governo limitato, i diritti individuali di libertà, la democrazia, il libero mercato) siano irrimediabilmente “svalutati”?
Panebianco nutre fiducia sulla capacità della società aperta occidentale di riuscire a “riguadagnare” alcune delle condizioni “che le hanno garantito un lunghissimo periodo di pace, di prosperità economica, stabilità politica”. Sono le condizioni che si sono create dopo la fine del secondo conflitto mondiale, allorché gli Stati Uniti hanno assunto la leadership di gran parte dei Paesi occidentali, con la costituzione di “una comunità pluralistica di sicurezza”, divenuta presidio e garanzia della società aperta dei Paesi che la costituivano. Nei decenni successivi, questa “comunità” è valsa ad infittire i legami politici, economici e culturali fra i diversi Paesi; tali fitti rapporti sono divenuti successivamente “il trampolino di lancio” di un più vasto processo che, in seguito, coinvolgendo tutti i Paesi della “comunità”, è stato definito globalizzazione. L’approfondimento di questa, però, ha determinato un ridimensionamento della posizione dominante degli Stati Uniti, per il venire meno del consenso di una parte dei Paesi che facevano parte dell’originaria “comunità pluralistica di sicurezza”. Inoltre, la posizione dominate degli USA è stata anche ridimensionata per l’emergenza di nuove potenze competitrici all’esterno della “comunità”.
La conseguenza del ridimensionamento delle posizione dominante degli USA, secondo Panebianco, ha provocato la loro crescente indisponibilità a continuare ad essere garanti delle società aperte dell’Occidente; nel medio-lungo termine, la diffusione dei movimenti populisti e la possibilità che si formino delle democrazie illiberali potrebbero perciò essere la conseguenza del loro disimpegno internazionale. Di fronte a questa eventualità, Panebianco ricorda che tra gli analisti delle relazioni internazionali esistono due interpretazioni: una prima, di natura determinista, sostiene che il “futuro è gia scritto”, nel senso che, come è accaduto tante altre volte nella storia, una potenza dominante che per lungo tempo ha assicurato ordine, sicurezza e prosperità ai suoi alleati, “entrata nella fase del declino” cessa di fornire loro “tutti i beni pubblici che ne avevano garantito in passato la fedeltà”; la seconda interpretazione, non determinista e condivisa da Panebianco, sostiene che “il futuro è aperto, non scritto in anticipo”, per cui gli Stati Uniti, pur ridimensionati sul piano internazionale, continuano a detenere, in generale, un vantaggio competitivo sulle potenze concorrenti esterne alla “comunità di sicurezza originaria”. Se si confrontano le due tesi appare chiaro, a parere di Panebianco, che la sorte della società aperta occidentale sarà molto diversa a seconda che prevalga “la tesi dell’inevitabile declino o quella opposta”.
La tesi di Panebianco è che se viene meno il primato occidentale, quale quello garantito dagli Stati Uniti tra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Ottanta del secolo scorso, sarà inevitabile lo smarrimento dell’ordine internazionale vissuto dall’Occidente nel recente passato. Perché ciò sia evitato e sia ricostituito il perduto ordine liberale internazionale, occorre una ricostruzione dei “rapporti interatlantici” che si erano consolidati con la costituzione della “comunità pluralistica di sicurezza” già sperimentata (con un contributo di maggior peso, però, dei Paesi europei occidentali, se riuscissero a caratterizzare la loro unione in termini di una maggiore integrazione politica). Solo in questo modo, conclude Panebianco, l’Occidente potrebbe assolvere al “doppio, impegnativo compito di preservare, al proprio interno, la società aperta e di assicurare le condizioni per la ricostituzione di un ordine internazionale legittimo”.
Si può senz’altro condividere la preoccupazione nutrita da Panebianco per le sorti della società aperta, se dovesse permanere il caos che caratterizza attualmente le relazioni internazionali; la salvaguardia, però, non potrà essere assicurata con la pura e semplice ricostituzione delle condizioni che nel passato hanno reso la società aperta operante e garante di un generalizzato miglioramento delle condizioni di vita dei Paesi che hanno fruito delle opportunità da essa offerte. Una ricostituzione dell’ordine internazionale del passato deve anche partire dalla considerazione che i Paesi occidentali di oggi non potranno “godere”, sul piano economico, della spinta dinamica allora esistente, a causa, ad esempio, della minor crescita economica determinata dal progresso tecnico, del minor aumento della popolazione, della ridotta propensione all’indebitamento da parte delle imprese, e di altro ancora; ciò significa che, per il ricupero, nella sua pienezza, della società aperta dell’Occidente, occorrerà anche che i mutamenti che hanno concorso ad affievolirne gli effetti siano accompagnati da un riformismo delle regole che hanno sinora sotteso la distribuzione del prodotto sociale all’interno dei Paesi occidentali e dall’adeguamento delle politiche economiche alla necessità di stabilizzare il funzionamento dei sistemi produttivi nazionali integrati nell’economia globale; ciò, al fine di contrastare il fenomeno dei movimenti populisti e molti degli effetti che, sul piano socio-culturale, si sono affermati a causa dell’impatto dei mutamenti sul funzionamento delle democrazia; impatto che è valso a causare la crisi interna dei Paesi dell’Occidente ed il conseguente disordine delle relazioni internazionali, oggetto dell’analisi di Panebianco.

Oggi Venerdì 27 settembre 2019 per la nostra Terra

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Fridays For Future – Cagliari
Cagliari – 3° sciopero globale per il clima – 27 Settembre 2019
Anche a Cagliari, come in migliaia di altre piazze in Sardegna e in tutto il mondo oggi saremo in piazza.
La giustizia climatica non deve essere solo un sogno, la dobbiamo pretendere qui e ora sulla nostra terra, consapevoli che non si può salvare il pianeta e mantenere un sistema che avrà sempre bisogno di opere inutili per l’ambiente e per l’uomo, che lascerebbe bruciare mille foreste amazzoniche per il profitto.
Per questo ci vediamo alle ore 9.00 in Piazza Gramsci.
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Perché io, scienziato, credo che Greta abbia ragione
Greta è portatrice di un messaggio di una semplicità rivoluzionaria: “listen to science”, non ascoltate me, ascoltate la scienza.

Oggi venerdì 27 settembre 2019

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La nuova maggioranza deve essere consapevole dei suoi limiti ed aprirsi al confronto
27 Settembre 2019
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
In poche settimane lo scenario politico è cambiato. La destra ormai egemonizzata dalla Lega di Salvini su posizioni estremiste, che sono responsabili di un notevole imbarbarimento politico, sembrava avviata verso una difficilmente evitabile vittoria elettorale. La scelta repentina di Salvini di staccare la spina al governo di cui faceva parte per provocare elezioni anticipate, […]
C’è da augurarsi che la maggioranza attuale non insista sugli errori del passato, supponendo di avere in sé tutte le competenze per decidere. Ci sono soggetti che non fanno parte della maggioranza (un tempo si sarebbe detti esponenti della società civile) che hanno proposte, che vorrebbero essere ascoltati, altrimenti dovranno farsi ascoltare con altre modalità, del resto ben note.
La maggioranza deve essere consapevole dei suoi limiti e deve apririsi al confronto con altre soggettività, con altre associazioni, con altri punti di vista. Se riuscirà ad aprirsi, a confrontarsi potrà realizzare risultati, se si chiuderà finirà con il dare ragione a chi sta già preparando l’alternativa contando sul suo fallimento. La partita è appena iniziata
.[…]
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Domani

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Domenica Nel Tempo del Creato

ch-evang-29-9-19Nel tempo del creato la Chiesa Evangelica Battista di Cagliari in comunione con le altre confessioni cristiane promuove una preghiera ecumenica;

tema di questo anno è la biodiversità.

Vi aspettiamo domenica!
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La Democrazia in declino. Ma la buona politica la può e deve salvare.

3e51bee4-a6f4-46f5-800f-7d2678127789Così muore una democrazia. Italia prima in Europa per distanza tra percezione e realtà.
di Francesco Nasi su The VISION.
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BY RAIAWADUNIA · SET 24, 2019
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30 ottobre 1938. Stati Uniti. Orson Welles, attore e pietra miliare del cinema americano, conduce una puntata del programma radiofonico The Mercury Theatre On Air destinata a entrare nei manuali di storia. Welles interrompe più volte il normale corso della trasmissione con breaking news di un fantomatico attacco alieno avvenuto sul suolo americano. Ovviamente non è vero, è puro intrattenimento: l’attore infatti segue la trama di un libro di fantascienza, The War of the Worlds. Non la pensano così però i milioni di cittadini che, credendo reale l’attacco alieno, vengono presi dal panico. Secondo le stime del professor Hadley Cantril, furono 1,7 milioni gli americani che dettero per vera l’invasione, e 1,2 milioni furono profondamente disturbati o terrorizzati. Anche se ad alcuni poté apparire come un semplice scherzo, non era così per Welles, che nel 1941 con Citizien Kane, il suo massimo capolavoro, aveva indagato i rapporti tra mass media e il vero sovrano del secolo a venire: l’opinione pubblica.

Il due volte premio Pulitzer Walter Lippmann, nel suo storico saggio del 1922 Public Opinion, aveva già studiato la facilità con la quale le idee dell’opinione pubblica potessero essere distorte. Egli sosteneva che l’opinione il più delle volte non rispecchia la realtà, troppo complessa per essere realmente capita: l’opinione dipende dallo pseudo-ambiente esterno che ogni individuo si costruisce in base a pregiudizi e visioni stereotipate della realtà, in maniera più emotiva che razionale. Nonostante la sua malleabilità, negli anni però l’opinione pubblica diventa sempre più importante. Stefano Rodotà ha definito “sondocrazia” i regimi democratici attuali, dove a contare sono più i sondaggi d’opinione che le elezioni. Nella sondocrazia le classi dirigenti abdicano al compito di guidare il cambiamento nella società e tentano di sopravvivere inseguendo i volatili bisogni dell’opinione pubblica espressi nei sondaggi settimanali.

In una società globalizzata, liquida e complessa, la realtà diventa sempre più difficile da comprendere, e quindi la percezione dall’opinione pubblica rischia di allontanarsi sempre di più dai dati reali, fino al punto in cui si va a formare un vero e proprio abisso tra ciò che è vero e ciò che è ritenuto vero. Secondo uno studio dell’istituto di ricerca Ipsos, tra 15 paesi dell’Ocse l’Italia è prima per distanza tra percezione e realtà. Nando Pagnoncelli, professore, sondaggista e presidente di Ipsos Italia, ha descritto questo fenomeno nel suo ultimo libro La penisola che non c’è. I dati riportati da Pagnoncelli sono a dir poco allarmanti e spaziano per tutti i settori della vita pubblica del Paese. Riguardo ad esempio all’economia: nel 2014, a fronte di un tasso reale di disoccupazione del 12%, gli italiani credevano che nel loro paese ci fossero il 49% di disoccupati, come se un italiano su due stesse cercando lavoro senza trovarlo. Gli italiani credono di avere un’economia simile alla Grecia, quando in realtà quest’ultima ha un Pil equivalente più o meno alla sola Lombardia. L’Italia è la seconda manifattura d’Europa e una delle prime dieci economie mondiali, ma più di un italiano su 7 non lo sa. Rispetto alla popolazione: gli over 65 attualmente rappresentano il 22% della popolazione totale, ma per l’opinione pubblica italiana corrispondono al 48% del totale. L’età media è 45 anni, ma gli italiani pensano che sia di 59. La distorsione nell’ambito economico e demografico si può in parte spiegare come esagerazione di fatti reali come la crisi economica, la precarizzazione del lavoro e l’invecchiamento della popolazione. Ma ciò che lascia profondamente perplessi è invece la differenza tra realtà e percezione nell’ambito della sicurezza.

Secondo il 64% degli italiani, dal 2000 a oggi gli omicidi sono aumentati, quando in realtà hanno visto un calo vertiginoso e sono diminuiti del 47%: solo l’8% della popolazione però ne è consapevole. Basti pensare che nel 2016, in tutta Italia, ci sono stati la metà degli omicidi che nella sola città di Chicago: 397 contro 762. Come riporta uno studio dell’Istituto Cattaneo, l’Italia è il Paese con la più forte distorsione della realtà anche per quanto riguarda l’immigrazione con una differenza di ben 17,4 punti percentuali: gli immigrati extraeuropei rappresentano nel nostro paese il 7% della popolazione totale, ma per la nostra opinione pubblica sono il 25%, ovvero uno su quattro. Il 47% degli italiani crede che ci siano più clandestini che migranti regolari, mentre gli irregolari rappresentano circa il 10% del totale dei migranti.

Lo pseudo-ambiente cognitivo in cui si sviluppa l’opinione pubblica italiana ci presenta un Paese povero, vecchio, invaso da stranieri, senza alcuna possibilità per il futuro. La distorsione è più accentuata al Sud che al Nord, e tra le persone meno abbienti rispetto a quelle appartenenti alle classi agiate. La deformazione della realtà avviene quasi sempre in negativo, e a volte è anche peggiore di quella che pensiamo. I dati sopra riportati sono infatti spesso medie: ciò significa che se gli italiani credono che un carcerato su due sia straniero, a fronte di un dato reale del 33%, alcuni penseranno che addirittura il 60 o il 70% dei carcerati sia di origine non italiana.

Pagnoncelli indaga anche le motivazioni che stanno sotto questo pressoché totale scollamento tra realtà e opinione pubblica. Innanzitutto, c’è il problema dell’istruzione. In Italia solo il 14% dei maggiorenni vanta una laurea, e metà della popolazione adulta non va oltre la licenza media. E se è vero che lo studio non è sinonimo o garanzia di una piena e razionale comprensione del mondo intorno a sé, è altrettanto vero che l’istruzione rimane lo strumento più adatto a fornire gli strumenti e le competenze per analizzare criticamente la realtà. Il dato più preoccupante è allora quello dell’analfabetismo funzionale: secondo lo studio Piaac, in Italia il 28% della popolazione adulta è “incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”, come riporta la definizione dell’Ocse.

La seconda motivazione è da ricercare nel mondo dei media, vecchi e nuovi: essi contribuiscono enormemente a creare uno pseudo-ambiente insicuro, catastrofistico e noncurante della realtà fattuale per avere più ascolti o mi piace. Secondo l’istituto Demos, con più del 20% di notizie “ansiogene”, i telegiornali italiani trattano la cronaca nera più del triplo rispetto ai colleghi britannici e spagnoli. Questo dato è particolarmente rilevante in un Paese in cui metà dei cittadini reperisce le informazioni ancora esclusivamente o principalmente dalla televisione.

I social vanno a peggiorare il fenomeno essenzialmente per due motivi. In primis, sono il principale mezzo di diffusione di bufale e fake news, come dimostra la campagna elettorale americana. Secondo BuzzFeed, notizie create ad hoc come l’endorsement di Papa Francesco a Donald Trump superarono come diffusione ed engagement notizie reali di giornali autorevoli come Washington Post e The New York Times. C’è poi la questione della filter bubble e dell’omofilia: i social media, tramite i loro algoritmi, ci mostrano quasi esclusivamente contenuti che potrebbero piacerci, e che quindi confermano le nostre opinioni. In questo modo si crea un mondo parallelo completamente distante dalla realtà che delimita noncurante i confini di quello che sappiamo sul mondo intorno a noi.

Vi è poi la questione della scarsa credibilità delle istituzioni e di un individualismo sempre più accentuato. La crisi delle istituzioni è stata letta particolarmente bene dal sociologo polacco Zygmunt Bauman: egli descriveva la contemporaneità come società liquida, un mondo in cui l’unico senso è il consumo e in cui tutte le solide e collettive certezze del passato – credo religiosi, stati, partiti – sono crollati lasciando l’individuo sperduto tra caos e incertezza. In questa confusione è facile che emerga l’egoismo del singolo: come scrive Giovanni Orsina nel suo libro La democrazia del narcisismo, il cittadino moderno è un uomo-massa egoista che ha perso ogni fiducia negli altri e che si ritiene unica misura della realtà intorno a lui. Per questo si sente legittimato a credere a quello che vuole e non accetta nessuna opinione diversa dalla sua, come vediamo nella crescente polarizzazione della politica e dall’imbarbarimento del dibattito pubblico. L’uomo-massa diffida istituzioni ormai liquefatte, dei dati e degli esperti, perché si fida solo di se stesso.

Nel mondo politico e mediatico è facile sfruttare il pessimismo degli italiani, inseguire il facile consenso dei sondaggi e speculare sulle paure dei cittadini. Così è stato fatto in questi anni, come testimoniato egregiamente della vita politica di Matteo Salvini, un camaleonte che ha cambiato più volte fede politica seguendo i sondaggi per racimolare facili consensi. In questo modo si crea però un circolo vizioso di maliziose semplificazioni della realtà che rischia di far affogare il Paese nel suo stesso pessimismo, distraendo le persone dai problemi reali e impedendo così che vengano affrontati. Senza una base comune fattuale condivisa, non può esistere davvero una democrazia, poiché mancano i fondamenti di un serio dibattito pubblico che metta al centro i veri bisogni del Paese.

A una certa politica finora è convenuto sfruttare e nutrire l’ignoranza delle persone e il loro utilizzo inconsapevole dei media: ciò gli ha permesso di fomentare l’odio sociale e di sfruttarlo in termini di consenso elettorale. Ma la buona politica dovrebbe fare esattamente il contrario. La politica può e deve fare molto, agendo sulle motivazioni che abbiamo precedentemente analizzato: investire in modo massiccio sull’istruzione, promuovere campagne d’informazione sui dati reali e combattere la disuguaglianza sociale. Come scrive Pagnoncelli nel finale del suo libro, c’è bisogno di un’alleanza tra politica, media e società civile. Solo attraverso la partecipazione di tutte le forze sociali sarebbe possibile promuovere una narrazione diversa e veritiera della realtà, stimolando una presa di coscienza collettiva che faccia venire a galla un senso di identità e di responsabilità condivisa, unico possibile rimedio all’ormai perduta credibilità delle istituzioni e all’egocentrismo malato del ventunesimo secolo.

Francesco Nasi per VISION

Segnalazioni, a cura di Sergio Falcone