Monthly Archives: giugno 2020

SA BATALLA DE SEDDORI

2d5a5e6d-bdf3-4ad4-9771-eadf7da1fae0 SA BATALLA DE SEDDORI: niente da celebrare ma da ricordare e studiare.
di Francesco Casula
Oggi 30 giugno ricorre il 611° anniversario di Sa Batalla di Sanluri: forse la data più infausta dell’intera storia della Sardegna perché segnò l’inizio della fine della indipendenza e della libertà dei Sardi e della Sardegna. Una fine comunque tutt’altro che scontata ed ineluttabile. Infatti con l’ultimo Marchese di Oristano, Leonardo d’Alagon, (dal 1470 al 1478) sarà ancora scossa e attraversata da momenti di dissenso e di ribellioni nei confronti dei catalano-aragonesi, culminati in opposizione armata prima con la battaglia di Uras (1470) e infine con la sfortunata e definitiva sconfitta di Macomer (1478). [segue]

Che succede?

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IL CAPITALE UMANO E LO STALLO DEL GOVERNO
29 Giugno 2020 su C3dem.
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SCUOLA, VITALIZI, PARLAMENTO, BENTIVOGLI, MIGRANTI, LIBIA
29 Giugno 2020 su C3dem.

Oggi martedì 30 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti———–
Lavoro a distanza: luci ed ombre
30 Giugno 2020
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Sicuramente il Coronavirus ha accelerato un processo di cambiamento che era già in corso da tempo, rendendo indispensabili le nuove forme di lavoro a distanza, cosiddetto smartworking, telelavoro, lavoro da remoto, lavoro agile. Al di là delle differenze fra queste tipologie, ciò che si è intensificato a livello globale è il lavoro a distanza, quel […]
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terzjus-loghettoNota redazionale della Sentenza n. 131 della Corte Costituzionale del 26 giugno 2020
In questo articolo si parla di: Corte cost. 131/2020 si preannuncia come una sentenza fondativa del “nuovo” diritto del terzo settore.
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“La signora della stazione”: pubblicato il romanzo di Dolores Deidda.

la-signora-cover E’ stato pubblicato il romanzo di Dolores Deidda “La signora della stazione” che racconta, in particolare, le vicissitudini della sua famiglia e della madre negli anni ’40, quelli della guerra, e nei primi anni ’50 (r.d.).
Di seguito riprendiamo dal sito web dell’editore la bella intervista fatta a Dolores .book-sprint
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Intervista all’autore – Dolores Deidda
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1.Ci parli un po’ di Lei, della Sua vita. Da dove viene? Come e quando ha deciso di diventare scrittore?
Sono nata in un piccolo paese di montagna, nella zona della Sardegna chiamata Barbagia. Ma già a dodici anni avevo cambiato cinque residenze, dati i continui trasferimenti della mia famiglia. A Cagliari ho frequentato il liceo classico e mi sono laureata in Storia e Filosofia. Subito dopo mi sono trasferita a Roma dove ho sostenuto il mio impegno sociale con attività di studi e ricerca. Attività che ha continuato a prevalere nel mio impegno professionale in Italia e all’Estero. Per alcuni anni ho lavorato a Bruxelles e mi sono specializzata nelle politiche di Sviluppo e Coesione dell’UE.
Ho sempre scritto molto, ma i miei testi sono stati prevalentemente di carattere tecnico e utilizzano un linguaggio assai diverso da quello letterario. Ho deciso di scrivere un romanzo, non credendoci molto, quando ho avuto del tempo a disposizione dopo aver ridotto l’impegno lavorativo.

2. Nell’arco della giornata qual è il momento che dedica alla scrittura?
Non ho degli orari prestabiliti. Alle volte gli spunti narrativi mi arrivano al risveglio del mattino e sento l’urgenza di aprire il computer per annotarli e semmai risistemarli successivamente. Altre volte è nella notte, il momento del silenzio, che trovo il filo per ricominciare a scrivere.

3. Il suo autore contemporaneo preferito?
Il mio principale riferimento letterario del ‘900 è Marguerite Jourcenar, una scrittrice franco-belga di enorme rigore intellettuale, spessore culturale e talento narrativo. Un modello di perfezione cui è difficile avvicinarsi. Altri scrittori che apprezzo molto sono il latino-americano Marco Vargas Llosa e Jhon Maxwell Coetzee, sudafricano.
[segue]

Mons. DINO PITTAU, nella ricorrenza dei 65 anni dell’ordinazione sacerdotale

toniolo-di-renato-dascanio-ticca1_2don-dino-pittauASSOCIAZIONE CATTOLICA GIUSEPPE TONIOLO CAGLIARI
Venerdì 3 luglio 2020 Mons. DINO PITTAU, nella ricorrenza dei 65 anni dell’ordinazione sacerdotale, celebrerà la SANTA MESSA di RINGRAZIAMENTO nella CHIESA di SAN LEONARDO in SERRAMANNA alle ore 19,00.
Gli ASSOCIATI partecipano alla FELICE RICORRENZA e aspettano coloro che vorranno essere vicini a Mons. Dino Pittau, ASSISTENTE SPIRITUALE dell’ASSOCIAZIONE.
Il CONSIGLIO DIRETTIVO.

Oggi lunedì 29 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti———–
NO all’Apartheid israeliana – NO al Razzismo istituzionalizzato!
29 Giugno 2020
Rosalba Meloni su Democraziaoggi.
Da Rosalba Meloni riceviamo e volentieri pubblichiamo.
L’Associazione Amicizia Sardegna Palestina, la Comunità palestinese in Sardegna e BDS Sardegnahanno aderito all’appello di BDS Italia e hanno manifestato il 27 giugno 2020 contro il piano di annessione del governo israeliano, a sostegno della lotta e della resistenza del popolo palestinese.
Il 1° luglio il governo israeliano intende […]
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terra_casa_lavoro_2DON BRUNO BIGNAMI: “FRANCESCO E LA LIBERAZIONE DEI POVERI”
29 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
La rete dei Viandanti pubblica sul suo portale un intervento di don Bruno Bignami, prete cremonese, presidente della Fondazione don Primo Mazzolari e, da qualche tempo, direttore dell’Ufficio problemi sociali e del lavoro della CEI. L’intervento si inserisce nella serie che i Viandanti stanno dedicando all’anno settimo del pontificato di Francesco. Bruno Bignami interviene con un articolo (“La liberazione dei poveri”) che mette in luce, con efficacia, quale è il contenuto del messaggio sociale di Francesco e il suo modo di testimoniarlo.
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Oggi 29 giugno Santi Pietro e Paolo.

Buon onomastico ai Pietro e ai Paolo
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- El Greco, Gli Apostoli Pietro e Paolo – 1587-92 – olio su tela – Hermitage, San Pietroburgo.

- San Pietro in carcere visitato da san Paolo è un affresco di Filippino Lippi che decora la Cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze. L’opera (230×88 cm) è databile al 1482-1485 circa.
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Appuntamenti importanti segnalati da C3dem.

c3dem_banner_04I prossimi incontri della Rosa Bianca: Ágnes Heller, Alexander Langer, e altro
28 Giugno 2020 by Forcesi |su C3dem.
[swgue]

Il diritto alla salute in Sardegna ai tempi del COVID-19 – Mercoledì 1° luglio

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Il diritto alla salute in Sardegna ai tempi del COVID-19 Mercoledì 1° luglio 2020, si potrà seguire la diretta da questo link:
https://www.youtube.com/watch?v=McpgewAGpVM

Oggi domenica 28 giugno 2020

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Carbonia. L’Assemblea generale di sezione, del 20 febbraio 1945
28 Giugno 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.

Nel centro minerario prende vita l’azione democratica. Il primo post di questa storia domenica 1° settembre 2019.
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E’ l’Assemblea generale di sezione del 20 febbraio 1945, quella che determina un cambiamento a Carbonia, con l’elezione di un più ampio Comitato direttivo. In grado di verificare struttura e organizzazione del Partito e di avviare il lavoro […]
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loghetto-vita-itCo-progettazione, la sponda della Consulta di Luca Gori* 26 giugno 2020, su Vita.it.
La Corte Costituzionale nel caso che riguardava una legge della Regione Umbria stabilisce che il rapporto che si instaura tra i soggetti pubblici e gli ETS è alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.
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*Centro di ricerca Maria Eletta Martini – Scuola Superiore Sant’Anna.
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CULTURA

819fd9f7-d403-4b27-915b-c944c9a74948La natura indifferente

di Pietro Greco, su Rocca

La pandemia Covid-19 che dall’inizio di gennaio sta squassando i fragili equilibri della sanità e dell’economia degli umani? È la natura che si vendica. Le stiamo facendo del male e lei, irritata, sta reagendo e ci punisce.
È questa una narrazione che ha assunto corpo nelle scorse settimane, da quando il coronavirus Sars-CoV-2 ha fatto il «salto di specie» e da qualche pipistrello è arrivato agli umani, con un’altra contagiosità e una moderata letalità che, dati i grandi numeri, si sta rivelando tragica assai. La narrazione non è stata proposta solo dai media, che, si sa, spesso utilizzano metafore fuorvianti, ma è stata proposta anche
da esperti e scienziati.
Ma la natura è davvero il giudice dei nostri comportamenti? O addirittura il «dio che atterra e suscita/che affanna e che consola» come scrive Alessandro Manzoni in una delle sue celeberrime poesie, Il cinque maggio? Ha davvero delle intenzioni «umane»? E davvero noi Homo sapiens dobbiamo «salvare il pianeta» se vogliamo evitare che lui, il pianeta, diventi insofferente e ci si rivolti contro?
A queste domande ha già risposto compiutamente, addirittura prima di Charles Darwin, un genio italico: Giacomo Leopardi. Conviene ricordare il suo Dialogo della natura e di un islandese, scritto nel 1824. È la natura che parla a un uomo, l’islandese appunto. Ecco cosa gli dice: «Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei».
Davvero geniale, Giacomo Leopardi. Perché questo brano ci dice tutto sul rapporto tra gli umani e la (il resto della) natura.
Noi siamo indifferenti alla (al resto della) natura. Non perché non siamo in grado di perturbarla, anche gravemente. Ma perché la (il resto della) natura non ha alcuna coscienza e tantomeno intenzionalità. Semplicemente non se ne avvede, come diceva il grande Giacomo. Quando lei ci diletta e ci riempie di benefici, lo fa ma non lo sa.
Né tantomeno lo vuole. Quando ci offende, come con il coronavirus, lo fa con risultati anche tragici, ma non la sa. Né tantomeno lo vuole. Se anche noi, Homo sapiens, dovessimo estinguerci, lo faremmo nella totale inconsapevolezza e indifferenza del resto della natura.
Il perché ce lo ha spiegato, in letteratura, un grande scrittore, come Mark Twain. La storia della vita sulla Terra lunga, come la Torre Eiffel. E noi sapiens siamo comparsi da poco in questa storia. Siamo l’ultimo strato di vernice su quella struttura d’acciaio che spalanca la vista su Parigi. Basta poco per scrostarlo, quell’ultimo strato e la Torre neppure se ne accorgerebbe.
In termini meno letterari e più scientifici, l’indifferenza della natura (del resto della natura) nei nostri confronti è stata spiegata da Darwin. Il quale non solo ha preso atto dell’evidenza: non c’è coscienza nella natura e tanto meno intenzionalità. Non c’è, a rigore, neppure indifferenza. Semplicemente la natura non sa di noi come non sa delle fastidiose zanzare o di SarsCoV-2. La natura – limitiamoci alla biosfera e non allarghiamo il discorso all’intero universo – è l’insieme dinamico delle popolazioni di milioni (forse decine di milioni) di specie viventi che a loro volta nascono, si sviluppano e muoiono immerse in un ambiente che a sua volta cambia nel tempo. La natura è, dunque, un sistema complesso dinamico privo di coscienza.
Questa è una deduzione logica che qualunque sapiens, in linea di principio, può fare e poteva già fare prima di Darwin.
Come ha dimostrato, peraltro, Giacomo Leopardi. La novità che Charles Darwin ha introdotto in maniera chiara è che la dinamica del sistema complesso natura non è teleologica. Non ha alcun fine. Tantomeno quello di rendere più agevole (o disagevole) la nostra presenza, umana, sulla Terra.
Non era scontata, questa novità introdotta da Darwin con la sua teoria dell’evoluzione biologica per selezione naturale del più adatto. Nel pensiero occidentale evoluzionista prima dell’Origine delle specie (1859) era ben consolidata l’idea che la vita evolve in una direzione precisa: il progresso, di cui i sapiens sarebbero la massima espressione. Anzi, che tutto è predisposto perché, a un certo punto, sulla torre della vita di cui parla Mark Twain venga spalmato l’ultimo strato di vernice. È quella che gli esperti chiamano teleologia. Ancora oggi c’è, nell’ambiente scientifico, chi la pensa così. Stuart Kaufmann, per esempio, scienziato del Santa Fe Institute dove si studiano i sistemi complessi, ha scritto tempo fa un libro dal titolo eloquente: At Home in the Universe. Siamo di casa nell’universo. Eravamo attesi e non potevamo non apparire, a un certo punto della storia cosmica.
Charles Darwin ha invece dimostrato che l’evoluzione è cieca. Non va in una direzione precisa o addirittura predefinita.
Esplora lo spazio delle possibilità a naso, adattandosi al mutare delle condizioni ambientali. Come sosteneva uno dei più grandi biologici e storici della biologia evoluzionistica della seconda parte del XX
secolo, Stephen Jay Gould, se riavvolgessimo il film della vita e lo riproiettassimo non è detto che comparirebbe di nuovo Homo sapiens. E neppure un qualche essere a lui somigliante. Siamo il frutto del caso, della necessità e della contingenza.
Dunque, la natura (il resto della natura) è indifferente alle nostre sorti. Lei non è un dio che atterra e suscita, che affanna e che
consola. La natura è un meraviglioso gioco di bricolage (la metafora è del grande biologo Francois Jacob) che continuamente prende forma grazie alle mani di un artigiano cieco.
E allora se la natura non si cura delle nostre umane sorti, perché noi dovremmo curarci delle sorti della natura? Perché all’indifferenza dovremmo contrapporre un’amorevole attenzione?
Queste domande hanno fatto scorrere fiumi di inchiostro (o di bit, più di recente).
Non diamo conto di tutte le scuole di pensiero. Ma possiamo dare due risposte, niente affatto alternative: ci compete, ci conviene.
Premettiamo: qualsiasi cosa noi umani facciamo (almeno allo stato della potenza delle nostre tecnologie) la natura ci sopravvivrà. Certamente cambiata, ma non uccisa. E comunque, indifferente.
Perché ci compete, dunque, la cura della natura? Perché siamo il primo attore ecologico nella storia della vita che è cosciente – anzi, grazie alla scienza, ha una «coscienza enorme» – delle sue azioni e delle loro conseguenze. Quando i primi organismi fotosintetici avvelenarono la biosfera riempendola di un veleno micidiale, l’ossigeno, uccidendo la gran parte degli altri organismi viventi, generarono una catastrofe – non a caso chiamata «olocausto dell’ossigeno» – ma non ne erano coscienti. Un inciso, la vita non solo sopravvisse anche a quella immane catastrofe, ma ne fece il trampolino di lancio per esplorare vie inedite, adattandosi al veleno e trasformandolo in prezioso combustibile.
Noi siamo i beneficiari di quell’olocausto e siamo anche meno catastrofici dei primi organismi fotosintetici, ma a differenza loro siamo coscienti delle nostre azioni.
Sappiamo che stiamo accelerando i cambiamenti del clima ed erodendo la biodiversità. Queste conseguenze delle nostre azioni sono desiderabili, per noi e per il resto della natura presente? Sta a noi decidere. È questa decisione che in virtù della nostra coscienza ci compete.
Il secondo motivo è: ci conviene. Ci conviene come specie diminuire la nostra impronta sul resto della natura, evitare la depletion (l’esaurimento delle risorse) e minimizzare la pollution (l’inquinamento).
Ci conviene fare del nostro meglio affinché il clima resti il più possibile quello mite degli ultimi dodicimila anni. Ci conviene evitare la sesta estinzione di massa delle specie viventi. Perché in un mondo in cui abbiamo dissipato le risorse naturali, inquinato all’inverosimile, accentuato l’effetto serra e ucciso decine di migliaia di altre specie viventi, noi vivremmo male. Anzi malissimo. Tanto male che qualcuno già prefigura la possibile estinzione di Homo sapiens.
Certamente questo qualcuno esagera. Ma, se questo dovesse avvenire, dobbiamo sapere che non è perché la natura si sta vendicando. È solo per la nostra insipienza.
Perché, come Leopardi le fa dire, a lei, alla natura: «E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei».
Pietro Greco
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Che succede?

c3dem_banner_04CONTE, LA MERKEL, LE RIFORME, I CONFLITTI, LE MOSSE DI RENZI
27 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
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Iniziativa della rete C3dem.

Appunto per tracciare lo scenario di una cultura politica nuova. L’impegno della rete c3dem
27 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
La rete c3dem intende impegnarsi in un percorso di ripensamento della cultura politica che ha costituito, per i gruppi che vi aderiscono ma anche per il ben più vasto mondo di forze sociali e politiche d’ispirazione cristiana, il bagaglio di convinzioni, giudizi, attese, obiettivi che ci ha sin qui guidato. Un ripensamento, e cioè un rinnovamento che sia frutto del misurarci, con coraggio, con quanto sta cambiando in alcuni nodi decisivi della vita sociale, qui nel nostro paese e nel mondo.
[segue]

Oggi sabato 27 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti———–
La “grande trasformazione” dell’Italia negli ultimi decenni
27 Giugno 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
L’informazione statistica resa disponibile dall’Istat evidenzia i grandi cambiamenti avvenuti in l’Italia nell’ultimo quarantennio. Come afferma Francesco Tuccari, in “La rivolta della società. L’Italia dal 1989 a oggi”, essi “hanno investito praticamente tutto”: pur restando immutati alcuni “residui” del passato (come, ad esempio, l’annosa questione meridionale, il trasformismo politico, una rilevante “pulsione alla corruzione”), […]
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Perché oscurano l’annessione della Cisgiordania
27 Giugno 2020 su Democraziaoggi.
Alberto Negri Il Manifesto del 26.06.2020
Israele/Palestina . L’annessione avviene al culmine di un drammatico percorso di vent’anni condiviso da Usa e Israele per la disgregazione dei popoli mediorientali e di cui gli europei sono complici

[…]

Insularità in Costituzione. Audizione di Andrea Pubusa in Senato

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Il 25 u.s. l’avv. Andrea Pubusa, esponente del Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria (CoStat) è stato sentito dalla Commissione Affari costituzionali del Senato, in audizione informale, sul disegno di legge costituzionale n. 865 sul riconoscimento insularità. Pubblichiamo di seguito un breve resoconto di detta audizione scritto dallo stesso prof. Pubusa per il blog Democraziaoggi (26 giugno 2020).

L’insularità non è solo un fatto geografico, è un fatto storico-culturale

di Andrea Pubusa

Il disegno di legge costituzionale n. 865 sul riconoscimento insularità è composto da un articolo unico:
Art. 1.
All’articolo 119 della Costituzione, dopo il quinto comma è inserito il seguente: «Lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire un’effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili».

Come si vede, l’articolo considera l’insularità solo nell’aspetto naturale (geografico) e quindi come fonte di svantaggi. Tuttavia, la questione insulare non è solo questo, l’insularità non è solo fonte di svantaggi, è anzitutto questione storico-culturale. L’insularità ha messo capo nel corso dei secoli a peculiarità storico, culturali, linguistiche e istituzionali, che costituiscono l’essenza della sardità e contribuiscono ad arricchire il patrimonio culturale nazionale. Ricordo che alla metà degli anni ‘80, quando ero presidente della Prima Commissione in Consiglio Regionale, nel corso di una discussione su questi temi in seno alla direzione comunista, Umberto Cardia, bonariamente e con la sua usuale finezza, ebbe modo di far presente a me, ingenuo seguace della visione tradizionale, che l’insularità non è una questione geografica, ma una questione etnostorica ed etnoculturale. E velocemente mi ricordò che la Sardegna ha avuto un parlamento dal 1200 fin alla sciagurata fusione perfetta del 1847, ed ha avuto per secoli istituzioni autonome e leggi fondamentali a garanzia delle proprie prerogative, leggi immodificabili perfino dal re, in ragione del loro carattere pattizio di rango internazionale. A questo schizzo storico-istituzionale aggiunse gli altri aspetti c un he danno una connotazione specifica alla Sardegna, a partire dalla lingua. Mi disse dunque che ogni iniziativa che non considerasse la complessità del concetto di insularità non avrebbe portato a risultati accettabili. Fu una lezione fondamentale, che mi ha aperto un orizzonte nuovo e di grande prospettiva. Mario Melis, a sua volta, mi disse invece, mentre eravamo a Collinas a ricordare G. B. Tuveri: “bisogna sempre ricordare che il mare divide e tuttavia unisce. Bisogna far prevalere la sua capacità di collegarci agli altri popoli“.
Ora questi insegnamenti non possono essere trascurati in una disposizione che voglia costituzionalizzare l’insularità. La proposta avanzata dal Comitato e recepita nel disegno di legge n. 865 invece li omette. Della insularità coglie solo gli aspetti negativi che richiedono misure economiche finanziarie. Di qui anche la collocazione della nuova norma all’interno dell’articolo 119 Cost., che disciplina i rapporti finanziari fra Stato e Regioni. Era così anche nell’originario comma 3 dell’art. 119, poi modificato in peggio nel 2001, che in qualche modo costituzionalizzava la questione insulare; si trattava però di una visione riduttiva, rispondente all’elaborazione degli anni 1946/47. Ora occorre fare di più, sancire il principio in relazione alla nozione più corretta e ampia di insularità.
Come ho detto alla Commissione del Senato, nel d.l. metterei pertanto in luce gli aspetti positivi, rilevando così che l’insularità non è solo svantaggio, come parrebbe dal testo proposto. e dunque la questione va vista non solo nei suoi aspetti economico-finanziari.
Rimetterei pertanto alla Repubblica (ossia all’ordinamento nella sua interezza) il riconoscimento e il promovimento delle culture insulari, mentre assegnerei allo Stato l’adozione delle misure per superare gli svantaggi.
In questa impostazione più ampia la collocazione del principio d’insularità in seno all’art. 119 appare riduttiva ed impropria; occorrerebbe un articolo autonomo, da inserire preferibilmente fra i principi fondamentali con un articolo 5 bis, o immediatamente prima dell’art. 119.
Formulerei dunque la nuova disciplina nel seguente modo, salvi gli approfondimenti e gli affinamenti del caso:

Art. 5 bis oppure 118 bis (Principio di insularità)
“La Repubblica riconosce le peculiarità culturali dell isole e ne promuove lo sviluppo.
Lo Stato adotta le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità e a garantire l’effettiva parità e il reale godimento dei diritti fondamentali e inalienabili”
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