Monthly Archives: febbraio 2021

Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in Sardegna (Next Generation EU-Recovery Plan). Che fare?

aasvis-schermata-2021-02-06-alle-19-39-28lampadadialadmicromicroMartedì 2 marzo il Consiglio regionale discuterà sulle proposte progettuali per la spendita dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in Sardegna (Next Generation EU-Recovery Plan), per un ammontare di 7 miliardi e 690 milioni di euro (questa è la cifra di fonte regionale resa nota dalla stampa) da spendersi e rendicontarsi entro il 2026. A queste somme si aggiungono le risorse della programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali europei, nonchè quelle residuali, e, anno per anno, quelle ordinarie di bilancio. Si tratta di disponibilità finanziarie enormi, mai viste, neppure negli anni dei piani di rinascita. Per sard-2030schermata-2021-02-17-alle-14-48-00quanto riguarda il Recovery Plan, gli interventi progettuali devono rispondere ai criteri stabiliti dalla Commissione e dal Parlamento europeo, declinando su 6 “missioni” fondamentali i 17 macro obbiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda Onu 2030, pienamente recepiti dall’Unione Europea. Le sei missioni sono: 1. Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura; 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. Istruzione e Ricerca; 5. Inclusione e Coesione; 6. Salute.
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schermata-2021-01-25-alle-16-45-59 Come Aladinpensiero non vogliamo formulare una nuova lista degli interventi da realizzare, quanto raccomandare che le risorse non vengano disperse ma al contrario concentrate su progetti che rispondano efficacemente ai bisogni delle popolazioni. In particolare appoggiamo le proposte dei Sindaci sardi, formulate direttamente o attraverso la loro associazione ANCI Sardegna e le Unioni dei Comuni sardi. Nel ribadire la necessità di interventi strutturali che ristabiliscano un riequilibrio con il Nord del Paese, consentendo parità di opportunità per un nuovo sviluppo della Sardegna, sollecitiamo che vengano individuati investimenti e iniziative che creino rapidamente nuova occupazione.
Ci interessa in questa fase richiamare le forze politiche a ricercare e praticare il massimo di unità tra di loro e il coinvolgimento delle espressioni organizzate della società, siano esse entità del mondo economico, dei sindacati, della cultura, del terzo settore e del volontariato. Richiediamo attenzione alla gestione dei fondi, riducendo al minimo il carico burocratico, chiamando alla massima collaborazione e disponibilità il personale delle pubbliche amministrazioni, operando anche radicali modifiche regolamentari che privilegino il conseguimento dei risultati rispetto alle procedure. Sosteniamo la richiesta dell’istituzione di un Osservatorio regionale di monitoraggio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che coinvolga le entità sopra richiamate. Tutto ciò in analogia con l’Osservatorio nazionale indipendente di recente costituito su impulso della rivista online Sbilanciamoci!, a cui ha aderito anche Aladinpensiero, potendo, eventualmente, l’Osservatorio sardo costituirne articolazione territoriale.
Al riguardo si osserva come le funzioni del proposto Osservatorio regionale coincidano con il costituendo (da parte della Regione Sarda) Forum Regionale per lo Sviluppo sostenibile*, che, avendo rilevanza istituzionale, potrebbe coesistere con l’organismo di carattere spontaneo. O forse potrebbe trattarsi di un’unica entità, cosa possibile in applicazione dei principi di sussidiarietà (si parla qui di sussidiarietà orizzontale), sanciti dalla Carta costituzionale (art. 118).
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Infine, convinti sostenitori dell’ecologia integrale e dell’esigenza di preparare il futuro così come ci esorta a fare Papa Francesco, mentre ricerchiamo anche in questa circostanza il massimo della partecipazione popolare a questa che consideriamo un’occasione storica da non sprecare, intendiamo iscrivere le nostre iniziative nel risveglio di un nuovo meridionalismo nell’interesse della Sardegna, del Sud e, in definitiva di tutta l’Italia e dell’Europa.
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* REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA – GIUNTA REGIONALE. DELIBERAZIONE N. 64/23 DEL 28.12.2018
Oggetto: Indirizzi per la costruzione della Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile (SRSvS).
“(…) La definizione della Strategia dovrà avvenire attraverso il coinvolgimento della società civile e a tal fine verrà costituito un Forum Regionale per lo Sviluppo Sostenibile quale spazio di informazione, ascolto, confronto e consultazione che si avvarrà di momenti di incontro, gestiti con metodologie partecipative, al fine di garantire il dialogo e lo scambio con tutte le parti sociali interessate”.
Sembra che la Regione stia per costituire questo Forum. Potrebbe essere incaricato di “sorvegliare” anche l’applicazione del Recovery Plan in Sardegna, considerato che i relativi progetti devono rapportarsi proprio agli obbiettivi dell’Agenda Onu 2030.
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ECCO LA LETTERA DEI SINDACI DELLE UNIONI DEI COMUNI SARDI CHE NOI APPOGGIAMO
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Al Presidente della Giunta Regionale
On. Christian Solinas
presidenza@pec.regione.sardegna.it
Al Presidente del Consiglio Regionale
On. Michele Pais
conisglioregionale@pec.crsardegna.it
Al Presidente di ANCI Sardegna
Emiliano Deiana
ancisardegna@pec.it
Al Presidente di UNCEM Sardegna
Daniela Falconi
ancisardegna@pec.it

(…) insieme a tutti i Presidenti delle Unioni aderenti alla Misura 5.8 della Programmazione Territoriale, che ha visto coinvolte n. 30 Unioni dei Comuni, che raggruppano circa 300 Comuni e rappresentano oltre un milione di cittadini sardi.
Nell’ambito del Recovery Plan che riguarderà la Sardegna chiedono un grande progetto di contrasto allo spopolamento, per lo sviluppo delle aree interne, montane, marginali e delle piccole isole che concentri risorse ingenti per superare un ritardo di sviluppo storico delle nostre comunità.
Gli interventi sulle infrastrutture di collegamento verso i centri più popolati, la connettività e le reti (5G e BUL), lo sviluppo locale e la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili e la transizione energetica, gli investimenti sul capitale umano e sulla scuola, per una sanità territoriale a misura d’uomo, per il sostegno alla cultura diffusa.
Solo un grande progetto di contrasto alla desertificazione umana potrà consentire alla Sardegna di svilupparsi in maniera armonica ed equilibrata.
Perché noi pensiamo che in Sardegna città e paesi, aree urbane e aree rurali, zone interne, zone costiere ed isole minori debbano coesistere e svilupparsi in maniera armonica e bilanciata.
Confidando nel vostro interesse rispetto alle richiamate argomentazioni, ma soprattutto nella vostra attenzione verso le aree marginali della nostra terra e le popolazioni che le abitano, restiamo in attesa di un favorevole riscontro e porgiamo, con l’occasione, i più cordiali saluti.
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I sindaci di Cagliari (Paolo Truzzu), Sassari (Nanni Campus), Quartu Sant’Elena (Graziano Milia), Nuoro (Andrea Soddu) e Olbia (Settimo Nitzi) hanno firmato una lettera congiunta sul Recovery Plan – NGEu: “Non disperdere i fondi. Concentrarsi su un solo obiettivo”.
“Il Recovery Plan dovrà essere per l’Europa e per l’Italia non solo uno strumento per affrontare le negative conseguenze economiche delle misure di contrasto alla diffusione del coronavirus, ma anche un’opportunità e un’occasione per introdurre profondi mutamenti nel sistema economico e sociale. Ciò sarà possibile solo se prevarrà la capacità di indirizzare la spendita delle risorse su progetti credibili che possano davvero segnare un mutamento profondo e duraturo. Anche la Sardegna dovrà partecipare a questo percorso, rifuggendo dalla tentazione di disperdere le proprie possibilità di proposta in decine di progetti di svariata natura. Da questo punto di vista pensiamo che ci si dovrebbe concentrare su un solo obiettivo: il superamento dei due principali svantaggi dell’Isola rispetto al resto dell’Italia e dell’Europa. Da una parte la difficoltà di interconnessione tra le diverse parti della Sardegna, dall’altra un sistema di produzione di energia costoso e obsoleto. A questo scopo è indispensabile la realizzazione di una rete ferroviaria veloce e integrata come unico strumento utile a creare una connessione profonda fra le diverse parti della Sardegna. Storicamente la difficoltà di mettere in relazione sistemica l’intera isola è sempre stato uno degli impedimenti maggiori alla crescita economica e sociale della stessa, il Recovery Plan potrebbe e dovrebbe essere un’occasione da non perdere.
Allo stesso tempo, sviluppare il grande potenziale dell’Isola nel campo delle fonti energetiche rinnovabili per la produzione da elettrolisi di idrogeno verde decarbonizzato che non solo consentirebbe un drastico abbattimento delle emissioni di CO2, ma anche, in una regione potenzialmente ricca di rinnovabili, di progettare un futuro totalmente privo delle medesime emissioni”
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lampadadialadmicromicro13NGEu-Recovery Plan in Sardegna. Crediamo sia da appoggiare la richiesta dei cinque sindaci sardi. E’ esagerato concentrasi su un solo obbiettivo, ma è giusto non disperdere i fondi in troppi progetti. Questo dei collegamenti ferroviari merita il podio, per l’utilità e per la sostenibilità. Ovviamente quanti ai sistemi energetici da utilizzare occorre essere sicuri nelle scelte da fare, per questo coinvolgendo gli esperti e le comunità scientifiche pertinenti. Intanto plaudiamo che in questa occasione sia sia trovata l’unanimità di intenti tra sindaci espressione di diverse appartenenze politiche.
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Come Aladinpensiero ne abbiamo parlato in più occasioni, eccone una: https://www.aladinpensiero.it/?p=99242
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PROSSIMI EVENTI
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Venerdì 5 marzo alle ore 18.00 Il manifesto sardo e AladinPensiero organizzano un seminario web sul Recovery Plan in diretta dalla pagina Facebook, YouTube e dal sito del manifesto sardo.
Intervengono: Lilli Pruna, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro – Università di Cagliari; Chiara Maria Murgia, laureanda in Cooperazione Internazionale e Sviluppo presso La Sapienza Università di Roma; Alessandro Spano, docente di economia aziendale – Università di Cagliari; Enrico Lobina della Fondazione Sardinia; Graziella Pisu, esperta fondi strutturali europei, già direttore Centro di Programmazione RAS; Umberto Allegretti, professore emerito di diritto pubblico – Università di Firenze; Andrea Soddu, sindaco di Nuoro. Coordinano Roberto Loddo de il manifesto sardo e Franco Meloni di AladinPensiero.
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Giuseppe De Rita interviene sul Corriere proponendo realismo (forse troppo): “Un Recovery plan all’insegna del massimo realismo”.
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Oggi domenica 28 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
Carbonia. Nelle miniere, dopo la nascita della Repubblica, “l’inferno nero”
28 Febbraio 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Continua la storia “domenicale” di Carbonia, iniziata il 1° settembre 2019.
Le gabbie conducono i minatori a ‘meno 400’, robuste sbarre di ferro composte di due piani, ciascuno dei quali può contenene una ventina di persone. “Sul pavimento una coppia di rotaie consente di utilizzarle anche per portare in superficie i vagoncini carichi di carbone […]
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Bianco Responsabile
di Gianfranco Fancello, su fb.
Quella che ci aspetta sarà un’enorme prova di maturità collettiva.
La scelta di farci diventare bianchi appare, oggi, incomprensibile, azzardata, imprudente, prematura.
Il rischio è che venga percepita da molti come un regalo, o una conquista, o peggio ancora, come il segnale che le cose stanno andando bene e che il pericolo sta svanendo.
Siamo ancora in piena pandemia, nonostante il numero contenuto di nuovi casi rispetto alla popolazione ed il numero di ricoverati in leggero calo, anche in terapia intensiva. [segue]

Che succede?

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LA SQUADRA DI GOVERNO. SPUNTI DI PROGRAMMA: LAVORO, AMBIENTE, CULTURA
26 Febbraio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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CRISI PD. GIUDIZI SULLA FASE POLITICA. TERZI POLI
26 Febbraio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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[segue]

Oggi sabato 27 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
Già dimenticati l’Ambasciatore Luca Attanasio e il Carabiniere Vittorio Iacovacci?
27 Febbraio 2021
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Ho seguito i funerali di Stato dei nostri due caduti in Congo su Rai1. Mi sentivo colpita da questa tragedia ed allo stesso tempo addolorata dallo scarso spazio dato a questi tragici eventi dai nostri mezzi di comunicazione. Oggi pochi giornali riportavano in prima pagina la notizia dei funerali di Stato; meglio parlare di gossip sui […]
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Il GIP dispone l’archiviazione della querela di RWM Italia spa contro il Comitato Riconversione RWM.
Red il manifesto sardo.
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La gravità della situazione e i compiti dei democratici. Ci guida la Costituzione.

coord-demo-costiVillone: la gravità della situazione e i compiti dei democratici
26 Febbraio 2021
di Massimo Villone, Presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale. [Democraziaoggi]
Pubblichiamo questo appello di Massimo Villone, sottolineando la gravità della situazione istituzionale e politica del nostro Paese. Si è formato un nuovo governo sotto la pressione di una massiccia campagna mediatica dei gruppi forti, volta a convincere la popolazione dei poteri salvifici di un esponente del sistema bancario-finanziario. […]

ANPI

Tesseramento Anpi 2021

Oggi venerdì 26 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————

Osservatorio nazionale di monitoraggio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza animato dalla società civile. Adesione di Aladinpensiero.

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Campagna Sbilanciamoci! 25 Febbraio 2021 | Sezione: Apertura, Società
Al via un Osservatorio nazionale di monitoraggio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza animato dalla società civile: le organizzazioni aderenti – tra cui la Campagna Sbilanciamoci! – chiedono al Governo Draghi pieno coinvolgimento e trasparenza del Piano. Pubblichiamo il testo del comunicato stampa.
[segue]

Aladi(n)battiti. Reddito e Lavoro. Sul reddito di cittadinanza e altro ancora.

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RIMBALZI
Il reddito di base oltre il tempo della pandemia
25-02-2021 – di: Giuseppe Allegri su Volerelaluna.

Con queste note si vorrebbe invitare a una chiamata collettiva sui possibili spazi di miglioramento di politiche pubbliche di promozione sociale, dinanzi al dibattito europeo e globale sul reddito di base al tempo della pandemia. Considerando anche che nei giorni in cui si ultimano questi appunti il nascente Governo Draghi rimane interlocutorio sulle possibili condizioni di miglioramento della legislazione intorno al reddito di cittadinanza, mentre Oltralpe Libération, celebre quotidiano della nuova sinistra francese, richiama, nella prima pagina di martedì 9 febbraio, la proposta di revenu universel sostenuta da Benoît Hamon, ex candidato socialista alle presidenziali 2017 e ora vicino ai movimenti giovanili e verdi, e quindi dedica un intero dossier online al tema del reddito di base / revenu universel / basic income.

Ottant’anni di modello sociale europeo e due anni di parodistico dibattito italiano

Come oramai sappiamo, dalla primavera 2019 anche il nostro ordinamento repubblicano ha finalmente previsto una forma di “reddito minimo” (minimum income, da noi chiamato reddito di cittadinanza), a circa ottant’anni dalle prime previsioni in questo senso proposte dal Beveridge Report (1942), successivamente introdotte dal governo laburista di Clement Attlee (1945-1948), per liberare le persone dal bisogno, e a oltre trenta dall’introduzione del revenu minimum d’insertion (RMI) nella Francia del governo socialista di Michel Rocard, cioè dalla previsione del diritto di ottenere dalla collettività sufficienti mezzi di sussistenza («droit d’obtenire de la collectivité des moyens convenables d’existence», art. 1 della legge del 1° dicembre 1988). Per ricordare il primo e l’ultimo Paese della vecchia Europa che nei decenni passati introdussero misure di questo tipo. È stato il cuore del modello sociale europeo, pensato negli Stati costituzionali pluralistici e sociali del secondo dopoguerra a partire da misure universalistiche di protezione sociale, che – accanto all’accesso all’istruzione e alla sanità di qualità – prevedeva una lotta alla povertà finalizzata alla tutela effettiva della dignità umana e alla promozione di migliori condizioni di vita e di lavoro per tutta la cittadinanza. Con sussidi diretti alle persone in particolari condizioni di rischio, vulnerabilità e/o fragilità (anziani, malati, inabili al lavoro, famiglie con figli minori, donne in gravidanza, disoccupati cronici etc.), quindi con un’assicurazione sociale di integrazione al reddito per rifiutare i ricatti del lavoro povero, perciò in favore di tutti i salariati, per i lavoratori indipendenti e autonomi con le loro libere attività in proprio, per i disoccupati, sottoccupati o giovani in cerca di prima occupazione.

Nonostante questa arcinota storia oramai quasi secolare, il dibattito politico e culturale intorno al reddito di cittadinanza (RdC introdotto ai tempi del Governo giallo-nero-verde Conte I, con decreto legge n. 4/2019 e successiva legge di conversione n. 26/2019) rimane ancora sospeso in una urticante e indegna parodia, tra sussidio di ultima istanza e di disoccupazione. Da una parte il sempre più timido sostegno da parte dei promotori di questa misura, quel Movimento 5 Stelle dell’allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali Luigi Di Maio che neanche due anni fa festeggiava con il retorico e sguaiato grido «abbiamo abolito la povertà». Dall’altra ci sono quegli eterni nemici di qualsiasi forma di sostegno al reddito, da loro pregiudizialmente ritenuta come un’elemosina per gli scansafatiche, propensi a prendere il reddito restando sdraiati sul divano, oppure seduti a mangiare pasta al pomodoro, come sostenne oramai quasi un decennio fa Elsa Fornero, allora Ministra del lavoro e delle politiche sociali del Governo presieduto da Mario Monti e quindi tra le principali responsabili del ritardo con cui si è arrivati a una misura del genere.

Così la legge di conversione ha incluso da subito le fantomatiche norme anti-divano con il vizio di origine, immediatamente evidenziato da Chiara Saraceno, di considerare il RdC come una politica del lavoro, confondendo politiche di sostegno al reddito con politiche attive del lavoro, generando solo confusione, false aspettative, inducendo abusi e prevedendo poi un’assai «discutibile impostazione meritocratica» della stringente condizionalità all’ottenimento del reddito, con una incredibilmente «fitta disciplina sanzionatoria, che occupa uno spazio davvero inusitato nel corpo della legge n. 26/2019 (in particolare con gli artt. 7, 7 bis, 7 ter», come osserva il giuslavorista Stefano Giubboni e come ricostruito anche nei diversi saggi contenuti nel volume collettivo di cui è curatore, Reddito di cittadinanza e pensioni: il riordino del welfare italiano, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti.

Frammentazione e insicurezza al tempo della pandemia

La normativa adottata nella lotta alla pandemia ha allentato questi vincoli e ha poi introdotto una serie di indennità, trattamenti di integrazione salariale, bonus, reddito di emergenza, ristori etc. polverizzando le misure di sostegno al reddito in una ventina di interventi categoriali e settoriali (dall’istanza per l’emersione di lavoro subordinato irregolare, alle indennità di 600 e 1000 euro, alle indennità Covid-19 per i lavoratori domestici, al REM, ai Congedi Covid-19 retribuiti, al bonus baby sitting, bonus indennità collaboratori e istruttori sportivi etc.), generando un coacervo di strumenti sempre più parziali e occasionali, perché ogni volta una porzione della società rimaneva comunque fuori dalle tutele e garanzie previste in precedenza. Una sorta di rincorsa a tappare i buchi di un Welfare rimasto vittima della sua tradizionale impostazione categoriale, frammentata e fondamentalmente affidata all’intervento sussidiario della famiglia, anche in tempi di pandemia e conseguente sospensione di molte attività lavorative e imprenditoriali e per giunta spesso lacerati da rapporti familiari coatti, a causa dei diversi vincoli di isolamento.

Come nota il recente Rapporto DisuguItalia 2021 di Oxfam Italia, «in questo contesto, le misure di sostegno pubblico al reddito, al lavoro e alle famiglie emanate nel corso del 2020 dal Governo hanno contribuito ad attenuare gli impatti della crisi e a ridurre moderatamente i divari retributivi e reddituali. [… Ma] vecchie vulnerabilità si sono acuite e sommate a nuove fragilità, con conseguenze allarmanti per il benessere dei cittadini, l’inclusione e la coesione sociale». Tanto che altrove, anche come Basic Income Network Italia, abbiamo espressamente parlato di urgenza del reddito di base nella pandemia. Tutto ciò da un lato produce insicurezza, incertezza e risentimento nei confronti delle istituzioni pubbliche in quella porzione più debole della società, che si aspetta strumenti di protezione e tutela dai meccanismi di Welfare. Dall’altro innesca stigma e sfiducia in «quel 40% degli italiani in condizioni di povertà finanziaria, ovvero senza risparmi accumulati sufficienti per vivere, in assenza di reddito o altre entrate, sopra la soglia di povertà relativa per oltre tre mesi» (per citare sempre il Rapporto DisuguItalia 2021), circa 25 milioni di persone che in realtà costituiscono una parte impoverita di quel ceto medio già precarizzato, sottoccupato, sfiduciato, ora piombato nell’assenza di lavoro, se non sommerso, grigio, occasionale etc. e da sempre tradizionalmente poco avvezzo a entrare nei meccanismi burocratici della sicurezza sociale.

Per questo è necessario indagare gli spazi pubblici di confronto per migliorare il RdC esistente, pensare tutele e garanzie che diano risposte all’altezza della situazione e immaginare il welfare del presente e del futuro.

Per un possibile cantiere comune, a partire dal reddito di base

Quelle che seguono sono solo suggestioni, quasi slogan di un primo possibile ragionare in comune, nel senso di condividere analisi, riflessioni, proposte, progetti per migliorare le istituzioni di sicurezza sociale nella prospettiva di pensare un vero e proprio ius existentiae (per riprendere, nel dibattito italiano, tra i molti e le molte, le proposte di Luigi Ferrajoli, Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia, Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti e quindi Elena Granaglia e Magda Bolzoni, Il reddito di base). Un reddito di base inteso come erogazione monetaria individuale, una nuova istituzione, diritto sociale fondamentale a condurre una vita quanto più libera possibile dai ricatti, un vero e proprio investimento pubblico in favore delle persone, per farle uscire da uno stato di ricatto e minorità, per una Democrazia del reddito universale come titolava il volume manifestolibri che nel 1997 raccoglieva testi dei maggiori studiosi europei del Basic Income, come Philippe Van Parijs, Alain Caillé, Claus Offe, che si stavano confrontando con l’avvento della società digitale e della precarietà diffusa.

1. Per un dibattito sul reddito di base in Italia

Proprio il riferimento agli anni Novanta del Novecento della rivoluzione informatica e dei primi movimenti di lotta alla disoccupazione/sottoccupazione e alla precarietà oramai strutturale, ci ricorda che in quegli stessi anni in Francia si aprì un fervido dibattito culturale, sociale, politico, sindacale e accademico intorno all’urgenza di estendere e ampliare le garanzie del revenu minimum d’insertion (RMI), ricordato in precedenza e introdotto nel 1988. L’intero decennio dei Novanta fu infatti attraversato da un ricchissimo dibattito, che coinvolse forze culturali e politiche, intellettuali e studiosi, sociologi ed economisti, sindacalisti e giuristi, come Thomas Piketty e Philippe Van Parijs, lo stesso Michel Rocard con Jean-Michel Belorgey, padri dell’allora esistente misura di RMI, quindi Jean-Marc Ferry e Alain Caillé, André Gorz e Daniel Cohen. Dibattito fatto di proposte e riflessioni che provarono a utilizzare lo stesso acronimo RMI per proporre un revenu minimum inconditionnel, cioè svincolato da particolari limitazioni e condizioni di accesso e di eventuale controprestazione lavorativa, fino alla previsione di una allocation universelle, un vero e proprio reddito di base, revenu de base, universale e incondizionato, nel quadro di un necessario aggiornamento universalistico del modello sociale statuale francese, nel contesto di quello europeo. È possibile immaginare che, magari anche a partire dallo spazio e dalle reti raccolte intorno al Centro per la Riforma dello Stato, si inneschi questo plurale dibattito e confronto per contribuire a elaborare elementi di modifica del RdC nel senso di un vero e proprio diritto sociale fondamentale individuale – e non familiare – verso una prospettiva sempre più universale e meno condizionata? Il tutto proprio a partire dalle ipotesi di sperimentazione che permette la stessa legislazione esistente, magari in favore di alcuni soggetti, come i giovani nella proposta di perequazione intergenerazionale di un’eredità universale, di cittadinanza, da erogare al compimento del 18esimo anno di età, proposta dal Forum Diseguaglianze e Diversità. O anche nel senso di quel reddito di autodeterminazione, rivendicato da tempo dal movimento Non una di meno, e inteso come «garanzia di indipendenza economica e dunque concreta forma di sostegno per le donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita da relazioni violente (intrafamiliari e lavorative) […] strumento di prevenzione rispetto alla violenza di genere, di autonomia e liberazione dai ricatti dello sfruttamento, del lavoro purché sia, della precarietà, delle molestie».

2. Reddito di base incondizionato, tra iniziativa dei cittadini europei e futuro dell’Europa sociale

In questa prospettiva è utile ricordare che fino al 25 dicembre 2021 si potrà sostenere e firmare (direttamente online, presso il sito istituzionale dedicato alla raccolta del milione di firme) l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), istituto previsto dall’art. 11 TUE per la partecipazione della società civile nei rapporti con la Commissione europea, in questo caso per favorire l’introduzione di forme di reddito di base incondizionato (RBI o Unconditional Basic Income – UBI) nei 27 Stati UE. Si aggiunga che in questi primi sei mesi dell’anno la presidenza portoghese del Consiglio dell’UE ha come obiettivo anche quello di lavorare intorno al tema dell’Europa sociale, a partire dal Pilastro europeo dei diritti sociali (2017), dalla recente Risoluzione dell’Europarlamento su Un’Europa sociale forte per transizioni giuste (A strong Social Europe for just transitions, 17 dicembre 2020, al cui punto 36 si sottolinea che «ogni persona in Europa dovrebbe essere coperta da un regime di reddito minimo e che le pensioni dovrebbero assicurare un reddito superiore alla soglia di povertà») e dal programmato Vertice sociale europeo – Social Summit di Operto del prossimo 7 maggio. Il tema del futuro dell’Europa sociale – e delle connesse transizioni ecologiche, digitali, energetiche etc. – è quindi strettamente connesso a quello del reddito minimo e di base, nell’auspicabile prospettiva che proprio la garanzia di un Basic Income possa far parte del Recovery Programme. Considerando anche che otto membri dell’Europarlamento riuniti nel gruppo Positive Money, tra i quali Guy Verhofstadt e Sandro Gozi, si sono pronunciati in favore di qualcosa di simile a un QE for the people, sulla falsariga del bazooka monetario – Quantitative Easing – attivato da Mario Draghi allora alla BCE, un helicopter money distribuito direttamente dalla BCE, che una parte dell’opinione pubblica ritenga debba erogare un vero e proprio reddito di base. Mentre nel mondo il dibattito su helicopter money e basic income va avanti oramai da tempo, ripensando a quando anche l’Economist notò come le istanze del reddito di base cominciavano a trovare sempre maggiore consenso tra sperimentazioni locali e progetti istituzionali. Del resto, nelle settimane della primavera scorsa, del primo periodo di lotta alla pandemia globale da Sars-CoV-2 e dalla connessa Covid-19, il 71% di circa 12mila cittadini europei, consultati all’interno di un’ampia ricerca accademica, si dichiarò favorevole all’introduzione di un reddito di base per tutti i cittadini europei.

3. Sperimentazioni di reddito di base: il caso finlandese in chiave post-pandemica

Negli ultimi anni si è molto discusso della sperimentazione finlandese del reddito di base, portata avanti nel 2017-2018. Promossa dal governo, coinvolse duemila persone disoccupate, estratte a sorte nelle liste dei fruitori di sussidi, che ricevettero un reddito mensile di 560 €. L’Istituto finlandese per la protezione sociale, Kela, pubblica risultati e analisi della sperimentazione, sulla spinta di Olli Kangas, padre putativo di questo progetto e direttore di ricerca al Kela stesso. Dai primi report la gran parte degli analisti nota come da questa sperimentazione potrebbero uscire risposte utili e necessarie per pensare in modo più equo e inclusivo le nostre società nell’epoca (post-)pandemica, a partire da tre punti emersi dalle condizioni vissute dai fruitori finlandesi del reddito di base: diminuzione di stress causato da insicurezza economico-finanziaria; maggiore fiducia nelle proprie aspettative future; crescita di condizioni di autodeterminazione e autonomia individuale. Tre coordinate fondamentali per pensare benessere psichico individuale, investimento sul futuro, promozione di maggiore indipendenza, tanto più nella necessaria connessione tra pandemia, lockdown e reddito di base: da una grande crisi derivano grandi cambiamenti?

4. Per un nuovo Welfare, a partire dal sostegno al reddito

«Questa situazione impone un ripensamento del welfare, in cui fare proposte innovative – e non pensare solo a dispositivi protettivi – come nuove forme universalistiche di sostegno al reddito, non come politica di emergenza, ma come nuovo approccio al welfare. In salute mentale vediamo chiaramente l’insufficienza di modelli di welfare fondati sull’asse “produttività/improduttività”». Sono parole che prendo in prestito da un importante intervento, titolato Un nuovo Welfare Comunitario per la Salute Mentale (in Welfare Oggi, n. 3/2020, 9-22), di Roberto Mezzina, già autorevole Direttore dei Servizi di Salute Mentale di Trieste, il quale, in una precedente intervista con Luca Negrogno per l’Istituzione Gian Franco Minguzzi, sottolineò l’urgenza di una presa di posizione del mondo attivo intorno alla salute mentale in favore di misure di sostegno al reddito: «è una questione sul tavolo, è necessario un dibattito pubblico innovativo». E qui il CRS potrebbe impegnarsi a favorire questo dibattito, a partire dal confronto sugli insegnamenti basagliani con il loro vero e proprio movimento di “pazienti”, psichiatri, operatori, tecnici, ricercatori, intellettuali etc., cui partecipò anche Mezzina, con l’obiettivo di tenere insieme corpo organico e corpo sociale, condizione individuale e contesto materiale. Penso in primissima battuta nella connessione con gli studi e le pratiche di Robert Castel, che è forse stato il più prezioso analista del rapporto tra questione sociale, salute mentale e benessere psico-fisico, nella prospettiva attuale dibattuta in tutto il mondo che il reddito di base possa migliorare la salute mentale di un Paese. Questo approccio diventa fondamentale dinanzi agli effetti psicologici intergenerazionali – dai giovanissimi agli anziani – prodotti dalla reclusione e dall’isolamento in tempi di pandemia, con la connessa necessità di pensare, al presente e al futuro, strumenti di inclusione, partecipazione, protagonismo delle persone oltre la dimensione “produttiva” della cittadinanza sociale.

5. Reddito di base tra società automatica, città in trasformazione e officine municipali

In quest’ottica sistemica, il reddito di base è inteso come strumento di sicurezza sociale universale per proteggere gli individui dai duraturi effetti economico-sociali della crisi sanitaria, ma anche dai cambiamenti dei sistemi di produzione e lavoro, nell’economia di piattaforma, digitale e automatizzata e nelle città in trasformazione. Questo è forse il cantiere dove il CRS è maggiormente sensibile, con la sua Scuola critica del digitale oramai attiva da tempo nella sua disamina del capitalismo digitale e di piattaforma, e i suoi progetti intorno alle Officine Municipali, intese anche come nuove istituzioni dove sperimentare e favorire incontri virtuosi tra soggetti, spesso dispersi, frammentati, sottoccupati e precari, delle diverse forme dei lavori – da remoto e in presenza – di innovatori sociali, coworking di vecchia e nuova generazione, quindi affaticata informalità dell’autorganizzazione e della cooperazione sociale e istituzioni locali più tradizionali, come Municipi, Comune, Regione, ma anche quelle scolastiche, universitarie, sportive, del tempo libero e della socialità.

Tutto questo non deve però avere il sentore di un’ennesima utopia, se non da intendersi come “indispensabile”, per dirla con le parole del sempre provocatoriamente concreto Philippe Van Parijs (Il reddito di base: un’utopia indispensabile, in Il Mulino, n. 1/2018), il quale ci ricorda con spietata lucidità, fuori da retoriche paternalistiche, caritatevoli, marginalizzanti, che «oggi è giunto il momento di elaborare e proporre un’alternativa all’utopia neoliberale della sottomissione totale delle nostre vite individuali e collettive al mercato, e un’alternativa all’utopia paleosocialista della sottomissione totale delle nostre vite allo Stato. Di questa utopia il reddito di base è un elemento centrale». Perché ci permette di pensare una vera, concreta, libertà per tutte e tutti, ora che anche all’interno delle diverse classi dirigenti comincia a balenare l’insostenibilità esistenziale, ecologica, sistemica dell’attuale modello economico capitalistico.

L’articolo è tratto dal sito del CRS (Centro per la Riforma dello Stato) – 15 febbraio 2021 .

* Giuseppe Allegri è socio fondatore del Basic Income Network Italia, autore del volume Il reddito di base nell’era digitale. Alcuni di questi profili sono stati approfonditi in G. Allegri, Dal reddito di cittadinanza italiano al dibattito europeo sul reddito di base. Per un nuovo Welfare nella pandemia, in Rivista Critica del Diritto Privato, n. 3/2020, 401-431, cui si rinvia, anche per i riferimenti bibliografici ivi contenuti.

Oggi giovedì 25 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
La parentesi Draghi deve servire a rendere Renzi inoffensivo
25 Febbraio 2021
Alfiero Grandi (Domani 22.2.2021)
Renzi voleva la crisi del governo Conte 2, ne ha provocato le dimissioni e dopo avere seminato macerie tenta di convincere che aveva previsto tutto, compreso l’incarico a Draghi di formare un nuovo governo. Renzi appartiene a quelli che scrivono la storia dalla fine, ma non dice che dobbiamo a lui se […]
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c3dem_banner_04 Che succede?
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“PD, DICCI CHI SEI”. E UN APPELLO
24 Febbraio 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Paolo Pombeni propone due analisi interessanti sul Pd e il governo Draghi: “Gli spodestati, Draghi e l’opinione pubblica” (mentepolitica.it) e “Effetto Draghi, la crisi M5s contagia anche Pd e sinistra” (Il Quotidiano). Sulla stessa linea Enrico Morando (che replica a Bettini): “Salvini non è più il cattivo. Caro Pd, ora dicci chi sei tu” (Il Riformista). Giorgio Gori, intervistato da La Stampa: “Dal Pd vocazione minoritaria. Ritroviamo autonomia e orgoglio, ora basta insistere sulle alleanze“. Antonio Decaro, intervistato da Repubblica: “Il Pd è ormai ostaggio delle correnti. Così rischia di sparire”. Daniela Preziosi, “Bonaccini si appoggia a Salvini per iniziare la scalata al Pd” (Domani). Dario Parrini, “Cambiate troppe cose in due anni. Il congresso è da fare al più presto” (La Nazione). Sergio Cofferati, “Uguaglianza, libertà, giustizia, o la sinistra è questo o non è” (intervista al Riformista). Stefano Folli, “Una cronica debolezza della politica” (Repubblica). Due note sul Foglio: David Allegranti: “Preludi Pd”, Carmelo Caruso: “Una vita da Zinga”. Una riflessione non banale di Giovanni Orsina: “Gli insulti alla Meloni. Pensiero fragile dei progressisti” (La Stampa). UN APPELLO: Appello per una nuova Alleanza riformista e liberal-democratica (linkiesta): tra i firmatari Lorenzo Dellai, Emma Fattorini, Luciano Floridi. Ne parla Christian Rocca, “A marzo a Milano Un’Alleanza per la Repubblica contro il bipopulismo perfetto”. GOVERNO: Sabino Cassese, “Nella PA le grandi riforme falliscono. Draghi deve operare sui punti più critici” (intervista a La Stampa). Lina Palmerini, “Cosa c’è dietro l’incontro tra il premier e ‘il capitano’” (Sole 24 ore). Gianluca Passarelli, “Senza riforme di sistema il sistema fallirà ancora” (Il Riformista). Claudio Cerasa, “Quirinale, non c’è più il Predestinato” (Foglio). Gianfranco Pasquino, “I 5 stelle servono ancora a qualcosa?” (Domani). Messaggero, “Brunetta insedia il tavolo Recovery plan”. Roberto mania, “Draghi&Giavazzi: dall’Accademia a Palazzo Chigi” (Repubblica). Lorenza Ricchiuti, “I punti deboli di Draghi su corruzione e mafie” (Manifesto).
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Oggi mercoledì 24 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
Solidarietà a chi insulta la democrazia?
24 Febbraio 2021
Antonello Murgia su Democraziaoggi.
Gli insulti sessisti e razzisti del prof. Giovanni Gozzini a Giorgia Meloni non sono solamente una caduta di stile, ma rappresentano in modo plateale l’abisso nel quale sta precipitando il confronto politico in Italia: sempre più il ragionamento e la presentazione di differenti progetti politici, espressione di diversi valori e conseguenti visioni del mondo, […]
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fondatore-enzo-bianchiCULTURA
Il diavolo di Bose
16-02-2021 – di: Gianandrea Piccioli su Volerelaluna.*
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Giovedì 25 febbraio 2021 la presentazione dell’e-commerce etico “Terre ritrovate”

terre-ritrovateGiovedì 25 febbraio 2021 alle ore 11.30 a Ballao (CA) presso il salone della Parrocchia Santa Maria Maddalena ed in contemporanea diretta online sulla piattaforma Zoom al link https://bit.ly/2NVE2Rh (ID riunione: 813 8746 0041 Passcode: 417545) si terrà la presentazione dell’e-commerce etico www.terreritrovate.it
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Che succede?

c3dem_banner_04I DUBBI STRATEGICI A SINISTRA
23 Febbraio 2021 SU C3DEM.
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LA SOVRANITÀ SECONDO DRAGHI
21 Febbraio 2021 su C3dem.
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DRAGHI E LA CORTE DEI CONTI. TONINI REPLICA A BETTINI
20 Febbraio 2021 su C3dem.
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MOLTO PIU’ CHE UN BANCHIERE. E AL PD SERVE UN CONGRESSO
19 Febbraio 2021 su C3dem.
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La crisi della Politica. Da dove ricominciare? Dibattito

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La Provvidenza, la normalizzazione e il futuro della sinistra
Volerelaluna, 3-02-2021 – di: Andrea Danilo Conte
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La formazione del Governo Draghi, le vicende che l’hanno favorita e accompagnata, la sua accettazione acritica da parte delle forze politiche (all’infuori della destra neofascista e di qualche esponente, in numero inferiore alle dita di una mano, di Sinistra italiana) e della totalità della stampa nazionale hanno aperto in quel che resta della sinistra un confronto sulle prospettive che si aprono. Le domande sono chiare: dove stiamo andando? E, ancora, che fare? A questo dibattito, su cui stanno arrivando molti e appassionati contributi, Volere la Luna dedicherà una particolare attenzione.

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Venne il giorno della Provvidenza ed era un giorno di pioggia come tutti gli altri. SuperMario, il Messia, il più competente, colui che tutto il mondo ci invidia e che non ci farà più vergognare, squarcia gli Osanna e dai cori emergono uomini e donne a volte mediocri a volte raccapriccianti. Ci avevano preparati ad avere il meglio cui l’Italia potesse aspirare. L’innovatore invece attinge al passato, quasi a voler fermare la storia, e vara un Governo di destra-centro-sinistra che riesce a concentrare il peggio dei Governi di centrodestra e di centrosinistra degli ultimi decenni: Brunetta, Gelmini, Carfagna, Franceschini, Orlando. Il suo Governo riporta l’orologio indietro di vent’anni. Come se la storia non avesse già decretato il fallimento del liberismo, della terza via e del berlusconismo. Il Migliore riesce nell’impresa di mettere insieme tutti questi fantasmi del passato quasi scommettendo che essi si possano esorcizzare gli uni con gli altri. Davamo tutti per morto il neoliberismo e ci dicevano che il Draghi della Trojka, della lettera d’intenti, della messa in ginocchio della Grecia era un lontano ricordo e che l’Uomo era cambiato. E invece l’Uomo della Provvidenza (che in Italia sarà anche Divina, ma è sempre di sesso maschile) vara un’operazione nostalgia piuttosto scialba e mediocre. Siamo dalle parti dei Governi Dini e Monti, ma in un contesto storico e internazionale totalmente mutato e con un tessuto sociale sfibrato e in ginocchio rispetto a venti o dieci anni fa. E con un tesoro di miliardi da distribuire in modo da ridisegnare gli equilibri di potere e i rapporti di forza dei prossimi anni.

Tanto rumore per nulla, dunque? Non è così.

La vera portata del Governo Draghi non sta nel Governo stesso, ma nel tipo di operazione di cui è portatore. Lo scenario politico ne esce travolto e radicalmente mutato nel giro di pochi giorni. L’operazione Draghi lascia fuori solo la Destra nazionalista e razzista, ma insonorizza e imbriglia tutto il resto, il sovranismo muscolare e xenofobo, il populismo movimentista, anche l’egoismo narcisista renziano. Non è un’operazione casuale, è quello che si voleva, che si è teorizzato e preparato nei dettagli: l’omologazione del sistema politico italiano. I poteri economici nazionali e sovranazionali hanno ritenuto che non si potesse rischiare, che alcuni disegni di legge in cantiere dovessero essere affossati e che timidissimi segnali di autonomia presenti nel precedente Governo e nel premier dovessero essere bloccati sul nascere. E così, anche la democrazia costituzionale ne esce normalizzata e commissariata. Quello di Draghi è un Governo ineccepibile sul piano della democrazia parlamentare, ma è un Governo normalizzatore e imbrigliatore delle dinamiche partecipative della democrazia costituzionale: azzerare le differenze, rendere obsoleta l’esistenza di posizione politiche contrapposte; tra Salvini e Speranza non ci devono essere differenze o comunque non devono essere percepite, perché il messaggio diretto al ventre del Paese è abbandonare gli egoismi di parte e concorrere tutti insieme al bene della nazione. Destra e sinistra definitivamente omologate. I rider e le multinazionali, gli invisibili e i miliardari del Billionaire, sono la stessa cosa. Difendere i primi contrasta con l’interesse nazionale. E soprattutto i primi devono rimanere senza rappresentanza politica, mentre ai secondi è garantita la “copertura” di tutto l’arco parlamentare. Da questo punto di vista, si tratta del disegno più pericoloso che il Paese potesse subire. Azzerare il conflitto vuol dire consegnare lo scettro ai più forti, negare l’esistenza stessa della lotta politica per la difesa di interessi differenti; e prelude sempre alla chiamata della Patria che non consente diserzioni. E infatti nessuno ha disertato; anche quella sparuta pattuglia di parlamentari di sinistra, del tutto scollegata con i fermenti vivi del Paese, ha piegato la testa. Il Normalizzatore ha sancito così la definitiva vittoria dell’antipolitica; ci avevano detto di aspettarci chissà quale svolta storica o quale raffinata teoria e invece siamo a livello di pettegolezzo da bar: «tanto son tutti uguali». Draghi offre così il migliore puntello alla recente vittoria referendaria: che senso ha avere così tanti parlamentari se tanto stanno tutti dalla stessa parte? L’unanimismo rende inutili le sfumature e le differenze e la rappresentanza era già diventata un costo da tagliare.

Ma se questo è lo scenario, oggi che essere “di parte” è messo al bando dalla storia, per chi intende la democrazia costituzionale come partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese in difesa di idee, valori, interessi, programmi si apre uno scenario inedito e senza precedenti. In un contesto in cui tutte le forze rappresentate in Parlamento fanno da megafono alla normalizzazione di ogni alterità, chi intende stare da una parte sola ha un’occasione unica. Bisogna far nascere immediatamente nel Paese una forza politica alternativa, che sottragga alla Meloni il palcoscenico della vita pubblica per evitare l’ultima delle beffe, ossia che una forza in realtà omogenea alla compagine governativa riesca a intercettare l’opposizione senza essere autenticamente diversa. La costituzione di una forza politica che sappia mettere a nudo l’anticaglia di questo Governo non può essere rinviata oltre. Fra un anno, l’antipolitica avrà seminato ulteriori veleni e una parte rilevante del Paese non può continuare a essere ancora esclusa dalla rappresentanza politica. O dovremo prepararci a scenari ancora più cupi.

Ci sono alcuni pilastri imprescindibili per avviare questo percorso. Primo. Il meglio che offre il Paese non è dentro questo Governo e non trova rappresentanza in questo Parlamento. Bisogna risvegliare queste energie e farle tornare in politica, coinvolgerle da subito nel processo costituente. Secondo. Chi è antagonista a questo sistema politico ed economico deve smetterla di ritenersi autosufficiente e di vantarsi della propria identità e purezza. Nei prossimi mesi, PD e 5S deflagreranno. Occorre da subito, con umiltà, avviare un dialogo con le parti migliori di questi due soggetti politici perché nessuno è sufficiente a sé stesso. Terzo. La testimonianza appartiene alla sfera personale dell’impegno politico, non a quella collettiva. Un soggetto collettivo che si propone il cambiamento del Paese deve essere consapevole che le sue posizioni e tutta la sua comunicazione devono essere popolari e non elitarie.

Il momento è questo e non è rinviabile. Forse Draghi è davvero l’uomo mandato dalla Provvidenza, per dare nuova vita a una storia spezzata.
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IN PRIMO PIANO
Governo Draghi: come in Svizzera?
Volerelaluna, 23-02-2021 – di: Francesco Pallante
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Alla fine, la legislatura a maggioranza Cinque Stelle si conclude davvero come in Svizzera. Solo che a venire presa a modello dal sistema elvetico non è la componente iper-maggioritaria, incentrata sugli istituti della democrazia diretta, bensì quella iper-consociativa, incentrata sul ruolo dei partiti politici. Difficile immaginare una sconfitta più clamorosa dell’impostazione ideologica grillina.

Tra le peculiarità della Svizzera c’è quella di non essere una democrazia parlamentare e nemmeno una democrazia presidenziale: il governo non nasce dalla fiducia conferita dal parlamento né da un voto popolare diretto. La forma di governo elvetica è ispirata al cosiddetto regime direttoriale, un modello, nato dall’esperienza della Rivoluzione francese, che non ricorre in alcuna altra democrazia del mondo. Caratteristica del sistema direttoriale è l’elezione dell’organo esecutivo – che funge anche da Capo di Stato collegiale – da parte del parlamento, in modo tale che sia proporzionalmente rispettata la consistenza dei maggiori gruppi parlamentari. Questo significa che i ministri sono espressione non di una maggioranza politica, come avviene nei sistemi parlamentari, bensì dell’intera assemblea rappresentativa, così da riprodurre in piccolo, all’interno dell’organo esecutivo, il pluralismo politico-ideologico che connota il parlamento. Sarebbe come se, in Italia, sulla base dei risultati delle votazioni del 2018, il governo fosse stato fin da subito – ordinariamente e non, come adesso, eccezionalmente – formato da ministri riconducibili al Movimento 5 Stelle, al Partito democratico, alla Lega e a Forza Italia. Occorre, inoltre, tenere presente che il parlamento svizzero è eletto con sistema proporzionale e che, come nei sistemi presidenziali, una volta designato, il governo non è poi sfiduciabile.

Com’è intuibile, un governo composto secondo la formula ora descritta non è, di regola, in condizione di esprimere un indirizzo politico omogeneo. A sua volta, un parlamento eletto tramite legge elettorale proporzionale e non tenuto a costruire alleanze di governo risulta normalmente incapace di esprimere una maggioranza stabile. Ecco spiegato il frequente ricorso al corpo elettorale per l’assunzione, tramite referendum, delle decisioni maggiormente delicate: il prezzo da pagare per la stabilità dell’esecutivo e per il rispetto del pluralismo politico è il rischio della paralisi decisionale, che viene equilibrato attribuendo l’essenziale del potere deliberativo direttamente agli elettori. Anche se – va aggiunto – nella prassi non è poi così raro che le forze politiche, per non rimanere “tagliate fuori” dall’esercizio del potere decisionale, trovino il modo di accordarsi.

Il problema è che da noi il modello svizzero arriva non in virtù della forza dei partiti, necessaria a riequilibrare la forza degli elettori, ma a causa della debolezza di entrambi: dei partiti e degli elettori. È il tragico paradosso della cosiddetta seconda Repubblica: nata per sottrarre potere alle forze politiche organizzate e attribuirlo ai cittadini, ha finito per toglierlo alle une e agli altri. Quattro «governi tecnici» – Ciampi, Dini, Monti e, ora, Draghi – sono lì a dimostrarlo. Il vecchio sistema politico, bene o male, aveva sempre saputo gestire i passaggi storici cruciali: l’uscita dal fascismo, la guerra fredda, la ricostruzione post-bellica, la crisi petrolifera, la strategia della tensione, il terrorismo. Quello nuovo si sfalda non appena si esula dall’ordinario: l’adozione dell’euro, la crisi finanziaria del 2008, la pandemia e la ripresa post-pandemica.

È venuto il momento di abbandonare la falsa contrapposizione tra i partiti (la società politica) e gli elettori (la società civile) – una contrapposizione portata alle estreme conseguenze dal Movimento 5 Stelle, in piena continuità, non in rottura, con il passato – e comprendere che solo rafforzando i primi si rafforzano anche i secondi. Altrimenti non ci resta che rassegnarci a quella che pare essere la nuova costituzione materiale della Repubblica: quando il gioco si fa duro, i duri escono da Palazzo Koch ed entrano a Palazzo Chigi.
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sbilanciamoci-20 Le lacune di Draghi
Luciana Castellina, su Sbilanciamoci!
24 Febbraio 2021 | Sezione: Editoriale, Politica

Quanto mi delude e mi allarma del governo Draghi non è la presenza dei partiti di Salvini o Brunetta, in qualche modo scontata quando si ricorre a un governo di emergenza. E’ invece soprattutto la scelta dei tecnici di fiducia operata dal nuovo presidente del Consiglio che in questo si è fidato solo di manager. E […]

Appena si è saputo che è a Mario Draghi che sarebbe stato affidato il governo d’emergenza proposto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’area politica vasta ma destrutturata cui io appartengo – la sinistra – ha immediatamente protestato. ”E’ un banchiere” – hanno gridato quasi tutti con orrore.

Io no. Perché, poiché non mi pare ci si trovi in un tempo in cui è pensabile l’eliminazione a breve delle banche, che lui sia uno abituato a dirigerle non mi è apparso uno scandalo. Ho anzi considerato buona cosa che dopo una così accesa e ormai prolungata ondata di sovranismo ci sarebbe stato in Italia un primo ministro non certo di sinistra e però leader autorevolissimo di quell’ala, fino ad oggi assai minoritaria, impegnata a battersi per cambiare l’Unione nel senso in cui ogni ragionevole esponente della sinistra dovrebbe voler andare. E cioè su una linea che preveda un bilancio comune, una autonoma capacità fiscale, il potere di emettere eurobond e di abolire le più rigide (e catastrofiche) regole relative al pareggio dei bilanci, rendendo così disponibili le risorse indispensabili ad avviare uno sviluppo sostenibile. Insomma, una correzione sostanziale della pessima struttura disegnata dai Trattati.

In questa direzione Draghi si è in effetti mosso da parecchi anni, al limite delle sue competenze (e persino un po’ oltre).

Poiché io sono fra quelli che ritengono quanto accade a livello europeo di massima importanza, della sua nomina ero dunque contenta. Credo infatti che la dimensione nazionale non sia più sufficiente a recuperare la sovranità popolare che la globalizzazione ha cancellato, e che dunque solo quella europea potrebbe, forse, consentirci di tornare ad esercitarla. Così restituendo ruolo alla politica, cioè agli umani, per limitare il potere deliberativo oggi affidato quasi esclusivamente al pilota automatico del mercato.

Ad una settimana dal conferimento dell’incarico a Draghi sono tuttavia molto scontenta: trovo infatti – come del resto quasi tutta la sinistra – davvero impresentabile la compagine governativa messa insieme dal nostro primo ministro. Che in questo si è rivelato proprio un banchiere, fiducioso solo nei manager, come se il disastro ambientale non fosse soprattutto responsabilità delle miopissime scelte per lo più operate dalla loro categoria, per la quale obiettivi prioritari sono profitto e Pil.

Stridono – a fronte delle scelte compiute da Draghi – le sue belle parole sull’importanza dell’ecologia, visto che non c’è, fra i tecnici che proprio lui ha scelto, neppure un ecologo, che è come portare un malato a curarsi da un ingegnere anziché da un medico. Così come la centralità che attribuisce all’innovazione tecnologica, quando l’elemento decisivo è piuttosto il mutamento dell’umanità, sempre più drammaticamente ignara di esser solo l’insignificante 0,6 % delle specie che abitano la terra con le quali se si vuole sopravvivere si dovrà ben interagire. Non servono a molto manager e tecnocrati per passare ad una economia circolare, concetto a loro per lo più oscuro e però centrale se si vuole davvero una trasformazione del nostro modo di consumare, produrre, vivere, della gerarchia dei nostri piaceri.

Dice Draghi che non andranno più finanziate le aziende che non sono vitali. Ma chi è vitale? Chi guadagna un sacco di soldi riempiendo i supermarket di prodotti superflui che consumano risorse non rinnovabili? Chi giudicherà quali sono le aziende migliori: i “migliori” fra coloro che hanno contribuito a portarci al dissesto che è sotto i nostri occhi? La cosa più preoccupante che questa crisi politica ci rivela è la scarsissima conoscenza della complessità dell’ecosistema da parte dell’establishment politico del nostro paese. E Draghi non sembra fare eccezione.

Non è un caso che fra i riferimenti delle linee guida dei bandi del Recovery Plan e quelli dei progetti annunciati, sia dal PNRR del governo Conte, sia, ora e ancor più, da quelli annunciati da Draghi, vi sia tanta poca coincidenza. Basta guardare alle parole: 109 volte la parola “ecosistema” nel documento europeo, 2 in quello italiano, tanto per fare un esempio. La stessa proporzione per parole altrettanto importanti, quali, per esempio, “biodiversità”, che non si protegge facendo crescere qua e là dei bei boschetti. Il rischio che Bruxelles ritenga le nostre richieste incompatibili con i requisiti fissati non è fantasia!

Sono osservazioni che possono sembrare pignolerie, ma sono invece indici allarmanti della storica sottovalutazione del dramma ambientale e dunque di quello sanitario, che al primo è strettamente collegato. Per un governo che è stato definito d’emergenza proprio in nome dell’urgenza della questione salute e di quella ecologica, non c’è male.

Ma è considerazione che riguarda anche la questione sociale, perché sembra non si capisca che pensare di affrontare in modo serio la questione sociale grazie alla ripresa del vecchio modello di sviluppo, magari accelerato da un prevedibile “sblocca cantieri”, non è “efficienza” e “modernità”, ma cultura da dinosauri.

Quanto mi delude e mi allarma del governo Draghi non è dunque la presenza dei partiti di Salvini o Brunetta (in qualche modo scontata quando si ricorre a un governo di emergenza). E’ invece soprattutto la scelta dei tecnici di fiducia operata dal nuovo presidente del Consiglio: la transizione ambientale affidata a Cingolani, specialista di nanotecnologie che, quando si è pronunciato sul cambiamento energetico, ha parlato più del gas che di rinnovabili; l’accorpamento del ministero dell’Ambiente con quello dello Sviluppo che non solo non si fa come pure promesso, ma quest’ultimo viene affidato a un esponente del partito che vuole il ponte di Messina; l’innovazione tecnologica nelle mani di Colao che, oltre ad aver dato vita alla prima commissione di esperti fallita ancor prima di cominciare, viene ora decantato perché brillantissimo manager della Vodafone, fautore della modernizzazione 5G, quando la vera modernità sarebbe portare la rete nei territori, e quartieri definiti in gergo “non interessanti per il mercato” perché poveri di clienti e che infatti dalla sua azienda, così come dalle altre, proprio per via di questa povertà sono state lasciate senza collegamenti digitali. (Questo rischia fra l’altro di far fallire ogni tentativo di riportare i giovani nelle campagne per animare la trasformazione più indilazionabile che è quella dell’agricoltura).

La cosa più preoccupante è che queste scelte appaiono dettate soprattutto dall’arretratezza culturale dell’establishment che compone questo governo, di destra, di centro, e di buona parte di quella che si definisce di sinistra. Non è un bello spettacolo.

Un’ultima aggiunta: la delusione maggiore che mi ha dato Draghi è proprio sul terreno su cui mi aspettavo di più: quello della politica europea. Perché forse per la prima volta non ci sarà più un ministro per gli Affari europei. Capisco che Draghi l’abbia ritenuto inutile visto che c’è lui che ne sa più di ogni altro, ma, santiddio, il simbolico pesa in politica, eccome! E non sarà un bel segnale: adesso, infatti, avremo probabilmente a sostituzione del ministro, un sottosegretario agli Esteri incaricato dell’Europa. Tanto per far capire al mondo che noi, l’UE la consideriamo “estero”, non la Comunità di cui facciamo parte e con la quale quotidianamente condividiamo scelte che non hanno a che vedere con la politica estera.

Prima di concludere: dal nuovo governo credo non possiamo aspettarci molto, visto che nasce da una sconfitta della sinistra: la deliberata operazione liquidatoria animata da Matteo Renzi (per conto di forze ben riconoscibili) per togliere di mezzo il governo Conte, pieno di difetti e sorretto da una maggioranza confusa e fragile, ma pur sempre orientato a sinistra e forte di una conduzione del paese nel momento di una crisi senza precedenti assai migliore di quanto chiunque si sarebbe aspettato. Nonostante le mie amare considerazioni su quanto è prevedibile che ora accada non sono pessimista: non tutto dipende per fortuna dal governo, in Italia sopravvive una società per nulla passiva, animata da una gran quantità di organizzazioni ambientaliste autorevoli e molto attive, da sindacati forti, da movimenti sociali radicati sul territorio, da una combattiva presenza femminista. La sua rappresentanza politica istituzionale è frantumata e perciò poco visibile. Ma c’è, e si farà sentire. Se Draghi è bravo e ben intenzionato, dovrebbe esser capace di utilizzare la sua mobilitazione.

La versione tedesca di quest’articolo appare sulla rivista online IPG della Friedrich Ebert Stiftung, la fondazione della Spd tedesca, http://www://ipg-journal.de/

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EVENTI CONSIGLIATI
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LUNEDÌ 1 MARZO 2021 ALLE ORE 15:30
Mezzogiorno: una opportunità per il Paese
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Oggi martedì 23 febbraio 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————————
Draghi, Il detto e il non detto
23 Febbraio 2021
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Più semplice è giudicare gli impegni presi da Draghi in parlamento durante la fiducia. Ma in questa occasione mi interessa mettere l’accento sui silenzi, che possono avere diverse motivazioni, come concentrare l’attenzione su alcuni punti oppure allontanare problemi complicati che potrebbero aprire ferite nella compagine che lo sostiene. In attesa di chiarimenti vale la pena […]