Monthly Archives: agosto 2023

La storia siamo noi. Franco Oliverio

img_4240aladin-lampada-di-aladinews312Con alcuni amici, che sotto elenco come promotori, a cui se ne aggiungono e se ne aggiungeranno altri, abbiamo deciso di impegnarci a ricordare degnamente diverse persone che purtroppo ci hanno lasciati e che abbiamo conosciuto nella nostra esperienza politico-culturale-sociale, con i quali abbiamo anche percorso tratti comuni di strada. Lo facciamo non solo come doveroso tributo alla loro opera, quanto soprattutto per socializzarne i contenuti per quanto possono essere utili per l’oggi, per affrontare tanti problemi che si ripropongono, spesso in misura drammaticamente più pesante rispetto ai tempi passati. Parliamo quindi di Maestri, che con la loro vita, il loro impegno sociale-culturale-politico, costituiscono ancora oggi importanti esempi/riferimenti, di cui abbiamo necessità. Almeno così crediamo. Ci riferiamo a persone in gran parte ignorate dalla pubblicistica prevalente, maggiormente presenti in quella che viene definita “letteratura grigia”. Non ne facciamo volutamente elenco, almeno per ora. In questa circostanza presentiamo il primo, a noi particolarmente caro, un nostro amato amico: Franco Oliverio (Cagliari, 17/09/1941 – Cagliari, 22/03/2004). A lui dedicheremo diversi spazi su Aladinpensiero, che potranno costituire una base documentale per un apposito Convegno.

Oggi giovedì 31 agosto 2023

img_3099Presidente naz. ANPI: tardive dimissioni di De Angelis. Colpisce il silenzio delĺa Meloni
30 Agosto 2023 su Democraziaoggi.
Bene, anche se fuori tempo massimo. La scelta di Marcello De Angelis di dimettersi è tardiva e motivata in modo vittimistico, dopo tante acrobazie linguistiche. Aveva detto: “So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: io lo so con assoluta certezza”. Davanti alle polemiche, […]
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Lutto

img_4228 Mario Casti era il più anziano degli alunni della Scuola Popolare. Tra i più assidui e diligenti. La licenza media gli consentì di supportare un meritato percorso di carriera nell’amministrazione del Comune di Cagliari. Il suo tratto caratteristico era la gentilezza unita a una permanente disponibilità nel suo lavoro e in ogni circostanza in cui lo abbiamo incontrato e frequentato. Non abbiamo più avuto notizie di lui dopo gli anni della scuola popolare e oltre, fino agli anni 90 in cui ci capitava di incontrarlo in Comune. Ma i legami quando sono fondati su stima e affetto durano nel tempo e si riallacciano anche dopo anni di interruzione. Così ci capita di riscoprirli con e per Mario in occasione della sua morte, quasi a consolare il dolore del distacco. Condoglianze e vicinanza alla famiglia, ai parenti, agli amici.
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Oggi mercoledì 30 agosto 2023

img_3099 Regionali. A volte ritornano…
30 Agosto 2023
A.P. su Democraziaoggi
Soru, dopo essersi fatto fare un po’ di propaganda da Dadea, ora esce allo scoperto e avanza la sua candidatura alla presidenza della Regione. E’ nel suo diritto, così come lo è dissentire e affermare che si tratta di un nome improponibile.

La storia siamo noi.

Dedicata a Wilson Spiga
di Gianni Loy su Cittàquartiere
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In morte di Wilson
Anche ignaro un ragazzo che muore
ha distribuito al suo funerale
garofani rossi di giustizia e libertà
.

Chiameranno colleghi periti
per insinuare la fragilità emotiva
del brigadiere
Chiameranno colleghi di medici
per insinuare – se occorre – perfino
la pazzia.
Chiameranno un procuratore generale
perché benevolo dichiari “non doversi procedere“
Scorre veloce la vita
come i proiettili e le lacrime
delle autorità
come il pianto del quartiere
come il Natale sfuggito via beffardo
quando già nelle vetrine sembrava
a portata di mano.
Ma alla sbarra che innalzeremo
in ogni quartiere,
in ogni fabbrica, in ogni scuola
non ci saranno toghe a difendervi
neppure un avvocato d’ufficio
vi concederà la giustizia proletaria.
Tagliate impietosi la vita
come tagliate le speranze di un lavoro
come tagliate illusione di una casa
come tagliate la salute di chi lavora.
Tagliate in pietosi la vita
come a Natale taglierete il panettone.
Ma non ci commuoveranno le vostre mani
lavate di profezia.
Voi no, voi non vi siete mai sporcati
del sangue che avete fatto scorrere.
Voi no, voi siete contro gli aborti
ed ogni giorno li provocate.
Voi no, voi non vedete neppure i corpi
di quanti ogni giorno ammazzate.
Giocate ogni giorno con la vita
come giocate con i ritmi di lavoro
come giocate con i plastici
delle speculazioni
come giocate a fare i contrabbandieri
di capitali.
Ma nei vostri confini svizzeri
i doganieri non vi sparano alle spalle
i finanzieri non sparano alle gambe
i doganieri non sparano al cuore.
Giocate ogni giorno con la vita
come a Natale giocherete con i vostri
figli.
Col fiato della vostra della rabbia popolare
alle spalle
vili sacrificate anche i vostri più
fedeli servitori
offrirete alla rabbia anche i vostri
poliziotti,
anche i vostri magistrati,
anche i vostri giornalisti,
anche i vostri funzionari,
persino i vostri deputati.
I famelici oppressori impuniti
dal vostro sistema,
predatori e ladri legalizzati
dalle vostre leggi
corruttori e corrotti assistiti
dal vostro Stato
infami assassini assolti dei vostri
magistrati.
Voi, e non altri, chiameremmo alla sbarra
di una vera giustizia proletaria.
Anche ignaro un ragazzo che muore
ha distribuito al suo funerale
garofani rossi di giustizia e libertà.
g.l.

Che succede?

b8d4f079-0a9d-4306-b131-9b630a570a4ecostituente-terra-logo Costituente Terra Newsletter n. 130 del 29 agosto 2023 – Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 311 del 29 agosto 2023

LA NOTIZIA

Cari amici,

Mario Tronti: il Regno, se noi lo vogliamo

img_4224Mario Tronti: il Regno, se noi lo vogliamo*
di Marcello Tarì•

Mario Tronti è morto il 7 agosto, nella sua casa di Ferentillo, a 92 anni da poco compiuti; un’«età da patriarchi» disse per i 90 anni di Ingrao[1], così come poi dovette dire di sé stesso con un pizzico della sua consueta ironia, tagliente e dolce allo stesso tempo.

Per buona parte del piccolo e grande pubblico, il suo nome è legato al suo primo e giovanile libro, Operai e capitale, pubblicato da Einaudi nel 1966[2], che fu in seguito definito «la bibbia dell’operaismo». Un libro che, comunque lo si voglia giudicare, segnò, a ridosso del ’68, e specialmente delle grandi lotte operaie del 1969, una grande novità ma anche una forte rottura teorica nel marxismo del secondo Novecento, questo secolo duro e difficile a cui lui è sempre rimasto fedele.

L’opera prima

In quelle pagine Tronti compiva infatti la cosiddetta «rivoluzione copernicana» nell’interpretazione del conflitto epocale tra capitale e lavoro: prima viene il soggetto operaio e le sue lotte, dopo il capitale e il suo sviluppo; quindi, al partito va la tattica, al movimento operaio la strategia, proprio quella che in uno dei passaggi più celebri e densi di conseguenze chiamò la «strategia del rifiuto».

C’era già, a ben guardare, in quel rovesciamento di prospettiva, un aspetto della radicalità evangelica a cui più tardi Tronti avrebbe fatto direttamente riferimento: i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi. Conflitto radicalissimo, espressione organizzata della forza degli oppressi e tuttavia conflitto senza violenza: «Il conflitto è sapere. (…) La forza è il negativo della resistenza, la violenza è il positivo dell’aggressione. (…) Lo sciopero è per eccellenza decisione collettiva, azione che interrompe le attività, è un dire no, no alla continuazione del lavoro, lotta nonviolenta,
conflitto senza guerra». Il conflitto di classe come alternativa di civiltà alla guerra di massacro, perché sono «le forme della lotta [che] rivelano gli scopi del movimento»[3].

Un comunismo eterodosso

Operai e capitale fu un vero choc anche per il suo linguaggio, il suo stile e i suoi riferimenti teorici: tutto materiale estraneo all’ortodossia comunista di quel tempo. A una cultura militante che in Italia era ancora invischiata nel Diamat staliniano coniugato alla triade Croce-Gentile-Gramsci, Tronti oppose l’urto portentoso del pensiero negativo e della cultura della crisi. Nietzsche e Weber venivano introdotti con grande fracasso tra le mura delle fabbriche, le note di Mahler «tra un disperante adagio e un maestoso presto»[4] accompagnavano la marcia degli operai in sciopero e la grande letteratura della crisi, da Musil a Mann a Dostoevskij, impregnava persino la riflessione sul partito. Tutti i concetti dell’economia politica diventavano motivo di conflitto e questo, dalla fabbrica, arrivava come lava incandescente a investire la società intera. La rivista culturale del Partito comunista italiano, Rinascita, lo stroncò inorridita e spaventata.

Ma la sua storia teorico-militante non si concluse certo con quel libro. In queste righe vorrei piuttosto richiamare il Tronti degli ultimi decenni, quello che, dopo la fase dell’«autonomia del politico» degli anni ’70[5], un passaggio importante e generalmente mal compreso, si è avventurato nello studio della teologia politica, sperimentata dapprima in un inedito e ardito connubio della teoria sviluppata da Carl Schmitt con la tradizione marxiana – “Karl und Carl”, come recita un capitolo del suo La politica al tramonto – e quindi nella coltivazione di una spiritualità che affonda nelle profondità e nelle altezze della Scrittura, dei Padri della Chiesa e della letteratura monastica.

E infine, il comunismo messianico di Walter Benjamin, l’insurrezionalismo escatologico di Ernst Bloch e il san Paolo apocalittico-rivoluzionario di Jacob Taubes, tutti chiamati da Tronti a dare una forte correzione tanto all’apocalittica reazionaria espressa dalla teologia politica di Schmitt, quanto all’aridità del materialismo, dialettico o storico che fosse.

Fu infatti in un dialogo pubblico che avemmo qualche anno fa in un piccolo teatro romano che Tronti disse, scandendo bene le parole, che «in fondo, il materialismo è una cosa da borghesi». È in questo orizzonte, credo, che bisogna comprendere il suo autodefinirsi un «rivoluzionario conservatore». Realista sì, materialista no.

Fallimento della rivoluzione e teologia politica

La teologia politica certamente gli arrivava dalla precoce lettura che, tra i primi a sinistra, fece di Schmitt e dei grandi conservatori e tuttavia concerneva anche una più sottile valutazione di carattere esistenziale, personale: bisognava «correggere» la direzione della storia fin dentro la soggettività, poiché «tutto il Moderno è stato il contrario dell’Annuncio»[6].

Nel 1980, in una discussione sul terrorismo, rispondendo ad Angelo Bolaffi, il quale sosteneva che il limite della sinistra stava nel fatto che aveva prodotto una teologia della rivoluzione, lui, con una delle sue classiche risposte fulminanti, replicava che: «Proprio perché c’è stato il fallimento della rivoluzione in Occidente, la rivoluzione è diventata teologia»[7]. O quanto meno lo era diventata per lui. La sconfitta, il fallimento, anche l’umiliazione, diventavano pienamente categorie teologico politiche per poi trasformarsi in qualcos’altro.

Per il Tronti degli anni a cavallo dei due millenni, la dimensione teologica, da essere sintomo e tentativo di risposta a una catastrofe storica, doveva corrispondere alla necessità di una resistenza soggettiva, espressa paradossalmente tramite un approfondimento della crisi. Perché è il cristianesimo stesso, il Vangelo, ad essere «krisis», nel suo senso più vero di scelta e decisione.

Crisi della soggettività, crisi della storia, crisi del «mondo». Ma specialmente crisi rivoluzionaria perché vissuta per e con gli ultimi, gli espropriati, gli oppressi, gli umiliati e offesi: la parte di umanità a cui Tronti ha sempre sentito intimamente di «appartenere», con il suo punto di vista partigiano che deve lottare sempre e di nuovo contro la totalità di «questo mondo» così com’è: ingiusto, violento, egoista, nichilista, individualista.

Il capitalismo per Tronti non era più solamente un modo di produzione odioso, difeso da un altrettanto odioso sistema politico-ideologico, ma una costruzione antropologica vertiginosa, un’idea e una pratica distruttiva della Terra e della Persona che si è accampata nelle anime, corrompendo gli spiriti, minandone la capacità a discernere il bene dal male. Non si trattava più, per lui, di crisi del modo di produzione o dei rapporti di classe, oppure di quella della politica come gestione degli affari dello Stato, bensì di una verticale «crisi di civiltà».

Il problema del marxismo, diceva Tronti, era invece proprio quello di non essere stato in grado di proporre un’antropologia all’altezza dei tempi e della sfida che questi ponevano. Ed è anche in questo senso che bisogna comprendere quel suo costante lamentare, come una ferita aperta, lo scontro che lui reputava assurdo e che pure ci fu tra movimento comunista e cristianesimo, arrivando a delle conclusioni molto vicine a quelle di padre Turoldo, un uomo, un monaco, un partigiano e un poeta per il quale condividevamo una grande passione, che una volta ebbe a scrivere: «il comunismo poteva essere la vera rivoluzione dei poveri; a una condizione, che non fosse tradita precisamente la legge della povertà. Invece tutto è fallito miseramente.

Non si è tenuto conto della cupido rerum, della possibilità del peccato (…) si è pensato di fare un comunismo prescindendo dalla forza della religione, quando essenza della vera religione è “conservarsi puri da questo mondo”»[8].

Ma l’assunzione del paradigma teologico-politico permetteva anche lo svelarsi di una verità inconfessabile per molti militanti di sinistra: se con Schmitt si assumeva che «tutti i concetti della dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati», allora, seguendo una suggestione benjaminiana, è vero anche che «tutti i concetti della dottrina rivoluzionaria sono concetti teologici secolarizzati», come scrivemmo in un testo del 2020 dal titolo Xeniteia. Contemplazione e combattimento[9].

Questo articolo doveva aprire un piccolo cantiere di ricerca tramite il quale, con il contributo di altri amici, abbiamo voluto provare a pensare nuovamente il legame «originario» tra cristianesimo e comunismo, in specie attraverso quella tradizione monastica che ha ispirato profondamente la riflessione trontiana degli ultimi decenni e la sua stessa vita, attraversata dall’amicizia con il camaldolese dom Benedetto Calati e con Enzo Bianchi insieme alle loro comunità.

Il comunismo come forma di vita

«Originario» perché, ne abbiamo molto discusso in questi anni, Tronti si era infine convinto che il comunismo non fosse riducibile al marxismo, che pure ne resta un importante episodio, ma che avesse una più ampia profondità storica e una magnetica dimensione trascendente, indicando una «forma di vita» che contempliamo nelle righe luminose degli Atti degli Apostoli e che poi si può seguire lungo il filo della controstoria dei poveri e degli oppressi: «Che l’idea di comunismo abbia a che fare con il cristianesimo delle origini è un fatto che il movimento comunista del Novecento non ha contemplato. È una grave mancanza»[10]. E d’altronde questo è forse il solo modo di salvare lo spirito del comunismo dall’oblio annichilente a cui «questo mondo», la storia dei vincitori, destina i suoi antagonisti.

Ma dunque, se da un lato la teologia politica riguarda le categorie fondamentali della politica moderna, dello Stato e dei conflitti sul potere – diciamo, per semplificare, le categorie del «che fare?» – dall’altro, quello svelare le radici teologiche del comunismo significa volgere lo sguardo al tema della spiritualità, cioè al «come fare?», ovvero al «come vivere» qui e ora, magari da sconfitti, come Tronti stesso ammetteva senza giri di parole, ma senza mai abiurare l’antica promessa della liberazione.

Insomma, il tema della spiritualità come forma di vita, poiché questo in fondo era stato secondo Tronti il comunismo per molti della sua generazione: un modo d’essere ancor prima di una dottrina o il sogno di un’istituzione alternativa. In uno scambio epistolare, che avemmo attorno a un mio testo sulla spiritualità[11], scriveva: «In fondo in qualche modo la civitas Dei, in contrasto con la civitas hominis, ormai dell’ultimo uomo, è ancora lì ad attendere la forza dello spirito che si proponga di realizzarla. L’uomo nuovo è allora questa forza propositiva generante, non il prodotto finale della realizzazione».

Ancora rovesciamenti di prospettiva: prima lo forza dello spirito, poi la realizzazione; prima l’uomo nuovo, poi le strutture. Il contrario di quanto avevano fatto le rivoluzioni del passato. Nelle quali, all’inizio, diceva Turoldo, c’è sempre la potente presenza disordinante dello Spirito, ma i rivoluzionari non seppero o vollero seguirlo e quindi si perdettero nel credere che l’uomo nuovo dovesse essere il risultato delle unità di produzione, come cantavano i C.S.I. (Consorzio Suonatori Indipendenti): «Sogno Tecnologico Bolscevico/Atea Mistica Meccanica/Macchina Automatica-no anima» (C.S.I., Unità di produzione, 1998).

Coltivare la spiritualità

In realtà, se stiamo a quanto scritto da Tronti, la teologia politica stessa è affare del passato[12], bisogna studiarla e usarla, per afferrare il nesso tra «politica e trascendenza»[13], ma senza illusioni sul presente, perciò quello che invece resta da fare urgentemente è la coltivazione di una forte spiritualità e puntare magari verso un altro continente, quello della «mistica e politica» che l’ultimo Tronti richiamava spesso, anche tramite autori contemporanei come il teologo indiano-catalano Raimon Panikkar, da lui conosciuto per la mediazione di sua figlia Antonia che di Panikkar è una profonda conoscitrice[14]. Lo cita ad esempio in una conferenza tenutasi a Roma nel 2006, nella quale cercava di spiegare che cosa fosse per lui “spiritualità”: «Ora, la spiritualità ha una storia lunga. Arriva a noi da molto lontano.

Panikkar parla di quel terzo senso che è – dice lui – come un barlume più o meno chiaro di consapevolezza che nella vita c’è qualcosa in più di ciò che è percepito dai sensi o inteso dalla mente. (…) non è un prolungamento orizzontale, verso ciò che ancora non sappiamo o che ancora non siamo, è piuttosto un salto verticale verso un’altra dimensione della realtà (…) Stare sulla terra andando verso l’alto, e cioè non piegati sotto qualcosa. Che è poi la condizione dell’essere liberi (…) E tuttavia quella conflittualità della spiritualità – perché io di questo parlo, della conflittualità della spiritualità – credo sia possibile trovarla di più e meglio nella nostra tradizione, la tradizione ebraico-cristiana (…) La mia tesi è questa: la spiritualità è un linguaggio della crisi»[15].

Invece di continuare a dilatare nichilisticamente la secolarizzazione dei concetti teologici, Tronti sembrava impegnato nel senso contrario, cioè nella riteologizzazione dei concetti secolarizzati del politico, come giustamente ha fatto notare il filosofo e teologo svedese Mårten Björk[16].

D’altronde è Tronti stesso che nel 1992, in un saggio significativamente intitolato “Oltre l’amiconemico”, scriveva: «Dobbiamo assumere noi, come filosofia dell’avvenire, il progetto di una riteologizzazione dei concetti secolarizzati? È un problema di pensiero sul politico, ma anche di pratica del politico. Forse occorre tornare a distinguere tra “nuovi cieli” e “nuove terre”. Bisogna darsi il coraggio di riproporre il “regno” utopico di un altro mondo degli uomini e per gli uomini»[17].

I tempi di Bailamme

Di fatto, uno dei laboratori di pensiero più interessanti che Tronti contribuì ad animare a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, insieme a credenti e non, fu quello della rivista Bailamme che portava come sottotitolo programmatico non “rivista di teologia e politica” bensì di “spiritualità e politica”[18].

Se ne apprezzerà la differenza. Dove è importante anche quella e che sta lì in mezzo a dire una possibile congiunzione ma anche un possibile conflitto, una tensione mai del tutto risolvibile e che, proprio per questo, è capace di generare pensiero alternativo e persino di orientare una vita e dargli una forma[19].

Per cui, vi sono due campi: non opposti, anzi strettamente connessi, e tuttavia differenti. Da un lato quello teologico-politico della ricerca sul potere e sulle forme del conflitto attorno ad esso, senza mai dimenticare la dimensione trascendente che agita e informa il tutto, dall’altro quello della spiritualità come «armatura» della soggettività contro il culto dell’ego pubblicizzato dal liberalismo esistenziale, come slancio della libertà dello spirito dentro e contro il deserto mondano, come quella della speranza contro ogni speranza che ti lacera fin nella carne, come l’utopia concreta di un altro mondo, quello che «diventa possibile (…) solo quando diventa necessario»[20]. È di tutto ciò che parla il suo ultimo grande libro, a cui teneva molto, Dello spirito libero, in cui rivendicava la scelta di una spiritualità «non per sé, ma contro il mondo (…) Stare in pace con sé vuol dire entrare in guerra con il mondo»[21].

E a proposito di speranze, in uno dei suoi più bei testi scritti di recente[22], Tronti diede infine la sua definizione di teologia politica, che credo meriti di essere qui ricordata e meditata: «Nel Magnificat leggiamo: abbattere i potenti, innalzare gli umili. Ecco il teologico. Come abbattere i potenti, come innalzare gli umili. Ecco il politico». Ancora una volta: lo Spirito ispira e guida, il politico segue e cerca di operare per la realizzazione del regno.

Teologia della liberazione

Mi diceva che avremmo dovuto riprendere e approfondire la conoscenza della teologia della liberazione perché, scriveva, «lì in effetti c’è il combattimento». E quindi: contemplazione – guardando ai padri del deserto – e combattimento – guardando alle barricate evangeliche del Sud del mondo.

Il suo dubbio, che condivido, era se si potesse davvero impiantare un discorso come quello della teologia della liberazione da noi, in Occidente, dove i poveri, gli ultimi, come soggetto, sono «da noi ormai oltre che non riconosciuti, anche irriconoscibili, per la causa, come si diceva una volta».

Questa invisibilità degli ultimi, che credo cominciò a riconoscere grazie all’intensa amicizia che ebbe con il gesuita Pio Parisi, lo toccava profondamente[23]. Bisogna riuscire a «vedere oltre», appunto, e nel suo ultimo intervento pubblico dello scorso giugno, parafrasando il Gesù di Giovanni 9,39, diceva così la sua speranza, che era anche un incitamento alla lotta: «chi non vede vedrà, chi vede sarà accecato»[24].

Gigi Roggero, che di quell’ultimo incontro è stato l’organizzatore, scrive che in quella frase c’è «un Gesù che non porge l’altra guancia. Un Gesù molto benjaminiano, che lotta per vendicare il passato.

Un Gesù che divide il mondo in due. Ricchi e poveri, per il cristianesimo delle origini. Operai e capitale, per noi. Amico e nemico, nel lessico del realismo»[25].

Credo che in questo commento risuoni un aspetto chiliastico che è effettivamente presente in un certo Tronti – aspetto che, devo dire, io stesso ho coltivato per lungo tempo – e quindi un’impazienza, dunque una tentazione, per cui la divisione finale non è, come è nel Vangelo e come diceva in realtà Benjamin[26], nelle mani del Messia, ma si secolarizza e quindi va fatta qui e ora con le nostre stesse mani, e tanto peggio, se insieme alla zizzania, verranno strappate delle spighe di grano.

Il mistero di una vita

E tuttavia Mario Tronti, come ogni vita umana, è un mistero e vi era in lui anche un’altra tensione, un corpo a corpo con la Parola, attraverso cui credo sentisse che l’ultima, vera e definitiva rivoluzione, la grande divisione escatologica, la «rottura totale» come diceva Bonhoeffer, non è nelle nostre possibilità e che invece a noi tocca adesso forse spostare quel «fuoco nella mente», che sempre ci ha portato in battaglia, per farlo ardere nel cuore, nel mentre volgiamo lo sguardo verso l’alto, lottando, certo, per affrettare la venuta del regno; ma è un affrettare che non corrisponde a una nostra imposizione sul mondo, a una scarica della volontà di potenza, bensì alla forza e all’intensità del nostro desiderio.

In quell’articolo che scrivemmo a quattro mani, alla frase «un regno, ci è stato annunciato, che è già tra noi», fu la sua mano ad aggiungere «se noi lo vogliamo». È qualcosa che ha a che fare con una conversione del cuore e un desiderio di comunione nello spirito, dalle quali consegue una politica.

Almeno così intendo le parole che mi scrisse due anni fa: «Se capisco bene, la direzione di marcia si configura nel senso di tornare a coniugare, dentro e contro tutte le repliche della storia, libertà e comunismo. Libertà dello spirito per resistere al mondo, comunismo degli spiriti per ascendere al regno». È interessante la scelta del verbo: «ascendere». Ma è giusto, perché il Suo regno non è di «questo mondo» e verso l’alto è la direzione della libertà.

Tanto ancora ci sarebbe da dire e verrà il tempo, ma adesso, carissimo Mario, mentre noi continuiamo a guardare le cose «per speculum in aenigmate» e ci prepariamo a mordere ancora la polvere, forse tu già vedi e conosci e ami «facie ad faciem» nella comunione degli spiriti. Così sia.

* in “SettimanaNews” del 23 agosto 2023ripreso sul Blog di Enzo Bianchi del 28 agosto 2023.

Marcello Tarì è autore e traduttore. Si è occupato dei movimenti antagonisti italiani e di teoria politica. Suoi i volumi: Il ghiaccio era sottile, DeriveApprodi 2012 e Non esiste la rivoluzione infelice, DeriveApprodi 2017. Negli ultimi anni la sua ricerca riguarda la spiritualità e la politica dalla radicalità evangelica. Con l’amico e maestro Mario Tronti ha animato dal 2020 al 2022 la rubrica Xeniteia. Contemplazione e combattimento.
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Note

Oggi martedì 29 agosto 2023

img_3099Quando Gramsci incontrò Lenin e Trotsky
29 Agosto 2023 su Democraziaoggi.
Dal blog di Aldo Giannuli
Novembre 2017
Quando Gramsci incontrò Lenin (e Trotsky)
16 Novembre 2017
Aldo Giannuli
Didattica, Le analisi
Con davvero molto piacere vi propongo questo interessante articolo dell’amico e compagno Bruno Casati, persona di grande valore umano e militante, nonché Presidente del Circolo Culturale Concetto Marchesi. Buona lettura! A.G.
In questo anno 2017 si collocano, intrecciandosi, due importanti ricorrenze: l’80° […]
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La storia siamo noi

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Il murale, che non esiste più, realizzato nel muro di fronte all’ex Centro sociale sede della Scuola Popolare e del Comitato di Quartiere di Is Mirrionis. Fu realizzato da un gruppo di muralisti sotto la direzione di Pinuccio Sciola. Ricordava i tragici episodi dell’uccisione di due ragazzi, Wilson Spiga e Giuliano Marras, in due diversi posti di blocco dalla polizia (Wilson il 19 dicembre 76, Giuliano l’11 gennaio 77). I ragazzi nella foto sono Ignazio Onnis (scomparso alcuni anni fa) e uno dei fratelli Melis (?). La foto è di Gabriele Mura.
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Anticipazioni

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Oggi lunedì 28 agosto 2023

img_3099img_3442 Regionali: al centro basi militari e disarmo?
28 Agosto 2023
A.P. su Democraziaoggi
Poche chiacchiere, uno dei temi divisivi fra centrosinistra e sinistra è il tema della guerra. Il PD è stato finora sulla linea della destra, con un piatto filoatlantismo, con una incentivazione delle operazioni militari, inviando armi e fondi. Ora, però è in atto un ripensamento. L’Ucraina non sfonda, la sua vittoria appare impossibile, la Russia […]
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La storia siamo noi. Programmiamo

img_4192img_4193La storia siamo noi. A partire da oggi e per un certo tempo (quanto basta) con Aladinpensiero saremo impegnati a ricostruire pezzi di storia della città, che molti di noi hanno direttamente vissuto. In certa misura si tratterà di “Controinformazione” rispetto a quanto riportato dalle cronache dei media egemoni nei periodi considerati. Ci serviremo certo dei media di quei tempi, ma daremo molto più spazio ai media considerati di minore importanza, quelli che, insieme con altra documentazione, vengono classificati come “letteratura grigia”. Di questi abbiamo a completa disposizione le annate di Gulp, Cittàquartiere, e, ovviamente Aladinpensiero. Ma non solo. Vedremo cammin facendo. Su tutto apriremo spazi di riflessioni e dibattito. Inizieremo con storie del quartiere di Is Mirrionis, precisamente con le vicende di Wilson Spiga e Giuliano Marras, ambedue uccisi dalla Polizia: Wilson il 19/12/1976, aveva 17 anni, Giuliano l’11/1/1977, aveva 16 anni. Vi ricordate? Almeno li ricordano quelli delle generazioni che oggi sono prossime o hanno superato i settant’anni? Ne parleremo approfonditamente. Intanto in argomento un’anticipazione di immagini: il poster di una manifestazione contro la legge Reale (spiegheremo), e la copertina della rivista Cittàquartiere, da cui è stato tratto, autore Bebo Badas.
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Hanno fermato Wilson/ Faceva troppo rumore/ Non ha obbedito all’Alt/ Non l’hanno sparato alle gomme/ L’hanno colpito al cuore/ Hanno ammazzato Wilson/ Faceva troppo rumore.

Oggi domenica 27 agosto 2023

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Regionali: l’unità contro la destra e la difesa dei principi
27 Agosto 2023
A.P. su Democraziaoggi
In Sardegna, in vista delle elezioni regionali del prossimo febbraio si ripropone in piccolo il tema che ha agitato la sinistra e le forze democratiche in passaggi cruciali della storia. Basta ricordare che la stessa lotta al fascismo fu caratterizzata nella fase iniziale dalla teoria del socialfascismo, e cioè erano sostanzialmente filofascisti quanti non si […]
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La strada maestra di Sbilanciamoci! a Como venerdì 1° e sabato 2 settembre 2023
25.08.23 – Como – Ecoinformazioni e su Pressenza.

Oggi sabato 26 agosto 2023

img_3099Il secolo breve appunti: la Rivoluzione di febbraio
26 Agosto 2023 su Democraziaoggi
Nel contesto della nostra narrazione agostana della vita di Gramsci, ecco la ricostruzione della Rivoluzione di febbraio.
I 100 anni della Rivoluzione russa
Con le giornate rivoluzionarie di Pietrogrado, alla fine del febbraio 1917, si apre la stagione della Rivoluzione russa che si concluderà, nell’ottobre successivo, con la dittatura del proletariato.
Cultura e Storia
26 Febbraio 2017 di Marcello Ravveduto […]
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San Giuseppe Trascurato

img_4164La Chiesa cattolica celebra oggi, tra altri santi, San Giuseppe Calasanzio. A Cagliari a lui è dedicata una chiesa, nel quartiere Castello, facente parte dell’antico collegio degli scolopi. Purtroppo da oltre 60 anni la chiesa è chiusa, in disuso, nonostante sia strutturalmente in buone condizioni. Completamente svuotata degli arredi. Appartiene al demanio statale che l’ha trasferita al Ministero dei beni culturali per le necessità della biblioteca universitaria (statale), ma neppure mai utilizzata dallo stesso. Ecco alcune immagini postate sulla nostra news: https://www.aladinpensiero.it/p=144585.
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- Un’ennesima occasione per chiederne il ricupero e la sua destinazione a usi culturali.