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Editoriale
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Che succede?
Comitato “Insieme per la pace disarmata”
Evento regionale per la pace a Cagliari – 29 Giugno 2025.Le organizzazioni firmatarie del presente documento convengono di costituire insieme un nuovo comitato informale che assume la denominazione di “Insieme per la pace disarmata”
. Il comitato si pone come primo obiettivo collettivo lo svolgimento di un evento per la pace con carattere regionale, a Cagliari, il prossimo 29 giugno, organizzato in due momenti:
- Dalle 9,30 alle 13: assemblea aperta presso il Teatro Sant’Eulalia;
- Dalle 18 alle 23: evento di sensibilizzazione pubblica all’aperto, con contributi artistici e di vario genere (spazio ancora da individuare).Le organizzazioni aderenti si riconoscono nel seguente
Manifesto politico
1. La pace, la vita, la salute, il lavoro, la casa, l’ambiente, la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale, le libertà civili e politiche, le libertà di espressione, di opinione e di protesta sono
diritti irrinunciabili di ogni individuo, a prescindere dalla nazionalità, dalla residenza, dall’etnia, dal genere, dalla religione e da qualsiasi altra caratteristica personale o di gruppo.
Intendiamo perciò contribuire a realizzarne la tutela e la piena attuazione adottando ogni iniziativa politica, sociale, culturale, ecc., utile al bene comune, insieme alla lotta non violenta attiva contro ogni ingiustizia.2. Crediamo che la Pace si ottenga con l’impegno di ogni cittadina e cittadino, corpo intermedio, istituzione nazionale e sovranazionale, volto alla costruzione del bene comune dei popoli, all’inclusività, alla cooperazione ed alla solidarietà, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione, all’esigibilità sostanziale dei diritti delle persone. Perciò intendiamo impegnarci tutti e tutte insieme, nei nostri ambiti, per contribuire alla costruzione di un mondo più a misura di ogni persona umana.
3. La nostra azione è tesa ad evitare ogni violenza, istituzionale, di gruppo o individuale, ogni guerra e ogni atto di terrorismo, affrontandone ed eliminandone le cause attraverso l’esercizio della politica a tutti i livelli e adottando la non violenza attiva quale metodo per la risoluzione dei conflitti.
4. Vogliamo impegnarci nella promozione di una cultura e di una pedagogia della pace, del disarmo, della nonviolenza che influisca sulle coscienze, sull’educazione e sulla politica, che costruisca relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nell’incontro creativo delle differenze e delle divergenze e nel superamento del mito della guerra, del nemico, della vittoria.
5. Rispetto ad ogni guerra, e ad ogni atto di violenza, stiamo sempre dalla parte delle vittime.
Ciò vale per tutte le guerre in ogni parte del mondo: il conflitto armato tra Russia e Ucraina, le guerre del Sud-Sudan e dello Yemen, del Congo, il massacro in atto in Palestina, ecc.6. In ogni conflitto armato vediamo vittime innocenti, sia tra i civili non combattenti che tra il personale militare, spesso mandato a combattere e morire contro la sua volontà, in nome di falsi ideali patriottici, a causa della prepotenza di chi li governa. Noi stiamo attivamente dalla loro parte in maniera nonviolenta, convinti che il ripudio della guerra, sancito anche dall’art.11 della Costituzione Italiana, sia necessariamente da interpretare riorientando ogni
sforzo istituzionale e di popolo verso la costruzione della pace.7. La guerra è un crimine contro l’umanità; noi rifiutiamo una morale astratta e chiediamo la tutela del diritto delle persone alla vita e alla libertà in sintonia con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esprimiamo una fortissima preoccupazione per il piano di riarmo europeo inteso non solo come mezzo per risolvere positivamente le controversie, ma addirittura come opportunità di sviluppo.
8. Chiediamo che l’ONU riprenda la missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie e lo faccia senza posizioni dominanti per nessuno.
9. Rifiutiamo ogni piano di riarmo europeo o nazionale e ogni tentativo di far passare l’idea che con una maggiore presenza di armi e di forze armate si possa perseguire la pace. La produzione di armi segue le leggi del mercato, perciò più armi si producono, più verranno utilizzate, in maniera da poterne produrre ancora e ancora.
10. Rifiutiamo la propaganda bellica di ogni tipo, attuata attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e nelle università e mediante una pervicace commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche e forze armate. Cittadini e cittadine non sono clienti da imbonire ma persone consapevoli, titolari di diritti, alle quali non si può dare per pietà ciò che sarebbe dovuto per legge, come una sanità efficiente ed una società vivibile in tutti i suoi aspetti.
11. Ci opponiamo all’uso del territorio della Sardegna a fini di addestramento militare e di sperimentazione di nuove tecnologie belliche, o civili potenzialmente pericolose, alla produzione ed esportazione di ordigni bellici, alle speculazioni energetiche e industriali di qualsiasi genere, svolte senza rispetto alcuno per la volontà delle persone che abitano i territori coinvolti e per l’ambiente naturale terrestre e marino della nostra isola. Chiediamo la riconversione civile e sostenibile della fabbrica di armamenti presente nel sud-ovest dell’isola, insieme alla bonifica e alla restituzione ai sardi delle aree attualmente soggette a servitù militari.
12. Vogliamo impegnarci a promuovere nella nostra isola lo sviluppo di un’economia pacifica e sostenibile, che ne salvaguardi anche le lingue e le tradizioni, attualizzandole dinamicamente, e che consideri il suo l’ambiente naturale e sociale come eredità da preservare e ripristinare in maniera da poterlo lasciare a chi verrà dopo di noi senza pregiudicarne il futuro. Preservando l’ambiente difendiamo la salute.
Elenco delle organizzazioni firmatarie…
Cari amici,
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Il referendum è stato sconfitto. Ma è ben altro che una sconfitta della sinistra. È una sconfitta degli stranieri che non possono diventare cittadini, devono rimanere “non persone” in un ordinamento dove anche le Banche sono persone. Sono migranti senza diritti quando sono venuti in uno Stato di diritto. Sono profughi venuti in nome del primo dei diritti che è quello alla vita, e hanno trovato il disprezzo dei diritti e le morti sul lavoro. Vivono in città che si gloriano dei “valori della destra”, e sono città senza valori così che quanti le guardano da fuori, magari dal mare, si stupiscono ed esclamano, come dice la Bibbia:
“ Questa è la città gaudente,
che se ne stava sicuro
e pensava: “Io e nessun altro”!
Qualcuno le passa vicino
fischia di schermo e agita la mano ”.
Ed è stata anche una sconfitta dei precari, degli underdog. Sono sottoccupati, sottopagati, sottostimati, e devono restarlo per tutta la vita, altro che diventare presidenti del consiglio.
È stata una sconfitta dei licenziati senza giusta causa. Senza causa si può pretendere di restare al potere, ma se ti tolgono il lavoro senza giusta causa non c’è un potere che giustamente ti difenda.
Ma al di là dei risultati, tutti si rallegrano o deprecano che non sia raggiunto il quorum, e gli uni vogliono ridurlo o addirittura abolirlo dimenticando la saggezza dei costituenti, gli altri vogliono alzare perfino il quorum delle firme necessarie per chiedere il referendum.
Ma il vero problema è: perché il quorum, che prima funzionava, adesso non funziona più? Il quorum è il prodotto e il segnale di una democrazia perfetta, non regge, almeno in quella misura, in una democrazia deperita.
La democrazia è deperita e il quorum non si raggiunge non a causa dei quesiti, magari mal compresi, ma perché si è rotta la coesione sociale. Quando i referendum funzionavano era perché c’era la coscienza di essere una comunità chiamata a decidere su problemi a tutti comuni, privati e pubblici, dal divorzio all’ordine pubblico al nucleare; ci si divideva certo nella scelta (il referendum era fatto apposta) ma a nessuno veniva in mente di fare un dispetto agli altri non andando a votare. Eravamo una Nazione, che aveva l’assillo della sua unità; all’inizio c’era perfino l’idea del monopolio pubblico della radio e della TV, per la paura che non si creasse una lingua comune, che ancora non c’era, o che la cacofonia dei messaggi rompesse l’armonia di fondo di una cultura condivisa: certo era una democrazia ancora acerba, ma in cammino, tanto è vero che l’obiettivo comune, perfino tra comunisti e anticomunisti, era una “democrazia compiuta”. La democrazia, e il voto, non erano ancora la rissa per cui la ragione degli uni è per forza il torto degli altri. Questa era la Nazione, non c’era bisogno di nominarla ogni minuto. Poi si è cominciato a smontarla, con l’idolatria dell’individualismo, le televisioni di Berlusconi, le privatizzazioni selvagge, la Lega Nord, “Forza Etna”, il maggioritario, chi vince vince tutto, chi perde perde tutto, lo “spoil system”, fino alla minaccia del premierato, tutti mezzi per rompere i legami sociali. E anche l’orrore per lo straniero, che non si permette di credersi italiano, è il segnale che la Nazione non c’è più, è già perduta, altrimenti l’integrazione sarebbe il suo orgoglio. E la Premier insiste nel professarsi come capo della Nazione, proprio mentre finisce di smontarla.
Nel sito Prima Loro pubblichiamo un articolo sul genocidio a Gaza, di Elena Basile.
Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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Da Il Portico on line (http://www.ilporticocagliari.it/tutti-uniti-sullemergenza-lavoro/) 12 dicembre 2016.
Tutti uniti sull’emergenza lavoro
Università, sindacati, associazioni, imprese, cooperazione e terzo settore, sabato 10 dicembre hanno aperto il cammino verso la Settimana sociale 2017
12 dicembre 2016
Ventidue comunicazioni, quasi quattro ore di attento ascolto delle opinioni altrui, pioggia di analisi e proposte sul tema «Giovani, lavoro, formazione e nuove tecnologie». È cominciato così il cammino regionale – promosso dalla delegazione sarda della pastorale sociale, sotto il coordinamento di don Giulio Madeddu – verso la «Settimana sociale dei cattolici italiani» in preparazione del grande appuntamento finale che vedrà oltre mille laici – in rappresentanza di 226 diocesi – convenire a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017 per una riflessione corale su «Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale».
Intorno allo stesso tavolo docenti universitari, sindacalisti, responsabili di associazioni, mondo dell’impresa, della cooperazione e del terzo settore. Tutti sintonizzati sull’emergenza lavoro giovanile. «La diocesi e la Chiesa sarda nel suo complesso vogliono presentarsi all’appuntamento della Settimana sociale – ha spiegato l’arcivescovo Arrigo Miglio, esperto di queste manifestazioni per aver organizzato le ultime tre edizioni di Pistoia-Pisa (2007), Reggio Calabria (2010) e Torino (2013) – con una proposta propria organica e progettuale in grado di aiutare la nostra regione a individuare percorsi virtuosi di promozione lavorativa. Ma vogliamo anche ascoltare e dialogare con tutti quelli che contribuiscono ad attuare il costituzionale diritto al lavoro nel rispetto della dignità della persona umana».
Nello scenario dell’impegno sociale cristianamente ispirato la Chiesa locale colloca l’emergenza giovanile Sardegna, caratterizzata da quasi il 50% di giovani tra 15 e 29 anni disoccupati, il 24,7 % di dispersione scolastica, il 34% di neet. «Negli anni 2000 le difficoltà hanno spinto a riconsiderare – ha detto Pietro Ciarlo, in rappresentanza del rettore dell’Università, Maria Del Zompo – la centralità dell’uomo. Lo stereotipo del padrone delle ferriere è superato».
Proposte e preoccupazioni sono stati messi all’attenzione dell’Arcivescovo che ha seguito attentamente tutti gli interventi, e spesso ha preso appunti. I segretari sindacali Beniamino Contu (Cisl) e Michele Carrus (Cgil) hanno fotografato i possibili scenari futuri determinati dalle nuove tecnologie, luoghi delle competenze, da non demonizzare ma da affrontare con cultura e professionalità, attrezzati per eliminare ritardi e rallentamenti, soprattutto sul fronte burocratico.
Nell’isola – ha detto Giacomo Cao, presidente del Distretto aerospaziale sardo – ci sono le condizioni per giocare ruoli significativi, con molti posti di lavoro, nel sistema dello sviluppo di piattaforme di test per aerei a pilotaggio remoto, nell’esplorazione umana e robotica dello spazio con la costruzione di materiali e tecnologie per l’astronomia e l’aerospazio.
Scuola e Università sono finite al centro di diversi interventi. Ha cominciato Marinella Pau (Cisl scuola): «Dobbiamo dare una formazione più robusta». Francesca Cabiddu (Università di Cagliari): «Non basta conoscere la materia, ma bisogna rendersi consapevoli delle competenze», e ancora: «Ciò che conta è che i giovani imparino a lavorare insieme e a credere in se stessi». Giuseppe Melis (Università di Cagliari): «Il sistema educativo è costruito più per dare professionalità che per insegnare a vivere liberi e a lavorare in equipe». Ottavio Marcia (Sovrintendenza scolastica regionale): «Bisogna trovare strumenti per riallineare scuola e mondo del lavoro».
Giacomo Meloni (segretario della Confederazione sindacale sarda) ha riferito una sua esperienza: «Ho chiesto ai giovani: ma perché scappate dalla Sardegna? Risposta: Perché ci sentiamo inutili, non siamo coinvolti, siamo fuori del cerchio». Franco Meloni ritiene ormai indispensabile una vera mobilitazione sul fronte scolastico «soprattutto perché se sparisce il lavoro scompaiono anche i giovani». Il mondo del lavoro – Efisio Perra (Coldiretti), Luca Murgianu (Confartigianato) – ha evidenziato potenzialità, soprattutto in agricoltura, e problemi di un mercato altalenante, dove il peso fiscale complica la vita delle imprese. La frontiera delle cooperative sociali aiuta (Adriano Picciau, Fondazione Centesimus annus), ma non risolve i problemi.
E i giovani? «Dobbiamo creare percorsi di lavoro calibrati sulle loro capacità e vocazioni personali (Francesco Aresu, Progetto Policoro); «Competenze informali non solo formali» (Giacomo Carta, Acli giovani); «Capire come una situazione negativa può diventare opportunità per rispondere in modo nuovo ai bisogni dei giovani» (Roberto Mura, Comunione e Liberazione); «Peggio di tutti stanno gli under 30 con un basso livello culturale, candidati al lavoro nero» (Daniela Melis, presidente dell’Azione Cattolica diocesana); «Fare rete e sponsorizzare e imprese di comunità», suggerisce Francesco Piludu (Anci giovani Sardegna). Andrea Mameli (Responsabile comunicazione CRS4) indica azioni di orientamento, disponibilità continua a un costante adattamento ai mutamenti nel lavoro con la nascita di nuove professionalità.
Tuffo nella realtà – molte volte amara – in alcuni interventi. I giovani faticano a interpretare le speranze e non hanno la certezza di vincere la precarietà (Antonello Caria, Acli Sardegna). I numeri non promettono niente di buono: disoccupazione giovanile a quota 42,4%, un sardo su quattro senza lavoro, dispersione scolastica al 24%. Forse è necessario un approccio radicalmente diverso per creare una società giusta (Franco Manca, direttore centro studi Caritas).
Una via d’uscita? «Sì – secondo Vittorio Pelligra (Università di Cagliari) – se si investe fin dall’infanzia sul capitale umano. Il problema dello sviluppo non è la mancanza di risorse, ma non saperle utilizzare».
Mario Girau
[…] e terzo settore, sabato 10 dicembre hanno aperto il cammino verso la Settimana sociale 2017 10 dicembre 2016 Ventidue comunicazioni, quasi quattro ore di attento ascolto delle opinioni altrui, pioggia di […]
[…] Giacomo Meloni, Segretario nazionale della Confederazione Sindacale Sarda (CSS). La mia riflessione all’incontro col Vescovo del 10 dicembre 2017. ——— La CSS è da tempo impegnata a studiare il fenomeno della disoccupazione […]