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Una singolare lettera collettiva senza destinatari è stata resa pubblica da Giorgia Meloni il 22 maggio in occasione del suo incontro con il Primo Ministro danese Mette Frederiksen, leader del partito socialdemocratico. La lettera aperta è frutto di un’iniziativa politica promossa da Italia e Danimarca, a cui si sono accodati i primi ministri di Belgio, Repubblica Ceca, Austria, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia. Con questo documento per la prima volta un gruppo di Paesi europei si ribella collettivamente alla giurisdizione della Corte europea dei diritti dell’uomo, strumento di garanzia e di attuazione dei valori e dei principi espressi dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; tali principi sono gli elementi portanti che definiscono l’identità dello Stato di diritto. Nella lettera ciò che è più rivoltante è l’ipocrisia: i magnifici nove si sbracciano in dichiarazioni di ossequio ai valori dello Stato di diritto e dei diritti umani. Dichiarano di credere profondamente nella: “inviolabile dignità dell’individuo” e osservano che “le idee stesse (della Convenzione) sono universali ed eterne”. Però i tempi sono cambiati: “Ciò che un tempo era giusto potrebbe non essere la risposta di domani”. È un po’ come dire: noi non siamo razzisti, ma…L’accusa che viene – impudentemente – rivolta alla Corte di Strasburgo è di avere limitato la capacità della politica di adottare le scelte più adeguate per contrastare l’immigrazione irregolare. In altre parole, di avere legato le mani agli Stati con i vincoli fastidiosi del diritto. Il punto dolente sono le espulsioni, sulle quali la Corte è intervenuta ripetutamente, per esempio vietando all’Italia di catturare i migranti in alto mare e di respingerli in Libia (Sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia, del 23 febbraio 2012). L’ attacco all’indipendenza della Corte è stato apertamente biasimato dal Segretario generale del Consiglio d’Europa, Alain Berset, che ha osservato: «In una società governata dallo Stato di diritto, nessun organo giudiziario dovrebbe subire pressioni politiche. Le istituzioni che proteggono i diritti fondamentali non possono piegarsi ai cicli politici». In realtà questa ribellione alle Corti, è espressione di una politica impegnata attivamente a smantellare le conquiste di civiltà del diritto. Senza una giurisdizione che le faccia rispettare, che cosa sono le Carte dei diritti se non parole vuote, parole di carta?
I magnifici nove con questa lettera in sostanza si dolgono di non avere le mani libere come Trump che può permettersi le espulsioni collettive degli stranieri, per di più verso Stati terzi dove sono esposti al rischio di tortura. Sarebbe sbagliato confinare la questione al tema dell’immigrazione irregolare. L’immigrazione è semplicemente il banco di prova sul quale si testa la capacità del potere politico di spezzare l’universalità dei diritti e di sottrarre l’esercizio del potere politico ai vincoli del diritto. Questione che, in questo contesto storico assume aspetti inquietanti se pensiamo a vicende, prima inimmaginabili, come il genocidio in Palestina.
Al riguardo deve far riflettere la diffida di un gruppo di giuristi notificata il 21 maggio ai ministri degli esteri e della difesa con l’istanza di bloccare il rinnovo automatico del memorandum d’intesa fra il Governo italiano e quello d’Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa. Nel Regno d’Italia il campo della politica estera rappresentava un dominio riservato del Sovrano che poteva agire con la massima libertà, senza vincolo alcuno, fino al punto che, il 26 aprile 2015, il Re stipulò un Trattato segreto con le Potenze dell’Intesa, impegnando l’Italia a entrare in guerra. Con l’avvento della Costituzione repubblicana, si verifica un’innovazione decisiva rispetto allo Statuto albertino: il diritto si espande e penetra nel fortino della politica estera, ponendo dei criteri che indirizzano e vincolano l’azione del Governo. Gli articoli 10 e 11 della Costituzione, che definiscono il volto dell’Italia nelle relazioni internazionali, stabiliscono l’ingresso diretto nell’ordinamento giuridico dei principi del diritto generale internazionale e introducono dei fini generali alla politica estera, scolpiti nel principio del ripudio della guerra e della promozione della pace e della giustizia fra le Nazioni. Dato il loro carattere generale queste norme hanno un valore programmatico, perché indirizzano verso obiettivi (la Pace e la Giustizia) che possono essere perseguiti con scelte di vario tipo, ma hanno anche un carattere precettivo perché delimitano rigorosamente ciò che è decidibile e vincolano qualunque governo a non compiere azioni o scelte incompatibili con i fini posti.
Poiché l’Italia ha aderito alla Convenzione per la prevenzione del delitto di genocidio, poiché il genocidio costituisce la massima violazione ipotizzabile della Giustizia sul piano internazionale, la Costituzione vieta che l’Italia possa cooperare, con uno Stato responsabile di crimini internazionali e azioni genocidiarie. In questa situazione, il diritto lega le mani ai Governi. Per questi motivi, alla luce del fatto che Israele ha apertamente violato le misure impostegli dalla Corte Internazionale di Giustizia per prevenire il genocidio (il 26 gennaio, il 28 marzo, il 5 aprile e il 24 maggio 2024), il Governo italiano ha il dovere giuridico di denunciare il memorandum e di porre fine ad ogni forma di sostegno militare ad Israele. C’è un filo rosso che lega l’abbaiare di Meloni contro i giudici italiani ed europei e il sostegno tacito dell’Italia ad Israele: l’aspirazione di questo potere politico di liberarsi dei fastidiosi vincoli del diritto. Contro questa tendenza a smantellare le Carte dei diritti a livello interno ed internazionale deve nascere una resistenza all’altezza della sfida che abbiamo dinanzi.
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- Sbilanciamoci
Nel 1973 si riunì per la prima volta un gruppo di politici, economisti, studiosi, formando un gruppo conosciuto come “commissione trilaterale”. Ne facevano parte personaggi come Kissinger; Rockfeller, Brzezinski, Gianni Agnelli e tutto il gotha della finanza e della politica mondiale. 50 anni fa, nel 1975, in una successiva riunione della commissione venne pubblicato un rapporto dal titolo: La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie, rapporto curato da Michel Crozier, Joji Watanuki e Samuel Huntington, lo stesso che poi avrebbe preconizzato la fine della storia, dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. Oggi, della commissione trilaterale fanno parte l’ex dalemiana Marta Dassù, l’AD di Intesa San Paolo Carlo Messina, l’ex Ceo di Allianz Enrico Tommaso Cucchiani e tanti altri.La tesi del rapporto del 1975 era che nel mondo ci fosse un eccesso di democrazia nei sistemi politici: la soluzione sarebbe dovuta essere quella di ridurre lo spazio della rappresentanza a favore degli esecutivi, dei governi, della tecnocrazia. Kissinger si era portato avanti con il lavoro e nel 1973 aveva aiutato la realizzazione del golpe di Pinochet contro Allende. Da allora le tesi della “commissione trilaterale” hanno fatto breccia in tutti i governi e – a dosi omeopatiche – la democrazia e la rappresentanza sono state svuotate a favore di governi sempre di più autoreferenziali e oligarchici. La proposta del premierato della Meloni va proprio in questa direzione. L’orizzonte è quello della trasformazione delle democrazia in oligarchie, delle sedi della rappresentanza in luoghi di ratifica della decisione dei governi.
In più, nel tempo, in coerenza con queste tendenze, sono state varate norme che hanno limitato la democrazia diretta, il dissenso, l’informazione libera, la libertà delle opposizioni, gli spazi di partecipazione. Nei paesi dell’Est europeo (e negli Stati Uniti) gli esempi sono a non finire. Ma anche da noi non mancano. Il decreto sicurezza approvato in prima lettura alla Camera dei deputati ha questo significato: limitare gli spazi di libertà e di protesta, riportandoci ai tempi del Codice Rocco, o anche peggio. Le proteste contro queste norme sono sacrosante ed è per questo che partecipiamo a tutte le manifestazioni che si tengono in questi giorni per impedire che questo decreto venga approvato in via definitiva. Ai tempi della Costituente, Giuseppe Dossetti propose di inserire il diritto di resistenza nel testo della Carta. Un diritto che – pur se non inserito poi nel testo finale della Costituzione – dobbiamo rivendicare e praticare quotidianamente: per noi “obbedire” alla Costituzione significa disobbedire a chi vuole sovvertirla.
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