EUROPA

Unione Europea: le eredità del 2017

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di Umberto Allegretti su Rocca
Un bilancio dell’anno appena trascorso per quanto riguarda l’Unione Europea non può esser pieno di molte ombre e di qualche luce, ombre e luci talora fra loro commiste. Le questioni si affollano e qui sceglieremo di accennare solo ad alcune che riteniamo particolarmente importanti.
La tela di fondo di tali questioni è data dal problema delle istituzioni europee come tali, che hanno certamente bisogno di pro- fonde ristrutturazioni. Un’Europa «sociale», un completamento dell’Unione sui vari aspetti del problema economico, una sua incisività sulla politica mondiale, rappresentano i settori, o alcuni dei settori, che avrebbero necessità, nell’attuale quadro mondiale, di una struttura dell’Unione più democratica, più efficace, meno «sovranista» più capace di affrontare i problemi gravissimi posti dalla situazione del pianeta in un’età di squilibrio e di guerra. Il problema istituzionale è affrontabile, come è stato notato, su due piani: con una migliore applicazione delle possibilità che già il Trattato di Lisbona prevede, e con una revisione di aspetti importanti del Trattato.

le cose da cambiare
Nella prima direzione, oggetto di importanti proposte nel discorso sullo stato dell’Unione pronunciato il 13 settembre davanti al Parlamento europeo dal Presidente della Commissione Juncker – la cui azione complessiva appare tuttora, salvo errore, rispetto ad altri organi europei quella più incisiva sulle proposte e i comportamenti dell’Unione –, si dovrebbe pensare di attuare una serie di passaggi dell’Unione a politiche più efficaci previste dal Trattato ma finora scartate. Per esempio, sarebbe possibile già ora applicare le possibilità di cosiddette «passerelle», che consentirebbero di passare in seno al Consiglio dalla necessità dell’unanimità degli Stati al voto a maggioranza qualificata, come nei settori della politica estera e delle politiche fiscali. Come pure di passare, per quanto riguarda il ruolo del Parlamento, dalla procedura di semplice parere a quella codecisionale.

problemi istituzionali
Altre variazioni rispetto alle pratiche attuali richiederebbero peraltro – come notato in un articolo dell’autorevole Paolo Ponzano, già alto funzionario europeo e ora, oltre a una forte esperienza all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, docente al Collegio europeo di Parma – elementi di modifica dei Trattati e sono perciò più difficili da attuare. Anche se bisogna tenere conto della forte azione propulsiva del Presidente francese Macron, che si è inoltrato nei suoi discorsi nella delineazione di solidi irrobustimenti del lato in qualche misura «federalista» rispetto a quello «sovranista» che ora prevale in seno all’Unione, ma il cui seguito avrebbe bisogno dell’intesa prima di tutto con una Germania attualmente in una per lei inconsueta difficoltà di
governabilità.

oltre le divisioni socio-economiche
È sempre più chiaro che esistono attualmente in seno all’Unione differenze di linea considerevoli tra gli Stati membri favorevoli ad avanzamenti o suscettibili di divenirlo e altri, tra cui quelli del Nord-Europa ma soprattutto quelli dell’area ex-socialista. Se questo spinge alcuni ad auspicare una netta delimitazione nel futuro fra due Europe, altri, forse a ragione, preferiscono in nome di un’unificazione del Continente decisa a cavallo del secolo XX e del XXI, tollerare le attuali differenze e lavorare pazientemente per superare le divisioni. Purché lo si faccia con la decisione necessaria, per esempio non esitando ulteriormente (alcuni segni sembrano ora esserci) ad adottare sanzioni previste dal Trattato nei confronti di quei paesi – Ungheria, gli altri paesi di Visegrad e ora in maniera particolarmente preoccupante la più vasta Polonia – che mostrano di alterare al loro interno, ma con effetti debordanti i loro confini, i fondamentali principi dello stato di diritto, come l’indipendenza della magistratura e della giurisdizione costituzionale e che rifiutano di accettare la loro pur tenue porzione di accoglienza dei migranti.

le diverse politiche sociali e fiscali
Non si tratta però di meri problemi «istituzionali». Bisogna che ci si decida ad avanzare – in questo favoriti dall’uscita dall’Unione, ancora peraltro a mezza strada, della Gran Bretagna – verso politiche sociali valide per tutta l’Unione e verso politiche fiscali comuni, essendo ormai più che palese l’impossibilità e l’ingiustizia di fiscalità così diverse tra gli Stati membri, quali quelle che fra l’altro hanno permesso finora – anche qui qualche segno positivo si sta aprendo – all’Irlanda e allo stesso Lussemburgo già governato da Juncker di offrire possibilità di elusione delle tasse a grandi multinazionali, come quelle agenti nel campo informatico o alla Ryanair o a evasori singoli o societari dei nostri stessi paesi. Potrebbe la ripetuta proposta di un Ministro delle finanze europeo quanto meno per la zona euro, fornire uno strumento per andare in una direzione di contenimento di queste disparità?

Europa Africa
L’autorevolezza della politica dell’Unione verso l’esterno, finora scarsissimamente esistente come politica unitaria, dipende anche dalla capacità dell’Unione di governare le sue tensioni interne. Un esempio clamoroso e tra i più preoccupanti è quello della politica verso il continente africano. Che un compito di aiuto all’Africa da parte dell’Europa sia doveroso e opportuno per la stessa Europa è assolutamente evidente. Ma si sono fatti in questo anno dei veri passi avanti in questa direzione? Da tempo si parla di un cosiddetto Piano Marshall per l’Africa. Ma l’aiuto finanziario ai paesi della fame come quelli del Sahel, che poi generano le massicce migrazioni cui assistiamo ormai da anni, ha veramente decollato? I poco più di tre miliardi di euro promessi e, per quel che si può sapere, non ancora erogati a pro’ di questi paesi – e che certo hanno bisogno di garanzie di corretta spesa, per la quale si son fatte peraltro buone proposte di vigilanza da parte di organismi Onu – non sono certo una misura sufficiente. Meno ancora lo è il puntare primariamente sull’azione contro il fattore, preoccupante ma derivato, di lotta contro il terrorismo che può alimentarsi in quei paesi, preoccupazione che ci pare abbia malamente dominato il recente vertice Europa-Africa di Abidjan. E come vantarsi, in questa situazione, di esser riusciti a contenere il numero degli sbarchi in Italia – a parte lo scandalo dei «campi» in Libia – come fanno il pur ben disposto governo italiano attuale e il suo ministro? In sintesi, un’Europa della solidarietà e della pace non può limitarsi ai problemi interni dell’Unione, ma deve sboccare in una capacità di azione internazionale che avrebbe in Africa, oltre che in Medio Oriente, il suo campo di prova più necessario.

unione monetaria
In presenza di questi e altri problemi, e in attesa fra l’altro della conclusione delle trattative per un nuovo governo tedesco, la Commissione ha elaborato un pacchetto di proposte sul rafforzamento dell’unione monetaria nel quale ha cercato di accontentare un po’ tutti: inserzione del Fiscal Compact nel diritto europeo ma con la fles- sibilità già concessa all’Italia e ad altri paesi, completamento dell’unione bancaria ma con la riduzione dei rischi nei paesi dove le banche hanno troppi titoli di Stato nel loro portafoglio, creazione di fondi di stabilizzazione macro-economica ma con impegni paralleli di convergenza, e altro. Queste, per ora, le prospettive per il nuovo anno, piene anch’esse di luci e di ombre.
Umberto Allegretti
UNIONE EUROPEA
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Siamo con questa Europa!

ep-logo-cmyk_itPolitiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà
Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2017 sulle politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà
(2016/2270(INI))
Il Parlamento europeo,
omissis
Regimi di reddito minimo
[segue]

DOCUMENTAZIONE. Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2017 sulle politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà

europa-in-europabin_italia_logo_20158Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2017 sulle politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà (2017)
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ep-logo-cmyk_it- Il testo della risoluzione del Parlamento Europeo del 24 ottobre 2017.

«Europa sociale». L’Europa parla bene… aspettiamo i fatti

img_4422
lampada aladin micromicroStralciamo dall’articolo di Roberta Carlini su Rocca, già ripreso integralmente da Aladinews, la parte dell’accordo dei capi di governo europei firmato nel vertice di Gotegorg del 17 novembre 2017, denominato «Pilastro sociale»: un articolato di 20 punti per rafforzare l’«Europa sociale», che riportiamo integralmente in appendice. Tale documentazione integra quella già messa a disposizione a supporto dell’iniziativa sul Lavoro che si terrà venerdì 15 dicembre presso la Comunità San Rocco di Cagliari, promossa con la nostra collaborazione.
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EUROPA:
pilastro sociale…
di Roberta Carlini, su Rocca
(…)
un pilastro traballante
Molta minore attenzione ha ricevuto, nello stesso periodo, un’altra notizia proveniente dalle istituzioni europee. Anche questa definita, dai protagonisti «di portata storica». Nel vertice di Goteborg del 17 novembre è stato approvato dai capi di governo il «Pilastro sociale» dell’Unione, ossia un programma in venti punti per rafforzare l’Europa sociale. I venti punti fanno riferimento a tre grandi aree, che sono «pari opportunità e accesso al mercato del lavoro» (si va dall’istruzione alla parità di genere al sostegno attivo all’occupazione), «condizioni di lavoro eque» (dove si ribadisce il binomio flessibilità più sicurezza, si parla di salario minimo, di partecipazione dei lavoratori, di ambiente di lavoro, di conciliazione tra lavoro e famiglia), di «protezione sociale e inclusione» (reddito garantito, assistenza sanitaria per tutti, alloggi, accesso ai servizi essenziali…). «Non è una poesia, ma un programma politico», ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker presentandolo.
L’enfasi è tutta politica: di fronte alla crescente protesta o disaffezione per l’unificazione europea, si cerca di correre ai ripari tornando ai principi istitutivi del welfare europeo, che sono purtroppo lettera morta in molti Stati, o perché non ci sono mai arrivati – come molti Paesi del Sud –, o perché sono stati messi in discussione dalla crisi fiscale e da quella economica. Ma che credibilità ha un’Unione che ribadisce questi principi, anche adeguandoli alle novità dei tempi come l’innovazione tecnologica e la parità di genere, ma non ha né dà strumenti per attuarli? In mancanza di un bilancio e di un governo comuni, la costruzione del «pilastro sociale» è lasciata agli ingegneri dei singoli Stati, che ben poco potranno fare se la stessa Unione con una mano dà – o meglio, scrive – diritti, con l’altra li toglie per mancanza di fondi e per le politiche di austerità. Ma almeno da domani, o da dopodomani, i governi che vogliono cambiare strada avranno un principio, anche giuridico, al quale appellarsi.
Roberta Carlini su Rocca.

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Proposta di proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali
(…) testo della proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali approvato dal Coreper il 20 ottobre in vista della sessione del Consiglio (EPSCO) del 23 ottobre 2017.
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- L’accordo del 17 novembre 2017.
- Il LIBRO BIANCO SUL FUTURO DELL’EUROPA.
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Proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali
Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione proclamano solennemente quale pilastro europeo dei diritti sociali il testo riportato in appresso.
PILASTRO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI
Preambolo
A norma dell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea, gli obiettivi dell’Unione sono, tra l’altro, promuovere il benessere dei suoi popoli e adoperarsi per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
A norma dell’articolo 9 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale, la lotta contro l’esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana.
L’articolo 151 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che l’Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l’emarginazione.
L’articolo152 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che l’Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto delle diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti e rispetta la loro autonomia.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata in occasione del Consiglio europeo di Nizza il 7 dicembre 2000, tutela e promuove una serie di principi fondamentali che sono essenziali per il modello sociale europeo. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, agli organi e agli organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione.

Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea contiene disposizioni che stabiliscono le competenze dell’Unione in relazione, tra l’altro, alla libertà di circolazione dei lavoratori (articoli da 45 a 48), al diritto di stabilimento (articoli da 49 a 55), alla politica sociale (articoli da 151 a 161), alla promozione del dialogo tra datori di lavoro e lavoratori (articolo 154), compresi gli accordi conclusi e attuati a livello dell’Unione (articolo 155), alla parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro (articolo 157), al contributo allo sviluppo di un’istruzione di qualità e alla formazione professionale (articoli 165 e 166), all’azione dell’Unione a completamento delle politiche nazionali e per promuovere la cooperazione nel settore della sanità (articolo 168), alla coesione economica, sociale e territoriale (articoli da 174 a 178), all’elaborazione e alla sorveglianza dell’attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche (articolo 121), alla formulazione e all’esame dell’attuazione degli orientamenti in materia di occupazione (articolo148) e, più in generale, al ravvicinamento delle legislazioni (articoli da 114 a 117).
Il Parlamento europeo ha chiesto un solido pilastro europeo dei diritti sociali per rafforzare i diritti sociali e produrre effetti positivi sulla vita delle persone nel breve e medio termine, nonché per sostenere la costruzione europea nel 21o secolo1. Il Consiglio europeo ha sottolineato che è prioritario affrontare l’insicurezza economica e sociale e ha chiesto che venga costruito un futuro promettente per tutti, che vengano stabilite garanzie volte a tutelare il nostro modo di vivere e che vengano offerte opportunità migliori per i giovani. 2 I leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea si sono impegnati nel programma di Roma a lavorare per un’Europa sociale. L’impegno si basa sui principi di crescita sostenibile, di promozione del progresso sociale ed economico, di coesione e di convergenza, rispettando al contempo l’integrità del mercato interno3. Le parti sociali hanno preso l’impegno di continuare a contribuire a un’Europa favorevole ai suoi lavoratori e alle sue imprese4.
Il completamento del mercato unico europeo negli ultimi decenni è stato accompagnato dallo sviluppo di un solido acquis sociale che ha apportato progressi in ambito di libertà di circolazione, condizioni di vita e di lavoro, parità tra uomini e donne, salute e sicurezza sul lavoro, protezione sociale e istruzione e formazione. L’introduzione dell’euro ha dotato l’Unione di una valuta comune stabile, condivisa da 340 milioni di cittadini in 19 Stati membri, che facilita loro la vita quotidiana e li tutela contro l’instabilità finanziaria. L’Unione si è anche ampliata notevolmente, accrescendo le opportunità economiche e promuovendo il progresso sociale in tutto il continente.
I mercati del lavoro e le società sono in rapida evoluzione: nuove opportunità e nuove sfide emergono dalla globalizzazione, dalla rivoluzione digitale, dal mutamento dell’organizzazione del lavoro e dagli sviluppi sociali e demografici. Le sfide, come la notevole diseguaglianza, la disoccupazione di lunga durata e giovanile o la solidarietà tra le generazioni, sono spesso simili negli Stati membri, anche se incidono in misura diversa.
L’Europa ha dimostrato la propria volontà di superare la crisi economica e finanziaria e, grazie a un intervento deciso, l’economia dell’Unione è ora più stabile, con livelli di occupazione elevati come mai in passato e una costante riduzione della disoccupazione. Le conseguenze sociali della crisi sono tuttavia vaste – della disoccupazione giovanile e di lunga durata al rischio di povertà – ed è urgente affrontarle.
Le sfide sociali e occupazionali che l’Europa si trova ad affrontare sono per lo più la conseguenza di una crescita relativamente modesta, che affonda le sue radici in un insufficiente sfruttamento del potenziale produttivo e di partecipazione al mercato del lavoro. Il progresso economico e quello sociale sono interconnessi e lo sviluppo di un pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe essere parte di un più ampio sforzo teso a costruire un modello di crescita più inclusivo e sostenibile, migliorando la competitività dell’Europa e rendendola più propizia agli investimenti, alla creazione di posti di lavoro e al rafforzamento della coesione sociale.
Il pilastro europeo dei diritti sociali mira a fungere da guida per realizzare risultati sociali e occupazionali efficaci in risposta alle sfide attuali e future così da soddisfare i bisogni essenziali della popolazione e garantire una migliore attuazione e applicazione dei diritti sociali.
Una maggiore attenzione alla situazione occupazionale e sociale è particolarmente importante per accrescere la capacità di reazione e approfondire l’Unione economica e monetaria. Per questo motivo il pilastro europeo dei diritti sociali è stato ideato precipuamente per la zona euro, ma è applicabile a tutti gli Stati membri che desiderino farne parte.
Il pilastro europeo dei diritti sociali esprime principi e diritti fondamentali per assicurare l’equità e il buon funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale nell’Europa del 21o secolo. Ribadisce alcuni dei diritti già presenti nell’acquis dell’Unione. Aggiunge nuovi principi per affrontare le sfide derivanti dai cambiamenti sociali, tecnologici ed economici.
I principi sanciti nel pilastro europeo dei diritti sociali riguardano i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi regolarmente residenti nell’Unione. I principi che si riferiscono ai lavoratori si applicano a tutte le persone occupate, indipendentemente dalla loro situazione occupazionale, dalle modalità e dalla durata dell’occupazione.
Il pilastro europeo dei diritti sociali non impedisce agli Stati membri o alle parti sociali di stabilire norme sociali più ambiziose. In particolare, nessuna disposizione del pilastro europeo dei diritti sociali deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti e dei principi riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, comprese la Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e le convenzioni e le raccomandazioni pertinenti dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
La realizzazione degli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali dipende dall’impegno e dalla responsabilità condivisi tra l’Unione, gli Stati membri e le parti sociali. I principi e i diritti stabiliti dal pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbero essere attuati a livello dell’Unione e degli Stati membri nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto del principio di sussidiarietà.
A livello dell’Unione il pilastro europeo dei diritti sociali non comporta un ampliamento delle competenze dell’Unione quali definite dai trattati e dovrebbe essere attuato entro i limiti di dette competenze.
A livello degli Stati membri, il pilastro rispetta la diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d’Europa, nonché l’identità nazionale di ciascuno Stato membro e l’ordinamento dei pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale. In particolare, lo sviluppo del pilastro non compromette la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non dovrebbe incidere sensibilmente sull’equilibrio finanziario dello stesso.
Il dialogo sociale svolge un ruolo centrale nel rafforzare i diritti sociali e nell’incrementare la crescita sostenibile e inclusiva. In linea con la loro autonomia e il loro diritto all’azione collettiva, le parti sociali a tutti i livelli hanno un ruolo cruciale da svolgere nello sviluppo e nella realizzazione del pilastro europeo dei diritti sociali.
Pilastro europeo dei diritti sociali
CAPO I: Pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
1. Istruzione, formazione e apprendimento permanente
Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro.
2. Parità di genere
a. La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere garantita e rafforzata in tutti i settori, anche per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, i termini e le condizioni di lavoro e l’avanzamento di carriera.
b. Donne e uomini hanno diritto alla parità di retribuzione per lavoro di pari valore.
3. Pari opportunità
A prescindere da sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, ogni persona ha diritto alla parità di trattamento e di opportunità in materia di occupazione, protezione sociale, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico. Sono promosse le pari opportunità dei gruppi sottorappresentati.
4. Sostegno attivo all’occupazione
a. Ogni persona ha diritto a un’assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma. Ciò include il diritto a ricevere un sostegno per la ricerca di un impiego, la formazione e la riqualificazione. Ogni persona ha il diritto di trasferire i diritti in materia di protezione sociale e formazione durante le transizioni professionali.
b. I giovani hanno diritto al proseguimento dell’istruzione, al tirocinio o all’apprendistato oppure a un’offerta di lavoro qualitativamente valida entro quattro mesi dalla perdita del lavoro o dall’uscita dal sistema d’istruzione.
c. I disoccupati hanno diritto a un sostegno personalizzato, continuo e coerente. I disoccupati di lungo periodo hanno diritto a una valutazione individuale approfondita entro 18 mesi dall’inizio della disoccupazione.
Capo II: Condizioni di lavoro eque
5. Occupazione flessibile e sicura
a. Indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione. È promossa la transizione a forme di lavoro a tempo indeterminato.
b. Conformemente alle legislazioni e ai contratti collettivi, è garantita ai datori di lavoro la necessaria flessibilità per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del contesto economico.
c. Sono promosse forme innovative di lavoro che garantiscano condizioni di lavoro di qualità. L’imprenditorialità e il lavoro autonomo sono incoraggiati. È agevolata la mobilità professionale.
d. Vanno prevenuti i rapporti di lavoro che portano a condizioni di lavoro precarie, anche vietando l’abuso dei contratti atipici. I periodi di prova sono di durata ragionevole.
6. Retribuzioni
a. I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso.
b. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. La povertà lavorativa va prevenuta.
c. Le retribuzioni sono fissate in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali.
7. Informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione in caso di licenziamento
a. I lavoratori hanno il diritto di essere informati per iscritto all’inizio del rapporto di lavoro dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e delle condizioni del periodo di prova.
b. Prima del licenziamento, i lavoratori hanno il diritto di essere informati delle motivazioni e a ricevere un ragionevole periodo di preavviso. Essi hanno il diritto di accedere a una risoluzione delle controversie efficace e imparziale e, in caso di licenziamento ingiustificato, il diritto di ricorso, compresa una compensazione adeguata.
8. Dialogo sociale e coinvolgimento dei lavoratori
a. Le parti sociali sono consultate per l’elaborazione e l’attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali. Esse sono incoraggiate a negoziare e concludere accordi collettivi negli ambiti di loro interesse, nel rispetto delle propria autonomia e del diritto all’azione collettiva. Ove del caso, gli accordi conclusi tra le parti sociali sono attuati a livello dell’Unione e dei suoi Stati membri.
b. I lavoratori o i loro rappresentanti hanno il diritto di essere informati e consultati in tempo utile su questioni di loro interesse, in particolare in merito al trasferimento, alla ristrutturazione e alla fusione di imprese e ai licenziamenti collettivi.
c. È incoraggiato il sostegno per potenziare la capacità delle parti sociali di promuovere il dialogo sociale.
9. Equilibrio tra attività professionale e vita familiare
I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato.
10. Ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato e protezione dei dati
a. I lavoratori hanno diritto a un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.
b. I lavoratori hanno diritto a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze professionali e che consenta loro di prolungare la partecipazione al mercato del lavoro.
c. I lavoratori hanno diritto alla protezione dei propri dati personali nell’ambito del rapporto di lavoro.
Capo III: Protezione sociale e inclusione 11. Assistenza all’infanzia e sostegno ai minori
a. I bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità.
b. I minori hanno il diritto di essere protetti dalla povertà. I bambini provenienti da contesti svantaggiati hanno diritto a misure specifiche tese a promuovere le pari opportunità.
12. Protezione sociale
Indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori e, a condizioni comparabili, i lavoratori autonomi hanno diritto a un’adeguata protezione sociale.
13. Prestazioni di disoccupazione
I disoccupati hanno diritto a un adeguato sostegno all’attivazione da parte dei servizi pubblici per l’impiego per (ri)entrare nel mercato del lavoro e ad adeguate prestazioni di disoccupazione di durata ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità. Tali prestazioni non costituiscono un disincentivo a un rapido ritorno all’occupazione.
14. Reddito minimo
Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro.
15. Reddito e pensioni di vecchiaia
a. I lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi in pensione hanno diritto a una pensione commisurata ai loro contributi e che garantisca un reddito adeguato. Donne e uomini hanno pari opportunità di maturare diritti a pensione.
b. Ogni persona in età avanzata ha diritto a risorse che garantiscano una vita dignitosa.
16. Assistenza sanitaria
Ogni persona ha il diritto di accedere tempestivamente a un’assistenza sanitaria preventiva e terapeutica di buona qualità e a costi accessibili.
17. Inclusione delle persone con disabilità
Le persone con disabilità hanno diritto a un sostegno al reddito che garantisca una vita dignitosa, a servizi che consentano loro di partecipare al mercato del lavoro e alla società e a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze.
18. Assistenza a lungo termine
Ogni persona ha diritto a servizi di assistenza a lungo termine di qualità e a prezzi accessibili, in particolare ai servizi di assistenza a domicilio e ai servizi locali.
19. Alloggi e assistenza per i senzatetto
a. Le persone in stato di bisogno hanno accesso ad alloggi sociali o all’assistenza abitativa di qualità.
b. Le persone vulnerabili hanno diritto a un’assistenza e a una protezione adeguate contro lo sgombero forzato.
c. Ai senzatetto sono forniti alloggi e servizi adeguati al fine di promuoverne l’inclusione sociale.
20. Accesso ai servizi essenziali
Ogni persona ha il diritto di accedere a servizi essenziali di qualità, compresi l’acqua, i servizi igienico-sanitari, l’energia, i trasporti, i servizi finanziari e le comunicazioni digitali. Per le persone in stato di bisogno è disponibile un sostegno per l’accesso a tali servizi.
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1 Risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio 2017 su un pilastro europeo dei diritti sociali [2016/2095(INI)].
2 Dichiarazione di Bratislava del 16 settembre 2016.
3 Dichiarazione di Roma del 25 marzo 2017.
4 Dichiarazione congiunta delle parti sociali del 24 marzo 2017.
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- Risoluzione del Parlamento europeo del 24 ottobre 2017 sulle politiche volte a garantire il reddito minimo come strumento per combattere la povertà.

QualEuropa? Il «Pilastro sociale» dei diritti sociali in 20 principi. Ma tra il dire e il fare…

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Il pilastro europeo dei diritti sociali mira a creare nuovi e più efficaci diritti per i cittadini e si basa su 20 principi chiave.
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Un’Unione economica e monetaria più profonda e più equa
INDICE
CAPO I: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
Capo II: condizioni di lavoro eque
Capo III: protezione sociale e inclusione
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Il pilastro europeo dei diritti sociali mira a creare nuovi e più efficaci diritti per i cittadini. Si basa su 20 principi chiave, strutturati in tre categorie:

. pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
. condizioni di lavoro eque
. protezione sociale e inclusione.

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CAPO I: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro
1. Istruzione, formazione e apprendimento permanente
Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro.

2. Parità di genere
La parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini deve essere garantita e rafforzata in tutti i settori, anche per quanto riguarda la partecipazione al mercato del lavoro, i termini e le condizioni di lavoro e l’avanzamento di carriera.

Donne e uomini hanno diritto alla parità di retribuzione per lavoro di pari valore.

3. Pari opportunità
A prescindere da sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, ogni persona ha diritto alla parità di trattamento e di opportunità in materia di occupazione, protezione sociale, istruzione e accesso a beni e servizi disponibili al pubblico. Sono promosse le pari opportunità dei gruppi sottorappresentati.

4. Sostegno attivo all’occupazione
Ogni persona ha diritto a un’assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma. Ciò include il diritto a ricevere un sostegno per la ricerca di un impiego, la formazione e la riqualificazione. Ogni persona ha il diritto di trasferire i diritti in materia di protezione sociale e formazione durante le transizioni professionali.

I giovani hanno diritto al proseguimento dell’istruzione, al tirocinio o all’apprendistato oppure a un’offerta di lavoro qualitativamente valida entro quattro mesi dalla perdita del lavoro o dall’uscita dal sistema d’istruzione.

I disoccupati hanno diritto a un sostegno personalizzato, continuo e coerente. I disoccupati di lungo periodo hanno diritto a una valutazione individuale approfondita entro 18 mesi dall’inizio della disoccupazione.

Capo II: condizioni di lavoro eque
5. Occupazione flessibile e sicura
Indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori hanno diritto a un trattamento equo e paritario per quanto riguarda le condizioni di lavoro e l’accesso alla protezione sociale e alla formazione. È promossa la transizione a forme di lavoro a tempo indeterminato.

Conformemente alle legislazioni e ai contratti collettivi, è garantita ai datori di lavoro la necessaria flessibilità per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del contesto economico.

Sono promosse forme innovative di lavoro che garantiscano condizioni di lavoro di qualità. L’imprenditorialità e il lavoro autonomo sono incoraggiati. È agevolata la mobilità professionale.

Vanno prevenuti i rapporti di lavoro che portano a condizioni di lavoro precarie, anche vietando l’abuso dei contratti atipici. I periodi di prova sono di durata ragionevole.

6. Retribuzioni
I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso.

Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, salvaguardando nel contempo l’accesso al lavoro e gli incentivi alla ricerca di lavoro. La povertà lavorativa va prevenuta.

Le retribuzioni sono fissate in maniera trasparente e prevedibile, conformemente alle prassi nazionali e nel rispetto dell’autonomia delle parti sociali.

7. Informazioni sulle condizioni di lavoro e sulla protezione in caso di licenziamento
I lavoratori hanno il diritto di essere informati per iscritto all’inizio del rapporto di lavoro dei diritti e degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro e delle condizioni del periodo di prova.

Prima del licenziamento, i lavoratori hanno il diritto di essere informati delle motivazioni e di ricevere un ragionevole periodo di preavviso. Hanno il diritto di accedere a una risoluzione delle controversie efficace e imparziale e, in caso di licenziamento ingiustificato, il diritto di ricorso, compresa una compensazione adeguata.

8. Dialogo sociale e coinvolgimento dei lavoratori
Le parti sociali sono consultate per l’elaborazione e l’attuazione delle politiche economiche, occupazionali e sociali nel rispetto delle prassi nazionali. Esse sono incoraggiate a negoziare e concludere accordi collettivi negli ambiti di loro interesse, nel rispetto delle propria autonomia e del diritto all’azione collettiva. Ove del caso, gli accordi conclusi tra le parti sociali sono attuati a livello dell’Unione e dei suoi Stati membri.

I lavoratori o i loro rappresentanti hanno il diritto di essere informati e consultati in tempo utile su questioni di loro interesse, in particolare in merito al trasferimento, alla ristrutturazione e alla fusione di imprese e ai licenziamenti collettivi.

È incoraggiato il sostegno per potenziare la capacità delle parti sociali di promuovere il dialogo sociale.

9. Equilibrio tra attività professionale e vita familiare
I genitori e le persone con responsabilità di assistenza hanno diritto a un congedo appropriato, modalità di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato.

10. Ambiente di lavoro sano, sicuro e adeguato e protezione dei dati
I lavoratori hanno diritto a un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.

I lavoratori hanno diritto a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze professionali e che consenta loro di prolungare la partecipazione al mercato del lavoro.

I lavoratori hanno diritto alla protezione dei propri dati personali nell’ambito del rapporto di lavoro.

Capo III: protezione sociale e inclusione
11. Assistenza all’infanzia e sostegno ai minori
I bambini hanno diritto all’educazione e cura della prima infanzia a costi sostenibili e di buona qualità.

I minori hanno il diritto di essere protetti dalla povertà. I bambini provenienti da contesti svantaggiati hanno diritto a misure specifiche tese a promuovere le pari opportunità.

12. Protezione sociale
Indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori e, a condizioni comparabili, i lavoratori autonomi hanno diritto a un’adeguata protezione sociale.

13. Prestazioni di disoccupazione
I disoccupati hanno diritto a un adeguato sostegno all’attivazione da parte dei servizi pubblici per l’impiego per (ri)entrare nel mercato del lavoro e ad adeguate prestazioni di disoccupazione di durata ragionevole, in linea con i loro contributi e le norme nazionali in materia di ammissibilità. Tali prestazioni non costituiscono un disincentivo a un rapido ritorno all’occupazione.

14. Reddito minimo
Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro.

15. Reddito e pensioni di vecchiaia
I lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi in pensione hanno diritto a una pensione commisurata ai loro contributi e che garantisca un reddito adeguato. Donne e uomini hanno pari opportunità di maturare diritti a pensione.

Ogni persona in età avanzata ha diritto a risorse che garantiscano una vita dignitosa.

16. Assistenza sanitaria
Ogni persona ha il diritto di accedere tempestivamente a un’assistenza sanitaria preventiva e terapeutica di buona qualità e a costi accessibili.

17. Inclusione delle persone con disabilità
Le persone con disabilità hanno diritto a un sostegno al reddito che garantisca una vita dignitosa, a servizi che consentano loro di partecipare al mercato del lavoro e alla società e a un ambiente di lavoro adeguato alle loro esigenze.

18. Assistenza a lungo termine
Ogni persona ha diritto a servizi di assistenza a lungo termine di qualità e a prezzi accessibili, in particolare ai servizi di assistenza a domicilio e ai servizi locali.

19. Alloggi e assistenza per i senzatetto
a. Le persone in stato di bisogno hanno diritto di avere accesso ad alloggi sociali o all’assistenza abitativa di qualità.

b. Le persone vulnerabili hanno diritto a un’assistenza e a una protezione adeguate contro lo sgombero forzato.

c. Ai senzatetto sono forniti alloggi e servizi adeguati al fine di promuoverne l’inclusione sociale.

20. Accesso ai servizi essenziali
Ogni persona ha il diritto di accedere a servizi essenziali di qualità, compresi l’acqua, i servizi igienico-sanitari, l’energia, i trasporti, i servizi finanziari e le comunicazioni digitali. Per le persone in stato di bisogno è disponibile un sostegno per l’accesso a tali servizi.
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QualEuropa?

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EUROPA:
pilastro sociale e difesa comune

di Roberta Carlini, su Rocca

Una strana Europa, quella che si affaccia alle cronache in questo autunno del 2017. C’è il Paese leader, la Germania, additata da sempre come modello di stabilità granitica, sia economica che politica, che pur avendo votato da più di due mesi è ancora senza governo, avvitata in trattative che la rendono simile all’Italia più che al modello che da ogni parte viene invocato. Ci sono lettere che partono da Bruxelles, o che fanno notizia ancor prima di partire, come quella che chiede all’Italia un maggior rigore sui conti pubblici, a futura memoria e dettatura di un programma di politica economica del governo che sarà – le cui trattative, con tutta probabilità, dureranno ancor più di quelle dei partiti tedeschi. C’è l’accelerazione sulla difesa comune, con un patto di cooperazione strutturata permanente firmato da ventitre Paesi su ventisette. E la firma di altri solenni principi, messi nero su bianco nel nuovo «Pilastro» sull’Europa sociale: come se quell’aggettivo «sociale», al fianco del nome Europa che pure quel modello ha battezzato, necessitasse di un nuovo impegno, dimenticato com’è dopo il doppio passaggio di Maastricht e della grande crisi.

l’onda lunga dello choc di Trump
C’erano i ministri della Difesa e degli Esteri di ventitre Paesi, il giorno della firma del trattato di «cooperazione strutturata permanente» sulla Difesa (Pesco), a Bruxelles. Mancavano i ministri di Portogallo e Irlanda, che firmeranno a dicembre; mancavano, e mancheranno, i governi di Danimarca e di Malta; e manca ovviamente la Gran Bretagna: che, con la sua uscita dalla Ue, ha dato una spinta allo stesso processo di rafforzamento in tema di difesa. È stata infatti proprio l’onda lunga destabilizzante che è partita dall’elezione di Trump, con il suo motto «America first» e il suo ondivago disimpegno dagli affari europei; è proseguita poi con il voto della Brexit, facendo venir meno l’anello di congiunzione tra la potenza economica europea e il suo alleato atlantico. L’effetto geo-politico è evidente: nelle crisi locali – geograficamente definite, ma potenziali fonti di instabilità globale, come quella ucraina – l’Europa dovrà sempre più vedersela da sola, essere capace di una voce comune e non contare solo sulle decisioni e sugli armamenti statunitensi. Anche se ci vorrà del tempo, dato che la firma della Pesco ha solo iniziato un processo lungo, la direzione è chiara: rafforzare quel che l’isolazionismo americano e la defezione inglese hanno indebolito.
L’onda d’urto è stata tanto forte da portare i governi europei a riuscire in un passo che era stato tentato – con un fallimento – l’ultima volta sessant’anni fa, e mai più poi ripreso. Ma può il «nano politico» europeo parlare ora una sola voce, nelle crisi regionali e globali?
In realtà la politica di cooperazione sulla difesa è ancora ben lontana dal punto di arrivo e gli interessi nazionali, nella politica estera, predominano. Lo si è visto bene, guardando a due vicende che ci hanno coinvolto dolorosamente, con la crisi diplomatica con l’Egitto seguita all’omicidio Regeni e con la gestione della vicenda libica: in entrambi i casi, l’Italia è stata lasciata sola e la Francia si è messa sulla corsia di sorpasso, ad approfittare della situazione e decidere per suo conto. Niente garantisce che in futuro non sarà così. L’accordo sulla Difesa, come spesso succede nelle vicende europee, parte dall’economia sperando di arrivare alla politica. Lo dice il «Reflection paper» presentato a giugno dall’Alto rappresentante Federica Mogherini, che ha aperto la strada all’accordo di novembre: la spesa europea per armamenti è troppo frazionata e presenta numerosi sprechi. Questo perché ogni Paese sviluppa il suo sistema, con duplicazioni, difficoltà di coordinamento, sistemi d’arma che non si parlano. L’Unione europea, dice il documento, spende attualmente per la Difesa 227 miliardi di euro, ossia l’1,34% del proprio Pil; mentre gli Stati Uniti spendono più del doppio: 545 miliardi di euro, ossia il 3,3% del loro Pil. Ma negli Usa ci sono 30 sistemi d’arma, nella frazionata Europa se ne contano ben 178. Un ostacolo alla integrazione, uno spreco di economie di scala, un «costo-opportunità», recita il Reflection paper.
Lo stesso si può dire per moltissimi aspetti della vita pubblica e dell’economia europee, a cominciare da quello dei sistemi fiscali, la cui concorrenza reciproca apre grandi possibilità per chi vuole evadere ed eludere le tasse – come lo scandalo dei Paradise Papers, negli stessi giorni, si incaricava di mostrare.
Ma sulla difesa si è scelto di intervenire, e con urgenza: ci sono soldi, contratti, linee di produzione; quello delle armi resta l’unico campo nel quale una politica industriale – necessariamente comune – e un interventismo pubblico sono elogiati e non disprezzati, con l’ideologia che ha guidato l’Unione messa temporaneamente da parte in nome di interessi superiori: «se l’Europa vuole competere nel mondo, avrà bisogno di mettere in comune e integrare le proprie migliori capacità tecnologiche e industriali», si legge nel documento. Obiettivi e parole più legate al mondo dell’economia che a quello della geopolitca: è vero che le due cose inevitabilmente vanno insieme, ma è anche vero che, in assenza di strutture istituzionali che portino democraticamente a una politica comune, il rischio è che sia solo il business a trainare le decisioni. Oltre allo sviluppo dei sistemi d’armamento comuni, il nuovo patto prevede che l’Europa parli con una voce unica anche nelle «operazioni esterne», con gli interventi nelle aree di crisi.

un pilastro traballante
Molta minore attenzione ha ricevuto, nello stesso periodo, un’altra notizia proveniente dalle istituzioni europee. Anche questa definita, dai protagonisti «di portata storica». Nel vertice di Goteborg del 17 novembre è stato approvato dai capi di governo il «Pilastro sociale» dell’Unione, ossia un programma in venti punti per rafforzare l’Europa sociale. I venti punti fanno riferimento a tre grandi aree, che sono «pari opportunità e accesso al mercato del lavoro» (si va dall’istruzione alla parità di genere al sostegno attivo all’occupazione), «condizioni di lavoro eque» (dove si ribadisce il binomio flessibilità più sicurezza, si parla di salario minimo, di partecipazione dei lavoratori, di ambiente di lavoro, di conciliazione tra lavoro e famiglia), di «protezione sociale e inclusione» (reddito garantito, assistenza sanitaria per tutti, alloggi, accesso ai servizi essenziali…). «Non è una poesia, ma un programma politico», ha detto il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker presentandolo.
L’enfasi è tutta politica: di fronte alla crescente protesta o disaffezione per l’unificazione europea, si cerca di correre ai ripari tornando ai principi istitutivi del welfare europeo, che sono purtroppo lettera morta in molti Stati, o perché non ci sono mai arrivati – come molti Paesi del Sud –, o perché sono stati messi in discussione dalla crisi fiscale e da quella economica. Ma che credibilità ha un’Unione che ribadisce questi principi, anche adeguandoli alle novità dei tempi come l’innovazione tecnologica e la parità di genere, ma non ha né dà strumenti per attuarli? In mancanza di un bilancio e di un governo comuni, la costruzione del «pilastro sociale» è lasciata agli ingegneri dei singoli Stati, che ben poco potranno fare se la stessa Unione con una mano dà – o meglio, scrive – diritti, con l’altra li toglie per mancanza di fondi e per le politiche di austerità. Ma almeno da domani, o da dopodomani, i governi che vogliono cambiare strada avranno un principio, anche giuridico, al quale appellarsi.
Roberta Carlini
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Proposta di proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali
(…) testo della proclamazione interistituzionale sul pilastro europeo dei diritti sociali approvato dal Coreper il 20 ottobre in vista della sessione del Consiglio (EPSCO) del 23 ottobre 2017.
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- L’accordo del 17 novembre 2017.
- Il LIBRO BIANCO SUL FUTURO DELL’EUROPA.
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———-Per correlazione———–
La governance unitaria dell’area euro pilastro della crescita inclusiva dell’Unione Europea
1 dicembre 2017
[Gianfranco Sabattini su il manifesto sardo]
Dopo le celebrazioni dei sessant’anni dell’UE, celebrate a Roma nel marzo scorso, è stato rilanciato l’antico tema dell’Europa a più velocità, presentato ora nella forma di “pluralità di cooperazioni rafforzate”, o di “integrazione differenziata”. Queste formule, ancora più che nel passato, sono proposte oggi al fine di favorire la convergenza dei sistemi economici dei Paesi membri, considerata strumentale rispetto alla ripresa del processo di unificazione politica dell’Europa. (segue)

Legge elettorale e attività del Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria

democraziaoggi-loghettoLegge elettorale regionale: in Sardegna si vuole allargare alle donne il concorso alla truffa. Quali spunti dalla Sicilia per una vera riforma?
10 Novembre 2017

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Riflessioni e iniziative nella riunione Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria di Cagliari dell’8.11.2017
(segue)

Catalogna e Unione Europea

Europa flagSOCIETÀ E POLITICA » GIORNALI DEL GIORNO » ARTICOLI DEL 2017
La Catalunya indipendente
di PAOLO LEPRI
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il manifesto
L’AZZARDO DELL’INDIPENDENZA.
SCATTA IL COMMISSARIAMENTO

di Giuseppe Grosso

Catalogna. Il Parlament dichiara la República catalana: 70 Sì, 10 No, 2 voti in bianco e 53 deputati assenti su 135. E a Madrid il senato mette in moto l’articolo 155. Rajoy destituisce Puigdemont e il suo governo e convoca elezioni regionali il 21 dicembre.
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il manifesto e Corriere della Sera 28 ottobre 2017. Articoli di Giuseppe Grosso e Paolo Lepri, ripresi da eddyburg e da aladinews (m.p.r.)
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sedia di VannitolaGrande solidarietà ai Catalani. Il problema dell’indipendenza in Europa è però molto più vasto. Occorre, a mio avviso, lottare perché trovi spazio in Europa l’idea che la UE deve essere federale e deve federare non solo stati ma anche comunità che per tradizione, cultura, lingua, vicende storiche e quant’altro vivono una condizione identitaria specifica e particolare. A prescindere dalla dimensione quantitativa delle popolazioni interessate, dalla superficie geografica del territorio che occupano. L’obiettivo deve essere la ricostruzione dell’Europa intorno agli obiettivi fondanti che ne hanno favorito la nascita e restano ancora, per la gran parte inattuati. L’arroccamento intorno al concetto di Stato come entità monolitica e immodificabile è pura follia. Molti Stati, e l’Italia fra questi, non sono diventati tali per scelte condivise tra individui di tradizioni, cultura e lingua comune ma, molto più semplicemente, come risultante degli scontri tra eserciti delle monarchie europee e come opera di Trattati che, fino a prova contraria, possono e devono essere messi in discussione. Si tratta di una questione di non poco conto per l’Europa, per il superamento della crisi che l’Unione vive. La scommessa è quella di realizzare una Unione europea pacifica, solidale e federata, un’unione di popoli che, nel rispetto delle specificità, si danno obiettivi di sviluppo comuni. L’Europa della conservazione degli Stati immutabili non ha futuro. (Vanni Tola)
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Si conclude la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Le proposte per il Lavoro

logo-settimane-sociali-300x212-gkj8v228 ottobre 2017 – Le quattro proposte della Chiesa italiana al governo
Settimane Sociali Le quattro proposte della Chiesa al governo
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- Le tre proposte per l’Europa.
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Intervento conclusivo della Settimana del presidente mons. Filippo Santoro
Il mandato finale del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI
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Video LE SETTE PROPOSTE per #illavorochevogliamo
Quattro per l’Italia, tre per l’Europa (a cura di Sergio Gatti, vicepresidente del Comitato per la Settimana Sociale di Cagliari).
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(segue)

Festa dell’Europa 2017

FESTA EUROPA BOMELUZO 2013Il 9 maggio è celebrato in tutti gli Stati membri come giornata dell’Europa, in ricordo della “dichiarazione Schuman” (Parigi, 1950) con la quale il Ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose di creare per l’Europa una nuova forma di cooperazione politica, che avrebbe promosso la pace tra le nazioni del vecchio continente.
La proposta di Schuman è considerata l’atto di nascita dell’Europa comunitaria. Nel 1985 i capi di Stato e di governo, riuniti a Milano, decisero di dedicare il 9 maggio alla Festa dell’Europa: una giornata di informazione, orientamento e discussione sulle tematiche dell’UE, con attività di particolare contenuto culturale ed educativo.
Quest’anno la Festa dell’Europa si inquadra nelle celebrazioni dei 60 anni della firma dei Trattati di Roma.

EuropaCheFare?

sardegnaeuropa-bomeluzo44-300x211L’Europa è in crisi perenne: ecco cinque punti (necessari) per uscirne
Perché i documenti e i proclami di unità non vengano disattesi dai fatti e dalla storia è necessario che alcuni punti del patto che unisce i paesi europei siano rivisti: dall’idea di EU a più velocità, alle politiche di difesa
di Francesco Grillo
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«L’Europa sarà forgiata dalle sue crisi e sarà la somma delle soluzioni trovate per risolvere tali crisi»: Jean Monnet, primo presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e padre del progetto di cui si sono appena celebrati i sessanta anni, spiegò – meglio di chiunque altro – che la forza dell’Unione Europea era nella sua precarietà. E nel fatto di non avere alternative.

Ma quali sono oggi le soluzioni disponibili all’Europa alle prese con la sua crisi più acuta? Quali soluzioni concrete riusciamo a intravedere dietro la valanga di parole, comprese quelle di una dichiarazione firmata a Roma che rassicura che “l’Europa è indivisa ed indivisibile” proprio quattro giorni prima che all’Europa arrivi ufficialmente, per la prima volta, la richiesta di uno dei propri membri di separarsi dagli altri? Io credo che siano tre gli elementi che stanno emergendo e che, forse, fanno una proposta sulla quale cominciare a costruire un progetto politico transnazionale. Rinunciando ad una retorica – priva di risultati – che è, forse, il nemico peggiore di un sogno che appartiene a tutti.

Anche tra i paesi fondatori dell’Unione Europea esistono vere e proprie faglie, come quelle che hanno messo l’Italia contro la Germania sulle politiche di austerità, e focolai di dissenso nei confronti dell’Europa (come quelli che in Francia fanno del Fronte Nazionale il primo partito)

Più che a “multi velocità”, l’Europa del futuro sarà a “piani”. A ciascuno, però, dovrà corrispondere una condivisione di poteri piena e senza più ambiguità. L’idea delle “diverse velocità” è, in effetti, sbagliata in partenza. Sbagliata perché fa pensare che tutti si dirigono verso lo stesso obiettivo, distinguendo però tra Soci “d’oro” ed altri di caratura più bassa. E gettando, quindi, basi solide per ulteriori liti nel club. Ma sbagliata anche perché ipotizza che tra quelli di Serie A, ci siano, necessariamente, tutti e sei i Paesi fondatori (come ha precisato Gisgard D’Estaing) trascurando che, invece, anche tra i fondatori esistono vere e proprie faglie (come quelle che hanno messo l’Italia contro la Germania sulle politiche di austerità) e focolai di dissenso nei confronti dell’Europa (come quelli che in Francia fanno del Fronte Nazionale il primo partito).

Più interessante, invece, è ipotizzare (come fa l’Economist) che l’Europa accentui quella che è già una sua caratteristica: a diverse tipologie di politiche da condividere, corrispondono diverse aggregazioni. Succede già con l’Unione che è a 27 membri, ma che nel “mercato comune” arriva a 32 e scende a 19 con l’Euro. La differenza, però, è che, da questo momento, le scelte volontarie, dovranno essere chiare e non ambigue.

Far parte di una Schengen riformata, non potrà che comportare – per ragioni logiche e valoriali – l’accettazione di una frontiera comune, con un’unica polizia doganale e, ovviamente, un unico diritto d’asilo. Continuare a far parte dell’Euro non potrà che significare, mettere insieme le politiche fiscali ed economiche ed avere un unico Ministro responsabile di fronte ai contribuenti. Lo stesso varrà per le politiche di sicurezza o di difesa che sono tecnicamente impossibili se non rispondono ad un unico comando e ad apparati che condividono informazioni. Un’Europa fatta di scelte serie ma a geometria variabile; capace di superare i limiti dell’idea stessa hegeliana) di Stato moderno (indivisibile); ma anche di estendersi ulteriormente a chi non ne fa parte (ad Israele o alla Tunisia che, forse, sarebbero più forti se più vicini).

Continuare a far parte dell’Euro non potrà che significare, mettere insieme le politiche fiscali ed economiche ed avere un unico Ministro responsabile di fronte ai contribuenti. Lo stesso varrà per le politiche di sicurezza o di difesa che sono tecnicamente impossibili se non rispondono ad un unico comando

La scelta di far parte dell’Europa (in una delle sue configurazioni) dovrà, però, essere anche pienamente democratica. È impensabile pensare di continuare ad andare avanti con gli sherpa. Così come è impensabile costruire una qualsiasi delle integrazioni che abbiamo appena citato, senza fare la fatica di coinvolgere i cittadini. Sono loro i beneficiari, il motore e i difensori di ultima istanza di un progetto che non può più appartenere ad élite che hanno fallito. È, dunque, velleitaria qualsiasi ulteriore ipotesi di integrazione se non ci porremo – subito – il problema di incoraggiare lo sviluppo di un’opinione pubblica capace di aggregarsi sui grandi temi in movimenti transnazionali (come proverà a fare Varoufakis). Di istituire per il Parlamento Europeo collegi elettorali non più su basi nazionali (e con un forte utilizzo di voto elettronico). Di investire in un demos europeo, a partire dalle generazioni più giovani per le quali occorre rendere ERASMUS immediatamente disponibile a tutti.

Infine, poi, a ciascun matrimonio dovrà corrispondere una realistica possibilità di divorzio. Le unioni peggiori sono, proprio, quelle che non si possono sciogliere. Perché trasformano l’amore in una spirale di ricatti. Come è successo con la Grecia. L’Unione del futuro dovrà avere anche questa forma di flessibilità. Proprio per rendere meno traumatiche le crisi e le scelte iniziali; più liberi i suoi contraenti e più capaci di reinventare le ragioni per stare insieme senza litigare. Ovviamente non è pensabile che – all’improvviso – si possa sciogliere una politica di difesa comune. E, tuttavia, deve essere ipotizzabile che – dopo un certo periodo di tempo, più o meno lungo a seconda della politica – gli alleati abbiano la possibilità di verificare i termini dell’accordo e, eventualmente, uscire secondo regole pre-definite.

L’Europa attuale ovviamente non si butta domani. Ma va studiato un percorso per arrivare ad una configurazione molto più flessibile e concreta. E, dunque, capace nei fatti di traghettare nel ventunesimo secolo un sogno che cominciò mettendo insieme le industrie del carbone e dell’acciaio. Più del populismo, il nemico è l’inerzia: rischia di portarci, all’improvviso, in quella dimensione che stanno sperimentando milioni di giovani inglesi ed europei che studiano e lavorano a Londra e che si sono trovati in una situazione che non avevano, mai, seriamente preso in considerazione.
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Il vero argine ai populisti si chiama papa Francesco
Nessuno a Roma a marciare contro o a favore dell’Europa. Tutti a Milano per il pontefice, che si scaglia contro l’Europa della paura. Il successo di folla del Papa “pop” mostra il disorientamento in cui sono caduti sia il populismo, sia la politica “tradizionale”, sia il sistema dell’informazione
di Flavia Perina

C’è una durissima lezione per la politica e per i media nel week end appena trascorso, una lezione data dal confronto – che tutti hanno notato – tra le colossali folle mobilitate dal Papa nella sua giornata milanese e la risibile partecipazione popolare alle manifestazioni anti-europee indette a Roma, che pure erano state preannunciate come temibili, enormi, probabilmente violente e avevano beneficiato di un battage pubblicitario intensissimo.
Non è la prima volta che succede. Da molto tempo le persone, le folle – le masse, si sarebbe detto una volta – si muovono all’improvviso per eventi imprevedibili e imprevisti, del tutto fuori dall’agenda dei partiti e del sistema della comunicazione. Secondo questa agenda, al centro della preoccupazione e quindi della mobilitazione popolare, dovrebbero esserci in questa fare i temi dettati dal populismo e dal cosiddetto sovranismo, di destra e di sinistra: insicurezza, immigrazione, ma soprattutto critica all’Europa, e talvolta odio per l’Europa. Un sentimento che si rappresenta come travolgente e diffuso fino al punto che persino i leader di partiti di governo, da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, hanno giudicato indispensabile negli ultimi anni inseguirlo, farsene partecipi talvolta con proposte strampalate pur di recuperare consenso.

Da molto tempo le persone, le folle – le masse, si sarebbe detto una volta – si muovono all’improvviso per eventi imprevedibili e imprevisti, del tutto fuori dall’agenda dei partiti e del sistema della comunicazione

E’ una percezione della realtà che appare, alla luce degli eventi del week end, di scarsissimo fondamento. E non c’entra solo l’innegabile carisma di Francesco. Nel settembre dello scorso anno si scoprì all’improvviso, grazie a colossali manifestazioni in Germania – un Paese poco aduso alla protesta – che un tema laterale e giudicato “specialistico” come il Ttip, il trattato di libero scambio Europa-Usa, era in realtà ben conosciuto e assai inviso a larghissime fasce della popolazione, pronte a scendere in piazza per fermare i governi (che infatti si fermarono). Il 26 novembre scorso, qui da noi, in Italia, centomila donne invasero Roma per una protesta contro la violenza, un corteo di cui nessuno aveva previsto la consistenza, poco pubblicizzato, non sostenuto dalle consuete “macchine della partecipazione” sindacali o poliche che in quel momento erano occupate col referendum costituzionale. E allo stesso modo, in anni precedenti, la politica e i media furono stupiti da fenomeni di massa come gli Indignados, o Occupy Wall Street, che da un giorno all’altro rivelavano l’esistenza di sentimenti così radicati e forti da rompere l’abituale disincanto del Villaggio Globale e spingere le persone a vestirsi, uscire di casa, partecipare “fisicamente” a qualcosa anziché limitare l’adesione a qualche click.

Ora, a sorprenderci, sono le masse che si muovono per ascoltare di persona Francesco. Ed il suo discorso per i sessant’anni dell’Europa – quello in cui mette in guardia contro la cultura della paura, dell’egoismo, della difesa piccina del proprio orto – non è solo il più “alto” e convincente, ma anche il più partecipato. Quello che può rivendicare il maggiore e più visibile consenso popolare, mentre i sedicenti “portavoce del popolo” restano isolati nelle loro nicchie rancorose o nella loro sterile visibilità social. La politica avrebbe il dovere di approfondire, anziché limitarsi alla spiegazione consolatoria del “Papa Pop” (come titola l’ultimo numero di Rolling Stones, mettendolo in copertina in una posa alla Fonzie). Dovrebbe, ad esempio, interrogarsi consenso effettivo dei cosiddetti populismi e sovranismi, e più in generale dell’intero racconto anti-europeo: quanto di esso corrisponde davvero a un sentimento diffuso, e quanto è legato a una resa culturale delle elìtes, al loro “dare per scontato” che quello sia il campo dove competere?

La politica avrebbe il dovere di approfondire, anziché limitarsi alla spiegazione consolatoria del “Papa Pop” (come titola l’ultimo numero di Rolling Stones, mettendolo in copertina in una posa alla Fonzie)

Angelo Panebianco ci ha spiegato, di recente, che le egemonie politico-culturali non nascono necessariamente dalla forza e dall’intelligenza di chi le costruisce e le cavalca con spregiudicatezza, ma assai spesso dalla resa di chi dovrebbe coltivare un pensiero critico e suggerire altre strade, altre soluzioni. In Italia questa resa è più palese che altrove perché non c’è area che si sottragga all’inseguimento della xenofobia, dell’approccio securitario ai problemi, della logica del sospetto e della paura, e naturalmente al racconto dell’Europa matrigna, nella convinzione che il consenso ormai si possa conquistare solo così, parlando alle famose “pance del Paese”. Dopo la giornata di sabato, dopo aver visto da una parte il populismo senza popolo e dall’altra le colossali folle radunate intorno a questo Papa e al suo messaggio totalmente controcorrente, qualche dubbio bisognerebbe cominciare a porselo.
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SardegnaCheFare?
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EuropaCheFare?

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L’Europa deve essere politica e federale. Ma resta un’utopia
di Nadia Urbinati
eddyburg
«Il Trattato di Roma ha messo al centro il diritto di movimento delle persone e delle merci; come nella tradizione settecentesca ha associato la libertà ai fattori economici o di produzione, la cittadinanza all’apertura dei mercati». Huffingto Post online, 25 Marzo 2017 (c.m.c.)
Il processo di unificazione Europea, di cui celebriamo il sessantesimo compleanno, ha aperto la strada a una nuova cittadinanza. Studiosi della politica e giuristi hanno abbondantemente illustrato il paradigma post-nazionale e sovranazionale della libertà politica che dissocia la cittadinanza dalla nazionalità. Si tratta di una rivoluzione non meno epocale di quella del 1789 che, per ripetere le parole di Hannah Arendt, inaugurò la «conquista dello stato da parte della nazione» e in questo modo l’inizio della democratizzazione.

La storia dell’Europa moderna conferma che mentre la formazione dello stato territoriale ha unificato il corpo dei sudditi della legge è stata la sovranità nazionale a rendere gli stati democratici. Il diritto che ha segnato questo mutamento epocale è quello di e/immigrazione, ovvero la libertà di movimento, delle persone e dei beni.

L’Unione europea nacque sulla libertà di movimento ma con un’ambiguità economica che non è scomparsa, nemmeno quando con il trattato di Lisbona la cittadinanza europea è stata consolidata da una famiglia di diritti costruiti attorno al “libero movimento” e alla “non discriminazione” tra gli Stati membri e all’interno di essi. Pur riconoscendo che l’immigrazione è un fatto fondamentale della vita umana, che riflette la ricerca di individui e collettività di migliorare la propria condizione di vita, ha scritto Ulrich Preuss, essa non mai ha di fatto tolto di mezzo le ragioni economiche per il diritto di movimento e il ruolo degli Stati membri. È vero che, comunque, le ragioni economiche non furono mai così preponderanti da bloccare lo sviluppo di decisioni riguardo la cittadinanza dell’Unione europea e da dare a quest’ultima uno status giuridico formale (il Trattato di Maastricht del 1993) e aumentarlo incrementalmente con i successivi trattati di Amsterdam (1999), Nizza (2003) e Lisbona (2009). Ma tutto questo è avvenuto prima della grande crisi finanziaria.
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È stata sufficiente questa crisi a mostrare le ambiguità: il Trattato di Roma ha messo al centro il diritto di movimento delle persone e delle merci; come nella tradizione settecentesca ha associato la libertà ai fattori economici o di produzione, la cittadinanza all’apertura dei mercati.
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All’inizio del processo europeo di unificazione, quell’ambiguità si applicava essenzialmente all’immigrazione interna (l’antica preoccupazione degli anni ’50 e ’60). Successivamente si è applicata all’immigrazione extracomunitaria, formando sia la politica di integrazione con gli immigrati irregolari (descritti come cittadini di Paesi terzi) sia quella della repressione con i migranti sans-papiers. Joseph Weiler ha così argomentato che «la cittadinanza europea equivale a poco più di un cinico esercizio di pubbliche relazioni e che anche il più sostanziale diritto (al libero movimento e alla residenza) non è concesso secondo uno status dell’individuo in quanto cittadino ma in ragione delle capacità dei singoli come fattori di produzione».

Se il diritto fondamentale di libertà di movimento è così direttamente connesso a ragioni economiche – la circolazione di una forza lavoro concorrenziale – ciò significa che i confini nazionali sono interpretati e utilizzati come meccanismi funzionali a una divisione internazionale del lavoro. Essi diventano il centro del conflitto tra opposti interessi, nel senso che i lavoratori stranieri (che minacciano la classe lavoratrice di una nazione accettando di lavorare senza la stessa protezione sociale e gli stessi salari della classe lavoratrice nazionale), incontrano gli interessi di quei settori economici la cui competitività si basa sul lavoro a basso costo. Questo è stato il ragionamento (populista ma non irrazionale) che ha guidato gli elettori nel referendum su Brexit.

Questo conflitto è il cuore di ciò che James Hollifiel ha chiamato il “paradosso liberale”, il fatto che una società democratica basata sul libero mercato e sulla libertà di movimento conserva un tratto di chiusura legale al fine di proteggere il contratto sociale tra lavoro e capitale, così riconoscendo che il proprio welfare presuppone una società chiusa e uniforme. Strategie di chiusura legale non sono necessariamente e brutalmente di tipo diretto (bloccando i confini, incarcerando e rimpatriando gli immigrati irregolari).

Di fatto, sono strategie per la maggior parte indirette, in modo particolare quando sono rivolte agli immigrati regolari, per esempio limitando i loro diritti civili e sociali, rendendo loro difficile la naturalizzazione, restringendo il loro accesso ai servizi sociali o impedendo i ricongiungimenti familiari. Dunque, per gli Stati europei, e ora anche per l’Unione europea, riguadagnare il controllo dei propri confini equivale ad ammettere che “il controllo dell’immigrazione può richiedere una riduzione dei diritti civili e dei diritti umani per i non cittadini”.

È sull’immigrazione che si gioca quindi il futuro dell’Unione: su questo diritto è sorta e su questo stesso diritto può cadere se lascerà che i singoli stati membri regolino le loro politiche delle frontiere in maniera nazionalistica (come del resto stanno già facendo ad Est). Non sembrano esserci altre soluzioni al problema europeo: perché l’Unione sopravviva deve farsi politica e avere un potere federale capace di imporsi ai governi degli stati membri. Una soluzione più utopistica oggi di sessant’anni fa, nonostante quell’Europa venisse da una carneficina mondiale e questa da sei decenni di pace.
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populorum progressio
SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DE HOMINE
Cinquant’anni fa l’enciclica indicava la via
di Giorgio Nebbia
«Scritto da Paolo VI nel 1967, il testo denuncia il malaugurato sistema che considera il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti». il manifesto, 26 marzo 2017 (c.m.c.)

Sembrano passati secoli, eppure sono passati solo cinquant’anni dal 1967, quando è stata pubblicata l’enciclica Populorum progressio, scritta da Paolo VI.

Tempestosi e ricchi di speranze quegli anni sessanta del Novecento; si erano da poco conclusi i lavori del Concilio Vaticano II che aveva aperto al mondo le porte della chiesa cattolica; era ancora vivo il ricordo della crisi dei missili a Cuba, quando il confronto fra Stati uniti e Unione sovietica con le loro bombe termonucleari, aveva fatto sentire il mondo sull’orlo di una catastrofe; i paesi coloniali stavano lentamente e faticosamente procedendo sulla via dell’indipendenza, sempre sotto l’ombra delle multinazionali straniere attente a non mollare i loro privilegi di sfruttamento delle preziose materie prime; la miseria della crescente popolazione dei paesi del terzo mondo chiedeva giustizia davanti alla sfacciata opulenza consumistica dei paesi capitalistici del primo mondo; nel primo mondo studenti e operai chiedevano leggi per un ambiente migliore, per salari più equi, per il divieto degli esperimenti nucleari.

In questa atmosfera il malinconico Paolo VI aveva alzata la voce parlando di nuove strade per lo sviluppo. Progressio, ben diverso dalla crescita delle merci e del denaro, la divinità delle economie capitalistiche.

L’enciclica sullo sviluppo dei popoli diceva bene che «il fine ultimo e fondamentale dello sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti né nella sola ricerca del profitto e del predominio economico; non basta promuovere la tecnica perché la Terra diventi più umana da abitare; economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all’uomo che esse devono servire».

La Populorum progressio metteva in discussione lo stesso diritto umano al «possesso» dei campi, dei minerali, dell’acqua, degli alberi, degli animali, che non sono di una singola persona o di un singolo paese, ma «di Dio», beni comuni come ripete papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’ e continuamente.

L’enciclica Populorum progressio indica diritti e doveri dei popoli della Terra divisi nelle due grandi «classi» dei ricchi e dei poveri, ben riconoscibili anche oggi: i ricchi, talvolta sfacciatamente ricchi, dei paesi industriali ma anche quelli che, nei paesi poveri, accumulano grandi ricchezze alle spese dei loro concittadini; i poveri che affollano i paesi arretrati, ma anche quelli, spesso invisibili, che affollano le strade delle dei paesi opulenti, all’ombra degli svettanti grattacieli e delle botteghe sfavillanti.

La Populorum progressio fu letta poco volentieri quando fu pubblicata e da allora è stata quasi dimenticata benché le sue analisi dei grandi problemi mondiali siano rimaste attualissime.

I popoli a cui l’enciclica si rivolge sono, allora come oggi, quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell’ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione «verso la meta di un pieno rigoglio».

L’enciclica denuncia il malaugurato (dice proprio così) sistema che considera il profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell’economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. E condanna l’abuso di un liberalismo che si manifesta come «imperialismo internazionale del denaro».

In quegli anni sessanta era vivace il dibattito sulla «esplosione» della popolazione, in rapida crescita specialmente nei paesi poveri, e la domanda di un controllo della popolazione, resa possibile dall’invenzione «della pillola», aveva posto i cattolici di fronte a contraddizioni. Paolo VI ricorda che spetta ai genitori di decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli, prendendo le loro «responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai figli che già hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale appartengono». Il tema della «paternità responsabile» sarebbe stato ripreso nel 1968 dallo stesso Paolo VI nella controversa enciclica Humanae vitae e, più recentemente, da papa Francesco che ha detto che per essere buoni cattolici non è necessario essere come conigli.

Il progresso dei popoli è ostacolato anche dallo «scandalo intollerabile di ogni estenuante corsa agli armamenti», una corsa che si è aggravata in tutto il mezzo secolo successivo con la diffusione di costosissime e sempre più devastanti armi nucleari, oggi nelle mani di ben nove paesi, oltre che di armi convenzionali.

In mezzo secolo è cambiata la geografia politica; un mondo capitalistico egoista e invecchiato deve fare i conti con vivaci e affollati paesi emergenti, pieni di contraddizioni, e con una folla di poverissimi.

I poveri di cui l’enciclica auspicava il progresso, nel frattempo cresciuti di numero, sono quelli che oggi si affacciano alle porte dell’Europa per sfuggire a miseria, guerre fratricide, oppressione imperialista, per sfuggire alla sete e alle alluvioni, alla fame e all’ignoranza, quelli che i paesi cristiani non esitano a rispedire in campi di concentramento africani pur di non incrinare il loro benessere, magari dopo avere strizzato la vita e salute degli immigrati nei nostri campi. I pontefici dicano pure quello che vogliono; le cose serie sono i propri interessi e commerci.

Eppure è fra i poveri disperati e arrabbiati che trova facile ascolto l’invito alla violenza e al terrorismo; noi crediamo che la sicurezza dei nostri negozi e affari si difenda con altre truppe super-armate, con sistemi elettronici che si rivelano fragili e violabili, e invece l’unica ricetta, anche se scomoda, per rendere la terra meno violenta e più «adatta da abitare», sarebbe la giustizia.

Oggi domenica 26 marzo 2017

abbasanta 25 3 17sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413
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sardegnaeuropa-bomeluzo44-300x211Editoriali di Aladinews
Europa?
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RIFLESSIONI PIU’ O MENO CONVINCENTI…
democraziaoggiHouellebecq: “Sono populista, voglio che il popolo decida su tutto”.
L’intervista di Stefano Montefiori su Il Corriere della Sera, ripresa da Democraziaoggi.
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L’azienda dove nessuno comanda. «Il capo? Qui è inutile»
La società Crisp di consulenza informatica è senza Ceo da 9 anni. L’organizzazione è orizzontale, improntata alla trasparenza totale e su tempi di reazione rapidi. Il fatturato è di 6 milioni di euro ed è in crescita.
Sul Corriere della Sera/Esteri online.
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Il sociologo De Masi: “Per battere la disoccupazione, bisogna lavorare gratis”. Su
linkiesta logoripreso da ALADINEWS/Fomento impresa (con un commento di Lilli Pruna).
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UE. La Dichiarazione di Roma
Istruzioni per la lettura
Equilibrismo, allusioni e ambiguità. Il documento firmato ieri nella capitale italiana spiegato al di là della diplomazia. «Abbiamo ritrovato la fiducia in un progetto comune», ha commentato il presidente del Consiglio Gentiloni. Di Paolo Valentino sul Corriere della Sera online.
UE 60Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea La dichiarazione di Roma (25 marzo 2017)
Su FondazioneSardinia.
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60° Anniversario del Trattato di Roma. Il saluto del sindaco di Roma Virginia Raggi censurato dalla RAI
Su CagliariPost.
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Papa-a-Milano 25 3 17SOCIETÀ E POLITICA »EVENTI» 2015-ALTRA EUROPA
Nani sulle spalle di giganti
di Norma Rangeri su il manifesto
«Il cuore della presenza popolare ieri non era nella Roma blindata che ospitava i leader europei, ma era nella Milano dove centinaia di migliaia di persone accoglievano la visita di papa Bergoglio nel suo viaggio pastorale tra le periferie». il manifesto, 26 marzo 2017

Oggi sabato 25 marzo 2017

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SETTIMANE SOCIALI dei CATTOLICI ITALIANI LocandinaSettimanaSociale2017 – Presentate le “Linee di preparazione” verso Cagliari.
DOCUMENTO.
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lampadadialadmicromicro13Editoriali di Aladinews. lavanda di primavera 17La Chiesa italiana in attesa di rinnovamento
- Imboccare vie nuove.
di Brunetto Salvarani su Rocca
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sardegnaeuropa-bomeluzo44-300x211Europa?
L‘Europa ha 60 anni, ma non esiste.
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democraziaoggiL’egemonia in Gramsci
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

DIBATTITO. Europa?

bandiera-SardegnaEuropa3Il problema dell’Unione Europea? Mancano strategia, ambizione e pragmatismo
La rassegna stampa europea di questa settimana a cura della News LINKIESTA. In primo piano l’Europa, in crisi esistenziale, a cui mancano strategia e ambizione e poi la questione della tassa sui robot
di EuVisions, Carlo Burelli e Alexander Damiano Ricci.
linkiesta logo
(9 Marzo 2017 – 14:17)
Il futuro dell’Europa

Al Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa mancano strategia e ambizione. L’Europa ha bisogno di pragmatismo perché si trova in una crisi esistenziale
La questione sociale
Al Libro bianco della Commissione sul futuro dell’Europa mancano strategia e ambizione: questo il commento di Judy Dempsey, di Carnegie Europe. La pecca principale sta nel cercare di compiacere ciascuno dei 28 (presto 27) Stati membri. Il Libro bianco illustra 5 possibili scenari: proseguire lungo la strada già intrapresa; concentrarsi esclusivamente sul mercato unico; consentire una maggiore integrazione degli Stati membri, laddove la si voglia; fare meno ma in modo più efficiente; ed infine fare molto di più, tutti insieme. Il rischio sta nel fatto che tutti si sentiranno in diritto di scegliere l’opzione più vantaggiosa tra quelle presenti in questa “lista della spesa”: la Commissione sembra aver perso autorevolezza e capacità di leadership, e rende palese il fatto di non avere una strategia definita per il futuro.

Secondo Juha Sipilä, il Primo ministro della Finlandia, l’Europa in questo momento ha bisogno di pragmatismo. I cittadini non pensano che lo Stato federale sia un obiettivo per cui valga la pena lottare, ma nonostante questo isolarsi sarebbe una scelta sbagliata. Se si vogliono perseguire delle forme di solidarietà tra paesi, occorre ricordare che alla base di tutto c’è la fiducia, e dunque gli Stati membri devono assumersi la propria parte di responsabilità e rispettare le norme comuni. La cooperazione europea è stata costruita nel corso del tempo su tre principi fondamentali – pace, prosperità e valori comuni – quando l’Europa, devastata dal secondo conflitto mondiale, aveva bisogno di stabilità. L’Unione europea deve riconoscere le sue radici, e quindi salvaguardare la stabilità, la prosperità e i valori comuni del continente.

La crisi multiforme che l’UE si trova ad affrontare è diversa dalle precedenti: secondo Claire Courteille-Mulder e Olivier De Schutter (Euractiv) si tratta di una crisi esistenziale, dal momento che tocca la nozione stessa di integrazione, il che rende più che mai necessaria una ridefinizione dell’Europa in uno scenario di crisi che, iniziata nel 2008, ancora fa sentire le sue conseguenze sociali. Nell’immediato, è necessario intraprendere azioni concrete volte a dare maggiore coerenza ai diversi obiettivi nazionali, siano essi di natura fiscale, sociale o economica. Più a lungo termine, si dovrà riaprire il dibattito su come portare l’UE sotto la giurisdizione di organismi sovranazionali che tutelano i diritti della persona, se non altro per far sì che gli Stati membri siano in grado di rispettare gli obblighi derivanti dalla ratifica di trattati internazionali.

L’automazione può ridurre i costi per i consumatori: una tassa sui robot che possa ridurre l’impiego di macchinari nell’assistenza sanitaria e che quindi faccia crescere i costi delle cure mediche potrebbe danneggiare tanti lavoratori quanti ne aiuterebbe
L’Economist prende in esame la tassa sui robot proposta da Bill Gates, sostenendo che ne deriverebbero due vantaggi: maggiori risorse e rallentamento dell’automazione. Di solito gli economisti non amano le imposte sugli investimenti, dal momento che l’acquisto e l’impiego di nuove attrezzature aumentano la produttività e la crescita. Ma se il ritmo dell’automazione è troppo rapido da gestire per la società, rallentare l’automazione potrebbe apportare benefici maggiori degli svantaggi. Tuttavia, ci sono motivi per essere scettici riguardo questo approccio. Non tutti i nuovi robot rimpiazzano il lavoro umano e alcuni rendono maggiormente produttivi i lavoratori esistenti. L’automazione può anche ridurre i costi per i consumatori: una tassa sui robot che portasse a ridurre l’impiego di macchinari nell’assistenza sanitaria e che quindi facesse crescere i costi delle cure mediche potrebbe danneggiare tanti lavoratori quanti ne aiuterebbe. Un ulteriore problema è che almeno per ora la crescita della produttività rimane deludente, e questo suggerisce che semmai l’automazione sta avvenendo troppo lentamente, piuttosto che troppo rapidamente come si teme.

Rutger Bregman propone un ‘modo semplice’ per eliminare la povertà, sostenendo che dovremmo abbandonare l’idea secondo cui i ricchi “meritano” la loro condizione sociale superiore. Un lavoro di Eldar Shafir, docente a Princeton, esamina il caso dei coltivatori di canna da zucchero in India: questi ultimi ricevono circa il 60% del loro reddito annuo in una sola volta, ossia subito dopo la raccolta, il che li rende poveri per una parte dell’anno e ricchi per l’altra. Sorprendentemente, i loro test del QI mostrano che quando sono “poveri” ottengono 14 punti in meno rispetto allo stesso test effettuato quando sono “ricchi”. Ciò si spiega con il fatto che le persone si comportano in maniera diversa quando percepiscono “scarsità”, concentrandosi su una mancanza immediata piuttosto che guardare alla prospettiva di lungo termine. Questo è il motivo per cui così tanti programmi contro la povertà falliscono. Una soluzione semplice sarebbe un reddito di base universale, misura rivelatasi efficace quando è stata sperimentata per 4 anni a Dauphin, a partire dal 1974: l’esperimento ha mostrato che le persone non solo si arricchiscono, ma diventano anche più intelligenti e più sane. Il rendimento scolastico dei bambini è migliorato notevolmente, il tasso di ospedalizzazione si è ridotto dell’8,5%, e anche la violenza domestica è diminuita, così come i problemi di salute mentale. Inoltre, le persone non hanno abbandonato il proprio impiego per ricevere il sussidio. Un reddito di base fungerebbe da capitale di rischio per le persone, e sarebbe conveniente dato che la povertà ha enormi costi occulti.

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Leggi anche:
– Greece: Lenders take unacceptable hard line on worker rights – Euractiv
– Britain may find it hard to escape the European Court of Justice – Economist
– Michael Gove on the Trouble with Experts – Chatham House
– Leaving the EU is the start of a liberal insurgency – The Guardian
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Cinque possibili strade per l’Unione Europea
di Vincenzo Comito su eddyburg.
eddyburg
«Nel Libro Bianco del presidente della Commissione europea per la prima volta viene avanzata l’idea che in tema di costruzione europea l’Unione possa anche fare dei passi indietro». Sbilanciamoci.info, 9 marzo 2017 (c.m.c.)

Che il progetto dell’Unione Europea sia da tempo in una crisi profonda non è certo una questione controversa. I sintomi del male sono chiari: basti ricordare il crescente euroscetticismo che si va diffondendo dovunque e l’attacco quasi quotidiano, da parte dei rappresentati politici di molti paesi, verso Bruxelles.

Per parte nostra, su di un piano politico, ricordiamo come l’Europa si sia intrappolata in una deriva tecnocratica e neo-liberista, con la corsa all’austerità, le svalutazioni “interne” e le cosiddette riforme “strutturali”, i favori ai paradisi fiscali, il taglio dei bilanci comunitari, l’assenza di politiche di sviluppo.Semmai oggi le incertezze planano sul che fare di fronte a tali minacce e a tali problemi.

Alcuni progetti di riforma
Negli ultimi mesi si vanno elaborando da diverse parti dei progetti di riforma su tutta o su una qualche parte della costruzione europea. Meraviglia semmai che esse non siano poi troppo numerosi, né che il dibattito in merito si presenti come molto vivace, o di livello adeguato, sintomi forse anche questi di una crisi profonda del progetto europeo.

Intanto c’è questa proposta della Merkel mirante ad un’Europa a più velocità, idea sufficientemente vaga per dare adito a diverse possibili interpretazioni; sempre in Germania, invece, Schultz, che comunque è d’accordo su questa ipotesi della cancelliera, vuole peraltro chiudere con la politica di austerità, da lui considerata come una delle cause fondamentali della crisi e vuole invece introdurre gli eurobond per migliorare le prospettive delle economie indebitate.

Ad un summit tenutosi a Versailles il 6 marzo, anche Francia, Italia e Spagna si sono dichiarate d’accordo con l’idea della Merkel, anche se temiamo che ogni paese, utilizzando l’espressione, pensi a cose almeno in parte diverse da quelle degli altri.

D’altra parte, si va discutendo di portare avanti la costruzione europea mettendo in comune in tutto o in parte il settore della difesa; ma non ci sembra poi una grande idea quella di rilanciare il progetto cominciando proprio da lì. Eccellono nell’esercizio pan-militare i governi italiano e francese.

Va ancora segnalato che il parlamento olandese sta avviando una commissione di inchiesta per valutare i pro ed i contro del mantenimento del paese nell’eurozona (Barber, 2017). Trattandosi di uno dei sei paesi fondatori della costruzione europea questo non appare certo un bel segnale.

Per quanto riguarda l’Italia, hanno destato un certo clamore le conclusioni a cui è giunta una ricerca della società Macrogeo, una creatura di Carlo De Benedetti, che da per scontata una chiusura dell’esperimento europeo e l’emergere invece di un polo mega-tedesco, cui farebbero capo paesi quali l’Olanda, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, alcune realtà scandinave ed eventualmente il Nord dell’Italia, che così si staccherebbe dal resto del paese.Come si vede il livello di confusione appare piuttosto elevato.

Le dimissioni di Juncker
Juncker aveva già fatto parlare di se qualche settimana fa, quando sembrava che egli fosse sul punto di presentare le dimissioni dalla carica, essendo la Commissione al crocevia di una serie di contraddizioni difficilmente sanabili. Egli ha apparentemente poi cambiato idea. Ricordiamo, a proposito dei problemi che egli può avere incontrato a Bruxelles negli ultimi tempi, solo un episodio che riguarda il nostro paese. La Commissione, ponendo molte speranze nelle promesse di rinnovamento del governo Renzi, aveva allentato le briglie sui conti dell’Italia per ben 19 miliardi di euro; col risultato di ricevere in cambio degli insulti dal capo del governo della penisola, che voleva ottenere ancora di più, ma contemporaneamente anche gli attacchi della Merkel, che gli ricordava come lo stesso Renzi avesse poi utilizzato le concessioni della Commissione per il varo di misure quali l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e il versamento di denaro ai giovani per permettere loro di comprare i biglietti per il cinema.

Il libro bianco
In questo clima si colloca il cosiddetto “libro bianco” del presidente della Commissione, reso pubblico ai primi di marzo e presentato come un contributo della stessa Commissione al dibattito sull’avvenire dell’Unione. Il testo dovrebbe essere dibattuto al summit di Roma del 25 sempre di questo mese, quando sarà celebrato il 60° anniversario del trattato di fondazione dell’Unione.

Ricordiamo che il testo sarà completato da qui all’estate da cinque rapporti specifici, che esploreranno “l’avvenire dell’Europa sociale”, “le risposte alla globalizzazione”, “le vie per l’approfondimento dell’unione economica e monetaria”, “la difesa” e “la finanza”.

Le trenta pagine del fascicolo appena pubblicato presentano cinque possibili scenari.
Il primo è quello che l’Unione si limiti al solo mercato unico. Il libro bianco sottolinea i lati negativi dell’ipotesi, quali la perdita della libertà di circolazione, i pericoli per la stabilità finanziaria, la riduzione di status e di peso internazionale dei vari paesi europei e di tutto il continente.

Lo scenario più ambizioso propone invece un’Europa federale. Ma l’ipotesi non appare in sintonia con l’aria del tempo ed essa viene valutata come oggi politicamente non credibile.

Il terzo scenario è quello dello status quo, linea chiaramente aperta a grandi criticità, gran parte delle quali conosciamo bene già adesso, ma che sarebbero presumibilmente destinate ad aggravarsi nel tempo.

Restano i due ultimi scenari.
Il primo rilancia l’idea della Merkel, ormai appoggiata dagli altri grandi paesi dell’Unione, di un’Europa a più velocità. Le politiche comuni attuali e qualcuna di quelle future rimarrebbero per tutti i paesi, ma alcuni di essi potrebbero decidere di andare più avanti, caso per caso, come nella difesa, nella giustizia, nel diritto commerciale, nell’armonizzazione fiscale.

L’ultimo scenario, possibilmente complementare a quello precedente, vedrebbe l’Unione restituire ai singoli Stati alcune competenze oggi collocate a Bruxelles. Si tratterebbe di “fare meno ma meglio”, in tema ad esempio di politiche regionali, nonché di parte delle politiche sociali e dell’occupazione, delineando anche soltanto degli standard minimi su altri soggetti, come ad esempio la protezione dei consumatori e gli standard sanitari.

Va in proposito segnalato che è la prima volta che qualcuno suggerisce il principio che in tema di costruzione europea si può anche arretrare.

Parallelamente, invece, si dovrebbe andare più avanti su alcuni grandi dossier politici ed economici, quali la politica dell’innovazione, il commercio estero, i migranti e il diritto d’asilo, la protezione dei confini, la difesa. Ai maggiori poteri in alcune aree dovrebbe poi anche corrispondere il potere di implementare direttamente da parte di Bruxelles le decisioni collettive una volta prese.

Pur senza avanzare preferenze nette, comunque il documento suggerisce che sarebbero le due ultime opzioni quelle preferite.

Conclusioni
Come capo della Commissione, in presenza dei gravi problemi già prima ricordati, nonché della scadenza del 60° anniversario dell’Unione, della pendenza della Brexit e infine delle supposte minacce che pongono oggi gli Usa di Trump e la Russia di Putin, Juncker non poteva certo mancare di fare il punto sulla situazione e di aprire ufficialmente il dibattito.

Peraltro il suo approccio, pur con qualche spunto positivo, non ci appare complessivamente molto convincente e comunque esso fa intravedere una risposta molto debole di fronte ai problemi che si pongono.

Si può ricordare, tra l’altro, che negli ultimi anni molti studiosi ed operatori hanno elaborato delle idee e pubblicato delle ricerche che affrontano il problema in maniera anche molto approfondita. Di tutte queste analisi nel libro bianco ci sembra che non ci sia sostanzialmente traccia.

E’ vero che come presidente della Commissione Juncker non può imporre ai vari Stati le sue idee, ma comunque uno sforzo maggiore poteva, a nostro parere, essere fatto non solo a livello di analisi, ma anche di proposte.

Al di là di questo, entrando brevemente nel merito di quello che nel documento manca, ci sarebbe, tra l’altro, bisogno di attenzione ad una maggiore giustizia sociale ed economica, di andare inoltre verso la cancellazione delle politiche di austerità, di avviare grandi investimenti pubblici verso l’economia verde, le nuove tecnologie e la riduzione delle diseguaglianze tra paesi, in vista anche della messa a punto di un modello sociale europeo. Per non parlare della necessità di rinnovare la macchina organizzativa di Bruxelles, oggi tra l’altro facile preda di tutte le lobbies, come mostra in questi giorni il caso dei glifosfati e di cambiare alcuni principi di funzionamento, come quello dell’unanimità.

Ma di tutto questo nel documento non c’è traccia. Il progetto europeo, se si baserà sulle sole ipotesi del libro bianco, non sembra presentare motivi di entusiasmo.

Più in dettaglio, ad esempio sul piano sociale Juncker aveva dichiarato nel 2014 «…io vorrei che l’Europa avesse la “tripla A” sociale, altrettanto importante della “tripla A” economica e finanziaria…» (Ducourtieux, 2017). Ma la realtà non appare certo in linea con tali dichiarazioni. Per il vero, l’8 di marzo si è tenuto un “vertice sociale tripartito”, tra i dirigenti dell’Unione, i rappresentanti del padronato e quelli dei sindacati europei. Ma si è trattato, come al solito, di un dialogo tra sordi. La Commissione prepara inoltre per il 26 aprile la pubblicazione di una piattaforma europea dei diritti sociali, ma sono in pochi ad aspettarsi qualcosa da tali sforzi (Ducourtieux, 2017).
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Testi citati nell’articolo

-Barber T., Europe starts to think the untinkable : breaking up, www.ft.com, 2 marzo 2017
-Ducourtieux C., L’Europe a bien du mal à prendre l’accent social, Le Monde, 8 marzo 2017