Monthly Archives: novembre 2019
Oggi giovedì 21 novembre 2019
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Appello per il referendum sul taglio dei parlamentari
21 Novembre 2019
Alfiero Grandi – vice presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale, su Democraziaoggi.
Com’è noto, il testo che taglia il numero dei parlamentari non ha ottenuto i due terzi dei voti parlamentari nell’ultima lettura.
Come stabilisce la Costituzione, non essendoci i due terzi dei voti del Parlamento, è possibile chiedere il referendum confermativo [...]
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Dal Cile un amico ci scrive…
21 Novembre 2019 su Democraziaoggi
Octavio Abarca Castelli
La vendetta della destra – La strategia della mutilazione
Non ci si poteva aspettare niente di più orrendo che potesse sorgere dalle menti di gente che difendeva fino a poco tempo fa la dittatura militare e la figura di Pinochet ed ora è a capo del potere politico cileno. I giovani che con le […]
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Che fine farà il popolo senza terra?
Che fine farà il popolo senza terra?
di Gustavo Zagrebelsky
in “la Repubblica” del 19 novembre 2019
Da quando la terra tutt’intera è stata suddivisa in porzioni su ciascuna delle quali si esercita il dominio esclusivo da parte di popolazioni residenti, da quando cioè lo spazio terrestre si considera completo, privo di vuoti, le uscite sono ingressi in territori altrui. Si potrebbe dire: i popoli, nello spazio della sfera terrestre, sono vasi comunicanti.
Non sempre, però, chi esce trova dove entrare. Faide tribali, guerre, carestie, persecuzioni politiche religiose razziali, “pulizie etniche” costringono interi popoli a cercare salvazione scappando dalla propria terra senza che se ne offra un’altra. Si è, per così dire, sospesi sul nulla e tu stesso sei ridotto a “nuda vita” che può essere ignorata, offesa, soppressa. La violenza è estrema non quando ti negano diritti, ma quando ti si dice: per te e per il tuo popolo non c’è posto al mondo. Tutti hanno una patria, ma a te è negata e, quando ti fosse negata da tutti, sarebbe come se l’intera umanità ti dichiarasse guerra. Sei in trappola. Si può incominciare da piccoli soprusi ma, passo dopo passo, si arriva alla violenza finale. Il diritto di abitare una terra è precondizione di ogni altro diritto.
Siamo in Europa, tra gli anni trenta e quaranta del secolo scorso. A milioni di persone fu negata la terra. Non c’era un altrove perché nell’organizzazione politica del mondo non c’erano spazi vuoti e si viveva in un “unico mondo”, per di più “saturo”. Perciò, la cacciata preconizzava l’espulsione dall’umanità. Per tentare di ovviare alla terribile condizione di milioni di persone destinate a essere annientate, nel 1938 a Evian-les-bains fu convocata una conferenza alla quale parteciparono 32 nazioni. Si mirava a un accordo della comunità internazionale per ripartire i profughi in base alle capacità ricettive dei diversi paesi e consentire così un poco di mobilità pur in un mondo suddiviso tra Stati sovrani. Fu un quasi totale insuccesso (Hitler poté sfruttarlo così: se le democrazie non sono disposte a dare spazio agli Ebrei, perché io?). Analogie. Una nave, il St Louis, al comando del capitano Gustav Schröder, nel 1939 cercò di salvare un migliaio di perseguitati dai nazisti. Il “viaggio dei dannati” partì da Amburgo, la nave si diresse a Cuba dove fu respinta, cercò inutilmente di riparare in Florida e poi in Canada, finché questo moderno vascello fantasma fu costretto a rientrare in Europa. Nella disperazione il capitano progettò un volontario naufragio sulle coste dell’Inghilterra, finché riuscì ad approdare ad Anversa, dove peraltro l’odissea dei passeggeri, a terra, non era finita. Storie di cinismo che si ripetono oggi come allora con gli stessi argomenti: costi dell’accoglienza, ordine pubblico, concorrenza con i lavoratori indigeni, “prima i connazionali”, eccetera.
Siamo ancora allo stesso punto? Abbiamo perso memoria e non abbiamo imparato nulla? In verità, si incrociano due principi, ciascuno con i propri sostenitori che, nei momenti critici, si scontrano senza mediazioni: sovranismo politico e universalismo umanitario. Del primo, è condizione essenziale la difesa dei “sacri confini della patria” (espressione ripescata dal lessico dannunziano); della seconda, la protezione dei diritti degli esseri umani come tali, diritti che non conoscono confini. Il nostro tempo è in bilico, indeciso tra l’uno e l’altro principio. La folla che insulta i migranti che sbarcano dalle navi che li hanno salvati e quella che li applaude sono rappresentative di due visioni del mondo.
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 (un testo che non ha forza di legge, ma pur tuttavia è un passo nella formazione della coscienza del nostro tempo) stabilisce che «ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornarvi ». «Ogni individuo». Per l’anzidetto principio dei vasi comunicanti, a questo diritto individuale dovrebbe corrispondere un dovere generale di accoglienza. Così non è; potrebbe forse essere, il giorno utopico in cui cadessero le barriere tra gli Stati sovrani. Se un diritto all’accoglienza esiste, è perché disposto dal diritto degli Stati. La nostra Costituzione lo definisce così: «lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica ». Ma aggiunge, significativamente: «secondo le condizioni stabilite dalla legge». Questa riserva di sovranità si trova in tutte le forme di protezione
dei rifugiati previste sia dalle convenzioni internazionali che dagli ordinamenti statali.
Finché sarà così, le tragedie dei migranti resteranno questioni politiche e la politica cinica e impotente può limitarsi a lasciar crescere i non-luoghi in cui la pressione migratoria si scarica. Che cosa significa l’impotenza della politica nel tempo della saturazione degli spazi potrebbero dirlo le centinaia di migliaia, anzi milioni, di persone che, mosse dalla necessità di sopravvivenza ed espulse dai loro Paesi, si accalcano in condizioni sub-umane nei campi profughi, sostenute, dove possono, da organizzazioni umanitarie. Quasi una nazione di poveri, informe, respinta, sospesa in spazi come stazioni ferroviarie, giardini pubblici, centri di transito, baracche e tendopoli. I campi di raccolta dei profughi sono elementi ormai strutturali dell’”ordine mondiale”. Nascono provvisori, ma si consolidano e diventano elementi necessari di equilibrio in un mondo tragicamente sbilanciato. Non sappiamo con precisione quanti siano né quante persone contengano. Approssimativamente, si calcola che più di settanta milioni di esseri umani vivano lì ammassati, con bambini che non hanno mai visto altro che baracche e fango, sole cocente o freddo intollerabile, senza servizi, con scuole assenti o improvvisate, condizioni igieniche che, a vederle, lo sguardo gira altrove. La delinquenza, la violenza, lo sfruttamento e la prostituzione vi abitano. I diritti umani sono di fatto sospesi. La differenza tra “campi” e “Lager” svanisce, come nel caso della Libia. Il massimo che i governi sono in condizione di fare sono operazioni di “smaltimento” (come per le scorie, scorie umane). Sono diffusi in tutto il mondo, particolarmente nei paesi più poveri o nei paesi confinanti: Palestina, Giordania, Bangladesh, Turchia, Grecia, Yemen, Uganda, Sudan, Iran, Libano, Etiopia, Venezuela, Kenya, Qatar. Aggiungiamo le immense periferie degradate delle mostruose e ingovernabili megalopoli: baraccopoli, bidonville, favelas, anch’essi luoghi di smaltimento del surplus umano. Si calcola che almeno un miliardo di persone viva in quelle condizioni. Ci avviciniamo anche qui alla saturazione?
Quest’immensa umanità si trova in condizioni simili a quella degli ebrei perseguitati nei paesi dell’Europa dove si erano insediati da secoli, quando cercavano la salvezza in qualche nuovo porto d’approdo, incontrando ogni genere di difficoltà. Scappare, ma dove? Sradicati senza possibilità di piantare nuove radici, sono numeri, anzi numeri incerti perché non esistono censimenti. L’organizzazione del mondo attuale sembra avere bisogno di una tale massa di ostracizzati.
In sintesi: abbandono alla loro sorte, all’arbitrio degli Stati, alla reclusione in non-luoghi. Solo di questo siamo capaci? Quando vedremo come sarà andata a finire, che cosa diremo di noi? La civiltà che orgogliosamente chiamiamo “Occidente” sarà in pace con sé stessa?
Oggi mercoledì 20 novembre 2019
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Sardegna. Di energia e di annessi e connessi
20 Novembre 2019
Tonino Dessì su Democraziaoggi. – Vedasi anche la pagina fb.
Dopo l’intervento di Fernando Codonesu ecco un’altra riflessione di “persona informata sui fatti”, essendo stato Tonino Dessì assessore regionale all’Ambiente nella prima fase della Giunta Soru.
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La questione della dorsale metanifera sarda sta prendendo una piega per un verso inevitabile, per l’altro inquietante.
Per di più si sta zavorrando di bufale, anche istituzionali.
Sgombriamo il campo da […]
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Che succede?
LA LIBERTÀ COME PROGETTO COMUNE PER RISALIRE LA CHINA
19 Novembre 2019 su C3dem.
Mauro Magatti sostiene che la parabola cominciata con gli anni 60 del Novecento volge al declino e che bisogna cambiare paradigma, facendo fare un passo avanti alla libertà, non più intesa come diritto individuale ma come progetto comune (“Alla prova della libertà”, Avvenire). Gustavo Zagrebelsky s’interroga sulla sorte di quei popoli e minoranze costretti a lasciare la propria terra e non accolti in nessun luogo se non in accampamenti “umanitari”; e sulla sorte di un Occidente richiuso su se stesso (“Che fine farà il popolo senza terra?”, Repubblica). Angelo Panebianco, “L’illusione di sovranità dei nuovi nazionalismi” (Corriere della sera). Roberto Gualtieri, “Il new deal ambientale ci salverà” (La Stampa). Marco Bentivogli, “Ilva. Il vuoto colmato dai magistrati” (Sole 24 ore). Luca Liverani, “Cittadinanza agli stranieri: tre idee per riaprire i giochi” (Avvenire). Giancarlo Gamba, “Noi e i rom, oltre la discriminazione la via dell’incontro ‘per essere uno’” (Avvenire).
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PD A BOLOGNA. ALCUNI INTERVENTI, ALCUNI COMMENTI
19 Novembre 2019 su C3dem.
L’intervento di Francesco Occhetta sj (dal suo sito). Fabrizio Barca, “Un’Italia giusta e solidale. Perché la storia va in una direzione opposta e come invertire le cose” (forum disuguaglianze). L’intervento di Giorgio Gori, “Per il futuro dell’Italia servono crescita e lavoro” (libertà eguale.it). COMMENTI: Paolo Pombeni, “Il Pd si riscopre movimentista e punta tutto su sinistra vs destra” (Il Quotidiano). Goffredo Bettini, “Più a sinistra? Più vicini alle persone” (intervista al Manifesto). Lorenzo Gaiani, “Pd, una difficile ripartenza” (sito Acli Milano). Nicola Zingaretti, “Il governo trovi l’anima o noi e Di Maio affonderemo insieme” (intervista a Repubblica). Andrea Orlando, “Un problema se Pd e M5s non diventano una coalizione” (intervista al Mattino). Stefano Folli, “Tempi stretti per una scelta” (Repubblica).
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SE POPOLARE È IL BASTONE…
17 Novembre 2019 su C3dem.
Padre Bartolomeo Sorge intervistato da Marco Damilano sull’Espresso: “Ruini sbaglia a benedire Salvini”. Marco Cremonesi, “La visita segreta di Salvini a Ruini” (Corriere della sera). Roberto Rossini (presidente Acli), “Il compito dei cattolici in politica? Connettere esperienze” (intervista all’Avvenire). Mons. Ambrogio Spreafico, “L’antisemitismo è peccato. Abbiamo tollerato troppo” (intervista al Corriere della sera). Adolfo Scotto Di Luzio, “Di Maio e la cultura antisemita degli incolti” (Mattino). Michele Serra, “Popolare è il bastone” (Repubblica). Sabino Cassese, “La rete e i leader osannati dal popolo” (Sole 24 ore). Antonio Funiciello, “L’autogol radical-pop” (Espresso). Antonio Polito, “Un paese paralizzato che non sa decidere” (Corriere della sera). Romano Prodi, “Il decalogo delle priorità per rilanciare l’economia” (Messaggero). Fabrizio Barca, “Dico al Pd: ripartire dalla diseguaglianza” (intervista al Manifesto). Francesco Riccardi, “Un altro filo di questa storia” (Avvenire). Paolo Pombeni, “Pd. Una sardina non fa primavera” Il Quotidiano).
Oggi martedì 19 novembre 2019
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Gramsci oggi a Cagliari con Gianni Fresu
19 Novembre 2019 su Democraziaoggi.
Oggi nella sala della Fondazione di Sardegna via S. Salvatore da Horta 2, ore 17,30 presentazione del libro di Gianni Fresu, presente l’autore. Gianni Fresu, Antonio Gramsci, L’uomo filosofo, 2019, Pagine: 406, € 18.
Il volume è dedicato a Sergio Manes.
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Nella figura di Antonio Gramsci convivono esigenze e prospettive differenti, ma l’insieme della sua produzione teorica si sviluppa […]
Oggi lunedì 18 novembre 2019
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Legge elettorale sarda. Che fare? Bella discussione al circolo Togliatti
18 Novembre 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
La Sardegna politica è uno stagno melmoso dove nulla si muove da anni. Si susseguono i presidenti e le maggioranze, ma news, novas neanche in lontananza. Si fanno battaglie contro gli altri, in cui si chiede qualcosa a terzi, al governo, allo Stato, come per l’insularità, ma intanto il legislatore regionale […]
Dove andiamo?
ECOLOGIA
papa Francesco capovolge il mondo
di Ritanna Armeni, su Rocca
A un certo punto, più o meno agli inizi degli anni ottanta, in Europa nacquero i Verdi. Si chiamavano così i partiti ambientalisti che portarono per la prima volta sulla scena politica il problema ecologico. Il punto più importante – secondo gran parte dei nuovi partiti e movimenti – non era, come la sinistra fino allora aveva sostenuto, la questione sociale, la condizione dei poveri e degli sfruttati ma quella ambientale, la rovina del pianeta conseguenza dell’industrializzazione e dello sviluppo.
I Verdi ebbero un certo seguito in molti paesi europei e conquistarono soprattutto una parte consistente della borghesia. Nel nord Europa, ma anche in Italia, dopo anni d’ideali «estremi» dei movimenti studenteschi e operai, portarono in politica un volto moderato capace di coinvolgere parti della società non interessate al cambiamento sociale e, tuttavia, preoccupate che l’inquinamento, la disattenzione alle biodiversità, le emissioni nocive potessero danneggiare la vita, la salute, la sicurezza il benessere. In un certo senso – anche se non sempre nello stesso modo – la questione ambientale si collocò «contro» la questione sociale. O perlomeno, separata e distante da questa.
Ho ripensato a quegli anni leggendo il libro di Francesco Nostra madre terra. Edito dalla «Libreria editrice vaticana», raccoglie gli scritti ecologici, i discorsi, le omelie del pontefice e anche parti dell’enciclica «Laudato si’». Ha una prefazione del patriarca ecumenico Bartolomeo.
Ho avuto l’impressione, come spesso capita con Francesco, che le sue parole capovolgessero il mondo, o meglio lo rimettessero sulle gambe, dando allo sguardo la giusta prospettiva. Francesco ci dice che le parole a difesa dell’ambiente non mettono al riparo dalle grandi e dolorose questioni sociali che travagliano il pianeta, non nascondono le contraddizioni. La rovina dell’ambiente e lo sfruttamento dell’essere umano sono due facce della stessa brutta medaglia, non si può risolvere la prima senza affrontare e risolvere anche la seconda.
«Uno dei pericoli del nostro tempo, di fronte alla grave minaccia per la vita sul pianeta causata dalla crisi ecologica è quella di non leggere questo fenomeno come l’aspetto di una crisi globale, ma di limitarci a cercare delle pur necessarie e indispensabili soluzioni puramente ambientali», dice il pontefice.
Il punto, insomma, non è l’abolizione della caccia, la raccolta differenziata o il traffico metropolitano. E tante altre singole misure. O meglio non è solo questo. L’ambiente non si salva cercando soluzioni limitate, ma cercando di cambiarlo e quindi di cambiare il rapporto fra gli uomini e noi stessi e il nostro sguardo sul mondo. Con una rivoluzione, si sarebbe detto in altri tempi. In effetti, quello che Francesco propone non è niente di meno. L’inquinamento, i cambiamenti climatici, la desertificazione, le migrazioni ambientali, il consumo insostenibile delle risorse del pianeta, l’acidificazione degli oceani, la riduzione della biodiversità scrive «sono aspetti inseparabili della equità sociale: della crescente concentrazione del potere e della ricchezza nelle mani di pochissimi e delle cosiddette società del benessere, delle folli spese militari, della cultura dello scarto…».
Combatterli, salvare l’ambiente, e con esso gli uomini e le donne che lo abitano, significa innanzitutto cambiare la cultura dominante «quella che respiriamo, le letture, gli incontri, lo svago, i media» che è «fondata sul possesso: di cose, di successo, di visibilità, di potere».
Francesco, citando Giovanni Paolo II, parla di «strutture di peccato» che dominano, dirigono le nostre menti e portano al disprezzo per il creato, alla noncuranza per i doni che ci sono stati elargiti, allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Nostra madre terra è un volume agile, svelto, moderno, senza la solennità del testo sacro, e la pesantezza del libro teorico ma pervaso da una spiritualità radicale, generosa e ottimista. Francesco non fa parte dei predicatori di disastri, tragedie e calamità. La speranza, il buonumore, la fiducia permangono comunque in un volume che pure accusa e denuncia. Perché – dice il pontefice – proprio quanto sta avvenendo, proprio i segnali del disastro umano e ambientale possono fornirci l’opportunità di scoprirci «davvero una sola famiglia, la famiglia umana».
È possibile? È possibile credere alle parole del papa mentre ogni giorno si assiste allo scempio di «madre terra», al dolore di tanti uomini e di tante donne, alla noncuranza colpevole dei potenti?
Non sappiamo. Per Francesco è possibile. È ancora possibile la consapevolezza, quindi il pentimento e il perdono. «Sarebbe bello, dice, che diventassimo capaci di chiedere perdono agli esclusi; allora diventeremo capaci di pentirci sinceramente anche del male fatto alla terra, al mare, all’aria, agli animali…». Sì sarebbe bello. La speranza del pontefice diventa condivisibile quando si osserva la consapevolezza piena e priva di compromessi di tanti giovani che vedono in pericolo il loro futuro insieme a quello del pianeta e che non sono più disponibili e lasciarsi irretire dalle sirene del consumo. Anche per loro la lotta per l’ambiente non è disgiunta da quella contro lo sfruttamento. In questi ultimi anni hanno molto seminato. Hanno costretto il mondo degli adulti a porsi delle domande e fare più di un esame di coscienza. «Ce n’est qu’un debut» si diceva in anni ormai lontani. Le parole del papa ci dicono che si può continuare sulla giusta strada. Il cammino, dice, «consiste nel ripensare il nostro futuro a partire dalle relazioni: gli uomini e le donne del nostro tempo hanno tanta sete di autenticità, di rivedere sinceramente i criteri di vita, di ripuntare su ciò che vale, ristrutturando l’esistenza e la cultura».
Ritanna Armeni
Che succede?
IL PAPA E LA GIUSTIZIA. LA DESTRA E LE SARDINE. L’ILVA. LA SENTENZA CUCCHI
17 Novembre 2019 by Forcesi | su C3dem.
Paolo Rodari, “Il papa attacca la giustizia sovranista” (Repubblica). Angela Azzaro, “Il papa contro carcere e rigurgiti nazisti” (Il Riformista). Francesco, “Discorso al XX Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di diritto penale”. LA DESTRA CHE VINCE: Ernesto Galli Della Loggia, “Perché la destra è così forte in Europa” (Corriere della sera). Stefano Cappellini, “I senza bandiera di Bologna” (Repubblica). Franco Monaco, “L’errore del M5s è la mancata evoluzione a partito” (Il Fatto). Matteo Renzi, “Ecco la mia sfida” (colloquio con E. Patta, Sole 24 ore). L’ILVA: Irene Tinagli, “La nazionalizzazione è troppo complicata, e senza scudo penale niente acquirenti” (intervista a La Stampa); Giovanni Tria, “Investimenti in Italia frenati dai rischi legali” (Sole 24 ore); Francesco Manacorda, “La strategia della toppa” (Repubblica). Mario Chiavario, “Processo Cucchi. La buona fatica della giustizia” (Avvenire).
E’ online il manifesto sardo duecentonovantaquattro
Il numero 294
Il sommario
Il manifesto Le ragioni del no al metanodotto in Sardegna (Cristina Ibba), Il valore strategico del mare (Gianfranco Sabattini), Immigrazione: in vigore il decreto “Paesi sicuri”. A rischio le richieste di asilo (Fabio Piu), L’informazione in sintonia con uno Stato d’eccezione (Aldo Lotta), Storia e cultura: inutili scarpe vecchie (Ottavio Olita), L’Assemblea costituente per riscrivere lo Statuto sardo (Francesco Casula), La demagogia degli onorevoli sulle macerie della Sanità sarda (Claudia Zuncheddu), Turchia e dintorni. Attacco alla democrazia (Emanuela Locci), A volte ritornano. L’argentina dei peronisti (Maurizio Matteuzzi), Parasite: così metaforico, così potente (Francesca Pili), Il vaudeville italiano: autore, Emanuele Filiberto di Savoia (Ottavio Olita), Remo Bodei, maestro della scrittura filosofica (Pier Luigi Lecis), Le scarpe dei matti e il lavoro politico (Roberto Loddo).
Oggi domenica 17 novembre 2019
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Carbonia. Miniere. Slancio produttivo e organizzazione del lavoro. Il Contratto Collettivo Nazionale
17 Novembre 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Questo è il dodicesimo post sulle origini di Carbonia. I precedenti ogni domenica a partire dal 1° settembre.
‘Qui non si fanno previsioni, né discussioni di alta politica e di alta strategia. Qui si lavora’, così la scritta che accompagna l’immagine del ‘duce’, dietro la scrivania dell’impiegata in divisa, […]
Nominato il nuovo Arcivescovo di Cagliari
[Avvenire.it] Monsignor Giuseppe Baturi, finora sotto-segretario della Conferenza episcopale italiana è il nuovo arcivescovo di Cagliari. Subentra a monsignor Arrigo Miglio che lascia per raggiunti limiti d’età
Monsignor Giuseppe Baturi, ecco chi è il nuovo arcivescovo di Cagliari
-*******- Monsignor Arrigo Miglio, arcivescovo emerito e amministratore apostolico della diocesi di Cagliari, ha rivolto un radiomessaggio alla diocesi in occasione della nomina del nuovo arcivescovo monsignor Giuseppe Baturi.
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- L’annuncio a Catania dell’arcivescovo Salvatore Gristina e le prime dichiarazioni di mons. Giuseppe Baturi (si legge Batùri) [dal sito Prospettive della Diocesi di Catania]. Mons. Baturi prima di prendere possesso della Diocesi di Cagliari dovrà essere ordinato Vescovo.