Monthly Archives: marzo 2020

Oggi giovedì 19 marzo 2020

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————————————–Opinioni,Commenti e Riflessioni,Appuntamenti———————–————-
Coronvirus: qualche consiglio contro le schiocchezze
19 Marzo 2020
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Premetto che fin da piccolo, anche poi al liceo classico, sono sempre stato incuriosito dalle scienze naturali.
Per questo ho sempre ritenuto che una familiarità culturale con le materie scientifiche non dovrebbe mancare a chiunque svolga attività nei campi e nelle professioni umanistiche, sociologiche, economiche.
L’ignoranza dei fondamenti delle scienze della natura da parte […]
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I pieni e solitari poteri del capo del governo extraordinem
Stati di eccezione. Quel che più preoccupa è l’idea che in fondo si può uscire dall’emergenza con nuove, straordinarie regole anche per l’ordinaria amministrazione
Gaetano Azzariti su il manifesto.
EDIZIONE DEL 19.03.2020 PUBBLICATO 18.3.2020, 23:59 [segue]

19 marzo San Giuseppe falegname

Da Aladinew del 19 marzo 2018
Giuseppe il falegname ***************** . (Aladinews 19 marzo 2015)
Oggi si ricorda S.Giuseppe. Grande simbolica figura.
Un uomo, falegname, che interpreta e mette in azione i messaggi dei suoi sogni. Prima sposa la fidanzata incinta di un figlio non suo, e la mette così al riparo dal disprezzo e da una pena spietata; poi, pieromarcialis-3-18secondo sogno, emigra in terra straniera per fuggire il dominio di un tiranno, e salva così il futuro del figlio. Infine, dopo averlo cresciuto e avergli dato un mestiere, si accorge che quel figlio, a dodici anni (!) è capace di confrontarsi coi presunti sapienti del paese. E si toglie di scena, perchè il suo compito è finito.
Rappresenta l’umanità più vera: quella che parla poco e fa, che lavora, che rispetta la donna, che si sottrae all’oppressione, che cresce i figli e pensa al loro futuro, che si ritira in disparte senza onori e ricompense. Ricordiamoci di loro, sono i migliori. [segue]

Che succede?

c3dem_banner_04TAMPONI A TUTTI SÌ O NO? PARLAMENTO: VOTO A DISTANZA?
18 Marzo 2020 su C3dem.
Il presidente dei microbiologi italiani, Pierangelo Clerici: “Coronavirus. Tamponi per tutti? Inutile, oltre che impossibile” (intervista a quotidianosanita.it); Massimo Galli: “Il tampone non serve a nulla. Se è negativo oggi può essere positivo domani” (Il Fatto); Sergio Romagnani: “I senza sintomi sono un pericolo, per questo ci vuole il tampone diffuso” (Il Fatto); Andrea Cristanti: “Tamponi a tutti per isolare gli asintomatici. Il modello veneto” (intervista a La Stampa). VIRUS E PARLAMENTO: Ugo Magri, “Mattarella: il Parlamento dia l’esempio e non fugga” (La Stampa); Roberto Fico, “I parlamentari sono come i medici, non possono fermarsi. Voto online? Difficile” (intervista a Repubblica). Paolo Pombeni, “La democrazia come emergenza” (mentepolitica.it); Stefano Ceccanti, “Il titolo V può funzionare, ma con la clausola di supremazia” (intervista a Il Riformista).
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IL VIRUS, L’ECONOMIA E IL BISOGNO DI NUOVE ROTTE PER IL FUTURO
18 Marzo 2020 su C3dem.
Guido Maria Brera, “E’ la Chernobyl della globalizzazione” (intervista a Avvenire); Fabio Tamburini, “Un piano Marshall come nel dopoguerra” (Sole 24 ore); Laura Pennacchi, “Eurobond e mutualizzazione del debito per cambiare rotta” (Manifesto); Vincenzo Visco, “Un contenitore unico per il debito dell’Unione” (Sole 24 ore). Massimo Mercati, ad di Aboca, “Equilibrio uomo-natura per un nuovo sviluppo” (intervista a Avvenire); Aa.Vv. “Pandemia. Imparare la lezione e costruire un’Italia migliore” (lettera all’Avvenire di una quindicina di parlamentari); Gianluca Schinaia, “Clima e inquinamento favoriscono le epidemie” (Avvenire).

Coronavirus. Il videomessaggio del segretario generale dell’ONU Antonio Guterres

onu-per-coronavirus Il videomessaggio del segretario Onu Antonio Guterres. “Costerà all’economia mondiale 1.000 miliardi di dollari. Ricadute dureranno mesi”. “Siamo tutti coinvolti, e tutti insieme ne usciremo”.

Che succede nel tempo del coronavirus?

c3dem_banner_04UNA SFIDA EPOCALE PER L’UNIONE EUROPEA
17 Marzo 2020 by Forcesi | su C3dem.
Alberto D’Argenio, “Europa chiusa al mondo” (Repubblica). Federico Fubini, “I preoccupanti silenzi europei” (Corriere della sera). Stefano Folli, “C’era una volta l’Europa” (Repubblica). Giampiero Massolo, “Una sfida epocale per l’Unione” (La Stampa). Romano Prodi, “Ora servono Eurobond per centinaia di miliardi” (intervista a La Stampa). Alberto Quadrio Curzio, “Un piano europeo di infrastrutture per superare gli effetti della crisi” (Sole 24 ore). Gian Maria Gros-Pietro, “A Bruxelles serve più potere” (intervista a La Stampa). Alberto Gualtieri, “L’Europa condivida oneri e prospettive” (Sole 24 ore). Andrea Bonanni, “Sospendere le regole Ue ha un costo. Chi lo pagherà?” (Repubblica). Alberto Orioli, “Chi e come pagherà il nuovo debito inevitabile?” (Sole 24 ore). Luigi Ferrajoli, “La globalizzazione messa coi piedi per terra” (Manifesto). Daniele Raineri, Micol Flammini, “L’ora dei cattivi” (Foglio). Massimiliano Panarari, “Fra contagio e libertà dei cittadini” e “Se l’alleato diventa Xi” (La Stampa). Simone Sabattini, “Perché il caso italiano non ha fatto scuola” (Corriere).
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mentepolitica-logo
L’epidemia fra congetture, dati numerici, processi fisiopatologici e spinte “razionali”
Francesco Domenico Capizzi* – 18.03.2020 su Mentepolitica
Molti si stanno chiedendo, e qualche lettore di “Mentepolitica” mi ha interrogato a proposito, se i decessi avvengano “per il virus o con il virus” viste le età avanzate, accompagnate da pluri-morbilità, di larga parte delle persone ricoverate in Reparti di terapia sub-intensiva e intensiva e decedute. [segue]

Newsletter

logo76Newsletter 186 del 18 marzo 2020

SE MANCA L’ACQUA
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[...] La verità è che all’ora delle grandi prove non ci vuole più religione, ma più fede. E la fede consiste nel non dire mai più, di fronte alla “disgrazia”, “e Dio dov’è? dov’era?”, ma nel sapere che proprio allora sovrabbonda la grazia.
La difficoltà sta nel fatto che come deve essere la Chiesa lo chiediamo alle nostre culture, alle nostre téologie o ai nostri perfettismi e non al Vangelo. Ma proprio nella prima domenica in cui l’Eucaristia non si è potuta celebrare in comune (e invece sì, collegati o non collegati si fosse, quella del cuore) il Vangelo raccontava che Gesù in un contesto che più laico e comune non poteva essere, diceva alla donna samaritana che sarebbe venuto il tempo di adorare Dio non nel tempio di Gerusalemme o in quello alternativo costruito sul monte Garizim, ma i veri adoratori avrebbero adorato Dio in spirito e verità. Qualcuno ha pensato che Gesù volesse parlare di un tempo, chissà quanto lontano, in cui la pura fede avrebbe preso il posto della religione e perciò non ci sarebbe stato più bisogno di templi e di riti. Ma Gesù aveva detto invece: viene un tempo ed è questo. È questo il tempo in cui continua la religione, continuano a esserci i templi ed i riti, e anche l’Eucaristia e i funerali e gli altri sacramenti, ma questi a nulla varrebbero senza Spirito e senza verità e, come ha detto un’altra volta, senza perdono e riconciliazione tra i fratelli; un tempio senza fede è nulla, ma adorare Dio in spirito e verità anche se non c’è tempio né rito né clero è tutto, e anzi, dice Gesù, fatelo anche nella vostra camera quando nessuno vi vede.

Care amiche ed amici, [segue]

Oggi 18 marzo 2020 mercoledì

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Storie al tempo del coronavirus. Tre persone a passeggio: nonno con bambina, ragazza col cane… e il mio vecchio compagno Peppeto
18 Marzo 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
Non so a voi, ma a me in questi giorni capita spesso di ricevere telefonate di vecchi compagni ed amici. Si vede che sono stufi di stare chiusi in casa con la moglie, che non parla o li cazzia, e mi raccontano le cose più diverse, talvolta curiose. A me non me […]
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logo_paxchristi1Con Isaia, con don Tonino Bello sogniamo un mondo altro, possibile.
Intervento del Vescovo Presidente di Pax Christi,
+ Giovanni Ricchiuti, sulla rivista online di PaxChristi
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coronavirus

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L’epidemia travolge tutti, anche il debito globale
Vincenzo Comito
sbilanciamoci
Sbilanciamoci, 16 Marzo 2020 | Sezione: Economia e finanza, primo piano.

La diffusione del coronavirus è destinata a stravolgere l’ordine economico, finanziario e geopolitico internazionale. Mentre qualcuno, illusoriamente, invoca la deglobalizzazione e il decoupling Usa-Cina, si profila un’esplosione del debito mondiale. E con essa una nuova drammatica crisi finanziaria.

Mi unisco al dibattito in atto su questo sito sul tema del coronavirus pubblicando queste note, certamente affrettate e non organiche, su alcuni tra i molti temi oggi sul tappeto (per esempio, trascuriamo di discutere del grande problema dei rapporti con l’Europa).

Gli eroi

In queste settimane di difficoltà la stampa e la televisione nazionali non hanno mancato nessuna occasione per qualificare i medici e gli infermieri che si battono per sconfiggere il coronavirus come “eroi”, mentre la loro attività viene parallelamente definita come “lavoro eroico”.

Ricordo a questo proposito che in un’opera teatrale tra le più note di Bertolt Brecht, Galileo, ad un certo punto qualcuno pronuncia la frase “infelice è la terra che ha bisogno di eroi”. Ora, per tanti anni, sotto i governi tanto di centro-destra quanto di centro-sinistra sono stati tagliati implacabilmente i fondi per la sanità, come del resto per la scuola e per la ricerca; se si fosse fatto respirare di più il settore, oggi ci sarebbero molti più medici e molti più letti per combattere il flagello. E il lavoro degli operatori sarebbe certamente meno eroico di quanto debba esserlo per necessità oggi.

Parlare di eroismo mi sembra dunque quasi aggiungere al danno la beffa, anche se certamente non è questa l’intenzione di tanti che, pronunciando l’espressione, vogliono solo apprezzare il lavoro svolto dal sistema sanitario pubblico e dai suoi operatori.

Naturalmente i tagli alla sanità sono stati ufficialmente motivati da mancanza di fondi, magari dando la colpa alla solita Europa (ma intanto possiamo gloriarci di avere ben due portaerei, cosa che, mi sembra, neanche la Francia e la Gran Bretagna si permettono: ognuna costa complessivamente diversi miliardi di euro). Tali tagli, d’altra parte, come molti hanno già sottolineato, hanno favorito le strutture sanitarie private e quelle della Chiesa.

Per altro verso, sembra che il governo si sia tardivamente deciso di permettere che siano eventualmente e gentilmente requisiti posti letto e strutture varie nelle cliniche private, sia pure dietro lauto compenso; sembrerebbe, d’altro canto, che alcune di tali strutture abbiano chiuso qualche giorno fa i battenti proprio per evitare che esse fossero “contagiate” dal settore pubblico. Beffa suprema.

Il motore economico del mondo

Naturalmente ogni crisi porta con sé anche delle opportunità per qualcuno. In questo caso si sono avvantaggiati delle circostanze i produttori di apparecchiature che permettono di lavorare o giocare da casa, dai computer, ai tablet, ai giochi elettronici, ai software didattici, così come ovviamente i produttori di apparecchiature sanitarie.

A livello di paesi, ci sembra ormai evidente che alla fine di questa prova si sarà ancora una volta rafforzata la tendenza in atto alla crescita della forza economica e politica cinese. Incidentalmente, le autorità cinesi sembrano puntare, per l’anno in corso, a una crescita del Pil del 6,0% (Wei Janguo, 2020).

Per altro verso, e più in generale, una parte dell’Asia che comprende oltre alla Cina almeno Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Vietnam, Singapore – paesi tutti usciti rapidamente vittoriosi dalla prova del virus – rafforza il suo crescente ruolo di motore economico, e sempre più anche tecnologico e finanziario, del mondo. Dobbiamo escludere per necessità da questo elenco il Giappone, perché, a fronte di un apparente controllo pieno della situazione testimoniato dalle cifre ufficiali, nessuno purtroppo fa fede ad esse e la verità è celata. In particolare, sul fronte tecnologico ormai l’area sopra citata sembra presentare una sola debolezza sostanziale, quella relativa al settore dell’aeronautica civile.

Per altro verso, le classi dirigenti occidentali, di fronte allo scoppio della pandemia, appaiono possedute da un senso di panico e di confusione, con punte di disorientamento anche grottesco, quali rappresentate dalle dichiarazioni e dagli atti di Trump e Johnson; ma bisogna rilevare che, in generale, anche i governanti europei non sembrano poter uscire in maniera brillante dalla prova. Appare, tra l’altro, sempre più netta la sensazione che tale parte del mondo non ce la faccia più a competere adeguatamente con l’area asiatica.

Ricordiamo che la popolazione di quel grande continente conta ormai circa 5 miliardi di abitanti, mentre l’Europa circa 500 milioni e gli Stati Uniti circa 330; la Cina da sola produce ogni anno ormai quasi 9 milioni di laureati. Non sembra per molti versi esserci più partita da un punto di vista strategico, anche se in Occidente, a livello politico e mediatico, si cerca di nascondere in tutti i modi la cosa.

Oriente e Occidente

Sempre a proposito dell’Asia, la crisi ha messo in rilievo con forza, ancora una volta, alcune caratteristiche importanti che, su alcuni fronti almeno, differenziano gran parte di quel continente dai paesi occidentali: tali caratteristiche si rivelano vincenti. Vi sembra prevalere di nuovo il senso del collettivo contro invece quello dell’individuo in Occidente; vi si registra un utilizzo molto spinto e sofisticato degli strumenti dell’economia digitale per combattere il morbo, nonché una velocità e flessibilità di intervento nella crisi sul terreno economico e sociale che noi non siamo apparentemente in grado di replicare.

A proposito di uno di questi temi, un articolo del Financial Times di qualche settimana fa sottolineava come in materia di finanza digitale l’Asia appaia avanti di dodici anni rispetto all’Occidente.

È possibile il ritorno al welfare state?

Di fronte alle difficoltà rivelate dallo scoppio della malattia, si sottolinea da più parti che, passata la tempesta, niente sarà più come prima e che, in particolare, deve essere fortemente rivalutato il ruolo dell’intervento pubblico nell’economia e nella società.

Nella sostanza, molti richiedono un ritorno alle politiche socialdemocratiche del dopoguerra e una ripresa del welfare state. Gli assi principali di tale mutamento potrebbero essere la modernizzazione delle infrastrutture materiali e sociali, l’ambiente, il pieno impiego. Si vedano a questo proposito, ad esempio, l’articolo di Mario Pianta su questo stesso sito e ancora un testo di Beuve-Mery (2020).

Tutte cose certamente da auspicare. Ma si può esprimere almeno qualche dubbio sul fatto che tale mutamento sia davvero possibile.

Dopo la crisi del 1929 e dopo la seconda guerra mondiale l’affermazione del welfare state in occidente fu favorita dalle risorse generate da una fortissima crescita economica, dal permanere di alti livelli di profitti provenienti anche dallo sfruttamento imperialistico del mondo, dalla paura dell’affermazione di un modello economico e politico alternativo, quello dell’Unione Sovietica, dalla forza dei sindacati e dei partiti politici di sinistra in Europa, dalle stesse devastazioni precedenti.

Oggi le condizioni sono del tutto diverse e, mentre l’economia è in difficoltà, la domanda langue, una parte importante della popolazione è costretta al precariato e al declassamento, aumentano anche le diseguaglianze. Intanto, al banchetto vogliono partecipare anche i paesi ex-coloniali oggi emergenti, un tempo del tutto esclusi; ed essi non si accontentano delle poche briciole o dello strapuntino loro offerto, con poca lungimiranza, al tavolo dei potenti. La parte di torta che resta all’occidente si restringe e presumibilmente si restringerà sempre più.

A questo punto, le classi dominanti occidentali non appaiono possedere le risorse necessarie alla bisogna, né peraltro sembrano manifestare alcuna volontà che vada in tal senso; manca peraltro una qualche capacità di visione.

D’altro canto non si vedono oggi sul campo delle forze in grado di contrastare tale stato di cose. Nell’antica Atene la democrazia e il consenso si reggevano sostanzialmente sui tributi che la città imponeva con la forza a tutte le altre polis greche e quando essi per qualche ragione tardavano ad arrivare la popolazione cominciava a rumoreggiare. Le cose sono veramente molto cambiate da allora? Ma naturalmente sarebbe necessario approfondire meglio questo tema.

Crisi della globalizzazione

Per altro verso, da qualche tempo si parla di crisi della globalizzazione, mentre i giornali sono pieni di riflessioni che annunciano una nuova era in cui si dovrebbe registrare una tendenza alla deglobalizzazione e in particolare ad un cosiddetto decoupling tra Usa e Cina.

Ha cominciato Trump qualche anno fa a sollevare il tema, mentre ora con la crisi da coronavirus ci si accorge che, se si ferma la Cina, si fermano anche le catene di montaggio in occidente, rischiano di mancare i medicinali, non si trovano più i telefonini Apple, si blocca il turismo in tanta parte del mondo. E allora si discetta in televisione e sui giornali della necessità di ridurre drasticamente le importazioni da quel paese e di costruire delle basi produttive in occidente.

Ma si tratta in gran parte di ragionamenti senza grande consistenza effettiva, confortati soltanto dalla notizia che qualche impresa sta trasferendo una parte delle sue produzioni in qualche altro paese. Ma in Cina quest’anno si prevede ancora una crescita degli investimenti stranieri, non certo una riduzione.

La realtà è quella che i rapporti tra le varie imprese e le catene del valore sono estremamente connesse a livello mondiale e che stravolgerle – cosa che peraltro sono in pochi veramente a volere – richiederebbe grandi investimenti e un tempo molto lungo, mentre porterebbe a esiti molto incerti.

Nessuna grande impresa, per altro verso, può sostanzialmente fare a meno del mercato cinese, ormai il più importante del mondo per la gran parte dei prodotti e servizi e sede di un’inimitabile rete di forniture, di strutture logistiche molto efficienti, di capacità produttiva e di velocità e flessibilità operative, di una forza lavoro abbondante e di qualità. Dettaglio importante: quello cinese è il mercato più redditivo del mondo in molti settori.

Ovviamente, i processi di globalizzazione andrebbero semmai corretti per eliminarne o almeno ridurne gli aspetti negativi; ma questo sarebbe un altro discorso.

Per altro verso, essi dovrebbero essere oggi ancora più spinti per risolvere i grandi problemi del momento: anche il caso del coronavirus, dopo quelli della crisi ambientale, dei migranti, dell’evasione fiscale dei grandi gruppi, degli attuali livelli di diseguaglianza, delle crisi finanziarie, non si possono affrontare adeguatamente senza una più stretta collaborazione internazionale.

Una crisi del debito?

Da qualche tempo molti economisti, operatori finanziari, studiosi, pubblicano degli studi allarmati sulla crescita nel tempo dell’indebitamento a livello mondiale, sia delle imprese che degli Stati, sia dei paesi ricchi che di quelli emergenti.

I debiti totali a livello mondiale hanno raggiunto a fine 2019 il livello di 253 trilioni di dollari, cifra pari ormai al 322% del Pil; dal 2008 ad oggi il loro valore è più o meno raddoppiato.

Uno studio recente (Plender, 2020) sottolinea come una parte molto consistente dello stesso sia da attribuire al settore delle imprese non finanziarie e come una quota molto significativa di esso sia concentrata nei settori più tradizionali dell’economia, settori che generano molti meno flussi di cassa che non quello dell’economia digitale.

Inoltre, si rileva una qualità progressivamente più povera di tale indebitamento. Il Fondo Monetario Internazionale stima a questo proposito che il 40% delle attuali obbligazioni societarie a livello mondiale non sarebbero ripagabili a scadenza in caso di una crisi severa anche soltanto la metà di quella del 2008 (Jenkins, 2020).

Ora, l’esistenza di questo livello di indebitamento, per di più in parte almeno di bassa qualità, minaccia di intensificare fortemente il danno economico (Goodman, 2020) del coronavirus. La crisi in atto, se dovesse protrarsi abbastanza a lungo, rischia così di provocare una grande deflagrazione. Si notano già in queste settimane dei segni che mostrano come la fiducia nel sistema finanziario stia diventando molto meno solida di qualche tempo fa (Jenkins, 2020); intanto il panico che sembra avere afferrato le Borse appare inquietante.

Molto dipenderà quindi da quanto i governi e le Banche Centrali potranno intervenire rapidamente e con mezzi adeguati per tamponare il fenomeno.

Ah, ci sono anche i lavoratori?

Da ultimo non si può non sottolineare come nelle misure prese dal nostro governo qualche giorno fa per far fronte ai problemi generati dal coronavirus ci si fosse completamente dimenticati dei lavoratori e dei loro problemi. Ci sono voluti gli scioperi immediati e le agitazioni nelle fabbriche per far venire alla luce il problema e costringere lo stesso governo a correggere in qualche modo questa “piccola” dimenticanza.

Ma non ci si può certo meravigliare in alcun caso della mancanza di memoria, vista l’attuale visione del mondo propria dei principali partiti che fanno parte della compagine ministeriale.

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Testi citati

Beuve-Méry, A. (Anton Brender), «Il faut cesser d’etre passifs face au capitalisme globalisé», Le Monde, 15-16 marzo 2020.

Goodman, P., «Virus could set off debt bomb», The New York Times International Edition, 13 marzo 2020.

Jenkins, P., «‘Bazookas’ cannot stop coronavirus becoming a financial crisi», Financial Times, 16 marzo 2020.

Plender J., «The seeds of the next debt crisis», Financial Times, 4 marzo 2020.

Wei Janguo, «China’s 6 pct growth for 2020 remains the same», Global Times, 16 marzo 2020.

Che succede? Speciale coronavirus su Sbilanciamoci.

sbilanciamoci
37 gradi e mezzo di febbre per la sanità
17/03/2020
Rete della Conoscenza
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C’è modo e modo di “fare i conti” con la natura
17/03/2020
Paolo Cacciari e Aldo Maria Femia
La natura può avere un valore economico? È una forzatura assegnare un corrispettivo monetario a “servizi” che ci vengono forniti gratuitamente da essa, e considerare l’ecosistema che li genera come una riserva di valore finanziario accumulato. Eppure, questo avviene sempre più spesso…
15goals-flora-e-fauna-terrestreL’Agenda 2030 dell’Onu per lo Sviluppo Sostenibile (2015), afferma di voler «integrare i valori degli ecosistemi e della biodiversità nelle pianificazioni nazionali e locali e nei processi di sviluppo» (Target 15.9). Giusto, ma ci sono due modi opposti di intendere l’“integrazione”: sottoporre rigorosamente le attività antropiche alle leggi biogeofisiche che regolano gli ecosistemi (la fisiologia della natura: strutture, processi, funzioni dei sistemi naturali), oppure ridurre la natura a “capitale” considerandola un giacimento di sostanze, sistemi e servizi che possono avere un qualche utilizzo economico e piegarla alla logica di mercato. [...]
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Un decreto che cura ma non guarisce
17/03/2020
Giulio Marcon
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Needed: A finance agency to handle the financial meltdown from the coronavirus
17/03/2020
Michael Lind and James Galbraith
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Coronavirus Means Zero Hour for the European Union
17/03/2020
Thomas Ferguson and Edward J. Kane
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Social Insurance in a Time of Pandemic
17/03/2020
Emmanuel Saez and Gabriel Zucman
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Oggi martedì 17 marzo 2020

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Alcune questioni costituzionali da coronavirus
17 Marzo 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Che il coronavirus ponga delicate questioni costituzionali è ormai palese. L’emergenza sanitaria si trasforma in emergenza democratica per una semplice ed elementare ragione: la democrazia è agorà, è piazza, è incontro, e discussione in contradditorio. Se la piazza è vietata, se è muta, la democrazia arretra o non c’è.
Prendiamo la Francia, limita la circolazione […]

coronavirus

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La sanità da riscoprire. Le radici politiche del Servizio Sanitario Nazionale
Frutto delle lotte e dell’alleanza tra movimenti, gruppi sociali e professionali e forze politiche, il SSN sta subendo da tempo gli effetti nefasti di una riorganizzazione neoliberale. La sua storia insegna perché è fondamentale rilanciarlo: soprattutto oggi, di fronte all’epidemia coronavirus.
di Chiara Giorgi | 15 Mar 2020 | Intervento sul sito web del Centro per la Riforma dello Stato.

Mai come in questo momento che viviamo, in tutta la sua tragicità, stupore, paura e ostinata speranza, ma anche in tutte le sue possibili potenzialità per cambiare il verso delle cose, per rovesciare l’ordine delle priorità, torna utile ripercorrere una storia che ha contraddistinto questo paese nei “lontani” anni Settanta.
La catastrofe del coronavirus e della sua diffusione, non solo ci impone una spietata riflessione sui tagli alla sanità fatti negli ultimi trenta anni, su quelle politiche di privatizzazione e di mercificazione di sanità e welfare di cui si nutre il neoliberalismo da anni; ma ci riporta alle origini storiche e alle ragioni dello strumento che oggi è maggiormente investito dall’emergenza: il Servizio Sanitario Nazionale.
In effetti, quest’ultimo nei suoi caratteri di servizio pubblico, universalistico e fornito in prevalenza fuori dal mercato costituisce un essenziale mezzo a nostra disposizione.
Lo scriveva pochi giorni fa Marco Revelli su Il Manifesto: «Se i nostri rianimatori sono costretti ad affrontare “dilemmi mortali” – come recita l’inquietante documento del 6 marzo a loro firma – è perché altri, sopra di loro, o intorno a loro» hanno deciso della scarsità delle risorse disponibili. Lo scrivevano alla pagina a fianco Tamar Pitch e Grazia Zuffa: «l’epidemia di coronavirus sollecita a ripensare i sistemi sanitari e la loro organizzazione», recuperando, ad esempio, il ruolo della medicina territoriale.
È da qui allora che si vuole partire.
La spesa sanitaria pubblica in Italia rappresenta oggi il 6,5% del PIL, in linea con la media OCSE, ma in termini pro capite il SSN spende la metà della Germania. Calcolando la spesa in termini reali, al netto dell’inflazione, dopo un aumento in linea con gli altri paesi sino al 2009, le risorse pro capite per la sanità pubblica italiana nel 2018 sono cadute del 10%, mentre in Francia e in Germania sono aumentate del 20% (Ufficio parlamentare di bilancio, 2019). Questi dati fotografano l’entità della riduzione delle risorse pubbliche particolarmente grave in un paese ad alto invecchiamento della popolazione. È questo l’effetto delle politiche di austerità introdotte a partire dalla crisi del 2008, ma è anche il riflesso della più complessiva controrivoluzione neoliberista, segnata da spinte alla privatizzazione e alla trasformazione in merce di salute, istruzione, ricerca, cultura, ambiente, affermatasi a partire dagli Ottanta.
Da lì ebbe inizio l’attuale riorganizzazione capitalistica, oggi sempre più marcata da una intensificazione dei processi di espropriazione e di privatizzazione dei servizi collettivi del welfare. Ossia di quelle produzioni collettive dell’essere umano per l’essere umano che hanno rappresentato e rappresentano ancora una parte crescente della produzione e della domanda sociale, soddisfatta sinora in Europa per lo più al di fuori della logica del mercato (Vercellone et al, 2017).
Tuttavia, ripercorrendo ancora più all’indietro il “vero” inizio di questa stessa storia, ma da un punto di osservazione completamento diverso, quello che non è dalla parte della salute e della sanità del capitale – parafrasando uno dei più grandi interpreti del movimento di “Medicina democratica”, Giulio Maccacaro –, troveremo una grande sorpresa. È del 23 dicembre 1978 l’istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN).
Significativamente l’articolo 1 della legge n. 833 si richiamava all’articolo 32 della Costituzione e recitava: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio Sanitario nazionale». E subito dopo si indicava nel SSN il «complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (peraltro echeggiando la stessa definizione di salute fornita nel 1946 dall’OMS).
In modo emblematico in Italia una delle più importanti riforme in materia di welfare, forse la più rivoluzionaria, si realizzò quando altrove in Europa stava per iniziare la fase di riorganizzazione del capitalismo in chiave neoliberale. Ciò a conferma della peculiarità del laboratorio italiano degli anni Settanta. Ciò in ordine alla particolare sinergia realizzatasi – già a monte dell’approvazione della legge del 1978 – tra conquiste operaie e sindacali in fabbrica, pressioni e mobilitazioni portate avanti dalle varie realtà di movimento, in specie da quello femminista e studentesco –, provvedimenti di pianificazione regionale sanitaria (rafforzati dal decentramento territoriale dei servizi sociali e sanitari). Sinergia politica e culturale si realizzò insomma durante gli anni Sessanta e Settanta rispetto al progetto di riformulare in termini universalistici il sistema sanitario.
Di fatto l’elaborazione del SSN, frutto di un processo ventennale che accompagnò le trasformazioni fondamentali del paese, si combinò con l’emergere di nuove soggettività politiche, intercettando le domande di cambiamento e democratizzazione informanti gli intensi conflitti sociali di quegli anni. Le vicende che portarono alla legge del 1978, si intrecciarono così – anzi ne furono espressione – con una forte pressione dal basso, con le aspirazioni trasformative del tessuto sociale e degli assetti istituzionali, con pratiche politiche e partecipative inedite, con un fermento intellettuale di ampio respiro. Basta ripercorrere il dibattito che portò all’ideazione di quella che fu una vera e propria «istituzione inventata» (Rotelli, 1988) per notare la centralità del coinvolgimento di numerosi attori sociali e politici; ambiti collettivi di ricerca; nuovi saperi, legati in primis al settore medico-scientifico ma sempre più diffusi e condivisi, socializzati; originali forme di lotta e di sperimentazione istituzionale.
Anche soltanto a rileggere i testi di coloro che in prima linea si spesero per la riforma sanitaria, emerge un preciso e condiviso impianto politico e valoriale. Ad accomunare diverse figure come Maccacaro, Giovanni Berlinguer, Franco Basaglia, Alessandro Seppilli, Laura Conti, Ivar Oddone (per citarne soltanto alcuni) furono una visione unitaria e integrata della salute – fisica e psichica, individuale e collettiva – legata alla comunità e al territorio. Furono una concezione politica dell’ambito medico-sanitario e con essa una riconduzione della salute a fatto sociale; una consapevolezza delle responsabilità del capitalismo avanzato e dei suoi dispositivi di controllo e assoggettamento. A ciò si sommò una nuova impostazione del rapporto tra medico e paziente, assai distante da quella gerarchica che era sempre prevalsa nella storia italiana. Nonché si sommò l’opzione per un’organizzazione sanitaria periferica e decentrata, per una sua gestione diretta e partecipata, per la centralità del momento preventivo (e qualitativo) su quello curativo (e quantitativo) dell’intervento sanitario.
Maturò insomma la convinzione che il diritto alla salute, per come sancito dall’articolo 32 della Costituzione, unico diritto sociale espressamente fondamentale, comportasse scelte politiche nelle quali tutta la popolazione dovesse essere attivamente coinvolta, scelte culturali e istituzionali volte tanto a modificare nel profondo gli assetti del paese, quanto a qualificare la natura stessa della democrazia, dei suoi strumenti e presidi. Di qui la critica all’impianto assicurativo tradizionale e prevalente, allora dominato dal sistema delle mutue categoriali, la critica a uno Stato assistenziale paternalistico, categoriale e frammentato, alle logiche contributive vigenti nel sistema sanitario (e previdenziale) di quegli anni, e a quelle del profitto, largamente vigenti nel settore farmaceutico. Di qui, al contempo, la necessità di una tutela della salute da realizzarsi in modo capillare tramite la predisposizione di un servizio sanitario pubblico e universale, finanziato tramite il sistema della fiscalità generale, garantito a tutta la collettività nell’accesso e nel suo uso. Furono l’azione dei partiti di sinistra e della CGIL, le lotte portate avanti dagli operai e dalle operaie dentro e fuori le fabbriche per le proprie condizioni di lavoro e salute, furono le alleanze createsi tra questi, movimento studentesco, movimento femminista, movimento di lotta per la salute e movimento di riforma dell’assistenza psichiatrica, a rendere possibile quanto si istituzionalizzò nel 1978. Fu, non meno, una comune consapevolezza circa il fatto che la medicina non fosse neutrale nei confitti sociali; che il rapporto medico-malato andasse riformulato e liberato da un circuito chiuso e asfittico, come anche la pratica medica disancorata da criteri competitivi e mercantili; che «un ambiente morbigeno» non potesse essere compensato da incentivi salariali, ma andasse modificato e reso più salubre (Berlinguer, 1969). Fu ancora, la raggiunta consapevolezza che tutti gli esseri umani erano sottoposti a ritmi di vita massacranti, a inquinamento generalizzato, a sfruttamento intenso delle proprie vite, di cui vero e ultimo responsabile era il capitale. In questa chiave il problema della salute riguardava tutti e tutte, e l’impegno per «porre fine alla demolizione psicofisica di coloro che creano le ricchezze del paese» chiamava in causa soggetti e istituzioni, poteri e saperi di ogni ambito e disciplina (ibidem).
Lo stesso ruolo e statuto della medicina lungi dall’essere isolato investiva l’intero spazio della comunità, coinvolgeva nuovi attori, era il portato di istanze complessive di democratizzazione capaci di investire la vita quotidiana e tutti i rapporti sociali di produzione e riproduzione.
Erano le comuni esperienze sempre più diffuse sul territorio nazionale a favorire una nuova riflessione sui nessi tra scienza e potere, su una dimensione collettiva della salute, su una sperimentazione istituzionale dei servizi socio-sanitari, su una ricerca estesa all’intero sistema ambientale.
Qui risiedeva l’originalità del “caso” italiano, nel profondo legame instauratosi tra le lotte operaie, studentesche, femministe e il nuovo movimento di rinnovamento della medicina. La rivendicazione della riforma sanitaria nasceva da questa alleanza, capace di costruire forme di partecipazione diretta e contropoteri nei luoghi di lavoro e nella realtà urbane.
Si potrebbe proseguire ancora per molte pagine, citando i tantissimi documenti, libri, inchieste che si susseguirono a riguardo tra gli anni Sessanta e Settanta. Ma ci si limita a una “lezione” poco circolata e dimenticata: quella di “Medicina democratica” (MD), la cui scelta si collocava da una precisa parte. Nei due fondamentali processi, di segno opposto, andati maturando in Italia e nel mondo da tempo, ossia – scriveva nel ’76 Maccacaro – «la medicalizzazione della politica e la politicizzazione della medicina», l’una «come scelta della classe del capitale», l’altra come «scelta della classe del lavoro», MD stava da quest’ultima parte. Le sue elaborazioni e pratiche politiche assumevano la salute in una dimensione collettiva quale condizione e sostanza di quella individuale. Le sue pratiche politiche erano quelle delle lotte (collettive) – per la salute (collettiva) – volte a investire il modo di produzione e l’intera società, facendo propri gli insegnamenti provenienti dai movimenti. Soprattutto da quello femminista, essenziale sia rispetto ai profondi processi di consapevolezza innescati nel campo della salute delle donne e della riproduzione; sia nel dar vita ad alcune significative esperienze auto-organizzative; ma anche da quello basagliano della psichiatria radicale.
E ancora, si potrebbe continuare, ricordando tutte quelle iniziative, incontri diffusi in tante realtà del paese, in cui si misero in comune riflessioni aventi per oggetto di indagine e obiettivo di battaglia politica la salute considerata in termini più complessivi terreno di lotta unificante contro il sistema capitalistico (come si affermava durante un convegno fiorentino del ’73 nato dalle ricerche promosse dal Consiglio di fabbrica della Montedison di Castellanza-Varese).
Ma quel che più preme sottolineare è che si trattò di iniziative discendenti dalle mobilitazioni presenti a livello territoriale e coinvolgenti soggetti diversi: dagli organismi di base, ai consigli di fabbrica e di quartiere, ai comitati attivi nelle istituzioni, ai collettivi di infermieri e operatori sanitari, ai movimenti. Iniziative intente a confrontare saperi diversi, a sfidare le resistenze alle modifiche dell’assetto sanitario-assistenziale, a rilanciare l’avvio di una rottura del sistema sanitario allora vigente.
In sintesi, l’istituzione del SSN si ebbe a conclusione di un processo complesso, partecipato e plurale rispetto al quale fu fondamentale quanto realizzato soprattutto negli anni Settanta. Quanto cioè contribuì a riarticolare le pratiche e le “istituzioni” della partecipazione e dell’autorganizzazione della società per far fronte a bisogni e diritti misconosciuti sino a quel momento dallo Stato e dalla famiglia (sino ad allora rimasta, ma purtroppo tornata a essere, uno dei maggiori pilastri del welfare). Fu in altre parole una certa “qualità” del conflitto ad avere avuto allora un ruolo determinante; conflitto che investì la vita quotidiana e le sue strutture, ebbe come oggetto il sistema di welfare, il territorio e l’ambiente, la condizione femminile, la famiglia, le relazioni tra gli esseri umani, i rapporti tra Stato e cittadini, quelli tra ambito locale e ambito nazionale. L’assetto del SSN rispose a criteri di decentramento – in seno alle Regioni, ai Comuni, alle USL, troppo presto divenute ASL –; a criteri partecipativi, universalistici, opposti a una gestione tecnico-aziendalistica del servizio; alla saldatura tra servizi socio-sanitari di base. Rispose a un’impostazione della salute come fatto sociale e politico (sociale nella genesi e politico nella risoluzione), a una visione integrata dell’intervento sanitario e di quello sociale, alla centralità del momento preventivo e del dato qualitativo, a una organizzazione periferica, decentrata e territoriale, a un impegno diffuso capace di investire questioni legate alla tutela dell’ambiente.
Come per altre (minori) riforme in materia di welfare, la vicenda del SSN confermano la forza propulsiva e produttiva proveniente dal basso, dalle iniziative dirette e partecipate degli interessati, da quelle soggettività collettive e nuove interessate all’«introduzione di modelli profondamente innovatori» (Rodotà, 1995).
Ha scritto di recente uno degli studiosi del SSN che la metafora più adeguata per rappresentare quest’ultimo dopo 40 anni di sua esistenza (e resistenza) è quella del calabrone, al quale le leggi della fisica negano la possibilità di volare, ma che testardamente continua a farlo (Taroni, 2019).
Ecco forse, in questo momento segnato dall’epidemia di coronavirus, il calabrone potrebbe tornare a essere farfalla dal volo certo. Ma questo, come ci insegna la sua storia di ideazione, può dipendere soltanto dalle scelte politiche che a livello soprattutto europeo e internazionale si compiranno, nonché dalla rimessa in campo di un progetto comune che miri al nucleo sostanziale della democrazia, che punti a re-immaginare i nessi tra libertà ed eguaglianza in ogni spazio quotidiano. Può dipendere al contempo dalla responsabilità di ciascuna/o e di tutte/i, dalla «responsabilità della cura» (Gruppo femminista del mercoledì, 2020), dall’agire di soggetti e movimenti in grado di puntare a una trasformazione complessiva all’altezza di «una vita – come recitava l’appello transnazionale per lo sciopero femminista dell’8-9 marzo – che si possa vivere».
G. Berlinguer (a cura di), La salute nelle fabbriche, Bari, De Donato, 1969;
C. Giorgi-I. Pavan, Le lotte per la salute in Italia e le premesse della riforma sanitaria. Partiti, sindacati, movimenti, percorsi biografici (1958-1978), “Studi storici”, n. 2, 2019, pp. 417-455;
Gruppo femminista del mercoledì, Andare e tornare dall’io al noi e dal noi all’io, febbraio 2020;
G.A. Maccacaro, Medicina democratica, movimento di lotta per la salute, relazione introduttiva al convegno costitutivo di Medicina democratica, Bologna, 15-16 maggio 1976, ora in Id., Per una medicina da rinnovare. Scritti 1966-1976, Milano, Feltrinelli, 1979;
S. Rodotà, Le libertà e i diritti, in R. Romanelli (a cura di), Storia dello stato italiano dall’Unità ad oggi, Roma, Donzelli 1995;
F. Rotelli, L’istituzione inventata, in «Per la salute mentale/For mental health», 1988, n. 1; Id., L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2010, Merano, Edizioni Alphabeta, 2015;
F. Taroni, Il volo del calabrone. 40 anni di Servizio sanitario nazionale, Roma, Il Pensiero scientifico, 2019;
Ufficio parlamentare di bilancio, Lo stato della sanità in Italia, Focus tematico, n. 6, 2 dicembre 2019;
C. Vercellone, F. Brancaccio, A. Giuliani, P. Vattimo, Il Comune come modo di produzione. Per una critica dell’economia politica dei beni comuni, Verona, Ombre corte, 2017.
Qui il PDF
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Cronaca di una pandemia annunciata
di Nicoletta Dentico
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E’ online il manifesto sardo trecentodue

pintor il manifesto sardoIl numero 302
Il sommario
Lettera aperta sull’emergenza coronavirus e la Sardegna (Paola Correddu, Stefano Deliperi, Sandro Roggio e Claudia Zuncheddu), L’agnello: un dramma familiare che esemplifica il dramma di una terra intera (Francesca Pili), Autonomia fiscale differenziata: un progetto che ridurrebbe l’Italia a un “Paese arlecchino” (Gianfranco Sabattini), Carceri: Diritti umani negati e covid-19 (Graziano Pintori), Carceri: Restiamo umani (Ornella Favero), Turchia e dintorni. Migranti, coronavirus e nuovi partiti (Emanuela Locci), Libertà e Coronavirus (Roberto Mirasola), Luigi Pandolfi racconta le metamorfosi del denaro (Roberto Loddo), Il dopo comincia ora (Guido Viale), CoViD19: Non resta che chiudersi in casa (Claudia Zuncheddu), È pandemia! (Massimo Dadea), Convivere con il coronavirus e i suoi effetti collaterali (Fernando Codonesu), Il virus del militarismo italiano (Andria Pili), Perché la solidarietà è una necessità (Antonio Muscas), Emergenza coronavirus. In Sardegna nuovi tagli alla sanità pubblica (Claudia Zuncheddu).

Che succede?

c3dem_banner_04IL VIRUS, GLI INGLESI, IL NOSTRO PARLAMENTO, L’EUROPA DISUNITA
15 Marzo 2020 by Forcesi | su C3dem.
Alberto Mantovani, “L’immunità di gregge una scelta da irresponsabili” (intervista al Corriere della sera). Piero Ignazi, “La democrazia alla prova del virus”. Massimo Adinolfi, “Se gli onorevoli votano da casa” (Mattino). AA.VV, “Come far funzionare il Parlamento? Il parere di sei costituzionalisti” (Il Fatto). Attilio Fontana, “A Roma non capiscono” (intervista a Repubblica). Luca Ricolfi, “I tre incredibili errori che hanno favorito la pandemia” (Messaggero). Romano Prodi, “La cura giusta tra Eurobond e sblocco delle imprese” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “L’Ue in ordine sparso. L’altro virus che infetta l’Europa” (Sole 24 ore). Lucrezia Reichlin, “Se la Bce non sosterrà Roma sono a rischio tutti i paesi Ue” (intervista a La Stampa). Marco Bentivogli, “Lavoro, prove generali di futuro” (Foglio). Vladimiro Zagrebelsky, “L’emergenza nelle carceri” (La Stampa). Danilo Taino, “Traballa la globalizzazione. Wuhan non deve essere la nostra Sarajevo” (Corriere della sera). Massimo Recalcati, “La nuova fratellanza” (Repubblica).

Oggi lunedì 16 marzo 2020

sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2senza-titolo1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dasvis-oghetto
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Per i virus-vacanzieri continentali non va bene Eleonora? Vediamo Dante…
16 Marzo 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
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Carbonia e la Sardegna. Verso l’armistizio
15 Marzo 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Il coronavirus non interrompe la serie domenicale sulla storia di Carbonia. Ecco un nuovo intervento di Gianna Lai, il primo domenica I° settembre.
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Che succede?

logo76VIRUS, LA SOFFERENZA, LA DIGNITÀ, LA LIBERTÀ, L’EUROPA…
13 Marzo 2020 by Forcesi | su C3dem.
Giuseppe Remuzzi, “E’ un dolore enorme vedere i tuoi amici cadere. Serviva la zona rossa” (intervista al Corriere della sera). Massimo Galli, “Più test e nuova stretta sui divieti o l’epidemia continuerà a correre” (intervista al Mattino). Marcello Tavio, “Ma ora servono più siti di accesso ai tamponi” (Manifesto). MichaelDavide Semeraro osb, “Siamo tutti malati… di umanità!” (blog). Maurizio Ferrera, “I medici e la dignità dei pazienti” (Corriere). Ezio Mauro, “I clandestini del contagio” (Repubblica). Luca Miele, “Virus e democrazia, la lezione di Seul” (Avvenire). Francesco Clementi, “Quando l’emergenza restringe la libertà” (Sole 24 ore). S. Cassese e T. Padovani, “Lo stress test del virus sulla democrazia parlamentare” (Foglio). Mario Delpini, “Sul Duomo per dire a chi soffre che non sarà mai solo” (Repubblica). Luigino Bruni, “Chiudere ciò che si può, comprendere ciò che si deve” (Avvenire). Paolo Balduzzi, “Le industrie da chiudere per salvare l’economia” (Mattino). Lucrezia Reichlin, “Il coronavirus dà l’opportunità di varare un vero fondo anticrisi” (Sole 24 ore). Mario Monti, “E’ il momento di varare buoni di salute pubblica” (Corriere). Andrea Bonanni, “Così finisce l’era Draghi. Francoforte non si muoverà più al posto dei governi europei” (Repubblica). Marzio Breda, “La reazione di Mattarella: l’Europa non ci ostacoli” (Corriere). Stefano Folli, “Tutti i pericoli del caso Lagarde” (Repubblica).
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IL VIRUS E L’ORA DELLA FIDUCIA
12 Marzo 2020 by Forcesi | su C3dem.
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