Monthly Archives: giugno 2020

Oggi sabato 30 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Il conflitto Cina e USA combattuto con le armi del “geodiritto”
20 Giugno 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.

Il “geodiritto” riguarda l’impiego del diritto e del potere statuale al fine di regolare la condotta degli attori economici internazionali, in funzione delle specifiche situazioni generate dalla competizione a livello del mercato globale; in particolare, esso qualifica il modo di condurre la politica economica in termini di “capitalismo politico”, sulla base delle cui caratteristiche […]
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PER LA GIORNATA INTERNAZIONALE DEI RIFUGIATI

Il 20 giugno 1951 l’assemblea generale dell’Onu approvo’ la Convenzione sui rifugiati; cinquant’anni dopo l’Onu delibero’ che il 20 giugno fosse la “Giornata internazionale dei rifugiati”, ed ogni anno questa ricorrenza serve a richiamare l’umanita’ intera ai doveri che ogni essere umano ed ogni umano istituto ha nei confronti di chi e’ stato costretto ad abbandonare il luogo in cui nacque.
In questa ricorrenza una volta ancora vogliamo ricordare che ogni vittima ha il volto di Abele; che siamo un’unica umana famiglia in un unico mondo vivente casa comune dell’umanita’ intera; che ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita’, alla solidarieta’; che occorre soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto; che salvare le vite e’ il primo dovere.
In questa ricorrenza vogliamo ricordare una volta ancora che la Costituzione della Repubblica italiana riconosce e difende i diritti umani di tutti gli esseri umani; che ripudia la guerra; che riconosce il diritto d’asilo nel nostro paese a chiunque sia stato costretto ad abbandonare il suo paese.
In questa ricorrenza vogliamo ricordare che il razzismo e’ un crimine contro l’umanita’. [segue]

La priorità Scuola in Sardegna. Le proposte di ANCI Sardegna.

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LA SCUOLA IN SARDEGNA
Nei giorni scorsi sia il Consiglio Regionale – attraverso la Commissione II presieduta dall’On.le Alfonso Marras – che la Giunta Regionale con l’Assessore alla PI On.le Andrea Biancareddu hanno attivato importanti iniziative sulla scuola in Sardegna.
La Commissione ha inaugurato un ciclo di audizioni per meglio comprendere le azioni da intraprendere nelle prossime settimane per definire un percorso chiaro che porti a un’affermazione, in materia scolastica, dei principi costituzionali (articoli 3 e 34 della Costituzione) e Statutari (articolo 5).
L’Assessore Andrea Biancareddu ha, molto efficacemente, inaugurato un metodo di coinvolgimento con l’apertura di un incontro tanto proficuo quanto serrato col sistema delle autonomie locali, i sindacati, le associazioni di insegnanti precari etc.
La Giunta Regionale, come correttamente riporta la stampa, non solo non ha intenzione di smantellare i programmi di Iscol@ o le strutture amministrative, ma ha fra i propri obiettivi quello di rafforzarli e migliorarli.
Anci Sardegna, in questo contesto collaborativo, ha voluto concorrere con un documento che ieri è stato trasmesso alla Commissione II del Consiglio Regionale e all’Assessorato alla Pubblica Istruzione.
Qui sotto trovate gli elementi più importanti del nostro documento.
È una lettura un po’ lunga, ma forse vale la pena ragionare tutti insieme come comunità sarda perché sulla materia dell’istruzione (qui noi non tocchiamo l’istruzione universitaria che merita un capitolo a parte) serve il concorso di tutti e servono soprattuto regole che abbiano il “respiro” di almeno due legislature regionali.
Il Consiglio e la Giunta Regionale hanno dato disponibilità in tal senso e gliene diamo atto pubblicamente.

Emiliano Deiana
Presidente ANCI-Sardegna.

DOCUMENTO DI ANCI SARDEGNA SULLE POLITICHE DELL’ISTRUZIONE POST COVID19
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TERZO SETTORE

bucoCaro Conte, serve una strategia di rilancio che includa il Terzo Settore e l’economia sociale
Con una lettera aperta diversi esponenti della società civile chiedono al Presidente del Consiglio di adottare un Action Plan che possa essere sinergico con le misure previste dalla Commissione Europea

16 giugno 2020
Riceviamo e anche noi di Aladinpensiero rilanciamo volentieri una lettera aperta – promossa da Carlo Borzaga e Gianluca Salvatori, di Euricse, e Marco Musella, di Iris Network – per proporre al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte un piano di azione per il Terzo Settore e l’economia sociale, in sintonia con l’Action Plan for Social Economy che la Commissione Europea si accinge a lanciare. Tra i primi firmatari del documento: Donatella Bianchi, Luigi Bobba, Carlo Borgomeo, Mario Calderini, Enrica Chiappero, Gherardo Colombo. Ferruccio de Bortoli, Franca Maino, Maurizio Ferrera, Cristiano Gori, Giuseppe Guzzetti, Sebastiano Maffettone, Enzo Manes, Serena Porcari, Franco Marzocchi, Marco Morganti, Felice Scalvini, Vera Negri Zamagni, Stefano Zamagni”.

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Che fare perché l’Italia abbia futuro?

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La “spirale” del sottosviluppo gravante sul futuro dell’Italia

di Gianfranco Sabattini

L’emergenza pandemica ha prostrato ulteriormente l’economia nazionale, per cui è plausibile prevedere che, dopo l’emergenza, l’Italia risulti impoverita più di quanto lo sarebbe stata a causa della mancata soluzione dei tradizionali problemi (quali, ad esempio, quello demografico e quello dell’occupazione), da anni irrisolti, ma oggi aggravati a causa del Covid-19.
Per evitare che il Paese cada nella spirale di un irreversibile sottosviluppo – sostiene Stefano Allievi, sociologo dell’Università di Padova e autore del saggio “La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro” – occorrerà “fare scelte difficili, definire priorità che non tutti condivideranno, programmare operazioni di ingegneria sociale profonde, far finalmente partire riforme spesso evocate come necessarie in passato, ma mai affrontate davvero con coraggio”. Demografia e lavoro (oltre che immigrazione, emigrazione e istruzione) sono stati problemi sempre analizzati autonomamente, senza considerare che essi sono strettamente correlati a squilibri che “si sostengono e si potenziano reciprocamente”. [segue]

Venerdì 19 giugno 2020

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“No all’election day, non si può soffocare il dibattito referendario”. La data va però fissata
19 Giugno 2020
Comunicato della Presidenza e della Segreteria nazionali ANPI. Su Democraziaoggi.
Lascia fortemente perplessi l’orientamento parlamentare di un election day a settembre. Il dibattito sul tema referendario sarebbe soffocato dalla campagna elettorale per i Comuni e le Regioni. Va sottolineata la totale difformità dell’oggetto del voto: nel primo caso un’eventuale modifica della Costituzione che avrebbe effetti pesanti e permanenti […]
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La linea della CONFEDERAZIONE SINDACALE SARDA sulla fase 3, lettera di Giacomo Meloni
AUDIZIONE CONGIUNTA PRESSO LA SECONDA E QUINTA COMMISSIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA SARDEGNA-CAGLIARI 17 GIUGNO 2020 SUL DISEGNO DI LEGGE N.162 “Legge Quadro sulle azioni di sostegno al sistema economico della Sardegna e a salvaguardia del lavoro a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 “. Sul sito web della Fondazione Sardigna.
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Che succede?

c3dem_banner_04SULLA CONCRETEZZA DELLA POLITICA

Scegliere il futuro

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IL COMPITO
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L’evento globale della pandemia ha reso visibile a tutti ciò che già era noto: siamo a una soglia oltre la quale può darsi catastrofe o salvezza. Quella che va costruita è l’unità umana, come soggetto della storia anche politica del mondo; vi fanno ostacolo le ideologie dell’identità, mentre non c’è più ad impedirlo un Dio che divide

di Raniero La Valle *

Mentre la pandemia continua a mietere vittime, soprattutto nei Paesi peggio governati, più sprovveduti e più poveri, in Italia stiamo vivendo un momento molto delicato di passaggio dalla prima fase irruente e paralizzante del contagio, a una fase di ripresa della mobilità e dei rapporti produttivi e sociali. Per tutti, nel mondo, comincia una nuova fase nella quale dovremo convivere con il morbo non ancora debellato ma anche con altri pericoli di portata globale che di qui in avanti potranno sprigionarsi dato il crescente degrado cui sono giunte le condizioni di vita sulla Terra.
È pertanto oggi decisiva la scelta, per noi e per un lungo futuro, della strada da imboccare: o un ritorno alle pratiche e ai sistemi del passato, e magari di un lontano e funesto passato, come sembra proporre la virulenza restauratrice e identitaria della destra, oppure il passaggio a una fase nuova di cambiamento delle strutture rivelatesi impotenti a salvarci e di risanamento del nostro ambiente vitale, secondo l’avvertimento di papa Francesco nel giorno di Pentecoste: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.

Segnali di morte

Vi sono purtroppo dei segnali vistosi che sembrano avviarci alla prima alternativa: si pensi al ritorno del conflitto razziale in America, con tanto di rivendicazione della supremazia bianca, al ritorno delle frontiere in Europa, all’offerta provocatoria della cittadinanza britannica ai cinesi di Hong Kong, in nome dei diritti dell’antica colonia inglese, all’incrudirsi del conflitto economico e di potenza tra gli Stati Uniti e la Cina, all’imperturbabile corsa agli armamenti, agli attacchi all’Organizzazione Mondiale della Sanità e ad altre istituzioni internazionali, alla minaccia israeliana di liquidare, con l’annessione dei Territori occupati, la questione palestinese, all’apertura della corsa dei privati nello spazio, quasi una beffa al monito illuminista a non “sperperare tesori nel cielo”. E su tutti vi è il simbolo riassuntivo della foto-opportunity di Trump che davanti a una chiesa episcopaliana di Washington innalza la Bibbia come un idolo, rivendicando quella saldatura tra religione e potere che per secoli ha dilaniato la società umana e la fede stessa; con la variante, però, di riproporre come farsa quella visione costantiniana che storicamente si è data come tragedia. Gesto tuttavia che sarebbe errato archiviare come folklore, perché mette in chiaro il disegno largamente perseguito in Occidente di una riappropriazione del cristianesimo come marcatore identitario e baluardo dei poteri esistenti, ad opera di populismi e integrismi di vario tipo, da Bannon a Orban, dai lefebvriani lepenisti a Bolsonaro, dalla “Opzione Benedetto” di Rod Dreher alla certosa di Trisulti, dall’odio al musulmano alla caccia allo straniero, fino ai rosari di Salvini, come è ben mostrato nel libro appena uscito di Iacopo Scaramuzzi : “Dio? In fondo a destra” .
È evidente che se questi segnali si inverassero in processi reali, e le politiche si sviluppassero secondo queste premesse, l’unità umana sarebbe compromessa, e la catastrofe si farebbe imminente.

Opportunità del tutto nuove

Però ci sono anche segnali che indicano una possibilità del tutto opposta. Si presentano infatti straordinarie opportunità che la società umana non ha mai avuto e che aprono a una situazione nuova.
La prima è la globalizzazione stessa che se ha esordito e si è affermata in una versione selvaggia, stremando gli uomini e rendendo sovrani il denaro, il Mercato e le armi, può tuttavia essere ripresa in mano e convertita in un vero universalismo, il cui concreto esercizio è oggi reso possibile dalle scienze, dalla tecnologia e dalla comunicazione. Se si volesse costruire politicamente e culturalmente un mondo unito, non ci sarebbero impedimenti materiali a precluderlo. Il diritto, gloria dell’Occidente, è pronto a partorirlo. C’è già un vagito dell’Europa che sembra prometterlo.
L’altro segnale è la progressiva coscienza che si sta facendo luce in ogni parte del pianeta della precarietà e del pericolo di un multilateralismo incontrollato, non riducibile a una ragione e a una finalità comuni. Il conflitto la violenza e la guerra non possono più essere né la regola né l’ultimo grado di giudizio del rapporto sociale. A dirlo è un brivido che corre nel mondo. I poliziotti americani che si inginocchiano di fronte alle loro stesse vittime, neri o bianchi che siano, e innumerevoli manifestanti che ne ripetono il gesto sotto ogni cielo, non sono un segno di codardia, come pretende il folle americano al comando, ma sono un segnale apocalittico di un’età che è finita e un’altra che viene.

Conversione delle religioni

Infine c’è il segnale di una conversione delle stesse religioni, di cui il pontificato di papa Francesco rappresenta oggi il più autorevole annuncio. Non si tratta di questa o quella riforma o ammodernamento nelle confessioni religiose e nelle Chiese. Si tratta di una nuova narrazione di Dio, rimasta confusa e offuscata per secoli, pur dopo i Vangeli, che ora sembra perdere le sue scorie e i suoi travisamenti, e riacquistare somiglianza con l’originale, che Gesù ci ha fatto vedere: quel Dio tenerissimo, “primo nell’amore”, primo anche a prendere su di sé il dolore di tutti, come lo ha mostrato Francesco in questa pandemia, È un Dio in cui non c’è violenza: nessun patibolo può fregiarsi del suo nome, se non come vittima.
Fu all’inizio del pontificato di papa Bergoglio, nel 2014, ma a conclusione di un lavoro condotto per anni, su impulso del Concilio, che la Commissione Teologica Internazionale presentò come “una svolta epocale nell’odierno universo globalizzato”, la novità “dell’irreversibile congedo del cristianesimo dalle ambiguità della violenza religiosa” . Quasi raccogliendo la sapienza e l’esperienza dei secoli, rileggendo la Bibbia, la teologia e i Concili, il documento vaticano era tutto proteso a identificare “nell’eccitazione alla violenza in nome di Dio, la massima corruzione della religione”. Le conseguenze di questa nuova chiarezza erano destinate a investire non solo una modalità della fede, o suoi possibili errori, ma la fede stessa. Secondo la Commissione Teologica Internazionale ciò voleva dire entrare in un’epoca nuova, varcare una “frontiera profetica di un nuovo ciclo religioso e umano dei popoli”. E se è lo Spirito che a ciò conduce la professione di fede, “l’icona ecclesiale dal canto suo deve suscitare l’immagine di una religio che si è definitivamente congedata – in anticipo sulla storia che deve seguire – da ogni strumentale sovrapposizione della sovranità politica e della Signoria di Dio. Questo “congedo può e deve essere vissuto da tutte le comunità cristiane dell’epoca presente, come avvento del tempo stabilito dal Signore per la maturazione del seme evangelico”: un tempo nuovo. La pastorale della misericordia, la Chiesa ospedale da campo, il Dio che “se si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio” di papa Francesco non erano lontani.

Un Dio senza violenza

C’era un ritardo in questa ammissione di un’infedeltà delle Chiese, che era costata molti dolori; ma alfine questa soglia era varcata, e il corso storico poteva riprendere non più funestato dal falso conflitto tra Dio e il mondo, tra grazia e libertà; divino e umano non erano più confusi ma anche, secondo la fede di molti, non erano divisi. “Svolta radicale”, la chiamavano i teologi del papa, ma essa non riguardava solo la confessione cristiana, e nemmeno solo la tradizione giudeo-cristiana, ma la “religione” come tale, “la concezione della religione e dell’umanesimo, indissolubilmente”, una fede che “è oggi chiamata ad anticipare l’epoca del riscatto definitivo del ‘nome di Dio’ dalla sua profanazione attraverso la giustificazione religiosa della violenza”. Non c’era più un Dio a fondare il trono dei potenti e ad impedire l’unità umana. Ed è da qui che è venuto, come prima cosa, il patto di fratellanza universale firmato ad Abu Dhabi con l’Islam, ma viene anche il contagio etico che fa dire a tutto il mondo: “non respiriamo più; senza giustizia non c’è nemmeno pace”.

Per una Costituzione della Terra

Queste sono le condizioni nuove che inducono ad agire, che postulano una “Costituente Terra”, e che fanno ritenere possibile una Costituzione della Terra. E da ciò a noi deriva un dovere, che non è solo quello di non disperdere una memoria e trasmettere un’eredità, ma è quello di trasmettere un compito.
È un dovere che ricade sulle generazioni del Novecento che, uscite dalla notte delle grandi guerre mondiali e della Shoà, sono riuscite a concepire e predisporre le forme del mondo nuovo, ma poi hanno fatto a pezzi la loro creatura, si sono inchiodate sull’89, l’hanno preso come un loro bottino, come fosse la fine della storia a favore degli uni contro gli altri. Ed è quel compito, che allora fu interrotto, che le generazioni uscenti devono ora trasmettere alle generazioni nuove; il compito è quello di radunare i dispersi, rialzare i caduti, e costruire l’unica comunità umana, soggetto come tale di liberazione e di diritti. È una figura nuova, mai esistita prima se non nei sogni e nelle profezie. Vi fanno ostacolo le diversità, se sono rivendicate in modo che ciascuna prevalga e sia sovrana sulle altre. Ma esse ne sono la sostanza se tutte sono convocate per comporre non un nuovo Leviatano, ma la grande assemblea dei popoli della Terra al fine che l’umanità sopravviva, il mondo sia salvo e la storia continui.
Questo compito non è il punto di caduta di un sogno, di un’utopia, di un mito: è imposto dalla ragione, anzi è l’unica risposta secondo ragione alle drastiche alternative oggi presenti; si tratta di costituire una sfera pubblica globale e varare una Costituzione della Terra che metta in atto garanzie e istituzioni di tutela e promozione dei diritti fondamentali di tutti gli abitanti del pianeta. È chiaro che questo progetto e questo processo dovranno fare i conti col Mercato, perché Mercato e sfera pubblica sono stati finora in contraddizione e in contrasto. Ma non deve l’uno soccombere all’altra. Basta che sia deposto dal trono e accetti le regole. Ciò è necessario per fronteggiare non solo le crisi sanitarie che di questa urgenza forniscono oggi la prova del nove, ma tutte le emergenze planetarie – alimentari, nucleari, ambientali – per non tornare a una sorta di “stato di natura” e per promuovere, ben oltre le emergenze, una convivenza di ragione e misericordia sulla Terra.

* Raniero La Valle, su chiesadituttichiesadeipoveri.it

Newsletter

logo76Newsletter n. 202 del 18 giugno 2020

L’ORO DEL TEMPO

Care Amiche ed Amici,
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Giovedì 18 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Che follia un’opposizione che scansa il contronto!
18 Giugno 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Mi sto sempre di più convincendo che l’opposizione nel nostro paese è formata da una accolita di sbandati senza bussola. Ma cerco di mantenere questa opinione un po’ riservata perché le cose che vedo sono così folli e irrazionali da credere che forse mi appaiano così per una profonda disistima verso Salvini, Meloni e […]
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27° Rapporto CRENoS

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Venerdì 19 Giugno 2020 ore 16.00-18.00
Per seguire la conferenza cliccare qui
[segue il programma]

Francesco Casula: terzo volume della “Letteratura e civiltà della Sardegna. Il teatro in lingua sarda”.

vasula-vol-iiiFresco fresco di stampa e fra qualche settimana nelle librerie la nuova creatura di Francesco Casula, dopo sei anni di studio e di ricerca: il terzo volume della “Letteratura e civiltà della Sardegna”, dedicato interamente al teatro in lingua sarda [Edizioni Grafica del Parteolla]. Con gli Autori di testi teatrali dalla fine del ’700 ai nostri giorni. Il volume inizia con la commedia di Padre Luca Cubeddu “Sa congiura Iscoberta de sas Bajanas Madamizantes” scritta, secondo lo studioso Angelo Carboni Capiali, tra il 1793 (anno delle stragi della Vandea) ed il 1804. Dallo stesso studioso è stata “scoperta” e ritrovata (e pubblicata). Prosegue con gli Autori di fine 1800 (Setzu, Matta), per arrivare ai “Grandi” di inizio ‘900 (Pili, Melis) e via via fino a Garau e ai “commediografi” dei nostri giorni. Quattrocento pagine per illustrare la figura, la vita e l’opera di 29 autori di testi teatrali (farse, commedie sociali, politiche, storiche) ma anche una tragedia (Marytria di Berto Cara). In tutte le varianti della lingua sarda e tre in lingua sassarese. Nove Autori sono ancora viventi: ricordiamo – fra gli altri – Salvatore Vargiu e Piero Marcialis, Pietro Picciau-Ottavio Congiu e Giulio Mameli, Antonio Contu e Gigi Tatti.

Europa, Europa

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UNIONE EUROPEA
una svolta storica

di Roberta Carlini, su Rocca.

Qualcuno ha scomodato Alexander Hamilton, il fondatore del bilancio federale statunitense, per segnalare il passaggio storico che l’Unione Europea ha compiuto nel pieno della crisi da Covid-19. La svolta è arrivata con il documento franco-tedesco nel quale l’asse che da sempre ha determinato le svolte (e, in negativo, i fallimenti) del processo di unificazione europea, ha dato il via a una possibilità nuova: quella per cui la Commissione europea, l’esecutivo di Bruxelles, può prendere denaro a prestito sui mercati e girarlo ai Paesi che ne hanno bisogno, cioè i più colpiti dalla pandemia e dalla successiva crisi economica. Quel documento, frutto di un accordo tra Macron e Merkel, è stato poi leggermente emendato ed è stato fatto proprio dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, con la proposta intitolata Next Generation EU: se questa passerà la lunga e difficile fase di contrattazione politica che adesso si apre, i governi europei avranno a disposizione 500 miliardi di trasferimenti e altri 250 di nuovi prestiti. Questi vanno ad aggiungersi agli altri strumenti via via approvati da quando «il grande lockdown» (definizione del Fondo monetario internazionale) è iniziato.
Di questi si è già parlato su Rocca n.10: si chiamano «Sure», il piano per coprire gli ammortizzatori sociali per chi ha perso il lavoro; Mes, ossia il «vecchio» meccanismo europeo di stabilità sfrondato delle delle sue condizioni-capestro; più i prestiti della Banca europea degli investimenti, per assistere le piccole e medie imprese. In più, c’è la sospensione dei vincoli del Patto europeo di stabilità e crescita, per cui gli Stati possono a loro volta indebitarsi senza dover più rispettare i paletti posti dai trattati europei, quelli attorno ai quali si svolgevano le contrattazioni e i conflitti ogni autunno sulla manovra economica.
Tutti gli strumenti precedenti al Next generation EU, e che sono già operativi (se un governo vuole accedervi), prevedono in sostanza nuovo debito pubblico, ma fanno anche in modo che questo tipo di aiuto non si avviti in testacoda su se stesso: poiché questo succederebbe se l’aumento del debito per i Paesi già fortemente esposti come l’Italia comportasse una forte crescita dei tassi di interesse che il governo stesso deve pagare su quei debiti. Meccanismi finanziari come il Sure e il Mes servono a tenere bassi e uniformi i tassi; ma soprattutto a questa esigenza provvede l’altra arma sfoderata dall’eurozona all’inizio della crisi, attraverso la Bce. Dopo l’iniziale passo falso compiuto quando ha annunciato che «la Bce non è qui per tenere a bada gli spread», Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, ha steso una rete di protezione diretta proprio a tenere a bada gli spread dalla speculazione. Una riedizione, molto rafforzata, del «bazooka» di Mario Draghi.

dal debito al trasferimento
Il salto di qualità della proposta della Commissione è nel passare dal debito ai trasferimenti. Ai Paesi come l’Italia – ma in realtà a tutti, dato che tutti avranno bisogno di aumentare l’intervento pubblico nell’economia – non è data solo la possibilità di farlo ricorrendo all’emissione di propri titoli, ma anche l’accesso a fondi trasferiti direttamente da Bruxelles: sarà l’Unione a indebitarsi per conto dei governi, godendo così di condizioni molto più favorevoli sui mercati e prevedendo emissioni di titoli che saranno ripagati solo tra molti anni (dal 2018 al 2058). Non solo: la ripartizione di questi fondi tra i Paesi seguirà il principio del bisogno e non quello del loro peso relativo. Dunque l’Italia avrà più di tutti – 82 miliardi. Come farà l’Europa a ripagare questo debito? Il piano prevede in parte che siano gli Stati, nel tempo, a finanziare il rimborso; e in altra parte che possa imporre proprie tasse per pagare il servizio del debito (gli interessi). Si tratterà di tasse che fanno pagare i giganti del web che per ora non pagano niente (la digital tax), di imposte sulle emissioni carboniche finalizzate a disincentivare le produzioni inquinanti, e di una tassa sulla plastica. È ancora troppo poco per scomodare la memoria di Hamilton, poiché la sua riforma pose davvero le basi di un bilancio federale, che vuol dire autonoma capacità impositiva e di spesa. Ma è molto, moltissimo, rispetto al pantano in cui l’Unione europea stava affogando, per incapacità di una politica economica comune, una moneta senza Stato. Adesso, abbiamo una politica della moneta più attenta ai bisogni degli Stati (sia pure senza dimenticare la sua missione che è quella della stabilità); e un embrione di politica fiscale, attraverso quella che di fatto è l’emissione di titoli del debito europeo – anche se guai a chiamarli «eurobond», questa parola fa venire il sangue agli occhi a molti nordici.
Se, nonostante l’opposizione dei suddetti nordici, la proposta della Commissione vedrà la luce, saremo alla prima manovra economica comunitaria. Motivata non da una conversione altruistica, ma dalla necessità di evitare il disastro nelle quali tutte le economie europee, fortemente interconnesse nelle produzioni e nei commerci, precipiterebbero di fronte a un crollo dell’economia di uno di essi. Se l’Italia, come si è ipotizzato, avrà 82 miliardi, vorrà dire che da Bruxelles ci arriverà una capacità di spesa pari al 4,5% del nostro prodotto lordo, ai quali dovrebbero aggiungersi circa 90 miliardi in nuovi prestiti, per un totale di 170 miliardi. Per fare un paragone, fino a pochi mesi i governi italiani erano costretti a elemosinare da Bruxelles scostamenti di bilancio dell’entità di decimali di Pil.

due sfide
Si aprono ora due sfide, una esterna e una interna. Quella esterna è nella tenuta del patto e nella conquista del consenso di tutti gli scettici, che siedono in molti governi ma soprattutto nelle opinioni pubbliche dei Paesi europei che hanno i bilanci in attivo o in pareggio e hanno un radicato pessimismo circa la capacità dei governi del Sud di imboccare sentieri virtuosi. È vero che c’è molto di macchiettistico e stereotipato in alcuni giudizi, e che tutti dovrebbero prendere atto del fatto che siamo di fronte a una crisi nuova ed enorme, che niente ha a che fare con vecchi vizi di «spesa facile» senza responsabilità. Ed è vero che, come si diceva prima, le economie di quei Paesi sarebbero a loro volta a rischio se anche stavolta, come nel 2008, l’Europa rispondesse senza coesione e senza politica comune a uno choc esterno. Ma è anche vero che quei pregiudizi hanno un fondo di realtà, ed è nei decenni nei quali la politica fiscale italiana ha speso senza investire, ha distribuito a pioggia senza curarsi della sostenibilità; non ha messo a posto un’evasione fiscale gigantesca, non ha inciso sulla bassa produttività, non ha affrontato i nodi strutturali della sua debole struttura industriale.
E qui viene la sfida interna: come spenderemo quei soldi? La Commissione europea ci chiede di farlo rilanciando l’economia. E scrive: «Rilanciare l’economia non vuol dire tornare allo status quo che c’era prima della crisi, ma lanciarsi in avanti», in particolare nella riconversione verde e nell’innovazione digitale. Il «green new deal», rimasto finora a livello di slogan, adesso trova finanziamenti e una lista di investimenti: infrastrutture ed edifici (in questo caso, per lo più ristrutturazione dell’esistente in senso ecologico); transizione a un’energia pulita, basata su fonti rinnovabili; trasporti e logistica; economia circolare. Il piano digitale invece prevede investimenti nelle reti, politica industriale per favorire grandi campioni tecnologici europei, intelligenza artificiale. Chiude il quadro la raccomandazione di «una crescita giusta e inclusiva per tutti», dunque l’uso e la riforma degli strumenti di protezione sociale.

scegliere
Siamo ancora ai titoli di testa. Ma potrebbero bastare per evitare la riedizione dei vecchi film, ossia un generale assalto alla diligenza della spesa pubblica. La vera novità sarebbe nel decidere la strategia e selezionare le aree di intervento. Scegliere. Cosa non fatta nel passato, e purtroppo non fatta neanche nei decreti dell’emergenza Covid. È giusto che all’inizio si sia dato a tutti, anche per accelerare le pratiche (purtroppo senza riuscirci) e coprire il più possibile. Sul terreno dell’assistenza, la priorità è raggiungere chi ha più bisogno – e non è successo, dato che si è dovuto aspettare settimane per pensare alle lavoratrici e ai lavoratori domestici, e i precari con contratti a tempo determinato scaduti sono ancora in gran parte esclusi dai sussidi. Ma soprattutto, con il decreto rilancio si è dato uno sgravio fiscale sull’Irap a tutte le imprese, che fossero nei settori colpiti dalle chiusure o no. E il ministro dell’economia Gualtieri ha annunciato come sua strategia una generalizzata riduzione delle tasse sui redditi medio-bassi, che certo sarebbe molto gradita e fruttuosa in termini di consenso, ma è il contrario di una politica selettiva e di investimenti diretti. Stavolta le condizioni poste dall’Europa – «lanciarsi in avanti» – possono aiutarci. Seguirle aiuterebbe anche i nostri negoziatori a convincere il resto d’Europa che siamo davvero a una «Next generation». Ci sarà il coraggio politico di farlo?
Roberta Carlini
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Gli europeisti di fronte a ciò che resta del disegno europeo
di Gianfranco Sabattini, su il manifesto sardo.

E’ ancora diffusa l’idea che la realizzazione dell’Unione europea sia il più rilevante evento del mondo occidentale dal dopoguerra ad oggi; ciò, per diverse ragioni, quali in particolare, il superamento della rivalità tra i Paesi membri, la libera circolazione dei cittadini europei, il rispetto delle diversità culturali, la cooperazione con gli Stati non comunitari, il progressivo equilibrio tra competenze comunitarie e sovranità di nazioni, il metodo democratico seguito per mediare tra i diversi punti di vista ed altro ancora.
L’insieme di tali ragioni è ancora sufficiente per convincere la maggioranza dei cittadini europei che, per affrontare il futuro, sia preferibile rimanere nell’Unione, nonostante le difficoltà che si oppongono alla prosecuzione del processo di integrazione politica, ormai fermo da lungo tempo. Attualmente, quindi, anche se sono aumentati coloro che ripongono fiducia sulle soluzioni nazionali, la maggioranza dei cittadini europei è del parere che ritirarsi dal percorso comune sarebbe di grave pregiudizio al futuro del Continente e dei singoli Stati membri.
Tuttavia, il progetto europeo sta attraversando una grave crisi di fiducia. L’esito del referendum britannico sulla Brexit e la diffusione di movimenti antieuropei indicano che il disgregarsi del progetto comune è uno scenario ormai possibile, proprio in un momento come quello attuale, in cui maggiore è l’avvertimento che sarebbe necessario avere più Europa come scala minima per poter contare sulla scena internazionale e dare risposte concrete ed efficienti ai problemi più sentiti dai cittadini.
Il possibile rilancio del processo di integrazione è oggi frustrato dal fatto che le due “famiglie politiche” che hanno sinora gestito il processo, i cristiano-sociali e i socialdemocratici, sono fortemente indebolite, poiché con la crisi del 2007-2008 sono comparsi i movimenti populisti che, sebbene siano al potere solo in alcuni dei Paesi membri, sono in grado di condizionare l’azione dei singoli governi, divenuti fragili per via dell’indebolimento dei partiti tradizionali.
Inoltre – afferma Yves Mény, in “Per l’Europa è ora di essere radicali” (Il Mulino, n. 1/2019) – i Paesi membri dell’Unione sono divisi in sottogruppi, “ma anche in ‘club’ spesso antagonisti (Lega anseatica, Gruppo di Visegrad, Coppia franco-tedesca, tentativi populisti di costruire una ‘lega’ di eurocritici, ecc.). Gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, dal canto loro – secondo Mény – lo hanno capito così bene che stanno “soffiando sulla brace, cercando di sfruttare al meglio i divari che si sono allargati tra ‘amici’”. E’ perciò un eufemismo – continua Mény – dire che l’Europa “sta andando male”, sia nel suo insieme (Unione Europea), che con riferimento ai singoli Stati membri. Non c’è Paese europeo che sia libero da difficoltà che minano le sue fondamenta, perfino “là dove tutto sembra andare per il meglio sul fronte economico, come in Germania, in Svezia, in Olanda o in Danimarca”.
I Paesi membri dell’Est dell’Europa, pur godendo di una crescita stabile, tendono tutti a non “soddisfare gli ideali di ‘buon governo’”, mostrando spesso di non aver compiuto una vera transizione democratica, lasciandosi alle spalle i vecchi regimi. Al Nord, le democrazie scandinave, per tanti anni considerate modelli da imitare, sono agitate dalle pretese dei movimenti populisti e sciovinisti. Nella parte occidentale del Vecchio Continente, il Regno Unito ha deciso di abbandonare l’Europa; una scelta destinata a pesare non solo sulla Gran Bretagna, ma anche sulle due Irlande. Dal canto suo, anche la Francia, pur non essendo governata da movimenti populisti, è agitata al suo interno da profondi contrasti che stanno rendendo la sua coesione sociale “tanto fragile quanto esplosiva”. Infine, la Spagna si trova anch’essa in una situazione controversa, caratterizzata da proteste sociali e dal problema catalano, di difficile soluzione, mentre solo il Portogallo, dopo un lungo periodo di austerità, sembra inserito in una prospettiva di crescita, essendosi sottratto al “virus populista”.
Al centro dell’Europa, la Germania – sostiene Mény – ha riscoperto “con sgomento che i vecchi demoni del passato non sono stati sconfitti del tutto e che, nonostante la sua invidiabile prosperità economica, gli antagonismi, gli odi e le divisioni sociali sono profondi all’interno dei suoi confini e ben visibili all’esterno”. Il Sud dell’Europa non fa eccezione rispetto alla altre grandi circoscrizioni geografiche dell’Unione Europea: l’Italia è da tempo retta da governi deboli e instabili, alle prese con un debito pubblico consolidato alle stelle, con un livello inadeguato di investimenti e con la paralisi delle riforme strutturali; l’Austria condivide la prosperità economica del Paese vicino del Nord, ma soffre della svolta a destra populista e xenofoba del Pese vicino del Sud; la Bulgaria e la Romania soffrono di una corruzione diffusa e del fatto che gli ex partiti comunisti “sono riusciti a qualificarsi e a controllare il potere in altre vesti”; Malta e Cipro si sono trasformati in paradisi fiscali e in centri di riciclaggio di “denaro sporco, mentre la Grecia, dopo un decennio di austerità, stenta ancora ad uscire definitivamente dal “tunnel” della grave crisi nella quale era caduta.
La situazione dell’Unione europea non è migliore se valutata dal punto di vista delle sue Istituzioni. Molti Paesi, ad esempio, membri sono in una situazione di opposizione radicale nei confronti della Commissione; fatto, questo, che rende difficile l’accettazione delle sue proposte di riforma e di adeguamento delle politiche nazionali. Si tratta di una situazione che ha solo favorito – a parere di Mény – il consolidarsi di una situazione paradossale, caratterizzata dalla formazione di due poli: da un lato, il polo del “potere economico”, che cerca di sfuggire ad ogni forma di controllo politico; dall’altro lato, il polo dei “governi democratici”, sempre più sottomessi a pressioni pubbliche che li rendono incapaci di risolvere i problemi che i cittadini chiedono che siano affrontare. L’Europa è così stretta nell’”occhio del ciclone”, sia nelle sue componenti che nel suo insieme, perché i suoi strumenti di governo “sono inadeguati al centro e impotenti alla periferia”.
La situazione è resa ancora più negativa sul piano del rilancio del processo di integrazione dalla mancanza di autorevoli leader; prevalgono così singoli gruppi di europeisti, ma le loro proposte, poco partecipate e prive di autorevolezza, risultano inappropriate, anche perché avanzate in un contesto dove è del tutto impossibile mobilitare un’opinione pubblica stanca di sentirsi rispondere che la soluzione dei problemi è solo possibile sulla base di compromessi e di “aggiustamenti incrementali”.
Perché la maturazione di questa situazione di stallo? Per una robusta schiera di osservatori, la risposta è da rinvenirsi nella firma del Trattato di Maastricht, che è stato il risultato di un compromesso finalizzato a contenere il crescente “peso” politico ed economico della Germania, attraverso la costituzione di un mercato comune interno, cui avrebbero dovuto far seguito la ripresa del processo di unificazione politica del Vecchio Continente su basi federaliste e la conduzione di una politica di difesa ed estera comune. A parte la costituzione del mercato interno, le spinte federaliste e quelle per una difesa e una politica estera comuni, all’epoca appoggiate anche dalla Germania, sono state fortemente ridimensionate su pressione di alcuni importanti Stati membri, quali il Regno Unito, l’Olanda e i Paesi scandinavi.
L’Unione Europea è venuta a così a caratterizzarsi solo sul piano dell’integrazione economica e finanziaria, dando vita a un mercato comune in cui è stata realizzata piena libertà di circolazione dei beni e dei capitali, rafforzato dalla creazione di una Banca Centrale e di una moneta comune. Secondo le idee neoliberiste del tempo, le regole di funzionamento del mercato interno dovevano essere quelle della libera concorrenza, con l’esclusione di qualsiasi possibilità di un intervento degli Stati a favore delle proprie imprese; un tal modo, nel rilancio del processo di unificazione degli Stati europei è stata privilegiata la competizione, non la solidarietà. [segue]

Oggi mercoledì 17 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Non è tutto Oro Colao! E molto altro ancora….
17 Giugno 2020
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Il Piano Colao è stato elaborato da un Gruppo di esperti nominati dal Governo e comprende lo stesso Vittorio Colao, AD Vodafone, scelto per le sue capacità manageriali ed un gruppo di altri managers, docenti universitari, economisti ed una giornalista presidente WWF. Ancora una volta però un piano per il rilancio dell’Italia e della Scuola, […]
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Welfare: i progetti contrapposti di Keynes e di Beveridge
Maria Cristina Marcuzzo
Sbilanciamoci, 15 Giugno 2020 | Sezione: Lavoro, primo piano.
Di fronte ai limiti del liberismo, Keynes pensava all’intervento pubblico soprattutto in termini di investimenti per garantire il massimo dell’occupazione, Beveridge era interessato piuttosto a trasferimenti e servizi pubblici contro le incertezze del mercato.
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Il Comitato Casa del Quartiere Is Mirrionis scrive al Sindaco e alla Municipalità. C’è fermento a Is Mirrionis…

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Al Signor Sindaco
All’Assessore ai Lavori Pubblici
All’Assessore alla Cultura e allo Spettacolo
Al Presidente Commissione Pianificazione strategica e dello sviluppo urbanistico
Al Presidente Commissione Cultura Spettacolo e Verde Pubblico
Comune di Cagliari – Loro sedi

Oggetto: Idee e proposte per la riqualificazione di spazi verdi e culturali nel quartiere di Is Mirrionis (al tempo del Corona virus) – Richiesta audizione.

Il “Progetto POR ITI di Is Mirrionis” 2014-2020, rappresenta, con circa 15.000.000 di euro di investimento, una importante occasione di sviluppo a vantaggio del quartiere di Is Mirrionis. In questa fase conoscitiva vi partecipiamo come Comitato “Casa del Quartiere di Is Mirrionis”. L’ultimo incontro in video conferenza si è tenuto il 29 maggio 2020 con tema dedicato alla “riqualificazione dei cortili e degli spazi aperti”.
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Che succede?

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PRODUTTIVITA’, SCUOLA, DONNE, GIOVANI, MIGRANTI, GIULIO REGENI… QUESTIONI APERTE
16 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
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