Il risveglio della ragione

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LA RAGIONE CHE HA SBLOCCATO LA CRISI
di Luigi Ferrajoli

C’era bisogno di un governo di esplicita e dichiarata difesa della Costituzione che ristabilisse i fondamenti elementari della nostra democrazia costituzionale e fosse alieno dall’accanimento contro i più deboli e indifesi

C’è una ragione di fondo che impone la formazione di un governo giallo-rosso: la necessità, prima di porre termine alla legislatura, di disintossicare la società italiana dai veleni in essa immessi da oltre un anno di politiche ferocemente disumane contro i migranti. La Lega di Salvini intende «capitalizzare il consenso» ottenuto a tali politiche pretendendo nuove elezioni e chiedendo al popolo «pieni poteri».
L’idea elementare della democrazia sottostante a questa pretesa – poco importa se per analfabetismo istituzionale o per programmatico disprezzo delle regole – è la concezione anticostituzionale dell’assenza di limiti alla volontà popolare incarnata dalla maggioranza e, di fatto, dal suo capo: dunque, l’esatto contrario di quanto voluto dalla Costituzione, cioè la negazione del sistema di vincoli, di controlli e contrappesi da essa istituito a garanzia dei diritti fondamentali delle persone e contro il pericolo di poteri assoluti e selvaggi.
Non dimentichiamo quanto scrisse Hans Kelsen contro questa tentazione del governo degli uomini, e di fatto di un capo, in alternativa al governo delle leggi: «la democrazia», egli scrisse, «è un regime senza capi», essendo l’idea del capo al tempo stesso non rappresentativa della complessità sociale e del pluralismo politico, e anti-costituzionale perché in contrasto con la soggezione alla legge e alla Costituzione di qualunque titolare di pubblici poteri.
Di fronte a queste pretese, il dovere delle forze democratiche – di tutte quelle che si riconoscono non già nell’idea dell’onnipotenza delle maggioranze ma in quella dei limiti e dei vincoli ad esse imposte dalla Costituzione – è quello di dar vita a un governo che ripari i guasti prodotti proprio da chi quelle politiche velenose contro la vita e la dignità delle persone ha praticato e intende riproporre con più forza ove vincesse le elezioni.
Dunque un governo di disintossicazione dall’immoralità di massa generata dalla paura, dal rancore e dall’accanimento – esibito, ostentato – contro i più deboli e indifesi.
Non un governo istituzionale o di transizione, che si presterebbe all’accusa di essere un governo delle poltrone, ma al contrario un governo di esplicita e dichiarata difesa della Costituzione che ristabilisca i fondamenti elementari della nostra democrazia costituzionale: la pari dignità delle persone, senza differenze di etnia o di nazionalità o di religione, il diritto alla vita, il rispetto delle regole del diritto internazionale, prima tra tutte il dovere di salvare le vite umane in mare, il valore dei diritti umani e della solidarietà, il rifiuto della logica del nemico, come sempre identificato con i diversi e i dissenzienti e immancabilmente accompagnato dal fastidio per la libera stampa e per i controlli della magistratura sull’esercizio illegale dei poteri.
Su questa base non ha nessun senso condizionare il governo di svolta a un no a un Conte-bis o alla riduzione del numero dei parlamentari.
L’alternativa possibile è un governo Salvini, preceduta dalla riduzione dei parlamentari ad opera di una rinnovata alleanza giallo-verde, e poi chissà quante altre e ben più gravi riforme in tema di giustizia, di diritti e di assetto costituzionale.
Una probabile maggioranza verde-nera eleggerebbe il proprio capo dello Stato e magari promuoverebbe la riforma della nostra repubblica parlamentare in una repubblica presidenziale. Di fronte a questi pericoli non c’è spazio per calcoli o interessi di partito.
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Luci e ombre di un governo diverso
Giulio Marcon su
sbilanciamoci
5 Settembre 2019 | Sezione: Editoriale, Politica
Con l’insediamento del “Conte-bis” si apre una fase politica che promette di essere diversa rispetto a quella del precedente governo giallo-verde. Ma alla bontà di alcuni punti del programma e di alcuni nuovi ministri fanno da contraltare le ombre e le incognite su decreti sicurezza, spese militari, investimenti pubblici, sistema fiscale e bancario.

Parte un governo nuovo, diverso da quello del passato. Certo, migliore: scompaiono dal radar di governo il virulento Salvini e alcune politiche scellerate come la flat tax e la cosiddetta autonomia differenziata in salsa leghista. Si rompe il connubio liberista-populista. Diventano ministri persone di qualità come Provenzano, Fioramonti, Pisano, Boccia.

Nel programma dei 29 punti ci sono cose nuove, che non possono non essere apprezzate: il Green New Deal, la promessa di una politica economica espansiva e di sostegno al welfare, alla scuola, all’istruzione, il salario minimo, l’impegno sull’Agenda 2030, la web tax, la promessa della legge sull’acqua pubblica e altro ancora.

Ma ci sono anche cose negative: i decreti sicurezza non vengono cancellati (ci si limita a una loro “rivisitazione” e si rimanda a una futura legge sull’immigrazione), le spese militari non vengono tagliate (e nemmeno i cacciabombardieri F35), il richiamo al “cuneo fiscale” è del tutto vago (tutto dipende da come verrà declinato), sugli investimenti pubblici non ci sono impegni concreti, solo due righe insignificanti sul sistema bancario e zero parole sulla tobin tax.

Vedremo come tutto ciò si concretizzerà. Le incognite sulle misure specifiche e la tenuta del governo sono molte. Quello che conta è il merito delle scelte: spazzare via i decreti sicurezza è dirimente, una questione di civiltà e di democrazia. Così come stanziare più soldi per la scuola, per gli ospedali, per i servizi sociali. Ci sono emergenze sociali in questo paese: la povertà non è stata di certo “abolita”, le diseguaglianze continuano a essere profonde, le condizioni dei giovani sono drammatiche. La questione sociale – insieme a quella ambientale – deve tornare al centro delle scelte.

Il paese è in stagnazione, l’economia e l’apparato industriale (e la finanza) galleggiano in una situazione di grandissimo rischio sistemico, anche per il contesto globale. Il paese non ha bisogno – come dice Conte – di “novità”, ma di una vera e propria svolta, come invece più volte in questi anni ha chiesto Sbilanciamoci!: più investimenti pubblici e meno inventivi fiscali alle imprese, più lavoro con diritti e meno precariato, più lotta ai cambiamenti climatici e meno sussidi ambientalmente dannosi (16 miliardi di euro), più soldi per l’accoglienza dei migranti e la cooperazione e meno spese militari.

Aspettiamo il nuovo governo alla prova dei fatti, a partire dalla prossima Nota di aggiornamento del DEF.

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