Oggi sabato 9 novembre 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————
Autonomia, rischi intatti e risposte scarse
9 Novembre 2019
Intervento di Massimo Villone su Il Manifesto del 7.11.2019, ripubblicato su Democraziaoggi.
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Massimo Villone, autorevole costituzionalista, sarà a Cagliari il 14 novembre relatore in un’assembea aperta del CoStat-ANPI-Scuola di cultura politica “Francesco Cocco” (ore 17, Studium Franciscanum – via Principe Amedeo n. 22). Anticipiamo i temi dell’incontro pubblicando un suo intervento su Il Manifesto.

Il rapporto Svimez 2019 su L’economia e la società del […]
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festival-scienza-7-11-19
festival-scienza-logo Continua il Festival della Scienza. Il sito dedicato. – La pagina fb.
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Diario
di Tonino Dessì su fb.
Oggi, per gli atti del mio diario e (a perdonare) per l’eventuale pazienza di chi incappasse sul mio profilo, un post fra il servizio e il memoriale, con in coda un “de te fabula narratur” relativo alla Sardegna. [segue]
Ieri sera l’incontro del Presidente Conte a Taranto col Consiglio dei delegati operai di fabbrica dell’ex-ILVA dev’esser stato teso e difficile.
Non tuttavia come quello che lo ha preceduto, di fronte ai cancelli degli impianti, con i manifestanti, cittadine e cittadini, anche ex operai e operai, che hanno ribadito la richiesta tout court di chiusura dello stabilimento.
Lì c’è stato anche un principio di contestazione.
“Mia moglie è morta di cancro, per gli effetti dell’inquinamento”, gli ha detto proprio un ex dipendente, in un frammento del confronto riportato dai giornali radio di stamattina; “cosa aspettate a chiuderlo, quel mostro?”.
Ecco, mentre tutti siamo concentrati sul tema del salvataggio della produzione e dei posti di lavoro connessi, il macigno rischia di esser rimosso e questo non va affatto bene.
Se non si affronta quel problema qualunque soluzione sarà priva di senso alcuno e la bomba continuerà a covare fin quando non riesploderà di nuovo.
Intanto si attende il nuovo incontro di lunedì fra Governo e Acelor Mittal.
Il clima è pessimistico, c’è chi scruta l’orizzonte per intravvedere nuovi potenziali interlocutori imprenditoriali (cinesi, oggi si vocifera), c’è chi vagheggia e vaneggia di soluzioni protezioniste e “sovrane”, fatte di un mix di nazionalizzazione e di imposizione di dazi alle importazioni di acciaio (come Stefano Fassina, al cui post su FB, https://www.facebook.com/193123080790778/posts/1947630668673335?vh=e&d=n&sfns=mo, mi son permesso di fare un commento: “Ma proprio a lume di rudimenti, è una proposta priva di senso. Chi mette i dazi? L’Europa? A chi? All’acciaio cinese e statunitense? E perché gli altri Paesi europei dovrebbero trovare convenienza nell’acquisto di una produzione italiana a prezzi maggiori di quelli spuntabili nel mercato extraeuropeo? L’Italia da sola? E come farebbe a esportare il suo acciaio, posto che fuori dai confini italiani se ne potrebbe comprare dovunque a prezzo inferiore? Ma poi, dazio chiama dazio, mica le guerre commerciali si fermano a una merce soltanto. Si vuol dire che la logica è “ciascuno si produce quel che gli serve”? Allora il mercato italiano resta troppo piccolo per la dimensione dell’ex-ILVA. Il punto resta lo stesso. La siderurgia italiana va ristrutturata in vista di una riconversione sostitutiva della quota necessaria di riduzione della produzione e della relativa occupazione. Il ruolo strategico della mano pubblica è quello, non quello di vagheggiare soluzioni continuiste quando tutto un contesto economico è cambiato. Riconvertire possibilmente in nuova industria, ad alto valore aggiunto, competitiva, non energivora, non inquinante, capace di assorbire e produrre occupazione. Altrimenti anche “nazionalizzando” l’ex ILVA -cosa che in pratica accadrà quando questi mezzi imbroglioni di Acelor Mittal, che sotto il ministero Calenda si sono aggiudicati, contando sulla sprovvedutezza del Governo italiano, la gara internazionale, se ne andranno, cosa al momento probabilissima e gli impianti torneranno alla gestione commissariale- inizierà una lenta, ma inesorabile e costosissima agonia, tutta a carico del bilancio pubblico, con annessa macelleria sociale e un’eredità mortifera di inquinamento ambientale”.).
Nel frattempo, in tema di pubblico e privato e di “nazionalizzazioni”, scoppia, quasi a proposito, un nuovo scandalo Fincantieri, nel quale emergono sia i temi della corruzione del management, sia quello dello sfruttamento dei lavoratori, tanto interni quanto delle ditte in appalto e in subappalto: https://www.facebook.com/61480282984/posts/10158362702672985?d=n&sfns=mo.
Fincantieri è un grande gruppo industriale a partecipazione e a controllo pubblico italiano, inferiore per rilevanza forse solo all’ENI (https://www.fincantieri.com/it/governance/azionisti/) e credo sia il principale committente italiano delle produzioni dell’ex ILVA.
Beh, non è proprio che “pubblico è sempre bello” per definizione.
Ci si potrà infine chiedere perché io stia dedicando tanto spazio a un tema di politica generale italiana.
Ammetto che lo faccio un po’ per tigna personale retrospettiva, ma altrettanto onestamente dico che lo faccio perché la questione richiama -fatte le debite proporzioni- un’importante e irrisolta questione sarda, quella della presenza e del futuro dell’industria in Sardegna a partire dal suo polo metallurgico.
Me ne sono occupato con alcune riflessioni altre volte:
- https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1458349521099033&set=a.1729242650676384&type=3&sfns=mo;
- https://www.facebook.com/100007719966372/posts/2147951455472166?d=n&sfns=mo.
Taranto chiama anche la Sardegna a molte riflessioni: de te fabula narratur, insomma.
Dovremo prima o poi giocoforza tornarci.

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