CORONAVIRUS pregi e limiti della scienza. Tre tipi di cofatori ci aiutano a capire: biologico, sociologico, politico.

rocca-04-febb-2020-mini_01CORONAVIRUS
di Pietro Greco su Rocca.
Come è successo anche altre volte in passato, nel caso di altre epidemie, anche il nuovo coronavirus ci dice molto del paese in cui probabilmente è nato e certamente si è diffuso: la Cina. [segue]
Non entreremo nel dettaglio biomedico di questa recente epidemia. È troppo presto per farlo. Per ora ascoltiamo solo e unicamente i consigli delle autorità sanitarie preposte, in particolare quelle dei medici esperti dello Spallanzani di Roma. Non seguiamo la vicenda nei talk show televisivi e sui sociali: quasi sempre sono informazioni incomplete se non sbagliate. Poniamoci invece all’ascolto di cosa questo nuovo virus ci dice della Cina. Perché molto spesso i nuovi virus capaci di esplosioni epidemiche originano in questo grande paese asiatico che è, ormai, una superpotenza scientifica (oltre che tecnologica)? I coronavirus – così i virologi chiamano questo tipo di agenti infettivi – hanno tre caratteristiche per noi significative: originano in animali non umani (in genere); sono capaci di «salti di specie», ovvero passano da un animale all’altro (uomo compreso); mutano con straordinaria rapidità. E con questo continuo mutare alcunitra loro si dimostrano capaci di creare danni all’organismo di Homo sapiens.
Partiamo dalla prima caratteristica: l’origine animale. Nulla vieta, sia chiaro, che un virus «nuovo» origini nell’uomo stesso. Ma poiché sono largamente diffusi nella biosfera, è molto più probabile che «nascano» in altri organismi animali. Il «nascere» va messo tra virgolette, perché si tratta di forme nuove (mutate, appunto) di virus già esistenti e diffusi. Un organismo in cui molti virus (compresi i coronavirus) mutano e assumono forme biologiche adatte a essere ospitate dall’uomo sono i maiali, perché questi simpatici mammiferi hanno una struttura biologica che molto assomiglia alla nostra. Mentre è facile intuire che tra i maggiori responsabili della loro diffusione siano i pipistrelli, mammiferi abituati a cibarsi del sangue di altri animali.
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tre cofattori
Non abbiamo nominato a caso maiali e mammiferi. Il motivo lo scopriremo tra poco. Prima diciamo che i coronavirus (e altri virus) sono capaci di «salti di specie», ovvero possono vivere e moltiplicarsi passando da una specie all’altra. Per esempio dai pipistrelli o dai maiali all’uomo. Alcuni coronavirus possono vivere pacificamente (ovvero senza provocare danni) in altri organismi animali e poi diventare aggressivi con l’uomo.
Bene, tutto questo serve per cercare di dare una risposta alla nostra domanda: come mai tutto questo avviene di frequente in Cina, divenuta ormai superpotenza scientifica e tecnologica?
La risposta deve essere articolata. E i punti salienti sono tre. Una è di tipo biologico; una seconda è di tipo sociologico e una terza, infine, ha natura politica. Questa nuova vicenda sembra avere come cofattori tutti i tre elementi che abbiamo chiamato in causa.

fattore biologico
Il «salto di specie» si verifica con maggiore probabilità, è facile intuirlo, quando c’è una forte vicinanza tra l’uomo e gli animali che trasportano il virus. Per esempio tra uomo e pipistrelli o tra uomo e maiali. La Cina è stata per secoli una grande e popolosa economia rurale, dove la promiscuità con i maiali e anche con i pipistrelli (e altri potenziali trasportatori del virus) è stata altissima. Dunque, la probabilità che in Cina si verificasse un «salto di specie» e virus aggressivi raggiungessero l’uomo è sempre stata, statisticamente, piùelevata che altrove. Questo spiega perché storicamente le epidemie partano molto frequentemente dalla Cina e raggiungano i tre continenti connessi, magari con l’ausilio di altri animali che trasportano questi patogeni. È il caso, per esempio, dei virus che causano a ogni stagione invernale l’influenza.

fattore sociologico
Ma adesso la Cina non è più una grande e popolosa economia rurale. Centinaia di milioni di persone si sono trasferite dalle campagne alla città, realizzando la più grande migrazione di massa della storia e trasformando la Cina in un moderno paese ipertecnologico. Ma la società cinese è mutata solo in parte. Intanto, centinaia di milioni di persone sono rimaste in campagna. Ma, soprattutto, quelle che si sono trasferite in città non sempre hanno abbandonato i loro tradizionali stili di vita rurali. Spesso, per esempio, hanno conservato le abitudini alimentari.
Per esempio: nella città di Wuhan, una metropoli con oltre dodici milioni di abitanti, ci sono mercati dove gli animali vengono ancora portati e macellati vivi, senza rispettare norme igieniche ormai irrinunciabili in aree ad alta densità di popolazione. Tra questi animali vivi e macellati sul posto ci sono i pipistrelli. Non solo i commercianti, ma anche i clienti vengono facilmente a contatto con i loro fluidi organici. Pare che, in alcuni casi, i clienti bevano il sangue caldo di qualche animale appena macellato. In altri termini anche la popolazione urbana della Cina ha un’elevata promiscuità con animali, selvatici o domestici.
Noi non sappiamo se il nuovo coronavirus abbia realizzato il «primo salto di specie» da un pipistrello (vettore allo stato ritenuto il più probabile) all’uomo in un mercato di Wuhan. Sappiamo già, tuttavia, che quel mercato è stato uno dei principali focolai di concentrazione e diffusione del virus. In estrema e forse brutale sintesi: la Cina è una superpotenza scientifica e tecnologica che conserva molti stili di vita rurali. E questo fa sì che nuovi virus continuino a «nascere» e a diffondersi. Probabilmente con una frequenza addirittura maggiore che in passato.

il fattore politico
C’è poi il terzo fattore da prendere in considerazione, quello politico. Pare che alcuni medici già a dicembre 2019 abbiano intuito e documentato la presenza a Wuhan di un agente patogeno sospetto. Ma sono stati costretti al silenzio e, alcuni, anche arrestati. Per poi essere riabilitati a inizio febbraio. Se la vicenda è vera – è molto probabilmente lo è – significa che la Cina non ha ancora imparato le lezioni del passato. Che sono due. Dire la verità – anche la verità scientifica – in Cina è pericoloso. Meglio tacere. O, al più, parlare solo previa autorizzazione del partito. La seconda lezione riguarda il tempo di reazione a un’emergenza: la necessità di risalire una lunga catena che porta al decisore ultimo consuma molto tempo. Un’emergenza sanitaria come quella generata dal coronavirus ha bisogno di una reazione rapida, che porti in tempi brevissimi a individuare i focolai e a isolarli. Ancora una volta, dunque, la pretesa del centro di controllare tutto quanto avviene nel popoloso paese e la paura delle autorità di periferia di prendere, in autonomia, decisioni importanti è stato un fattore epidemico importante.
Certo, rispetto al passato, le autorità di Pechino hanno preso decisioni drastiche, con l’isolamento di quasi sessanta milioni di persone per cercare di riacchiappare lo spirito uscito dalla bottiglia. E hanno dimostrato di possedere capacità tecnologiche eccezionali, per esempio costruendo in pochi giorni grandi ospedali specializzati.
Ma la ipertecnologia non rimedia alla mancanza di trasparenza e alla viscosità della burocrazia.
La Cina, tuttavia, è anche una superpotenza scientifica, particolarmente forte, ormai, nel campo della biomedicina. Com’è possibile, allora, che questo gigante scientifico sia messo in ginocchio da un virus, per quanto nuovo?
Gli scienziati cinesi hanno dimostrato di essere all’altezza della situazione. Per esempio, hanno immediatamente ricostruito la sequenza dell’Rna del virus (ovvero del suo materiale genetico) e l’hanno resa disponibile ai colleghi di tutto il mondo. Ma, questa è un’altra lezione che ci viene dal coronavirus della Cina, in presenza degli altri tre fattori – quello biologico, quello sociologico e quello politico – la scienza non può risolvere tutti i problemi. Anzi, di problemi che coinvolgono grandi masse, ne può risolvere davvero pochi.
Pietro Greco
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