Referendum del 29 marzo e conseguenze per la rappresentanza sarda

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di Fernando Codonesu e Gianni Pisanu

Un referendum clandestino?

Poco ci manca. Al momento non è entrato neanche nel dibattito politico pubblico, quasi che si trattasse di un fatto secondario. Se ne parla poco e quando se ne parla sembra che se ne dia per scontato l’esito. La sensazione, anche tra gli addetti ai lavori, è che la legge sulla riduzione dei parlamentari abbia una durata breve e che non sopravviverà alla tornata referendaria del 29 marzo.

In effetti sembra un referendum tutto sommato richiesto per dovere d’ufficio, come se non avesse avuto una gestazione precisa da precisi genitori, con voti iniziali all’interno del centrodestra con l’opposizione del PD e un epilogo che ha visto il PD fare una inversione a U e votare compatto con i primi proponenti, il M5S e la Lega.

Osserviamo, infatti, che la Camera ha approvato definitivamente il taglio dei parlamentari facendo il pieno di voti: tutti i gruppi hanno votato il provvedimento che ha ottenuto 553 si, solo 14 no e due astenuti. Con una valutazione quasi unanime e, con un corollario non di poco conto: la riforma è stata approvata, ma nel contempo se ne è evidenziata la necessità di una sostanziale correzione (il classico “ma anche”), tanto è vero che la maggioranza ha condiviso un documento in cui si annunciava l’incardinamento entro ottobre di tre ulteriori riforme che avrebbero toccato gli articoli della Carta appena modificati.

Sappiamo bene che ciò è bastato per far gridare alla vittoria il M5S e l’opposizione di centrodestra, che aveva sperato fino all’ultimo in un flop che facesse cadere il governo. Per Di Maio, per esempio, anche per venire incontro alla posizione favorevole assunta dal PD governativo rimaneva la necessità di “attivare i pesi e contrappesi che servono a questa riforma”, e su questo ha assicurato “lealtà” agli alleati di Pd, Leu e Iv che, dopo essersi opposti nei precedenti passaggi, hanno votato a favore proprio per l’impegno formale a varare le altre riforme. Di questi ulteriori passaggi, però, non vi è traccia nell’azione di governo successiva all’approvazione della legge e ora, in fretta e furia, si è chiamati al voto, in un vuoto comunicativo sul tema che raramente si è visto nelle altre tornate referendarie relative alle riforme costituzionali e che consente poco se non nessuna possibilità di un approfondimento collettivo delle conseguenze della legge sulla riduzione del numero dei parlamentari.

Riduzione dei costi della politica?

Se questo è il modo di risolvere il problema siamo proprio messi male.

La grande questione di fondo, lo sappiamo, è la legge elettorale e la rappresentanza, ma al momento pare che ci si preoccupi di allungare il più possibile la legislatura con qualche speranza in più per farla giungere al suo termine naturale dei cinque anni, facendo innanzitutto salva la tornata delle nomine nei vari enti e società alle porte e sperando di evitare la possibile caduta del governo che è sempre dietro l’angolo, a causa della litigiosità continua tra i partner di governo e soprattutto dei ricatti e imboscate continue di Renzi il cui unico scopo è quello di combattere il suo ex partito, il PD e, possibilmente, sostituire Conte.

Renzi statista? Lasciamo perdere!

Ma torniamo alla sostanza, al referendum. I senatori che lo hanno richiesto con la raccolta delle firme, dopo alcune defezioni rispetto alle firme originarie e alcune new entry, sono 71 e sono così suddivisi per appartenenza politica Forza Italia (31), Lega (9), FI-UDC (3), Gruppo Misto (9), M5S (2), Italia Viva (2), PD (5), LEU (1) e un senatore a vita.
Come si vede, con l’esclusione di FDI, si tratta di una rappresentanza di tutti i partiti, di quelli a favore della legge e di quelli che erano contrari.
Qualcuno avrebbe anche potuto dire: “grande è la confusione sotto il cielo …”, ma qui rimane la constatazione di un pasticcio, un guazzabuglio, un gioco d’azzardo che non orienta gli elettori.
E non è frutto del caso, ma una scelta deliberata.
I vari partiti hanno fatto il classico gioco dell’oca, confidando sul fatto che l’elettorato li avrebbe costretti con il voto al ritorno nella casella iniziale.
L’impressione più che fondata è che questo risultato metterebbe al riparo tutti gli attori da ogni possibile critica.
Come in passato si chiede all’elettorato di porre rimedio ai guasti e all’ennesimo tentativo di scasso della Carta costituzionale. Per quanto ci riguarda, ancora una volta confidiamo che sarà l’elettorato a fare la differenza e a chiarire che la Costituzione non va modificata in questo modo: così è successo nel 2006 e nel 2016, così succederà anche questa volta.
La diminuzione della rappresentanza è grave per tutte le regioni e per la Sardegna lo è ancora di più.
Vediamo in dettaglio gli effetti della riduzione del numero dei parlamentari nella nostra regione e proviamo anche a valutare tutti i livelli di rappresentanza, a partire dal livello comunale.
Elezione diretta dei sindaci. Quello che si dice è che funziona, ed è vero se ci si limita al momento dell’elezione e dell’insediamento, in parte anche alla formazione della giunta. Ma, a causa del rapporto impari tra maggioranza e minoranza, l’opposizione è condannata esclusivamente alla testimonianza, senza alcuna possibilità concreta di incidere sulle scelte della Giunta pro tempore.
Peraltro, non mancano episodi di becero trasformismo sia all’interno dei consigli comunali come fra i componenti delle giunte e fra gli stessi sindaci eletti che in numerosi casi hanno cambiato e cambiano “appartenenza e colore” politico con una certa disinvoltura.
E le province? Si può dire non pervenute?
Le province sono un grande enigma, o più semplicemente un equivoco. Nessuno conosce i Presidenti commissari, non eletti, ma nominati e ripescati nelle file dei trombati nelle varie tornate elettorali. Quel che registriamo da anni è che il territorio di tutti gli ambiti provinciali sardi soffre in uno stato di abbandono e di degrado, a cominciare dallo stato delle scuole e della viabilità stradale.
Il Consiglio regionale è eletto con una legge malefica, scritta a suo tempo da Forza Italia e dal PD, di cui abbiamo parlato tante volte in varie sedi, una legge che si contraddistingue per rappresentare un vulnus democratico.
A differenza del passato si può affermare che in questa legislatura ha una composizione in linea con l’esito delle elezioni.
Si è trattato di una casualità, certo, ma in passato si sono verificati esiti che non rispecchiavano il voto e al riguardo basta ricordarsi dei casi di Michela Murgia e Mauro Pili nel 2014. Quella in vigore è una legge piena di difetti che abbiamo sempre criticato. Abbiamo cercato in tutti i modi di intervenire per ottenere quanto meno quei correttivi nei punti più critici evidenziati da vasti settori del mondo democratico sardo. Assemblee, incontri con politici e istituzioni: tutto inutile fino a ad ora.

Il livello parlamentare
La modifica apportata alla Costituzione riduce drasticamente il numero dei parlamentari da 630 a 400 i deputati, e da 315 a 200 i senatori. Per quanto riguarda la Sardegna i deputati dovranno passare da 17 a 10,793 (11), i senatori da 8 a 5,079 (5) ma si parla di 6 non si sa con quale fondamento.
La tabella che segue permette di fare il confronto tra il numero di eletti e il numero di elettori in vari stati europei, con la penalizzazione evidente del rapporto eletti/elettori in Italia se la nuova legge diventasse operativa.
Francia
Assemblea Nazionale 581 – 81.489
————
Germania
Bundestag 628 – 98.089
———-
Regno Unito
Camera dei Comuni 650 – 72.012
———-
Italia
Camera dei Deputati 630 – 80.916
Italia
Camera post riforma 400 – 127.442

Soffermiamoci ora sui riflessi che la drastica riduzione avrebbe sulla rappresentanza della e nella nostra realtà regionale e concentriamoci nel punto in cui si sentirà con maggiore negatività: il Senato, ma non si può certo dire che per la Camera andrà tutto bene.
Intanto non si sa come verranno scelti i 5 senatori, con quale legge elettorale, come saranno formati i collegi.
Nel merito della riforma nulla si sa delle idee o interventi tesi a incidere sulla funzionalità del bicameralismo, sulle migrazioni, sul nascere di nuovi gruppi parlamentari, sulla regolamentazione dei partiti, che “concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Sulla base del testo in discussione si prospetta una legge proporzionale con soglia del 5% che per il Senato ha un risvolto molto importante. Il Senato viene oggi eletto su base regionale, ma se ne prevede il superamento e questo costituirebbe un problema ulteriore. Infatti, se la soglia del 5% venisse applicata in circoscrizioni molto ampie, per esempio da 25 o 30 seggi con un accorpamento delle isole come succede per le europee, si rischierebbe di avere una rappresentanza del tutto marginale. Di fatto, se questa soglia di per sé già alta, non troverà applicazione in una circoscrizione chiusa come la nostra, considerato il peso elettorale complessivo della Sardegna, con il proporzionale formale del 5% su circoscrizioni che superano i nostri confini geografici avremo una soglia naturale che non potrà essere inferiore al 10 o 12%, con conseguenze per la rappresentanza territoriale simili a quelle delle elezioni europee.
E non solo. Si avranno conseguenze non solo in ordine alla insufficienza numerica dei rappresentanti del popolo sardo, ma anche nella composizione politica della rappresentanza. In tal caso alcune componenti geografiche e politiche saranno definitivamente tagliate fuori.
Sui risparmi, posto che si debba tirare in ballo questo argomento, possiamo fare almeno solo due osservazioni minimali. Primo, il numero dei parlamentari è ritornato in linea con quello dell’immediato dopoguerra, con il medesimo numero di parlamentari da eleggere oggi con una popolazione di oltre 60 milioni mentre nel dopoguerra era di appena 40 milioni, inferiore di un terzo rispetto a quella attuale; secondo, nessuno vieta un ritocco in diminuzione dell’appannaggio totale dei singoli eletti, magari ripensando e implementando un sistema a sostegno dell’attività politica mediante servizi e spazi dedicati di cui si parla episodicamente da decenni, ma non viene mai realmente portato a compimento.
Vi sono sicuramente altri problemi e argomentazioni da sollevare con la proposta di legge elettorale nazionale e su questo ritorneremo, ma in questo momento preoccupiamoci di dare tutto per il successo del NO, per il resto dovremo esserci con il meglio delle nostre energie, perché sono in gioco ancora una volta la rappresentanza, la democrazia e la nostra Carta costituzionale.

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