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logo-ok-chiesa-ranieroNewsletter n. 190 del 6 aprile 2020
LA PROFEZIA DI CAIFA
Care Amiche ed Amici, [segue]
non si può celebrare impunemente questa Pasqua senza chiedersi il significato dell’oceano di sofferenze in cui è oggi immerso tutto il mondo e senza chiedersi il significato della Pasqua stessa.
Di per sé l’evento che ha dato origine alla Pasqua è stato un evento di ordinaria violenza, storicamente irrilevante, (infatti non annotato dagli storici di allora), in quanto simile a infinite altre sofferenze e morti inflitte nel tempo, di condanna in condanna, di genocidio in genocidio, fino ad ora. E nemmeno la sua ragione era inusuale, ma anzi del tutto comune, come risulta dalla motivazione di un presunto interesse generale, datane da Caifa, per cui occorreva “far fuori quest’uomo”, come papa Francesco ha riassunto la situazione nell’omelia a Santa Marta, con un efficace linguaggio non religioso che sarebbe piaciuto a Bonhoeffer. Quella che infatti veniva messa in campo era una “ragion di Stato”, come poi sarebbe avvenuto infinite altre volte nella storia. Gesù secondo il Sinedrio avrebbe messo a rischio il rapporto con gli odiati occupanti romani, i quali sarebbero venuti e avrebbero distrutto il tempio e la nazione. Dunque nella percezione degli Ebrei si trattava di un pericolo da togliere (“è bene che un uomo solo muoia per il popolo e non vada in rovina la nazione intera”), non di un sacrificio espiatorio da offrire in olocausto. La lettura della uccisione di Gesù come un sacrificio è una lettura cristiana, che viene dalla assimilazione mistica di Gesù al servo sofferente.
Perché dunque un evento storicamente così ordinario e seriale ha avuto un impatto così potente da dividere in due fasi la storia anche profana del mondo, e da essere registrato come dirompente anche da parte di chi non condivide la fede nella resurrezione?
Bisogna tornare a Caifa, che l’evangelista Giovanni, riconoscendone l’autorità come sommo sacerdote, considera come un profeta suo malgrado: egli “profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”.
Di tale profezia non si è realizzata la prima parte, perché in effetti i Romani vennero e distrussero il tempio e la nazione, ma si realizzò invece la seconda, perché l’abbraccio di Dio fu riconosciuto come esteso dagli Ebrei a tutte le genti.
Ora questo è avvenuto precisamente perché accettando la morte Gesù ha decostruito, e invalidato per sempre, inchiodandola alla croce, la legge (“il chirografo”, lo chiama Paolo) del sacrificio. Era l’ideologia per la quale la sofferenza e la morte erano tributate a Dio come espiazione per i peccati, cosa questa che, superati i sacrifici umani, era rappresentata nel sacrificio del capro espiatorio, e ritualmente dell’agnello pasquale. Questa costruzione umana che faceva di Dio colui che riceveva soddisfazione e lode dal dolore, diventava impossibile a concepirsi nel momento in cui ad addossarsi i peccati era Dio stesso e a patire era quello stesso Dio a cui quel patimento sarebbe stato dovuto. Già Dio lo aveva fatto sapere: “Misericordia voglio e non sacrifici”, ma Gesù lo rende irrefutabile col rivelare il proprio rapporto col Padre. Egli non dice solo: “Quello che farete a uno di questi piccoli lo farete a me”, ma dice anche: quello che fate a me lo fate al Padre. Questo è infatti il tema della controversia con i capi dei sacerdoti e i farisei, il suo rapporto col Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”; e questo è ciò che poté essere espresso poi nella formula cristologica “Unus de Trinitate passus est”. Da quel momento nessun sacrificio si può imputare a Dio, nessuna morte può essere inflitta a suo nome, nessuna sofferenza può essere causata per piacere a lui, e non solo le sofferenze imposte agli altri ma anche quelle inflitte a se stessi, cosa lontanissima dalla comprensione di un san Pier Damiani che afflisse tutta la Chiesa spargendo l’idea di un’ascesi autopunitiva selvaggia.
E proprio questa è la buona notizia, non c’è alcuna sofferenza che possa essere ricondotta a un compiacimento di Dio; e poiché Dio è il bene, nessuna sofferenza può essere inflitta a fin di bene, la pena di morte è ormai condannata anche dal catechismo. Certamente la sofferenza resta, e molto si impara nel soffrire, e talvolta essa dilaga, senza responsabilità di alcuno; e c’è pure una sofferenza che è la conseguenza non voluta di scelte e comportamenti giusti e necessari; ma nessuna sofferenza può essere voluta direttamente in quanto tale o imposta per se stessa. Ad esempio oggi la sofferenza causata dalle misure prese contro il virus è grande, ma essa è la condizione e l’effetto indesiderato della lotta contro la pandemia, non è certo voluta da chi l’impone. Così come l’ostinazione di tenere la gente in carcere, il chiedere “che sia fatta giustizia”, il pensare che non sia fatta giustizia finché il reo non soffra e non pareggi così il suo debito, cioè fino a quando non scatti la vendetta, pur civilizzata perché fatta dallo Stato, è un’aberrazione.
Ma c’è un altro risvolto della profezia di Caifa. L’elezione divina di Israele si è estesa a tutti i popoli. E che ne è della terra, la cui promessa era legata a quell’elezione? Non è più promessa? Si, resta la promessa, ma anch’essa ormai è estesa a tutta la Terra; essa non riguarda più la sola terra di Canaan offerta a un solo popolo, a esclusione di altri, bensì è la promessa di tutta la Terra a tutta l’umanità nel suo insieme; nessuno può più rivendicare possessi esclusivi, l’unità della comunità umana annunciata dalla Pasqua, porta con sé anche l’unità della Terra, promessa non più a un solo popolo ma a tutti, una Terra risanata dove scorra latte e miele, dove si costruiscano case e si possano abitare, si piantino vigne e se ne possa godere il frutto, in cui si possa vivere liberi e nessuno sia più straniero.
Nel sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it pubblichiamo un appello di intellettuali e teologi per una innovativa gestione della crisi da coronavirus, un documento di “Noi siamo Chiesa” sugli insegnamenti e le novità portate dalla pandemia, anche in ordine alla vita della Chiesa, e una vecchia riflessione finora inedita di Carlo Ferraris sul duplice segno dell’eucarestia e della lavanda dei piedi.

A tutti un caro augurio di una santissima Pasqua
www.chiesadituttichiesadeipoveri

One Response to Newsletter

  1. […] Cara Amica, gentile Amico, [segue] la grande tormenta che da noi è cominciata emblematicamente quando il governo disse che non ci si doveva baciare, continua a estendersi nel pianeta e sta raggiungendo ora la sua massima intensità negli Stati Uniti. Avendo ben visto in questa crisi come il mondo sia uno, tutto attraversato da uno stesso virus e tutto dotato di un solo anticorpo che è la solidarietà umana sulla Terra, ci stringiamo con affetto all’America, che non meritava una prova così dura resa anche più difficile dai guasti provocati da Trump e da tanti improvvidi governanti prima di lui. E con lo stesso spirito facciamo i nostri migliori auguri a Johnson che è in rianimazione. In forza di tale esperienza, sempre più appare necessario andare verso una Costituzione mondiale, e soprattutto verso la creazione o l’aggiornamento di istituti di garanzia che indipendentemente dagli Stati, si protendano a rendere effettivo per tutti gli abitanti della Terra il godimento dei diritti universali alla salute, alla vivibilità dell’ambiente, all’istruzione, al cibo, alla pace e così via. Questo imperativo politico, avanzato dalla nostra Scuola, comincia a essere discusso e apprezzato anche all’estero. In Spagna continua a fare notizia e ad essere dibattuto anche se c’è chi, come il costituzionalista Josu De Miguel dell’Università di Cantabria. dice al Paìs che una Costituzione della Terra c’è già, è la Carta dell’ONU, e mentre è già così difficile far passare l’idea di un diritto internazionale valido per tutti i popoli, sarebbe “ingenuo” fare il passo verso una Costituzione della Terra. In verità è proprio la labilità e impotenza dell’attuale diritto internazionale che spinge ad andare oltre il modello internazionalistico; come ha detto il prof. Ferrajoli in un’intervista a Vatican News, i modelli di democrazia atti a rispondere alle sfide globali possono essere i più svariati, ma la scelta più adeguata sarebbe il passaggio a un modello di democrazia cosmopolitica: “E’ il sogno di Kant, che oggi è possibile integrare, attuare e garantire dando ad esso la forma e la sostanza di una Costituzione globale, rigidamente sopraordinata ai poteri sia degli Stati che dei mercati”. Dello stesso Ferrajoli pubblichiamo nel sito un’altra intervista a Rassegna Sindacale, in cui denuncia il colpo di Stato in Ungheria, col pretesto dell’epidemia, e sottolinea le virtù della nostra Costituzione e della nostra cultura democratica. Nella visione complessiva dei problemi che emergono e possono fare da ostacolo al cambiamento oggi necessario e alla ripresa dopo il virus, non possiamo non rilevare l’arretratezza che si è manifestata in Italia nella polemica relativa alla rinuncia della Chiesa a celebrare col solito concorso di grandi folle e assemblee ecclesiali i riti della Settimana Santa. Non vogliamo alludere tanto al prevedibile sfruttamento del dolore dei fedeli fatto da Salvini nella sua nuova improbabile veste di “defensor fidei”, vindice del sacro e sostituto dei vescovi, quanto alla legittimazione che gli è stata data dal Corriere della Sera, giornale noto al senso comune come espressione ideale della borghesia italiana, o almeno lombarda. Questa borghesia è laica, perché viene dall’illuminismo, ma rivendica anche il cristianesimo come fattore determinante dell’identità italiana (Croce!). Tuttavia nel fondo di Antonio Polito, che pur viene dalla sensibilità della cultura comunista, si rivendica il “sacro” come “formidabile strumento di tenuta e coesione” sociale, e anzi addirittura come “nato per questo”, e si ignora del tutto il cristianesimo, se non per dire che anche prima di esso e della sua Pasqua le feste pagane celebravano la rinascita primaverile della terra. Ma il cristianesimo è precisamente l’evento che ha operato il passaggio dalla legge del sacro alla libertà della fede, dalla pesantezza dei riti alla interiorità dell’adorazione in spirito e verità, dal timore del Dio “affascinante e terribile” alla visione del Dio sfigurato, mansueto e vivificante della croce. È impressionante, e certo anche colpa di un mal trasmesso messaggio, che dopo duemila anni una borghesia europea sia attratta dai residui e dalle briciole delle antiche culture pagane, rivendichi le virtù palliative “dei miti e dei riti”, richiami in servizio una religione ridotta a “simboli e metafore”, nella persuasione che ciò serva agli uomini, “anche ai contemporanei così sicuri di sé, ma oggi all’improvviso sconvolti dalla scoperta di non essere invincibili”; un’ennesima alienazione, una cristianità senza cristianesimo. Polito ricorda l’editto di Costantino: per la prima volta, da allora, dice, si celebra la Pasqua a porte chiuse. Allusione incauta: perché prima di Costantino c’era la persecuzione. Molte cose dobbiamo dunque mettere a posto con le nostre culture. Per questo nella nostra scuola e nel sito c’è una sezione intitolata “Dimenticare Teodosio”. Per fare l’unità umana, tutte le religioni devono uscire dal loro sogno di Costantino, verso un’età diversa da quella costantiniana di Teodosio e diversa dalla ricaduta nelle manifatture pagane del sacro. È una gran cosa che a guidare la Chiesa tra questi scogli, nel sovvertimento della pandemia, ci sia tutta la misura e la lucidità evangelica di papa Francesco. Poiché si riferisce a questi problemi, pubblichiamo nella citata sezione del nostro sito l’ultima newsletter dal sito “Chiesadituttichiesadeipoveri” dal titolo: “La profezia di Caifa”. […]

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