I cattolici della Diocesi di Cagliari rilanciano l’impegno sociale nel territorio. Oggi festa di san Tommaso Moro, primo incontro con l’arcivescovo Giuseppe Baturi.

pastorale-lavoro-ca-loghettoUna nota del direttore Ignazio Boi su fb. [segue]
In occasione della festa di San Tommaso Moro si è tenuto oggi in Curia il primo incontro “ufficiale” dell’equipe di pastorale sociale e lavoro della diocesi di Cagliari con il nostro Arcivescovo mons. Giuseppe Baturi. Numerosa e qualificata la partecipazione, stimolanti e propositivi gli interventi. L’Arcivescovo si è detto positivamente impressionato per la ricchezza e le potenzialità presenti e ci ha esortati a definire un documento il cui carattere distintivo sia la concretezza e l’incisività di una azione pastorale. Il direttore dell’Ufficio ha donato a nome di tutti a mons. Baturi simbolicamente un peschereccio in miniatura augurandogli una pesca fruttuosa da pescatore di uomini e un volume di fotografie sui volti e sguardi della Sardegna dell’artista Mario De Biasi. Una bella esperienza di comunione e condivisione che ci ha confermato la propensione all’ascolto e la determinazione dell’Arcivescovo sui versanti del sociale e del lavoro.

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IPOTESI LABORATORI PSL
Versione 3 del 26.06.2020
“Non siamo sulla stessa barca, ma tante barche in un mare in tempesta”
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PERSONA
LABORATORIO “A”
EDUCAZIONE SOCIALE FAMIGLIA LAVORO
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LAVORO
LABORATORIO “B”
AMBIENTE, SVILUPPO LOCALE E NUOVE OPPORTUNITA’ DI LAVORO
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EDUCAZIONE
LABORATORIO “C”
SCUOLA ISTRUZIONE FORMAZIONE
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COMUNITA’
LABORATORIO “D”
ASCOLTO PARTECIPAZIONE POLITICA E SUSSIDIARIETA’
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A presto INCONTRI PER DEFINIZIONE LABORATORI E STESURA DOCUMENTO
SEDE: SALA “VERDE” (pianterreno base scale della Curia – ingresso laterale
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Contributo di Franco Manca (sintesi)
NULLA SARA’ COME PRIMA
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un documento dei vescovi italiani per la festa del 1° maggio dal titolo “ Il lavoro in un’economia sostenibile”. Il documento si pone nell’ottica di cosa fare e come fare dopo la crisi sanitaria determinata dall’epidemia del covid 19. Grande è la consapevolezza che nulla sarà come prima e che dalle rovine dell’epidemia occorre mettere in piedi un nuovo modello di sviluppo.

RISVEGLIO DELLE COSCIENZE, I NUOVI EROI
La crisi epidemica ci ha messo di fronte a fenomeni quasi sconosciuti nell’epoca pre virale evidenziando una società civile che prima appariva nascosta, titubante, quasi si vergognasse della propria coscienza civile , della propria visione etica, della convinta solidarietà, della ricerca del bene comune. Sono così emersi migliaia di nuovi eroi , il personale sanitario, le forze dell’ordine, i lavoratori dei supermercati ,gli operatori ecologici, quelli dei trasporti, e tantissimi altri, persone che in precedenza venivano al più ignorate dalla pubblica opinione. Eroi della quotidianità , persone che prima dell’epidemia erano trascurate dall’informazione, ma che adesso sono venute alla ribalta in un momento importante della nostra vita civile e che non devono sparire dopo l’emergenza sanitaria, perché è sui valori anche di queste persone, che sono tantissime, che , come dice il documento dei vescovi, è necessario rifondare la nostra società.

L’IMPORTANZA DELLA COESIONE SOCIALE
In mezzo a tantissime cose molto negative la pandemia sembra aver avuto anche qualche elemento positivo, la grande solidarietà espressa da molteplici componenti sociali, dal volontariato alla partecipazione della gente comune ad un dramma nazionale. Sembra insomma che si siano risvegliate le coscienze , che si sia ripreso l’orgoglio nazionale, che si sia realizzata una coesione sociale che è di fondamentale importanza per la crescita economica. Da qui è necessario ripartire per un nuovo rinascimento economico e sociale e seppure la salita è molto ripida questa coesione può rappresentare un autentico motore.

IL PESSIMO ESEMPIO DELLA POLITICA
Durante la pandemia mentre la popolazione ha dimostrato una grande unità la classe politica ha generato confusione, contrapposizioni, spaccature facendo mancare uno dei requisiti fondamentali per una rinascita economica.
Anche per questi motivi e necessario un fitto e serio controllo sociale della classe dirigente e burocratica nelle iniziative e nelle attività sociali ed economiche messe in campo.

NON E’ PIU’ TEMPO DI NASCONDERSI PER I CATTOLICI
Per tutte le ragioni espresse , ma anche per altre taciute è necessario che anche i cattolici scendano in campo, soprattutto nella politica, per rivendicare un nuovo protagonismo ma anche per cercare di affermare nuove idee sull’economia e sullo sviluppo. Da questo punto di vista particolarmente sensibile è il tema delle compatibilità, con il mercato, con l’ambiente, con il sistema finanziario, con l’occupazione. Sull’altare delle compatibilità sono troppi i sacrifici fatti dalla gente comune anche in termini di crescente povertà.

LA CRISI
La pandemia del covid 19 ha innescato una crisi sanitaria ed economica di portata eccezionale ma ha messo a nudo anche le difficoltà morali e sociali del sistema economico che ha governato negli ultimi decenni il mondo industrializzato e più ricco. La crisi sociale ed economica era già presente prima dello scoppio dell’epidemia, provocata dalla finanza internazionale sempre più pervasiva, dalla centralità del mercato e del business, dal consumismo esasperato, dal profitto come unico traguardo, da una ingiusta distribuzione della ricchezza. Distribuzione sempre più iniqua dato che i patrimoni si concentrano sempre più. Nel mondo 26 individui possiedono la ricchezza di 3,8 miliardi di persone ,la metà più povera del pianeta (Fonte Oxfam) In Italia il 20 % più ricco possiede il 72 % dell’intera ricchezza nazionale (Fonte : Oxfam).
Questi fenomeni hanno contribuito a costruire una società basata su un modello culturale incentrato sull’ideologia del mercato che concepisce l’uomo in modo individualista, materialista, chiuso alla trascendenza e centrato su se stesso. Una società incapace di pensare e tanto meno di attuare il bene comune, scopo della società giusta.

UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO
E’ del tutto evidente che sono necessari cambiamenti strutturali al fine di correggere i gravi squilibri. Occorre perciò lavorare ad un nuovo processo di sviluppo, come afferma anche il documento dei vescovi italiani in occasione del 1° maggio, che metta al centro la persona nell’economia, la dignità del lavoratore e l’ambiente naturale senza violentarlo e nell’ottica di uno sviluppo sostenibile. Questa è l’unica via per salvarci. E’ indispensabile una fase di transizione verso un nuovo modello di sviluppo capace di coniugare la creazione di valore economico con la dignità del lavoro e la soluzione dei problemi ambientali. Il punto di partenza dunque non può che essere un nuovo modello di sviluppo che faccia tesoro delle vere umanità che questa crisi è stata in grado di esprimere con forza e che costituisce la vera ricchezza del nostro Paese e a cui affidare la costruzione di un processo di consenso e di partecipazione per arrivare a costruire anche in economia un percorso che porti al bene comune, che rappresenta la vera e propria guida etica della Chiesa in ambito socio economico, come Giovanni Paolo II ha, in più occasioni rimarcato. All’interno di questa cornice occorre lavorare con realismo impedendo che la crisi colpisca i più deboli e faccia aumentare la povertà. Ma la cosa non sarà affatto facile.

METTERE IN DISCUSSIONE LE TEORIE ECONOMICHE DOMINANTI
Per quanto l’economia possa considerarsi come uno dei luoghi etici, politici, e culturali strategici per ascoltare e interpellare la società contemporanea, forte è il disagio che si avverte di fronte ai modelli e alle strategie di modernizzazione anche per quanto diffondono in termini di cultura, valori, e stereotipi.
Questo disagio si avverte anche nell’analisi dei costi umani pagati ai processi di trasformazione industriale e nella constatazione delle insufficienze dei sistemi. Questi, nonostante i successi ottenuti, si sono rivelati incapaci di rispondere positivamente ai problemi di larghi strati, emarginati dal nuovo corso dello sviluppo, e lungo questo percorso non si riscontrano capacità di riformulare prospettive adeguate per governare nuovi contesti.
Di certo possiamo dire che questi processi sono suscettibili di miglioramento e che quindi c’è molto da lavorare sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista sperimentale. Tutto ciò implica uno sforzo profondo di revisione dell’esistente, sia nella teoria che nella pratica economica, trovando il proprio fondamento in quello che oggi non sembra improprio designare come il nuovo bisogno etico delle nostre società. Uno sforzo che deve stimolare ad osare nuovi esperimenti di democrazia economica magari anche attraverso un nuovo umanesimo.

L’EUROPA
Senza entrare nel merito e nei tempi delle misure adottate o solo ipotizzate ciò che è apparso molto chiaro è la debolezza dell’Europa, ingabbiata negli egoismi nazionali, nella difesa del proprio tornaconto, ma quanto a solidarietà e vicinanza, condivisione, l’Unione si è dimostrata molto debole e questo sarà un grande problema per il futuro.

IL RUOLO DELLO STATO
Diffusa è la consapevolezza che il mercato non è in grado di gestire la complessità e la gravità dei problemi che abbiamo di fronte ragione per cui risulta fondamentale l’intervento dello stato in economia. Restano da stabile le modalità attraverso le quali il pubblico potrà intervenire.

ALCUNE QUESTIONI PRIORITARIE
Per quanto ci riguarda come italiani continuiamo a ritrovarci con tassi di crescita pressochè inesistenti negli ultimi 20 anni, incremento del debito pubblico, scarsa attrazione degli investimenti esterni dovuti alle piaghe che affliggono la nostra società da troppo tempo, come l’inefficienza della burocrazia ben sperimentata anche in occasione delle misure assunte dai vari interventi del governo, un sistema giudiziario di una lentezza sconfortante, un livello di tassazione elevatissimo tutti elementi che contribuiscono a scoraggiare gli investimenti anche quelli esterni. E tuttavia il nostro Paese continua ad essere uno dei più sviluppati del mondo con un PIL di 2,017 trilioni di dollari (Fonte: Banca mondiale anno 2018). Il primo sintomo di questa regressione si avvertirà già quest’anno nel quale si prevede una perdita di PIL tra l’8 e il 10 % .
Tra i bubboni che affliggono la nostra società e la nostra economia vi è l’evasione fiscale che nel nostro Paese, come è ben noto, è assai elevata. Le cifre sono variabili e alcune paiono addirittura eccessive. Il range è racchiuso tra i 300 e i 100 miliardi di euro annui, con quest’ultima cifra che appare la più attendibile. Se solo si riuscisse a recuperare la metà dell’evasione molte risorse potrebbero essere utilizzate per il rilancio del nostro sistema economico.

Occorre dunque rendersi conto che quando si uscirà dalla crisi derivata dal Covid 19 il mondo non sarà più lo stesso. Sarebbe dunque necessario anche un approccio e un atteggiamento diverso della classe politica e della dirigenza che devono dimostrare di essere capaci e adeguate alle esigenze di tempi assolutamente nuovi e di scenari così diversi. Tuttavia, come abbiamo sottolineato, vi è un fattore nuovo che può essere decisivo, la ritrovata coesione sociale un bene che non bisogna assolutamente disperdere.

QUALCHE RIFLESSIONE SULLA SARDEGNA
Il 2019 è stato un anno particolarmente pesante per la Sardegna. La certificazione di questo risultato ci viene da fonti autorevoli. Da un lato la banca d’Italia accerta il calo degli investimenti e una fase regressiva di tutti i settori economici particolarmente dell’industria manifatturiera, o di quanto ne è rimasto, ma anche del terziario. L’unico settore che sembra salvarsi è il turismo che tuttavia non riesce a crescere in maniera decisa a causa sia del problema dei trasporti sempre caratterizzato da costante precarietà e da costi elevati, sia dalla concorrenza dei paesi della sponda del mediterraneo. L’altra fonte che prendiamo in considerazione è l’Unione Europea e in particolare l’indice di competitività che ci regala due dati molto negativi, il PIL che ha perso ulteriori posizioni così come è accaduto per l’indice di competitività. Se si guarda al mercato del lavoro le cose non vanno meglio. In questo caso la fonte è l’istituto nazionale di statistica che fondamentalmente ci dice che il tasso di disoccupazione supera il 15 %, per uno stock di oltre 105 mila unità. Sono anni che questa soglia rimane costante seppure di anno in anno o di trimestre in trimestre si registrano variazioni in positivo o in negativo. Ciò che appare evidente è che non vi sono politiche del lavoro o più in generale politiche economiche capaci di rompere questo muro. Sul mercato del lavoro è necessario fare anche qualche altra riflessione e in particolare il fatto che i soggetti più penalizzati sono i giovani, particolarmente quelli più istruiti. Le considerazioni che si possono fare su questo fronte attengono al fatto che la popolazione giovanile sempre più massicciamente cerca di intraprendere la via dell’emigrazione impoverendo la regione dei migliori talenti e dopo che le famiglie e lo stato hanno speso ingenti risorse per la loro formazione per poi arricchire le aree più sviluppate dove i giovani istruiti si recano. L’altro aspetto importante, che modifica gli atteggiamenti nel mercato del lavoro, è costituito dal fatto che la laurea o i dottorati di ricerca o i master non costituiscono più un passaporto per avere un lavoro come accadeva anche nel recente passato. Tutto ciò ha effetti anche sull’andamento della popolazione che rappresenta oramai da oltre un quarantennio un’emergenza sociale ed economica senza che mai vi sia stato posto rimedio. Anzi le cose sono ulteriormente peggiorate si pensi che il tasso di fecondità delle donne sarde è il più basso a livello nazionale. Le stime dei demografi ci dicono che alla metà di questo secolo la popolazione è destinata a ridursi di oltre un terzo. Intanto il tasso di povertà galoppa s raddoppiando negli ultimi 10 anni. La Sardegna, come gran parte del sud non è ancora riuscita a raggiungere gli standard economici che aveva prima della crisi del 2008. Occorre, infine, sottolineare che la Sardegna è rientrata nell’obiettivo uno vale a dire nel novero delle regioni europee meno sviluppate.

Ora ci si trova di fronte ad una crisi che ha non solo caratteristiche sanitarie ma risvolti economici molto importanti anche per una regione come la Sardegna. E’ del tutto ovvio che le ripercussioni non riguarderanno solo l’isola ma colpiranno l’intera nazione, l’intera Europa, l’intero pianeta.
Cosa concretamente si può fare soprattutto con riferimento alla Sardegna. Ammesso che si trovino le risorse, è necessario predisporre un piano con orizzonti temporali di breve ma anche di medio e lungo periodo partendo dalla necessità di fornire liquidità al sistema delle famiglie e delle imprese, percorso in atto ma con gravissimi deficit soprattutto dal punto di vista burocratico sul quale è necessario intervenire in maniera radicale. Centrale appare l’intervento in campo infrastrutturale attraverso investimenti nel settore sanitario, che è stato mortificato nel recente passato, nel sistema educativo, nel settore energetico, in quello idrico, nell’ICT. Ma decisamente importante appare il sostegno al settore dei trasporti da quello stradale, a quello ferroviario, al navale a quello aereo. Senza i trasporti non esisterebbe il turismo che oggi pesa per circa il 10 % sul PIL regionale. Serve dunque iniettare molte risorse spenderle nel miglior modo possibile avendo la consapevolezza che per uscire dalla crisi occorreranno anni.
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