Anni ‘70: un po’ di storia… della nostra storia.

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Preti del Sessantotto: è il titolo del libro di Angelo Ledda (a cura di), Ortacesus (CA), 2020, che intende ricordare l’anno di ordinazione di trentatre presbiteri sardi e, nel contempo, i fermenti sociali, politici, culturali ed ecclesiali che hanno caratterizzato il “Sessantotto”. Il testo (recensito di recente da Tonino Cabizzosu su Sardegnasoprattutto) si articola in due parti: una ricostruzione del quadro storico sociale, culturale, ecclesiale; una memoria biografica ed esperienziale dei “preti sessantottini” isolani, di cui undici, al 2020, scomparsi. Chiude il volume l’interessante descrizione di un’esperienza innovativa della Chiesa cagliaritana, a cura di Pierpaolo Loi.ape-innovativa
Proprio a quest’ultimo autore abbiamo richiesto una sintesi del suo saggio per il particolare interesse che suscita nella ricostruzione delle vicende di quegli anni nell’area cagliaritana, con specifico riferimento alla partecipazione popolare, sulla quale è fortemente impegnata la nostra News. Pierpaolo ce lo ha cortesemente inviato, chiarendo che si tratta di una rielaborazione della prima parte del testo, che è molto più articolato; infatti si ferma ai primissimi anni 70. Lo scritto pubblicato nel libro abbraccia invece un arco temporale che dalla fine degli anni 60 arriva fino al 1984, anno in cui terminò la sua esperienza di vita nella comunità di San Rocco in Via San Mauro a Cagliari. Pertanto, più che una sintesi, è una riscrittura diversa perché inserisce degli aneddoti nuovi (anche divertenti), come nel racconto del viaggio a Taizé.
Eccolo!
Formidabili quegli anni …
di Pierpaolo Loi
[segue]
Un fermento nuovo, quasi una primavera dello Spirito, gli anni che seguirono alla chiusura del Concilio Vaticano II. Già papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura aveva stigmatizzato i profeti di sventura e invitato la Chiesa cattolica a confrontarsi con il mondo contemporaneo, a condividere le gioie e le angosce dell’umanità intera. Un fermento di novità che stimolò nuovi modi di celebrare la messa, di fare la catechesi e la preparazione ai sacramenti. Un rinnovamento nello stesso modo di vestire dei preti, finalmente uomini tra gli uomini e le donne, senza la tonaca che creava distanza e separazione. Un rinnovamento che nella Regione ecclesiastica della Sardegna portò a una svolta non più procrastinabile: lo spostamento del Seminario maggiore da Cuglieri a Cagliari con la rispettiva Facoltà Teologica della Sardegna.
Il primo anno gli studenti di teologia furono ammassati nei grandi stanzoni del Seminario diocesano di Cagliari in Via Cadello; negli stanzoni furono create con dei separé delle specie di stanzette. Negli anni successivi si trovò una soluzione più idonea per i diversi gruppi di studenti delle diverse diocesi, in parte nel Seminario, in parte in appartamenti, in diverse zone della città. Anche la Facoltà teologica della Sardegna aprì le porte al mondo femminile.
Guidavano i diversi gruppi di teologi il rettore del Seminario e alcuni sacerdoti delle diverse diocesi. Per il primo anno il rettore fu mons. Ottorino Alberti, rinomato studioso nuorese. Alla guida dei seminaristi cagliaritani fu scelto don Efisio Spettu, uomo e prete che ha lasciato un’impronta su diverse realtà della Chiesa di Cagliari.
Erano anche gli anni del post ‘68/’69, con la rivoluzione dei costumi, l’immaginazione al potere, l’occupazione delle università. Sembrava davvero possibile rivoluzionare una società dove permanevano grandi disuguaglianze di condizione di vita tra le persone. Una classe operaia che aveva affrontato lotte per i più elementari diritti e un movimento studentesco in effervescenza s’incontrarono e diedero vita un a nuova stagione politica e sociale.
Il Seminario e la Facoltà di teologia non potevano star fuori da ciò che accadeva nella città di Cagliari. Lo scudetto del Cagliari e la visita di papa Paolo VI in città furono eventi che crearono un clima di ottimismo e voglia di essere protagonisti. Cagliari aveva partorito nell’espansione abitativa fin dagli anni del dopoguerra, dei quartieri periferici, in particolare Sant’Elia e il quartiere di Is Mirrionis-San Michele, che non erano privi di problemi, e proprio intorno a bisogni basilari come quelli della casa (problema abitativo) e dell’istruzione (abbandono scolastico). Nacquero così i primi comitati di quartiere e le prime scuole popolari. Esponenti della sinistra e cattolici conciliari animarono i comitati di quartiere. La scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis – nata nei locali della parrocchia di Sant’Eusebio nell’ottobre 1971, dall’iniziativa di un gruppo di studenti universitari e di lavoratori – fu ispirata da don Andrea Portas, viceparroco fino ai primi mesi del 1970 (poi trasferito a Sant’Elia) mentre era parroco don Antonio Porcu, non senza contrasti, per il pericolo secondo il parroco di strumentalizzazione dei comunisti. Davanti alla prospettiva di creare a Sant’Elia un quartiere residenziale per ricchi, trasferendo la popolazione altrove, ci fu in città una grande mobilitazione, con manifestazioni, cortei, ecc.
Anche noi studenti di teologia ci sentimmo coinvolti, anche perché fermenti nuovi provenivano da oltralpe, in particolare dalla Chiesa latino americana che, con i documenti della Seconda Conferenza episcopale di Medellín, aveva fatto la scelta preferenziale dei poveri, ascoltando il grido dei diseredati. La Teologia della Liberazione fece ingresso, seppure non come testo ufficiale, anche negli studi teologici; in particolare, il volume di Gustavo Gutierrez, Teologia della Liberazione. Prospettive, Ed. Queriniana, Brescia 1972.
“Partecipai alla redazione di un breve testo in cui un gruppo di studenti di teologia prendeva posizione sulla situazione degli abitanti dei quartieri popolari di Cagliari: Per una Chiesa al centro dei conflitti del nostro tempo. Lettera aperta al vescovo e a tutti i fratelli nella fede della Chiesa di Cagliari. Vi si affermava, con una citazione da “Camminare insieme”, Lettera pastorale di Card. Michele Pellegrino, che “Vicino ai più poveri il Cristiano si sente impegnato a denunciare profeticamente le ingiustizie di una società che, mentre consente a minoranze privilegiate l’uso e l’abuso del potere ed una grande massa di beni economici e culturali, impedisce a molti dei suoi membri – in certi paesi la grande maggioranza – di realizzare le condizioni indispensabili a una esistenza degna dell’uomo”. Il testo fu distribuito nelle chiese cagliaritane, la domenica successiva alla Pasqua del 1972. Il nostro documento fu firmato da diversi studenti di teologia, da don Spettu e alcuni preti animatori del Seminario, da alcuni professori della Facoltà teologica preti diocesani, tra cui don Salvatore Loi e dal padre gesuita Luigi Oitana, dal rettore del Seminario diocesano di Cagliari, don Giovanni Cara. Il nostro testo fu apostrofato come “foglietto anomalo” dalla stampa locale.
La presenza a Bindua, una poverissima frazione di Iglesias (e poi a Ottana), dei Piccoli Fratelli del Vangelo che si ispirano a Charles de Foucauld, è stata una ricchezza per tutta la Chiesa sarda, in particolare per l’amicizia che è durata nel tempo con fratel Arturo Paoli e fratel Gerardo Fabert. Fratel Arturo, fondatore con i frères francesi Paul Cheval e Marcel Laffage della prima fraternità italiana, e fratel Gerardo, minatore, che è rimasto più a lungo in Sardegna, e dopo la parentesi di circa vent’anni in Brasile, è tornato a viverci fino alla morte. Momenti di condivisione di vita e di preghiera presso i Piccoli Fratelli sono stati fondamentali per la nostra formazione umana e cristiana.
Durante le vacanze pasquali del 1972 fu organizzato da don Efisio Spettu il primo viaggio per raggiungere la comunità ecumenica di Taizé, un villaggio nei pressi dell’antica abbazia di Cluny. Per pagarci le spese del viaggio, almeno in parte, noi studenti organizzammo una raccolta di carta e di stracci. Parteciparono al viaggio oltre a studenti e studentesse della Facoltà teologica, anche altre persone che gravitavano intorno alla persona e all’impegno pastorale di don Efisio, come insegnanti e studenti del Liceo Dettori, persone che frequentavano il Seminario e la messa del martedì aperta a tutte le persone che desideravano un momento di riflessione e di silenzio. Si unì al nostro viaggio anche don Ettore Cannavera, allora ancora impegnato negli studi a Roma. Fu un viaggio straordinario, fatto in pullman. Si arrivò di sera e, non trovando posto nel villaggio, dovemmo piantare le tende in una spianata a qualche chilometro di distanza. La Comunità di frère Roger Schultz e dei suoi confratelli di diverse confessioni cristiane attirava, allora migliaia di giovani da tutta l’Europa, non solo credenti, ma anche atei e agnostici. Fu una pasqua indimenticabile, piena di incontri, di momenti di confronto, di file lunghissime prima dei pasti e, soprattutto, di momenti di silenzio durante la preghiera nel grande tendone che fungeva da chiesa, davanti alle icone; silenzio interiore reso ancora più potente dopo i canti ripetitivi, a forma di canone, che si prolungavano fin nel cuore della notte. Conservo un quaderno di quel viaggio con appunti che testimoniano il clima gioioso e scherzoso che si creò soprattutto nelle ore di viaggio. Radio Vaticana (la radio interna) apriva la trasmissione con l’inno “Il Vaticano brucerà”, seguivano gli annunci che, scherzando sulle persone presenti, mettevano in risalto problematiche in discussione in ambienti ecclesiali, come il seguente: “È stato diramato dalla Santa Sede un comunicato nel quale si annuncia l’abolizione del celibato obbligatorio”; e si scherzava su eventuali sponsali dei preti presenti. A un certo punto nei miei appunti trovo la trascrizione della notizia di una dichiarazione di papa Paolo VI: “Ci comunicano in questo momento che il Santo Padre ha accolto con grande interesse e profonda commozione il risultato degli incontri giovanili di Taizé ed ha auspicato un mondo migliore, giovane libero e soprattutto pieno d’amore. Ecco le testuali parole del Santo Padre: «Siamo molto felici che la gioventù da molti incompresa, e per molti segno di contraddizione e di scandalo, abbia manifestato sì grande interesse per l’uomo Cristo, Dio per noi cristiani, ed abbia il coraggio di rispondere al suo invito di trasformare il mondo. Siamo convinti che questa voce così giovane, ma sincera, sia ben accolta dagli uomini di buona volontà e trovi l’adesione unanime del mondo intero». Non sono certo dell’autenticità del messaggio del papa, ma fosse nato pure dall’immaginazione di qualcuno, è testimonianza della fiducia nei giovani e del loro impegno a trasformare il mondo. Formidabili quegli anni!
3 settembre 2020 Pierpaolo Loi

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