America, America

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IL VOTO SENATORIALE PER LA RINASCITA DELLA DEMOCRAZIA
di Marino de Medici
Il vero grosso interrogativo ormai non è più tanto l’improbabile rielezione di Donald Trump, che passerà alla storia come il peggiore presidente nella storia degli Stati Uniti, ma l’esito della consultazione per il rinnovo di un terzo del senato. È al senato infatti che si gioca la partita decisiva per il ritorno dell’America alla normalità istituzionale.
A questo scopo, è essenziale che gli elettori americani tarpino le ali del leader repubblicano al senato, Mitch McConnell, il manovratore capo del trumpismo che ha bloccato ogni processo sociale ed economico che non fosse indirizzato ad arricchire i poteri forti ed a penalizzare la massa dei meno abbienti in America, oltre che ad infoltire i quadri della magistratura di estrema destra fino alla nomina alla Corte Suprema di un’ideologa cattolica che non mancherà di pesare sull’annullamento di conquiste sociali e morali come Roe vs Wade, che legittima l’aborto, e la Obamacare che ha assicurato la copertura medica a decine di milioni di americani. [segue] Ma adesso, nello scorcio decisivo della campagna elettorale, si comincia ad assistere ad un fenomeno imprevisto, quello di senatori repubblicani candidati alla rielezione che rompono i lacci che li legano al presidente e si appellano agli elettori affinché li rimandino al Congresso per “proteggere la nazione dal distruttivo socialismo di una Amministrazione Biden”.

Il messaggio del fantomatico Senate Conservative Fund lascia sbigottiti: “se dovessimo perdere il senato, – si legge in un patetico appello -, non ci sarà più un muro per impedire ai democratici di attuare il loro piano volto a riempire le corti con giudici attivisti e ad aggiungere quattro nuovi seggi democratici al senato conferendo la qualifica di stato al Distretto di Columbia e a Portorico”. E’un messaggio che potrebbe
apparire disperato se non fosse completamente assurdo, in specie se confrontato con la protervia con la quale McConnell ha agito per consentire a Trump di nominare ben tre giudici della Corte Suprema, dopo essersi rifiutato di sottoporre al senato la nomina del giudice nominato dal presidente Obama otto mesi prima delle elezioni presidenziali. Dopo aver calpestato la tradizione istituzionale, il leader republicano ha forzato le tappe nell’approfittare del decesso di un giudice beneamato, Ruth Baden Ginsburg, e nel predisporre la conferma dell’ultra conservatrice Amy Barrett, nominata il 29 Settembre, vale a dire appena un mese prima delle elezioni presidenziali.

Adesso qualcosa sta succedendo, quando due senatori repubblicani – Ben Sasse del Nevada e John Cornyn del Texas – fanno sapere di essere stati in disaccordo con il presidente su vari aspetti della sua politica, dallo smisurato disavanzo allo spreco di fondi per la costruzione del muro al confine con il Messico. L’analogia di tale disacccordo fornita dal sen. Cornyn e’ quanto mai pittoresca: “il rapporto con Trump è simile a quello che hanno molte donne che si sposano e poi si rendono conto dell’impossibilità di cambiare il marito con il risultato che il matrimonio finisce male”. Si è tentati di chiedere a Cornyn perché abbia aspettato tanto a far conoscere i suoi timori evitando di esprimere un giudizio critico mentre ad esempio era in corso il procedimento di impeachment. La scusa addotta da Cornyn e molti altri è ora che “Trump è quello che è, e ogni confronto con lui generalmente finisce male”. La situazione insomma è che parecchi senatori repubblicani fanno le carte false pur di distanziarsi dal presidente e di salvare il loro seggio.

Le conclusioni da trarre sono molteplici. In primo luogo, Trump ha fatto di se stesso, e non di Joe Biden, la figura centrale della consultazione. E dire che per lunghi mesi Trump aveva tentato in ogni modo di distruggere il profilo elettorale di Biden, descrivendolo come un vecchio con diminuite facolta’ mentali o come uno zelante socialista votato a distruggere il sogno americano. La seconda conclusione e’ che Trump ha ignorato le raccomandazioni del suo staff elettorale perche’ il suo messaggio fosse centrato su positivi impegni nei confronti non tanto della sua base quanto dell’elettorato generale, in modo speciale le donne e gli anziani, invece di perseguire
un indirizzo insostenibile come quello di negare la iattura del covid 19, minimizzandone le conseguenze. Trump si e’ inoltre intestardito nell’attaccare le donne in posizioni di potere, dalla candidata alla vicepresidenza Harris – bollata come “un mostro” -
alla governatrice democratica del Michigan, Gretchen Whitmer, ignorando gli arresti di una banda di suprematisti, tra cui membri di una milizia armata (i Wolverine Watchmen) che pianificavano la cattura e l’eliminazione della governatrice.

La terza conclusione e’ che Trump ha puntato tutto su una riedizione dello scontro con Hillary Clinton condotto con comizi di massa nei quali risuonava un grido malefico, quello del “lock her up!” (schiaffatela dentro). Questo ritornello e’ tornato a farsi sentire nell’ultimo comizio nel Michigan, durante il quale Trump ha accusato la Whitmer di comportarsi come un “dittatore” per aver attuato un piano di chiusure volto ad arginare la pandemia nello stato. Ancora una volta, la combustibile retorica del presidente ha ricalcato fedelmente quella delle milizie suprematiste come per l’appunto i Wolverine Watchmen. E’ chiaro ormai che l’intensificarsi della pandemia e’ il tema dominante della campagna elettorale e che Trump non ha altra scelta che buttarla sul disprezzo della scienza che per bocca degli esperti, come il dottor Anthony Fauci, implorano gli americani ad usare le mascherine e a rispettare il distanziamento. Nella sua piu’ recente farneticante uscita il presidente ha associato Fauci agli “idioti” che a suo dire incutono paura tra gli americani. Vale la pena di segnalare che il 62 per cento degli americani appoggia pienamente il comportamento di Fauci.

L’economia, che nel calcolo di Trump avrebbe rappresentato la carta vincente nelle elezioni di Novembre, versa in condizioni disastrose. Si calcola che il numero di americani classificati “poveri” sia aumentato di otto milioni dal Maggio scorso, stando ad uno studio della Columbia University. Lo stesso leader ostruzionista del senato, McConnell, si è rifiutato di aderire a due proposte di soccorso finanziario elaborate dalla Camera dei Rappresentanti ed, ironicamente, ad uno stanziamento proposto dal presidente, superiore a quello striminzito del senato. Negli ambienti politici si registra il diffuso convincimento che McConnell gioca una partita a suo esclusivo beneficio, essendo convinto che Trump uscirà sconfitto dalla consultazione presidenziale. Ed ancora, circola la voce che molti funzionari dello staff della Casa Bianca e di dicasteri vari sono alla ricerca di impieghi al Congresso e nelle agenzie della prossima amministrazione. Se non siamo al “si salvi chi può”, poco ci manca.

In ultima analisi, resta da vedere quale sarà l’impatto delle votazioni in atto prima del 3 Novembre. Sono ormai quasi trenta milioni gli americani che hanno espresso i loro suffragi per posta o personalmente presso seggi elettorali già aperti. Potrebbe cadere un record: più americani potrebbero votare prima del giorno delle elezioni che non alla data delle elezioni. Nel 2016 votarono quasi 139 milioni di americani. Molti si aspettano che Donald Trump farà di tutto per invalidare l’esito della consultazione denunciando presunte frodi elettorali. Trump sa bene che finora un numero maggiore di democratici ha votato per posta (4.400.000 democratici contro 1.900.000 repubblicani, stando a calcoli non ufficiali) ma fa conto sulla presenza fisica della base trumpista per strappare risultati a lui favorevoli negli stati oscillanti (swing states) come già nel 2016. Per contro, i democratici temono che proprio in questi stati si facciano sentire gli effetti di subdole campagne per la soppressione dei suffragi degli aventi diritto al voto tra gli appartenenti a minoranze.

Per concludere, i democratici hanno buone possibilità di strappare il controllo del senato, un risultato che associato ad una presidenza Biden, ribalterebbe quattro anni di marasma istituzionale. Il traguardo è quello di aggiudicarsi i seggi senatoriali in questi quattro stati: Arizona, Colorado, Maine e North Carolina, portando il numero di seggi senatoriali democratici da 47 a 50. Il senatore democratico Doug Jones probabilmente perderà il suo seggio in Alabama ma il 51esimo voto, determinante, sarà quello del vicepresidente Harris. E’ inoltre possibile che i democratici conquistino altri seggi senatoriali, in Colorado, Iowa, Alaska e South Carolina, quest’ultima roccaforte del senatore Lindsay Graham, fedelissimo di Trump. La previsione più rosea per i democratici è che possano aggiudicarsi sette seggi senatoriali. Una presidenza Biden non potrebbe partire più a gonfie vele. Dulcis in fundo per Biden e i democratici è questa frase di Donald Trump ad un comizio tenuto a Macon, nella Georgia, uno stato decisivo: “Cosa farò? Potrò dire di aver perso dinanzi al peggiore condidato nella storia della politica? Non mi sentirò bene. Forse dovrò lasciare il Paese. Non lo so”.

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