Etica&Impresa

64c78141-d560-45c4-a33c-f79fe76df27aDalla responsabilità sociale dell’impresa all’eticonomia
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Salvatore Vento – 21 Marzo 2021 by c3dem_admin | su C3dem

Nell’ultimo ventennio il tema della responsabilità sociale dell’impresa, in italiano Rsi e in inglese Csr (Corporate social responsability), è uscito dall’insegnamento nei dipartimenti universitari del mondo anglosassone per diventare oggetto di dibattito pubblico. I più accreditati Master in Business Administration prevedono corsi specifici. La pandemia del coronavirus sollecita, con ancora più forza, comportamenti responsabili a tutti i livelli e pone all’ordine del giorno la messa in discussione del modello di sviluppo socioeconomico imperante.

Nel 2001 l’Unione Europea aveva emanato due appositi documenti: il Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese”, seguito l’anno seguente da una Comunicazione della stessa Commissione. Nel Libro verde, la Rsi veniva definita come l’integrazione volontaria delle problematiche sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate.

Per attuare i principi europei in Italia tali funzioni rientravano nelle competenze del Ministero del lavoro. Anche le Regioni, a partire da quella toscana, adottavano programmi di Rsi: finanziamenti alle Pmi che intendevano procedere alla certificazione Sa 8000, che è uno standard internazionale certificato attraverso un sistema di verifica di una parte terza. L’Italia è il paese col maggior numero di aziende certificate del mondo (pari al 33%). Quasi il 70% delle aziende certificate rientrano tra le Pmi (1-250 addetti).

Tutte le banche ormai sono in grado di offrire fondi d’investimento che contengono azioni o obbligazioni di aziende con certificazione di comportamenti etici. I fondi che investono in società con una politica ESG (Environmental, Social, Governance) forte hanno avuto buoni risultati. Etica Sgr, società di gestione del risparmio (Sgr), propone esclusivamente fondi comuni di investimento sostenibili e responsabili e ha lo scopo di “rappresentare i valori della finanza etica nei mercati finanziari, sensibilizzando il pubblico e gli operatori finanziari nei confronti degli investimenti socialmente responsabili e della responsabilità sociale d’impresa”. Il patrimonio gestito da Etica Sgr ammonta a 5 miliardi di euro depositati da 260 mila clienti. Secondo l’analisi della Bce, nella zona euro gli asset dei fondi ESG sono aumentati del 170% dal 2015. Nello stesso periodo il valore delle obbligazioni verdi in circolazione nell’area euro è aumentato di sette volte. Famiglie, assicurazioni e fondi pensione detengono oltre il 60% dei fondi ESG dell’eurozona.

Anche nella filiera della moda italiana si è posta attenzione sui comportamenti etici. La sostenibilità non deve essere solo ambientale, ma anche sociale, ha dichiarato Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, aggiungendo che la sfida della sostenibilità sociale e del giusto salario per chi lavora nella moda è fondamentale e ha un pari peso con la sostenibilità ambientale. Esistono diverse realtà virtuose che producono eccellenza e lusso, rispettando ambiente e persone. E’ ampiamente noto il caso di Brunello Cucinelli, in particolare sul tema dell’etica del lavoro, oppure quello di Tiziano Guardini sulla sostenibilità dei materiali usati nei capi d’abbigliamento. Interessante è anche l’esperienza di collaborazione di Loro Piana con gli allevatori di capra cashmire Hircus della Cina e della Mongolia, tesa a tutelare questo tipo di allevamento tradizionale e a proteggere le comunità locali.

All’ultimo World Economic Forum di Davos, che ha celebrato i cinquant’anni d’incontri, è stato ribadito che lo scopo dell’impresa non è solo il profitto, ma anche la protezione dell’ambiente, la giustizia sociale, e la promozione di un benessere per tutta la comunità. Il “capitalismo shareholder” degli azionisti si dovrà trasformare in “capitalismo stakeholder” di tutti i portatori di interesse (imprenditori, lavoratori, fornitori, clienti, comunità).

La rivoluzione verde e la transizione ecologica previste dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), con una dotazione di 69 miliardi di euro, deve ora rappresentare una grande occasione per una pratica attuazione, in Italia, di questi principi.

Il bisogno di etica nell’impresa, nell’economia e nella società ha portato, negli ultimi vent’anni, alla nascita di movimenti di contestazione, ingiustamente definiti “no global”. Le manifestazioni cominciano a Seattle (Usa) nel 1999 e sono diretti contro la conferenza del Wto (Conferenza Mondiale per il commercio). Proseguono nel 2001 contro il G8 a Genova. Riprendono col movimento “Occupy Wall Street”. Nel 2011, al referendum sull’acqua pubblica, in Italia ha partecipato il 57% degli elettori e oltre il 95% ha detto che l’acqua è un bene comune. Più che un tempo di rivoluzioni dirette da soggetti sociali specifici, il nostro è il tempo di rivolte continue, come scrive Donatella Di Cesare (Il tempo della rivolta, Bollati Boringheri, 2020): una “pratica d’irruzione” contro ingiustizie e iniquità, che ha un “potere destituente” nei confronti delle autorità che contesta. “Mi rivolto, dunque sono”, diceva Albert Camus. A questo punto, però bisognerebbe fare un’analisi sui risultati di queste rivolte, risultati che sono molto condizionati, e non potrebbe essere diversamente, dalle dinamiche sociali in cui nascono. Tra le recenti rivolte che hanno avuto un richiamo internazionale si possono ricordare “Black lives matter”, contro il razzismo sempre emergente negli Stati Uniti, le proteste per la democrazia a Hong Kong e quelle in corso in questi giorni contro la dittatura dei militari in Birmania.

Nel 2012 Joseph Stiglitz scrisse un libro intitolato Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro. Negli Stati Uniti, negli anni del boom precedenti la crisi finanziaria del 2008, l’1% dei cittadini si è impadronito di più del 65% dei guadagni del reddito nazionale totale; nel 2010, a fronte di una leggera ripresa, l’1% guadagnava il 93% del reddito aggiunto.
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Oggi la lotta alle disuguaglianze è diventato un argomento di dibattito pubblico, e in molte città sono nati gruppi di discussione e di proposte. A livello nazionale c’è, per esempio, il “Forum Disuguaglianze diversità”, presieduto da Fabrizio Barca. E nel 2016 è stata costituita l’ASVIS-Agenzia italiana per lo sviluppo sostenibile, presidente Pierluigi Stefanini, portavoce Enrico Giovannini (oggi ministro del governo Draghi); quest’agenzia si richiama all’Agenda ONU 2030, approvata nel settembre 2015 dall’Assemblea generale dell’Onu, che propone 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale da raggiungere entro il 2030.
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Nel 2019 il premio Nobel per l’economia è stato assegnato congiuntamente agli economisti Abhijit Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer per l’approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale. Banerjee e Duflo, marito e moglie, insegnano al Massachusetts Institute of Technology, mentre Kramer è docente ad Harvard. Duflo è la seconda donna a vincere il riconoscimento in questa categoria. Nell’annunciare i vincitori dell’edizione 2019, il Comitato per i Nobel sottolinea come i risultati delle ricerche dei tre vincitori “hanno migliorato enormemente la nostra capacità di lottare in concreto contro la povertà”. In particolare, “come risultato di uno dei loro studi, più di 5 milioni di ragazzi indiani hanno beneficiato di programmi scolastici di tutoraggio correttivo”. Essi “hanno introdotto un nuovo approccio per ottenere risposte affidabili sui modi migliori per combattere la povertà globale”.

Secondo indagini della Banca d’Italia, a fine 2017 la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 9.743 miliardi di euro, 8 volte il loro reddito, di cui oltre la metà derivante da immobili. Il Pil nel 2019 ammontava a 1.800 miliardi di euro, mentre il debito pubblico raggiungeva i 2.409 miliardi di euro. Il reddito risparmiato è oggi ai massimi storici, circa il 12,6% del reddito (dati Intesa San Paolo, Centro Luigi Einaudi) e i depositi bancari nei conti correnti arrivano a 1.200 miliardi. Il risparmio individuale, se ben investito, può senz’altro contribuire al bene collettivo.

Con l’elezione di Papa Francesco (13 marzo 2013) tutti questi temi hanno assunto un respiro più ampio, una dimensione universale, che mettono in discussione l’attuale modello di sviluppo e la mercificazione delle relazioni umane (“Laudato si’”, “Fratelli tutti”). Del resto già negli anni ’70 il movimento sindacale poneva alla discussione pubblica l’interrogativo “cosa, come, dove, produrre”. In diverse città nascono gruppi e comunità sotto il nome di “Laudato si’” per cercare di mettere in pratica gli enunciati dell’enciclica. I giovani economisti, ricercatori e attivisti sollecitati dalla economia di Francesco nel documento finale del 21 novembre 2020 hanno indicato in 12 punti le loro proposte. Il tema della custodia dei beni comuni (specialmente quelli globali quali l’atmosfera, le foreste, gli oceani, la terra, le risorse naturali, gli ecosistemi tutti, la biodiversità, le sementi) dovrà essere posto al centro delle agende dei governi e degli insegnamenti nelle scuole, università e business school; occorre immediatamente abolire i paradisi fiscali in tutto il mondo perché il denaro depositato in un paradiso fiscale è denaro sottratto al nostro presente e al nostro futuro e perché un nuovo patto fiscale sarà la prima risposta al mondo post-Covid.

Quando la strutturazione in classi era ben marcata, la classe operaia delle grandi fabbriche, negli anni Settanta del Novecento, con i suoi sindacati riuscì a ottenere conquiste significative per tutti i cittadini, come ad esempio il servizio sanitario nazionale. Oggi, di fronte alla “frantumazione sociale” sempre più marcata, non c’è un soggetto sociale trainante, ma una pluralità di sensibilità che in certi momenti riescono ad aggregarsi e a costituirsi in movimento.

La vera sfida per la democrazia è coniugare il disagio sociale diffuso con i movimenti innovativi sui temi dell’ecologia integrale. Fridays For Future con la sua leader svedese Greta Thunberg, il 15 marzo 2019, ha portato, per la prima volta nella storia dei movimenti, milioni di ragazzi di tutto il mondo nelle piazze per lo sciopero per il clima. È significativo che la canzone cantata nelle piazze tragga ispirazione dal ritmo di “Bella ciao”. La Convenzione dell’ONU sui cambiamenti climatici, tenutasi a Parigi tra il novembre e il dicembre 2015, pose il tema dell’adozione di misure per contenere il riscaldamento del pianeta, ma fu molto controversa: durò dodici giorni spesi tra mediazioni e compromessi. Dopo quattro anni saranno i ragazzi e le ragazze che porranno questo problema nelle scuole e sulle piazze di tutto il mondo. Comincia, pur tra numerose contraddizioni, a diffondersi la consapevolezza che l’abbandono dell’agricoltura e degli ambienti rurali, il declino della biodiversità, la deforestazione, l’inquinamento dei terreni, dell’acqua e dell’atmosfera, la concentrazione delle popolazioni nelle aree urbane, a lungo andare portano all’accelerazione di agenti patogeni che si trasmettono dalle specie animali all’uomo.

Infine, possiamo dire che, se da una parte, l’Italia si conferma come un paese della “società del benessere”, dall’altra l’aumento delle disuguaglianze e della povertà ha raggiunto livelli socialmente non sostenibili. Il rischio è che, a seguito della necessaria risposta all’emergenza sociale provocata dal Coronavirus, prevalga una cultura assistenzialistica, come se si trattasse soltanto di distribuire la ricchezza senza preoccuparsi di come produrla. Ricordo che Mancur Olson, negli anni Ottanta, scriveva che le nazioni si avviano al declino quando la lotta tra i gruppi d’interesse è rivolta essenzialmente alla distribuzione della ricchezza e non più al suo accrescimento.

Salvatore Vento

2 Responses to Etica&Impresa

  1. Aladin scrive:

    SEMPRE «PRIME» CHI LAVORA
    FRANCESCO RICCARDI su Avvenire.
    C’è qualcosa di antico nello sciopero di ieri dei lavoratori Amazon. E non è semplicemente la forma di lotta scelta dai sindacati, come si potrebbe pensare, quanto le motivazioni per le quali l’agitazione è stata indetta a livello nazionale. Questioni dal sapore spiccatamente novecentesco come gli orari, l’organizzazione del lavoro, i turni, le pause, la stabilità dei contratti. Assieme alla necessità per le organizzazioni dei lavoratori di essere pienamente riconosciute almeno come interlocutrici.
    Uno sciopero tipico delle fabbriche negli anni 60 del secolo scorso trasportato in un flashforward negli anni 20 di questa nuova era. Un paradosso stridente per il gruppo principe della nuova economia, che è stato capace indubbiamente di innovare e rivoluzionare completamente il mercato dei libri prima e del commercio in generale poi.
    Gli slogan scelti per la protesta – «I lavoratori non sono pacchi», «Il lavoro non è una merce» – sintetizzano il malessere che emerge da molte testimonianze dei collaboratori del gruppo statunitense. Anzitutto, la difficoltà a mantenere il ritmo serratissimo della produzione di pacchi e della loro consegna ai clienti. Un dato questo che si ritrova costante nei racconti di tutte le principali figure professionali impegnate: dallo stower, colui che immagazzina le merci in arrivo, al picker che prende i beni da spedire, dal packer, l’addetto all’imballaggio, fino ai driver che guidando un camioncino consegnano i ‘pacchi col sorriso’ a casa nostra. Le pause sono troppo ridotte, nel poco tempo a disposizione spesso diventa impossibile usufruire della mensa o dei servizi igienici.
    Troppo veloci le operazioni di presa dei pezzi su grandi distanze nei magazzini, troppo ripetitivi i movimenti necessari per completare i pacchi, con ripercussioni fisiche sulle articolazioni. E ancora, i turni lunghi in particolare per chi non ha un contratto stabile ed è quindi in difficoltà ad opporsi. Un quadro che potrebbe essere facilmente sovrapposto a quello delle catene di montaggio delle grandi industrie italiane di 50-60 anni fa. Con la differenza che, nel modello spiccatamente taylorista di allora, l’organizzazione era affidata a occhiuti responsabili di ‘tempi e metodi’ che cronometravano e stabilivano ogni mossa; oggi sono occhi elettronici, sensori e soprattutto algoritmi a calcolare e comandare i tempi di ogni singola operazione, delle consegne sempre più rapide. Un’intelligenza artificiale certamente efficiente, eccezionale nel guidare tutti i processi solo leggendo un codice a barre, ma probabilmente meno capace rispetto a un’intelligenza ‘umana’ di tener conto delle esigenze, delle possibilità e in qualche caso della dignità delle persone.
    In difficoltà a ‘leggere’ le sensibilità che guidano tutti noi a differenza di robot e merci. Con i manager locali incapaci (o impossibilitati dalla casa madre) di fermarsi a discutere con i rappresentanti dei lavoratori dei possibili miglioramenti della condizione delle persone.
    Lo sciopero di ieri per la prima volta è stato organizzato dai sindacati confederali per l’intera filiera di Amazon, potenzialmente 40mila lavoratori, compresi i servizi in appalto ad altre società. Secondo i sindacati confederali hanno aderito dal 75 al 90% dei dipendenti; secondo l’azienda tra il 10% e il 20%. Al di là della guerra delle cifre – anche in questo caso un classico dei metalmeccanici dei decenni passati più che di un’azienda dei servizi 4.0 – nei prossimi giorni si misurerà la capacità del gruppo di Jeff Bezos di interpretare la situazione scegliendo il braccio di ferro o l’apertura al confronto. Al di là delle polemiche sulla concorrenza più o meno leale con il commercio tradizionale, Amazon ha certamente offerto, anche in Italia, nuove possibilità occupazionali assieme a prestazioni impensabili fino a qualche tempo fa. Ma il prezzo di un servizio Prime – che con 36 euro l’anno è comprensivo pure di una vasta offerta televisiva – non può essere la riduzione dei lavoratori a macchine efficienti, la compromissione delle loro condizioni di lavoro. Prime le persone. Altrimenti a sorridere davvero resteranno solo i pacchi e non i lavoratori e le lavoratrici, non la gente.
    Francesco Riccardi Su Avvenire

  2. […] PRECEDENTE EDITORIALE ———————— Dalla responsabilità sociale […]

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