Il lato oscuro del non aver da lavorare

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di Michela Loi

Parlare di suicidio associato al mercato del lavoro è un’impresa ardua, se si vuole affrontare l’argomento superando le associazioni di senso comune o quelle che lo scienziato sociale definisce come tipiche dell’uomo della strada. Non è rilevante, ora, contare quante persone abbiano “scelto” tale percorso/soluzione e quanto c’entri l’effetto Werther in Italia o in Grecia. Anche solo uno dovrebbe, in realtà, far allarmare, conoscendo quello che è lo stato emotivo e cognitivo che prelude al suicidio. Tempo fa si parlava del suicidio in India degli Agricoltori produttori di cotone, che dovevano fare i conti con il raccolto perso e i debiti. In Europa si parlava dell’est e dei forti cambiamenti apportati al mercato del lavoro. Nel 1998 l’Europa era il primo paese al mondo per suicidi, stimati per essere ogni anno circa 58.000 (Yur’yev et al., 2010).

Qui è importante, tuttavia, rilevare quale stato emotivo e cognitivo caratterizzi il suicidio associato al fenomeno del non lavoro, rilevato da Durkheim più di un secolo fa (Agerbo, 2003) e quanto esso rappresenti una variabile in grado di intervenire su questa relazione. La risposta che la letteratura scientifica ci permette di evidenziare non può non essere oggetto di dibattito politico e quanto meno deve portare a chiederci se è questa la società che vogliamo.

Un interessante articolo di Preti e Miotto (1999), pubblicato sul Journal of Epidemiology and  Community Health, la cui ricerca è stata condotta in Italia prendendo i considerazione i dati riferiti all’arco temporale 1984-1994, anch’essi caratterizzati da crisi economica, rileva come la condizione di non lavoro debba essere sempre presa in considerazione, al di là della presenza o meno di disordini mentali, come fattore di rischio per il suicidio, in funzione dell’influenza negativa che tale condizione esercita sull’autostima e sulla capacità di utilizzare, in modo efficiente, la propria rete di contatti, soprattutto se la condizione di non lavoro perdura nel tempo. È però necessario precisare che tale risultato è particolarmente contrastato in letteratura e meglio rappresenta ciò che accade in piccoli gruppi di coloro che non lavorano. Ciò significa che tale condizione porta al suicidio persone che sono particolarmente vulnerabili, ma il dato che va considerato è che un incremento del suicidio lo si rileva in presenza di gravi crisi economiche (Van Orden et al., 2010).

I principali antecedenti del suicidio, oltre alla disoccupazione/inoccupazione, sono: l’isolamento sociale; i conflitti familiari e i disordini mentali. Quali meccanismi avvengano e che costituiscono la discriminante tra coloro che scelgono la strada del suicidio letale e non, non è ancora chiaro. Al riguardo esistono numerosi modelli e teorie, di natura biologica, psicodinamica, cognitiva etc. Recentemente è stata proposta la Teoria Interpersonale, basata su un’analisi generale della letteratura sul tema, che spiega il comportamento del suicidio, a prescindere dal fattore di rischio antecedente  ad esso associato, come la presenza/compresenza di stati emotivi/cognitivi, quali: il mancato senso di appartenenza, l’auto percezione di essere un peso per gli altri e l’assenza della speranza per il futuro o la convinzione che niente cambierà, accompagnata dall’acquisizione delle capacità per compiere l’atto. Ciascuno di questi costrutti è complesso, multidimensionale e trova spiegazione nella letteratura di riferimento.

In questa sede, basta, tuttavia, a rappresentarsi tale condizione, nella quale le persone si ritrovano a non avere più legami sociali e/o a non saperli più utilizzare, si ritrovano nell’isolamento sociale, percependo di non avere utilità per sé o per gli altri, convinti che niente cambierà.

Su questa condizione le decisioni di un governo nazionale e locale possono incidere notevolmente, e lo può fare banalmente anche un’efficiente pubblica amministrazione. Peccato che anche lì, nei centri per il lavoro, il lavoro sia precario, a dimostrazione della centralità che il fenomeno assume nel bilancio dello Stato…La storia contemporanea ci sta insegnando a non avere speranze illimitate sulla capacità dei governanti di agire con la ragione e con la coscienza. L’inconsistenza dell’attuale politica è disarmante, contro di essa non si può più far valere le proprie ragioni.

Bisogna partire da capo, senza di loro.

Per connessione di argomento vedi anche      “E l’acqua sembrava leggera” di Gianni Loy

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