Carlo Maria Martini

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Gesù aveva una strategia politica?
“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Gesù rispose così alla domanda su come debbano
Essere suddivisi i poteri. La collaborazione tra istituzioni religiose e statali,tra associazioni umanitarie, singole imprese sociali e organizzazioni statali è importante. Abbiamo bisogno di tutte le forze, fino a quando non vi saranno più affamati.
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Come influisce la fede sulla politica?
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Come cristiani guardiamo a Gesù. Egli è motivo di un’assoluta novità, la Chiesa. Gesù ha svolto il compito ricevuto da Dio di creare, accanto al primo popolo eletto di Israele, un secondo strumento per la pace. Si trova quindi in prima linea; si è confrontato con tutte le autorità politiche: con Erode, con Pilato, con il sinedrio, con i partiti dei farisei e dei sadducei. Si è battuto con passione per la giustizia e ha voluto cambiare il mondo. La Chiesa di Gesù Cristo deve contribuire a rendere il mondo più giusto e più pacifico. Secondo la Bibbia, la giustizia è più del diritto e della carità: e l’attributo fondamentale di Dio. Giustizia significa impegnarsi per chi è indifeso e salvare vite, lottare contro l’ingiustizia. Significa un impegno attivo e audace perché tutti possano convivere in pace. La giustizia deve vegliare affinché il diritto, così com’è formulato nelle leggi, consenta a tutti gli uomini un’esistenza dignitosa. Gesù ha dato la sua vita per la giustizia. Ha cercato il dialogo con i potenti oppure ha rappresentato per loro un elemento di disturbo. Si è schierato dalla parte dei poveri, dei sofferenti, dei peccatori, dei pagani, degli stranieri, degli oppressi, degli affamati, dei carcerati, degli umiliati, dei bambini e delle donne. Chi si comporta così da fastidio. Chi interviene affianco degli uomini, che sono come pecore senza pastore, e li riunisce rendendoli consapevoli, diventa pericoloso agli occhi dei potenti. I cristiani che adottano “l’opzione a favore dei poveri” di Gesù devono ancora oggi aspettarsi persecuzioni. Dai teologi della liberazione in Sudamerica agli operatori sociali nei paesi del benessere, essi trovano inevitabilmente resistenze, perché vivono della convinzione che l’incontro con i poveri e la battaglia contro la povertà siano il luogo di elezione dell’incontro con Dio nel nostro mondo.

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