È online Rocca ventiquattro/2021.

rocca-24-2021
Radici cristiane?
di Mariano Borgognoni, direttore di Rocca.

Dove nasce quest’anno Gesù?
Dov’è il campo dei pastori? Dei reietti? Degli impuri? Forse lì, ai confini dell’umanità, nella foresta di Bialowieza o in cento altri muri del pianto dell’Europa ‘cristiana’.
Ricordate? Correvano gli anni intorno al 2000 e ci si accapigliava sul nominare o no le radici cristiane nella Costituzione europea, poi abortita. Quale migliore occasione per mostrarle oggi queste radici. Perché avere radici cristiane che non siano marcite non può che voler dire accoglienza, solidarietà, cura. Riconoscere Cristo nell’affamato, nell’assetato, nel profugo, nel bambino appoggiato tra i cespugli gocciolanti e in quello sepolto nel ventre caldo di questa rigida foresta patrimonio mondiale dell’umanità. Quale paradosso! Intendiamoci le lanterne verdi testimoniano che c’è ancora qualcosa di prezioso nel ‘gregge’ cristiano, un resto che veglia, che resiste alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’. Ma ci vogliono pastori che, in questa notte, veglino. Fortunatamente almeno a Roma uno ce n’è, altrove si agitano crocefissi come randelli. Nella notte illuminata dalla luce artificiale dei blindati polacchi rischiano di morire i valori fondanti dell’Europa. Non solo quelli cristiani. Per essi bisogna ricondursi all’unico fondamento non negoziabile di cui ci parla il Natale: i poveri, gli anonimi, i dimenticati, i migranti sono il luogo da cui Dio riparte sempre. In loro rinasce sempre, spesso rimuore. E risorge non solo per assicurarci la vita eterna ma perché eterna non sia la sorte di chi è stato ferito dall’ingiustizia o dalla sciagura. Nessuna giustizia infatti potrebbe mai esserci passando sopra la sorte degli umiliati e degli offesi: estrema ed estremistica speranza contro ogni resa. Ripartire dall’autorità di coloro che soffrono, questa è la vera differenza cristiana, quella che è bene non sia assorbita nel tritasassi omologante del globalismo. Oserei dire che questo per i cristiani viene perfino prima della politica. Anche se la politica è decisiva: quella che accoglie in un modo solidale e intelligente e quella che sostiene la lotta contro il saccheggio della natura e delle risorse dei paesi poveri e contro le classi dirigenti corrotte e fellone che sovente li governano con l’appoggio delle potenze dominanti del mondo. Anche perché la possibilità e il diritto a rimanere sia l’altra faccia della disponibilità ad accogliere chi cerca altrove, come un tempo noi italiani a milioni, una speranza di vita e di futuro.

Chiudiamo quest’anno in un crescendo di segnali preoccupanti. I brani evangelici dell’Avvento sembrano scritti per noi anche se, purtroppo, hanno parlato al cuore di tutte le generazioni. Tornano a dirci di attendere, cioè fare ed aspettare. Saper attendere anche quando intorno a noi tutto sembra dirci che non c’è tempo per perdere tempo. Riprende la pandemia, con più della metà del mondo povero non vaccinato e bigfarma che accumula denaro nei suoi arsenali. Che ha da perdere dalla lunga durata dell’epidemia? Ma la politica? Dov’è la politica? Glasgow che non cava un ragno dal buco e i mutamenti climatici minacciano le condizioni di vita del Pianeta e con ogni evidenza indurranno migrazioni da far impallidire quelle attuali. L’agenda 2030 approvata dall’Onu giace quasi esanime mentre più dell’80% del fabbisogno energetico è ancora fondato sui combustibili fossili. La cosiddetta utopia sostenibile per ora lascia campo al business as ususal. Malgrado Greta e la sua generazione: altre lanterne verdi. E del nostro Paese che dire? Se si fa una riformina fiscale si cominci almeno dal basso, dai redditi del lavoro impoverito. Se vogliamo una società che non si sbricioli bisogna cambiare verso.
Ho fatto tre esempi, tra i tanti possibili di come vanno le cose. Mancano soggetti forti che organizzino la speranza e si battano per un paradigma economico, sociale e politico nuovo. Farsi prendere da un po’ di nostalgia è quasi comprensibile ma bisogna evitare quello che Bauman chiamava retrotopia, ricercare la soluzione nelle soluzioni del passato.
«Alzate la testa, perché la vostra liberazione è vicina». È una chiamata non solo a resistere e attendere quella speranza ultima e decisiva, ma ad assumerci la responsabilità che spetta a ognuno di noi. Se ciò che è ultimo non è nelle nostre mani, interamente in esse sono le cose penultime.
Noi siamo una rivista che non si è fatta mai cadere le braccia e siamo convinti che oggi più che mai ci sia bisogno di dare alimento ad un pensiero radicale e a un agire accorto e realistico. Tenere insieme questi due fili della radicalità e del realismo continuerà ad essere la nostra scommessa e il nostro impegno dopo questo intenso anno di rinnovamento. Nell’augurarvi, care lettrici e cari lettori, un buon Natale, continuiamo a contare sul vostro sostegno. E voi contate sulla nostra libertà.
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