Sinodo

sinodo-pcc-01di Enrico Peyretti.
Questo sinodo è chiamato ad essere una verifica di Chiesa intera, cioè non solo gerarchica, come è un concilio di vescovi; e una verifica particolarmente sincera, a causa del senso di crisi che la Chiesa vive: crisi sotto diversi aspetti, non solo per la pandemia, ma anche per gli abusi clericali, per problemi della gestione economica, e per quella «esculturazione» del cristianesimo dalla cultura sociale vastamente prevalente.
Questo sinodo ha da essere non solo una consultazione, più o meno utilizzata davvero, come in precedenti occasioni, ma una vera espressione di Chiesa, dell’intero Popolo di Dio consapevole. [segue]
Chiesa e vangelo
La Chiesa nella storia segue Gesù profeta e precursore, non segue se stessa, la propria tradizione, i propri programmi, la propria affermazione. Gesù non è soltanto all’origine storica della Chiesa, ma cammina davanti a noi, che siamo suoi lenti seguaci, e tardi discepoli. La tradizione è un punto di partenza, non è un dato statico, tanto meno un punto di arrivo, soltanto da conservare. La Chiesa non ripete la propria dottrina, le chiarezze e le definizioni raggiunte, ma la adegua continuamente al riascolto del vangelo di Gesù e alle sue nuove risonanze. In questo «aggiornamento» (Giovanni XXIII), ha da compiere anche scomode e faticose correzioni. La categoria dei «segni dei tempi», con la teologia del Novecento, con il Concilio, è diventata una categoria teologica. La storia è un luogo teologico, perché Dio vi agisce e nella storia in movimento ci chiama a rispondere.
La verità di Gesù non è alle nostre spalle, ma davanti a noi. La rivelazione è cominciata, ma è in compimento, è escatologica: «Ancora molte cose ho da dirvi… Quando verrà lo Spirito di verità vi guiderà in tutta la verità» (Gv 16,12-13).

la Chiesa nella società
La Chiesa oggi sa di non dover moderare la propria parola per paura di perdere fedeli, e di perdere influenza nella società. Essa sa che ha da annunciare il vangelo in tutta la sua forza consolante, ma anche esigente. Gesù accoglie la folla che viene a lui, ma non si preoccupa di trattenerla concedendo soddisfazione alle attese di riscatto nazionale e di un potere facilmente messianico. Quando molti lo lasciano, davanti alla serietà del suo appello, Gesù chiede ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?» (G 6,67). Gesù non trattiene facilitando, ma chiede molto – chiede persino di amare i nemici! – poi perdona, e premia anche la piccola bontà di un bicchier d’acqua.
La Chiesa sa bene di non dover chiedere fedeltà a se stessa, ma al vangelo di Gesù. Essa oggi deve prendere atto con chiarezza della fine della cristianità, della «società cristiana». Sa di essere piccolo seme, lievito nella pasta, e non tutta la pasta. Essa sa che lo Spirito promesso da Gesù riempie la terra e ispira i cuori accoglienti, al di là della Chiesa visibile, attraverso le varie culture e religioni.
Oggi abbiamo da fare nostre le parole di sorella Maria di Campello: «Io sono riconoscente e in venerazione per la Chiesa della mia nascita e della mia famiglia, ma la chiesa del mio cuore è l’invisibile chiesa che sale alle stelle. Che non è divisa da diversità di culti, ma è formata da tutti i cercatori della verità» (11 luglio 1932, lettera a Gandhi). La Chiesa visibile, istituita, consapevole del vangelo, si commisura continuamente e umilmente alla chiesa-umanità animata dallo Spirito santo. Condivide gioie e dolori di tutta l’umanità come sorella prima che come maestra.
A maggior ragione, in questo sinodo esteso a tutti i cristiani «di comunità in comunità» (papa Francesco), sarà bene che le varie realtà di chiesa ascoltino anche, con garbo e disponibilità, chi ha lasciato la presenza nella chiesa e forse la fede. Ancora più ovvio è che la Chiesa cattolica debba chiamare e ascoltare le chiese sorelle in questa verifica del compito evangelico nel mondo in trasformazione. E, ancora, occorre che la Chiesa cristiana sappia ascoltare e parlare alle altre religioni, spiritualità e culture umane, nelle quali tutte c’è un segno dell’appello e del dono di Dio, anche quando è inteso in altri modi.

popolo di Dio
Il Concilio (nella Lumen Gentium n. 10, sul «sacerdozio universale») ha rovesciato la struttura piramidale della Chiesa, che era stata assunta a imitazione dell’impero romano, e ha visto centrale il Popolo di Dio intero, corresponsabile in fraternità paritaria. I ministeri ecclesiali sono al servizio della fraternità, e non al comando. Questi ministeri si formano in risposta alle esigenze di servizio (vedi Atti 6, quando la Chiesa crea i diaconi, che Gesù non aveva istituito): ad esigenze nuove si creano ministeri nuovi. È inutile che si perda tempo in commissioni che indagano se nella Chiesa primitiva c’erano donne diacone: se non c’erano diacone e presbitere all’inizio, è giusto e necessario che ci siano oggi. Non manchiamo al compito di rispondere ai bisogni del Popolo di Dio, e di realizzare la paritaria degna partecipazione di tutti i credenti, senza discriminazioni infondate nel vangelo e ripugnanti alla coscienza attuale.
Nel Decreto del monaco Graziano, (C. 12 q. 1 c. 7), XII secolo, all’inizio del diritto canonico, si legge: «Duo sunt genera Christianorum», ci sono due generi di cristiani, i chierici e i laici. Oggi questa distinzione non è più sacrale, può essere funzionale – ci sono presbiteri, e non «sacerdoti» esclusivi –, ma non più una distinzione qualitativa. Dopo il Concilio Vaticano I, del 1870, si diceva: il papa è tutto, i vescovi niente, sono suoi prefetti. Su quella linea, si diceva fortemente che c’era la chiesa che insegna e quella che ha solo da imparare: due chiese, uno scisma sacralizzato! A gran fatica emerse, nel movimento dei laici, nell’Azione Cattolica, una «collaborazione», e poi «partecipazione», dei laici all’apostolato della gerarchia. I teologi del Novecento preparavano la conversione evangelica del Concilio.
Andrea Grillo fa notare che la riforma liturgica conciliare è ancora sotto attacco da quanti hanno paura del Concilio, perché essa «modifica il rapporto che la tradizione medievale aveva strutturato tra clero e laici. (…) Clero e laici sono una costruzione ecclesiologica di cui non abbiamo più bisogno. (…) L’atto di parola e l’atto di sacramento sono atto comune a tutta l’assemblea. (…) La partecipazione è «attiva», ossia di tutto il corpo ecclesiale» (Rocca 1-11-2021, p. 44).

la Chiesa nella storia
La Chiesa cammina nella storia, nella quale c’è pure il male, da cui pure la Chiesa è toccata (casta meretrix), ma la storia non è il male, da cui si deve solo uscire, o sorvolare ad alta quota. Il mondo non è solo male da cui fuggire (fuga mundi). Dio vi è entrato con noi. La storia è abitata dallo Spirito di Dio incarnato, che vi immette «segni dei tempi», da riconoscere e interpretare, a cui rispondere. La storia è anche luogo teologico in cui Dio agisce e chiama, dandoci segni da riconoscere: Matteo 16, 1-4. «Ci sono cose nuove nella storia che non si lasciano comprendere semplicemente dalle categorie precedenti» (A. Grillo, cit.).
Il Concilio ha assunto una visione evolutiva dell’umanità, non fissista: «Il genere umano passa da una concezione piuttosto statica dell’ordine, a una concezione più dinamica ed evolutiva; ciò favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e sintesi nuove» (Gaudium et Spes, Chiesa e mondo moderno, n. 5). La Chiesa confessi di avere bisogno di imparare, e di decifrare al meglio, il linguaggio e la condizione dell’umanità di oggi, nelle difficoltà come nelle opportunità, negli errori come nelle illuminazioni.
La Chiesa propone con coraggio e verità le esigenze di giustizia contrastanti con le mondane volontà di potenza: propone il disarmo totale, il salario vitale, il lavoro per tutti, una economia per la vita di tutti e non per il profitto dei più ricchi (Francesco chiede terra, tetto, lavoro per tutti, parlando ai movimenti popolari). Proporre relazioni politiche disarmate e civili, nel pianeta umano intero, è una proposta che urta la perdurante micidiale concezione della politica come «divisione amici-nemici» (Carl Schmitt).
Quando la Chiesa è impedita e perseguitata da poteri violenti, prega, come Gesù, per i suoi persecutori. Quando è tentata come Gesù nel deserto, ritorna a Gesù.

morale evangelica
La predicazione morale era diventata una massa ossessionante di doveri, di pesi, di paure, che la Chiesa imponeva e gestiva come padrona delle coscienze, spaventosa e minacciosa. L’evoluzione umana ha portato anche alla semplice ribellione e liberazione, con effetti anche negativi, di disimpegno morale, di individualismo egoista. Ma la stessa maturazione moderna della persona ha portato a comprendere meglio la parola evangelica di Gesù, che riassume la vita morale nell’amore: sintesi tutt’altro che evasiva, semmai più impegnativa. Con Gesù, regola del vivere è la bontà. Durezza di cuore il solo peccato. Ecco la legge del dovere e della libertà. Gesù insegna la vita perché è animato pienamente dallo Spirito del Padre, del Dio vivente. Sicché la «questione Dio», che è stata riaperta da un movimento del «post-teismo», è tutt’altro che astratta e ininfluente sulla nostra vita. Se Dio è solo una energia impersonale, una forza della natura, nessuno Spirito nuovo e più santo viene ad animarci. Invece Gesù viene dal Santo Vivente, perciò porta alla nostra vita l’orientamento vivo, e ci promette nel Vivente vita che non muore.

rischio di scisma
Affrontare questi faticosi aggiornamenti è duro e costoso per l’istituzione Chiesa: c’è rischio di scisma tra due posizioni: da un lato, chi cerca la sicurezza della tradizione rigida e ripetuta, delle devozioni autoassicurative, del «Dio tappabuchi», delle forme garantite da strutture autoritarie, di una religione forte di se stessa, e, dall’altro lato, chi invece vuole proseguire, con progetti realistici di conversione della Chiesa, sulla strada del vangelo riscoperto nel Novecento, nel Concilio, oggi ripreso più decisamente da papa Francesco.
La guerra a papa Francesco, condotta dai difensori di quel cattolicesimo che congelò il vangelo nel proprio potere, è accanita, e userà ogni mezzo perché il sinodo non si muova nel rinnovamento evangelico conciliare. Speriamo solo nell’azione dello Spirito, che si è dimostrata presente, e non nelle dimostrazioni di forza, nello spaccio di una religione priva della sconvolgente novità evangelica. Anche Gesù incontrò, e proprio tra i Dodici, il rifiuto della via dolorosa, l’idea del successo nazionale, e dovette allontanare Pietro dicendogli che, in questo rifiuto, egli era un «satana» (Mt 16, 23).
Tonino Bello, dopo il convegno di Loreto, disse «occorre una chiesa povera, semplice, mite, che condivide la sofferenza, debole per vocazione, disarmata, che non chiede spazi per sé, ma condivide senza chiedere nulla» (questa è la sintesi di un testo originario intero, splendido, profetico!, citato da Fulvio De Giorgi, il 9 novembre, in un webinar della Rete Viandanti). E chiudo con una citazione birichina ma buona. «Nella Chiesa cattolica non si vede alcuna giovanissima che possa prendere un ruolo analogo a quello di Greta Tumberg, che pensi a qualcosa di dis-, come ad uno sciopero della messa domenicale finché non si vedranno donne all’altare. A me pare che la totale assenza dei giovani dalle nostre parrocchie sia uno sciopero anche se inconsapevole: il più grande sciopero di una intera generazione nei confronti della Chiesa cattolica italiana e dei suoi continui bla bla bla» (Selene Zorzi, Rocca 1-11-2021, p. 29)
Enrico Peyretti

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