Pace

cost-terra-logo
costituente-terra-logo
una Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 68 del 16 marzo 2022

NO NATO

Cari Amici,
un barlume di speranza si è aperto a seguito della dichiarazione del presidente Zelenski sul casus belli che ha portato lui e Putin a gettare l’Ucraina nella tragedia. Parlando alla Joint Expeditionary Force di Londra egli ha detto infatti a proposito della NATO: “Abbiamo sentito per anni parlare di porte aperte, ma abbiamo anche sentito dire che non possiamo entrarci, e dobbiamo riconoscerlo”. Lo ha detto dopo un messaggio che i presidenti di Polonia, Repubblica ceca e Slovenia gli hanno portato personalmente a Kiev da parte dell’Europa e, probabilmente degli Stati Uniti. Se si tratta di una vera rinunzia del regime ucraino ad aprire le porte alla NATO, è probabile che le ragioni che hanno spinto Europa e Stati Uniti a cambiare la loro scelta politica sulla guerra in corso siano state le sanzioni, che in tal modo si sono dimostrate efficaci contro di loro più o prima ancora che contro la Russia.
Nel sito pubblichiamo un’intervista a Riccardo Petrella con una sua analisi sulla crisi e i fattori che l’hanno determinata, un articolo di Domenico Gallo sulla possibile via d’uscita, e un messaggio proveniente dal segretario del movimento pacifista ucraino.
Con i più cordiali saluti.
www.costituenteterra.it
—————-————————
LA NATO STA GIÀ IN UCRAINA
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / LE FRONTIERE DEL DIRITTO /
Usa la base di Yavoriv. Ci vuole una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa

Domenico Gallo

Scenari. Il conflitto ucraino assume ora la veste di un scontro diretto Russia-NATO per interposta Ucraina come dimostra l’attacco contro la base militare di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco.

Siamo arrivati al ventesimo giorno di guerra d’aggressione all’Ucraina e ancora non sappiamo se e quando arriverà il cessate il fuoco. Quello che sappiamo è che ogni giorno, ogni ora di guerra semina fiumi di sangue e di lacrime, provoca morte, distruzioni e miseria. Col passare del tempo il conflitto diventa più feroce e rischia di espandersi.

L’attacco contro la base militare di Yavoriv, situata a 25 km dal confine polacco, ha spinto il conflitto ai confini della NATO ed ha evidenziato la presenza di personale militare straniero che collabora attivamente con le forze armate ucraine. La fornitura di armi da parte di paesi dell’Alleanza atlantica e la presenza di «addestratori», fa crescere il rischio di escalation del conflitto. La richiesta incessante del presidente Zelenski di istituire una no fly zone esprime un chiaro disegno di coinvolgere nel conflitto armato i Paesi europei e gli USA. Dal suo punto di vista è comprensibile perché è l’unica chance che potrebbe consentire all’Ucraina di sconfiggere un esercito invasore molto più potente.

Eppure gli stessi USA e i Paesi membri della NATO sono riluttanti a farsi coinvolgere direttamente nel conflitto armato poiché si rendono conto che in questo modo si innescherebbe la terza guerra mondiale. «Altro che vincere facile, in Iraq in Bosnia e Libia le superpotenze la adottarono contro Paesi di bassa capacità militare, lasciando poi solo miseria e instabilità. Proporla contro la Russia sarebbe una catastrofe», scrive il generale Fabio Mini. Così la via verso il disastro di una nuova guerra mondiale è aperta e ogni giorno che passa cresce il pericolo.

Basti pensare alla questione delle armi chimiche, come possiamo escludere che qualcuna delle parti non vi faccia ricorso per poi attribuirne la responsabilità alla controparte allo scopo di provocare un’ulteriore escalation del conflitto?

Un conflitto che sempre più assume la veste di un scontro diretto fra la Russia e la NATO per interposta Ucraina. In medicina si ritiene che fare la diagnosi giusta è il primo passo per la guarigione. Questo vale anche per la politica. Se non si guarda ai processi di logoramento delle relazioni internazionali e alla sfide che hanno preceduto, anche in senso causale, l’aggressione della Russia, non si hanno gli strumenti per fermare il massacro ed avviare un processo di ristabilimento della pace. Dobbiamo renderci conto che sia gli Stati Uniti, sia i principali Paesi dell’Unione Europea, fornendo le armi, stanno partecipando alla guerra contro la Russia, mostrandosi disponibili a combattere fino all’ultimo uomo (ucraino). Secondo Carl von Clausewitz, la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi.

Questo è quello che ha inteso fare Putin che, accecato da un delirio di potenza, ha cercato di tagliare con la spada il nodo dei conflitti politici e d’interesse che lo dividono dall’Ucraina. Così facendo ha infilato il collo dentro il cappio, consentendo a USA e Gran Bretagna di avviare una dura campagna contro la Russia, di isolarla dall’economia mondiale e logorarla militarmente, col proposito di trasformare l’Ucraina nel suo Vietnam. In realtà l’assioma di von Clausewitz si può rovesciare nel suo contrario: la politica può essere la prosecuzione della guerra con altri mezzi.

Purtroppo dobbiamo riconoscere che la politica condotta da Stati Uniti e Gran Bretagna di espansione ad est della NATO, fatta di continue sfide politiche e militari rientra in una competizione fra potenze in fondo alla quale c’è la capitolazione dell’avversario o la guerra. Non dobbiamo stancarci di chiedere il cessate il fuoco, però è evidente che non si potrà mai ristabilire la pace se non si pone mano alla soluzione dei nodi politici che hanno innescato la guerra.

Ci vuole una visione del futuro. Come la ebbero Churchill e Roosevelt che nel 1941 con la Carta Atlantica delinearono lo scenario di un nuovo ordine mondiale pacifico, ripreso nel 1945 dalla Carta delle Nazioni unite, che annunciava l’ambizione di liberare l’umanità dal flagello della guerra. È preoccupante, invece lo scenario che ci fanno intravedere i principali attori internazionali all’uscita da questa guerra: si prefigura un’Europa armata fino ai denti e divisa da una perenne ostilità. È impressionante il silenzio dell’Unione europea e dei principali Paesi europei su come risolvere le questioni politiche che hanno originato il conflitto ed è assurdo che non abbiano detto una parola sul tema della neutralità dell’Ucraina.

Si irrogano sanzioni sempre più dure e si rilancia la corsa agli armamenti con il riarmo della Germania, ma quale soluzione viene proposta per ricucire questa frattura dolorosa che si è aperta fra una potente nazione europea (la Russia) e le altre nazioni? Come si può favorire una trattativa che ponga fine alla guerra, se non si fa intravedere un futuro accogliente per tutte le nazioni europee, dall’Atlantico agli Urali, in cui la cooperazione prevalga sull’intimidazione e la sicurezza sia collettiva?

Si uscirà dalla guerra con una nuova Conferenza di Helsinki che rilanci la cooperazione e la sicurezza comune in Europa o si proseguirà la guerra contro la Russia con altri mezzi, cercando di metterla in ginocchio con le sanzioni, come si fece con l’Iraq, di sfiancarla con la corsa al riarmo e di rendere perpetua la nuova cortina di ferro? Quale futuro dobbiamo aspettarci? Dipende anche da noi.

Domenico Gallo
————————————————————————

UNA GUERRA CHE VIENE DA LONTANO
16 MARZO 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
L’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Molti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Intervista a Riccardo Petrella

Simone M. Varisco

La guerra in corso in Ucraina è una violenza inaccettabile. Si può dire il frutto di quasi un secolo di responsabilità incrociate, diffidenze reciproche, impegni disattesi e differenti interpretazioni delle relazioni internazionali. Eppure, per molti versi, è anche la conseguenza di un pensiero sorprendentemente comune ai due schieramenti: la guerra contro l’uomo. Fra aspirazioni imperiali, pace imposta con le armi e un mondo che sta cambiando. È «l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione».

Ne parlo con Riccardo Petrella, economista e politologo, professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio e dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Dal 1978 al 1994 ha diretto il programma FAST (Forecasting and Assessment in the Field of Science and Technology) alla Commissione delle Comunità europee a Bruxelles. Nel 1993 ha fondato il Gruppo di Lisbona e nel 1997 l’Associazione internazionale per il Contratto mondiale dell’acqua. È presidente dell’Institut Europeen de Recherche sur la Politique de l’Eau (IERPE) di Bruxelles e dell’Università del Bene Comune (UBC), fondata ad Anversa e poi in Italia e in Francia. È dottore honoris causa di 8 università in Svezia, Danimarca, Belgio, Francia, Canada e Argentina. Collabora, fra l’altro, con il Wall Street International Magazine ed è autore di pubblicazioni sull’economia e il bene comune.

Prof. Petrella, si è detto che questo conflitto è la continuazione di quello iniziato nel 2014. È davvero così?

La crisi russo-ucraina non è all’origine di tutto quello che sta succedendo. Ci sono ragioni obiettive per avercela con Putin, sia chiaro! Ma non è solo l’agire di Putin che è determinante in questa situazione. Ci sono tanti fattori precedenti all’esplosione del conflitto fra Russia e Ucraina. Dopo l’indipendenza dell’Ucraina, nel 1991, sono iniziate pressioni forti, locali e internazionali, soprattutto da parte di Stati Uniti ed Europa affinché l’Ucraina diventasse parte dell’economia occidentale e del sistema militare Nato. La crisi del 2014, con l’occupazione russa della Crimea e l’appoggio alla secessione – se si può dire così – delle province di Donetsk e Luhansk è una continuazione di qualcosa di molto più grande, di molto più lontano. L’attuale guerra in Ucraina non è, fondamentalmente, una guerra tra russi e ucraini. All’origine ci sono due grandi fenomeni, insieme ad un terzo raramente trattato dagli analisti.
Il primo è il grande errore commesso dagli Stati Uniti, dagli europei e da alcuni gruppi in Russia – gli amanti della visione pan-zarista di Putin – di non aver ascoltato quanto sostenuto nel 1991 da Michail Gorbaciov, cioè che il crollo dell’Unione sovietica non fosse avvenuto a causa della vittoria degli Stati Uniti o del capitalismo, bensì per ragioni interne, per una società mal strutturata, ingiusta, per un potere inegualitario ed oligarchico.
Il secondo fenomeno è lo scontro fra due “imperi”. Dopo la seconda guerra mondiale il mondo era governato da due grandi potenze: da un lato l’URSS, con la potenza militare e soprattutto la potenza ideologica, anche se in declino, e dall’altro gli Stati Uniti, con un’egemonia mondiale in tutti i campi. La Guerra Fredda era questo, l’opposizione fra due potenze mondiali imperiali. Con la crisi dell’URSS gli Stati Uniti hanno pensato di poter approfittare della debolezza della Russia per metterla fuori gioco sul piano della geopolitica e dei rapporti di potere mondiali. E da allora hanno fatto di tutto per ottenere questo. È chiaro, ormai, che la Nato non serve a difendere l’Atlantico. La Nato è uno strumento mondiale. Per gli Stati Uniti cedere sulla Nato, ritirarsi, è una bestemmia. Non lo faranno mai, se non obbligati.
Il terzo fenomeno: anche se non ne siamo sempre coscienti, c’è un profondo razzismo nella convinzione occidentale che sia “naturale” per la nostra società dominare il mondo. Noi pensiamo, come Churchill, che la democrazia, pur imperfetta, sia il sistema politico meno peggiore di tutti gli altri. Che la nostra democrazia sia the ultimate form, la forma definitiva di organizzazione politica buona, anche solo perché meno peggiore delle altre. Ogni altro sistema politico è dal nostro punto di vista antidemocratico, totalitario. “cattivo”. Spesso il “difendere la democrazia nel mondo” si traduce nel difendere il potere che rappresenta oggi il nostro sistema politico. Un’altra convinzione occidentale è che il capitalismo non sia buono, ma che non ci sia alternativa al capitalismo, al mercato, alla competitività, all’ineguaglianza. Finché queste due convinzioni regoleranno l’agire dei nostri governanti non ci sarà pace nel mondo. Sono idee talmente metabolizzate in noi, che ad esempio durante la pandemia abbiamo ritenuto ovvio non fidarci dei vaccini russi o cinesi, perché non fatti dalle nostre università, non fatti dalle nostre imprese. Ancora meno potremmo dare fiducia al prodotto di un popolo ritenuto da sempre soltanto sottomesso: i vaccini cubani. Ancora, non pensiamo che l’Africa o il Vicino Oriente siano luoghi dove possono emergere nuove idee, nuovi stili di vita, nuovi sistemi economici.

In effetti, è un fatto che in 8 anni di tensione non si è fatto abbastanza per evitare una nuova escalation. La sensazione è che gli organismi sovranazionali, a cominciare dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, siano incapaci di evitare l’innescarsi di conflitti armati e crisi umanitarie. È così?

Perché non si è fatto nulla per fermare i conflitti fra Russia e Ucraina, che sono anche antistorici rispetto alla storia plurisecolare dei due Paesi? Perché, per l’appunto, non è solo una questione russo-ucraina. Si tratta, invece, dell’accentuazione negli ultimi anni di quel conflitto fra due potenze imperiali, con esiti sempre più a favore degli Stati Uniti. Ricordiamo sempre il concetto tipicamente statunitense di peace through strength, pace attraverso la forza militare, secondo alcuni attraverso la guerra. Per questo non si è fatto nulla, soprattutto non ha fatto nulla l’Occidente, per evitare la guerra. I politici europei si sono dimostrati subalterni, senza una visione a lungo termine del loro ruolo, anche come Unione Europea.
Beninteso, non si è fatto nulla non solo da parte occidentale: Putin fa parte di quella categoria di russi che rimpiange il crollo dell’Unione Sovietica, non perché rimpianga il crollo di una società che si diceva socialista e comunista – e che invece era autocratica, classista e ineguale – ma perché l’URSS rappresentava, in certo senso, una continuità con la Grande Russia, la Madre Russia, la Russia messianica, la Russia dell’ortodossia, della tradizione slava, dello zarismo. Da parte sua, Putin non può permettersi un ulteriore indebolimento.

Dal canto loro, Nato e Unione Europea non hanno trovato di meglio che armare uno dei due contendenti, l’Ucraina. Da un lato, è evidente l’intenzione di circoscrivere il conflitto ad una “trincea” lontana dal cuore dell’Europa, dall’altro la presunta soluzione non può che suscitare interrogativi. Con tutte le differenze del caso, non si può fare a meno di pensare all’Afghanistan di Osama Bin Laden e del Maktab al-Khidmat o all’Iraq del regime baathista di Saddam Hussein contro i Curdi iracheni e l’Iran. Come la vede?

In Ucraina si fa fare ad altri la guerra, così come si è fatta fare ad altri in Iraq, in Afghanistan, in Vietnam e nelle decine di altri interventi militari diretti o indiretti in America Latina, secondo la dottrina Hoover di America is ours, tutta l’America è nostra. Il pericolo è che, in fondo, sia World is ours, il mondo intero è nostro. Per questo, oggi, dobbiamo avere paura tanto di Putin come degli europei occidentali e degli Stati Uniti. L’invio di armi è una pazzia, una follia. Sanno benissimo che questo metterà alle corde Putin e lo costringerà a continuare ad essere presente in Ucraina. Armare gli ucraini significa anche creare l’accadibilità dell’incidente nucleare.
Spero che per gli Stati Uniti non sia il colpo di coda del coccodrillo ferito, che sta morendo. Trump è quello: un “visionario” alla Putin, che rimpiange la perdita del potere egemonico degli Stati Uniti. La forza imperiale statunitense non è più così forte come lo era all’epoca della Guerra Fredda, sia per motivi interni sia per l’opposizione di altri Paesi e soprattutto per l’emergere della Cina, una potenza certamente ambigua, ma che dà fastidio soprattutto sul piano economico.

Alcuni analisti hanno indicato il presidente russo Putin come psicologicamente instabile e più di una volta le dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky sono sembrate sopra le righe. C’è molta propaganda da ambo le parti, ma la situazione non fa ben sperare. Sono elementi che hanno un peso in questa guerra?

Qualche giorno fa ho ascoltato il ministro dell’Europa e degli affari esteri francese, Jean-Yves Le Drian, che ha detto sorridendo che “soffocheremo” l’economia russa. Ridendo, come se parlasse di un gioco. Far morire economicamente la Russia significa condannare 144 milioni di persone. È pazzia, pazzia “sana”, non malattia. Si punta ad ottenere la morte economica e militare della Russia e l’inabilitazione della Cina a continuare la sua crescita sul piano economico. Biden, come Trump, vuole la fine della Russia. Biden, come Trump e come gli europei occidentali, vuole l’indebolimento della Cina.
Siamo educati a pensare ad un nemico: oggi la Russia di Putin, ieri l’Unione Sovietica, i movimenti islamisti. E già si delinea il nemico del futuro, la Cina, considerata un “rivale sistemico” dall’Unione Europea. Con in parte delle verità, in questo, ma dev’essere chiaro il motivo per cui siamo educati a questo pensiero: difendere l’egemonia dell’Occidente. Noi occidentali crediamo che il nostro potere, la nostra supremazia mondiale siano un fatto naturale, inevitabile, giusto e buono. Ogni minaccia alla mono-supremazia del mondo occidentale, e in particolare degli Stati Uniti, diventa il nemico.

Da una pandemia globale ad una guerra che rischia di esserlo. In entrambi i casi, al di là della retorica, sembra mancare una risposta comunitaria, realmente condivisa, agli eventi. Ci sono aspetti che accomunano queste due tragedie?

Intanto, l’economia oggi spesso si traduce in guerra. L’economia dominante, il capitalismo di mercato ad alta tecnologia e ad alta finanziarizzazione, è sostanzialmente un’economia di dominio, un’economia di potenza, dell’ineguaglianza, un’economia della guerra: guerra per conquistare il mercato dei vaccini, guerra per la proprietà e i brevetti, guerra per conquistare il mercato delle intelligenze artificiali. Viviamo un continuo stato di guerra: i contadini ai quali a decine e decine di migliaia nel mondo è sottratta la terra o i lavoratori ai quali è tolta l’occupazione sono vittime della guerra dell’economia contro di loro.
La totale digitalizzazione della nostra società è anch’essa una guerra, una guerra contro gli esseri umani. C’è una grande priorità, teorica e pratica, in molte attività scientifiche e tecnologiche oggi: l’autonomizzazione dei sistemi artificiali. Si arriverà al dominio degli esseri umani attraverso il dominio delle macchine? La tecnologia non potrà che aumentare le guerre di potere. Il militare, oggi, è tecnologie di reti e gestione dei dati, come l’economia.
E poi c’è l’individualismo. Putin, anche se non è vero, è considerato “comunista”. E noi, società occidentale, siamo fondamentalmente educati all’interesse individuale, all’io, non al noi. Lo si vede con la guerra e lo si è visto con la pandemia: il principio multilaterale non funziona. È un fallimento, solo che è difficile andare al di là del multilateralismo. Lo si vede con il Consiglio di Sicurezza: anche allargato è impotente.
Questo per dire l’immensa complessità di ciò che sta attorno alla guerra in Ucraina e la difficoltà di trovare una soluzione. Per questo dobbiamo favorire tutte le forme di trattativa: se quelle attualmente in corso falliranno, si dovrà ricominciare fino ad arrivare ad un cessate il fuoco. Dobbiamo preservare il concetto di trattativa, vivo e forte. C’è una speranza se continuano le manifestazioni in tutte le città. Non solo contro Putin: contro Putin, contro gli Stati Uniti, contro il regime capitalista e l’occidentalismo individualista ed esclusivista.

Da politologo, come interpreta l’atteggiamento finora mostrato da papa Francesco? Si condanna il peccato – la guerra – ma non si vuole interrompere il dialogo con i molti “peccatori” di questo conflitto?

Papa Francesco è una delle poche personalità al mondo che sia a livello istituzionale che per sue scelte personali sta tentando di fare ciò che può. Non possiamo attribuire al Papa poteri che non può avere. Può tentare di sensibilizzare un miliardo di cattolici, peraltro non tutti praticanti. E certo non può mobilitarli come fosse una polizia politica. Ma ha un enorme potere morale e di influenza. Spero che nella Chiesa cattolica si spinga sempre di più per le trattative. Lì papa Francesco può giocare un ruolo molto importante. Non parla per i propri interessi, gli altri sì e si accusano a vicenda di essere miscredenti. Papa Francesco è tra le poche persone che non sta parlando con la testa in mano né con il cuore in mano, ma con l’umanità in mano.

14 Mar 2022

————————

- http://www.costituenteterra.it/una-guerra-che-viene-da-lontano/

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>