Pace vo cercando…

4e9f5f91-80e2-44dc-874d-7279cf660cd4UE sempre più schierata nel conflitto russo/ucraino. Favorisce una giusta soluzione diplomatica? Salva l’Ucraina dai massacri e dalle devastazioni?
9 Aprile 2022

democraziaoggi-loghettoAndrea Pubusa su Democraziaoggi.

Chi non sente un impulso istintivo a far qualcosa di fronte agli esiti tragici della guerra in Ucraina? Chi non s’indigna di fronte ai massacri quotidiani? Certo la Von der Leyen è stata mossa da questi sentimenti quando ha deciso di recarsi a Kiev, ma questo schierarsi della UE con l’Ucraina aiuta la pace? Chi lavora a una vittoria di Zelensky su Putin lo pensa e plaude. E tuttavia si può pensare che se la Von der Leyen fosse andata anche a Mosca a proporsi come mediatrice fra le parti, avrebbe aiutato di più, anzitutto l’Ucraina e la pace?
E’ tutta la politica della UE ad essere debole sia nei rapporti con gli Usa sia in quelli con la Russia e l’Ucraina. Non riesce a convincere quest’ultima a entrare nella UE e non nella Nato, e non riesce a convincere Zelensky che per il Donbass e dintorni ci vuole uno statuto speciale di autonomia garantito da un trattato internazionale.
Accantonata quests prospettiva, tutto precipita ed oggi addirittura si parla con disinvoltura di una possibilità di guerra atomica, della quale fino a poco tempo fa era vietato persino il pensiero. Una deriva folle, come dice Francesco.
L’Italia in questo contesto è una misera comparsa. Si accoda al diktat dell’invio di armi, anzichè buttare sul tavolo la linea della trattativa. Trattativa con al primo posto il ritiro della Russia dall’Ucraina, dando a quell’area un assetto stabile e condiviso, garantito dalle organizzazioni internazionali.
Questa è una resa o una ragionevole difesa del popolo ucraino oggi sotto tiro?
Finora la linea muscolare ha prodotto morti e stragi e ne procurerà altre anche peggiori; perchè non provare la linea del confronto? L’UE perché non lancia l’idea di una grande conferenza di pace? E lavora con tenacia per farla? Perché invece impegna le sue energie per elaborare sanzioni complicate che, in fondo, puniscono noi stessi e affamano le nostre fasce sociali più deboli? Che senso ha privarsi del gas russo che arricchisce anche noi e la stessa Ucraina? Messe in ginocchio le imprese e ridotte alla fame le masse popolari che sorte avrà il nostro Paese e come finiranno i governi europei? Si vedono crescere, perfino in Francia, pericolosi umori elettorali di destra. Biden rilancia l’invio massiccio di armi. Aiuta la pace? Vogliamo seguire questa linea? Con quale utilità?

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Serve strategia Ue. Più spese militari senza bussola non sono priorità né sono capite
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
sabato 9 aprile 2022 su Avvenire
Gentile direttore,

la discussione attorno all’aumento del budget militare del 2% del Pil, depotenziata dalla scelta di giungere a tale obiettivo nel 2028, lascia perplessi da molti punti di vista. Si è da tempo aperto un dibattito sul sistema di difesa europeo. Romano Prodi ha giustamente affermato che «questi aumenti di spesa si debbono fare quando si ha una politica estera comune della Ue». Occorrerebbe perciò un’accelerazione, ora assente, dell’unità politica dell’Unione. Per di più gli armamenti nazionali oggi non sono reciprocamente congruenti. In altre parole ciascun esercito ha un armamento diverso dall’altro. Al fine della creazione di una difesa comune – che sia davvero ‘difesa’, e non strumento di avventure africane o mediorientali – non serve, anzi, è dannoso il fai-da-te. Si spenderebbe di più, mentre occorre spendere meglio. Aggiungo che una corsa agli armamenti nazionali stimolerebbe la mai sopita bestia del nazionalismo che, come dimostra proprio la crisi ucraina, è di per sé portatore di venti di guerra.

C’è inoltre un grande rimosso in questo dibattito, e cioè la presenza nel nostro Paese di un incredibile numero di basi militari Usa e Nato. La prima cosa da fare sarebbe predisporre una maggiore trasparenza di questo ginepraio in grandissima parte secretato da tempo immemorabile e riguardante basi in altrettanto grandissima parte soggette a extraterritorialità. Perché non mettiamo il valore di tutto ciò in conto al mitico 2% di cui si parla?

Non solo: la presenza di testate nucleari in tante di queste basi, a cominciare da Aviano in Friuli, fa del nostro Paese una testa di ponte avanzata della Nato, e perciò nella stessa misura lo destina a essere il primo potenziale bersaglio di un conflitto su larga scala. Ed è altrettanto evidente che tanto più andrà avanti la logica degli armamenti nazionali e del rafforzamento della Nato, tanto meno si potrà ragionevolmente operare per un autonomo sistema di difesa europeo. Diciamo la verità: il comando effettivo della Nato non risiede a Bruxelles, ma a Washington. Questo crea una dipendenza non necessaria a fronte di una forza di difesa europea autonoma, reale e non simbolica, a garanzia della sicurezza del continente. Alleanza non può voler dire subalternità.

È una riduzione del danno aver rinviato al 2028 la data di completamento del 2%, ma non basta: sarebbe opportuno che qualsiasi discussione relativa all’aumento del budget militare sia connessa a una chiara strategia, che oggi non si vede, e anche alla pragmatica presa d’atto per cui l’Italia è già adesso una gigantesca base militare e un’altrettanta gigantesca santabarbara nucleare, le cui chiavi non sono necessariamente nelle mani del nostro Paese.

Insomma, qualsiasi riflessione sul ‘militare’ deve partire dal principio costituzionale del ripudio della guerra e della esclusiva difesa dei confini, e dall’idea che missione essenziale della Ue è quella di promuovere una nuova coesistenza pacifica.

Qui va colto uno straordinario differenziale tra le decisioni del governo Draghi e la maggior parte dell’opinione pubblica. Tutti i sondaggi attestano che, ferma rimando la condanna generalizzata dell’invasione militare russa, la maggioranza degli intervistati era contraria all’invio di armi in Ucraina ed è contraria all’aumento delle spese militari. Questi dati, pervicacemente ignorati o sminuiti da troppi, segnalano una pericolosa scollatura fra società politica e società civile che forse è una delle radici dell’imbarbarimento in una deriva binaria (amico-nemico) bellicista del dibattito pubblico.

Colgo infine una pesantissima sottovalutazione dell’emergenza sociale che ci aspetta che richiederà misure straordinarie contro la povertà e la disoccupazione e per un nuovo welfare. Infatti, all’impennata dell’inflazione che ha raggiunto a marzo il 6,7% si aggiunge la previsione di un vero e proprio crollo del Pil atteso, alla luce degli effetti indotti dalle sanzioni alla Russia. Non è pensabile qualsiasi incremento di spesa senza considerare la drammatica crisi che ci aspetta. Certo, c’è il Pnrr. Ma quanto sarà in grado di risolvere la futura emergenza causata dalla guerra in corso?

Comitato Nazionale Anpi

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costituente-terra-logoINFELICE TRAGUARDO
6 APRILE 2022 / COSTITUENTE TERRA / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
La decisione di incrementare le spese militari fino al 2% del PIL non è un vincolo imposto da trattati internazionali. È una scelta di obbedienza atlantica. Come al solito, sovranità limitata

Domenico Gallo

«Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

I versi del canto VI del Purgatorio di Dante Alighieri sono il commento più adeguato alla decisione di incrementare ulteriormente le spese militari fino a portarle al 2% del PIL (3,5% del bilancio dello Stato), preannunciata dal presidente del consiglio Draghi il 1° marzo e approvata dalla Camera con un ordine del giorno votato a stragrande maggioranza. Non è un impegno da poco, si tratta di passare dai circa 25 miliardi l’anno attuali (68 milioni al giorno) ad almeno 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno). Aumentare di 13 miliardi all’anno le spese per l’acquisto di armamenti (li chiamano investimenti per la difesa) quando è già stato previsto un taglio di sei miliardi di euro per la spesa sanitaria per gli anni 2023 e 2024, non è il modo migliore per tutelare gli interessi del popolo italiano, eppure i principali mass media hanno fatto a gara nel censurare Conte che si opponeva a una scelta così deleteria. D’altro canto Draghi è stato irremovibile e si è rischiata una crisi di governo fino a quando non è stato trovato il compromesso di spostare al 2028 il raggiungimento di questo infelice traguardo.

La tesi di fondo avanzata dal coro degli atlantisti è che l’Italia deve rispettare gli obblighi assunti in sede NATO, in particolare nel vertice dei capi di Stato e di governo, svoltosi il 4-5 settembre 2014 nel Galles in cui fu concordato che i Paesi europei avrebbero dovuto aumentare la spesa militare con l’obiettivo di portarla al 2% del PIL entro il 2024. Su questo punto occorre fare chiarezza. A norma dell’art. 117 della Costituzione: «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento e dagli obblighi internazionali». I vincoli che il legislatore deve rispettare sono quelli che derivano dal diritto internazionale consuetudinario e quelli che derivano del diritto internazionale pattizio, cioè dai trattati internazionali. Le dichiarazioni d’intenti espresse nei vertici NATO, ovviamente non rientrano nel diritto internazionale generale, né sono dei trattati internazionali. Qualora – in via d’ipotesi ‒ in sede NATO fosse stato firmato un trattato internazionale con l’impegno ad effettuare determinati “investimenti” nella difesa, questo trattato, prevedendo oneri alle finanze, avrebbe dovuto essere sottoposto all’approvazione da parte del Parlamento, con legge di autorizzazione alla ratifica, ai sensi dell’art. 80 della Costituzione. Naturalmente in sede di ratifica il Parlamento sarebbe stato libero di dire no. Il fatto che Renzi abbia promesso a Obama nel 2014 di raddoppiare le spese militari è un evento politico che non può in alcun modo pregiudicare la libertà del Parlamento di allocare le risorse del bilancio pubblico, se l’Italia è ancora uno Stato sovrano. Ma il punto è proprio questo: la sovranità.

Nell’agosto del 1968 il Segretario del PCUS, Leonid Breznev, giustificò l’invasione della Cecoslovacchia enunciando la dottrina della “sovranità limitata” dei Paesi aderenti al Patto di Varsavia. Nell’ambito della NATO la dottrina della sovranità limitata non è stata mai enunciata, nondimeno è stata praticata in forma occulta ma efficace. Quando in Italia si profilava un cambiamento politico rispetto agli assi tradizionali della guerra fredda, il segretario della DC Aldo Moro, nel corso del suo viaggio negli USA, il 25 settembre del 1974, ricevette una esplicita minaccia di morte da parte di Henry Kissinger, personaggio non aduso a parlare a vanvera. Dalla morte di Moro in poi, l’Italia adempie agli “obblighi” dell’Alleanza atlantica, senza discutere, sia che si tratti di collaborare alle extraordinary renditions (sequestri di persone, vedi vicenda Abu Omar), sia che si tratti di partecipare a delle manovre militari nei Paesi baltici o nel Mar Nero, sia che si tratti di inviare armi letali all’Ucraina, sia che si tratti di raddoppiare le spese militari, malgrado il disastro economico-finanziario provocato dalla pandemia. Poiché l’epoca della costrizione violenta attraverso la strategia della tensione è terminata con la fine della prima guerra fredda, tutto questo atlantismo d’assalto dei vertici istituzionali e dei leader politici non può trovare altra spiegazione che in una libidine di servilismo, l’antica vocazione al servaggio di cui parla Dante.

Del resto non può essere un caso che l’Italia, qualunque sia il governo in carica, in sede di Consiglio atlantico non abbia mai detto no, sappia solo dire sempre e soltanto sì, anzi: signorsì. All’obbedienza atlantica noi preferiamo l’obbedienza alla coscienza, che è illuminata dalle parole di papa Francesco che ha dichiarato: «Io mi sono vergognato quando ho letto che un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali».

Domenico Gallo
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