Vincere la Pace

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avvenireLa parola del Papa. Il coraggio di far pace

Francesco

Il testo che pubblichiamo, riprendendolo da Avvenire di mercoledì 13 aprile, è la parte conclusiva dell’introduzione inedita al libro di papa Francesco Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (Solferino – Libreria Editrice Vaticana, pp. 192, euro 14.50), in libreria da domani. Il testo presenta nelle parole del Papa il dialogo come arte politica, la costruzione artigianale della pace e il disarmo come scelta strategica. Il volume sarà presentato venerdì 29 aprile alle ore 10.30 a Roma all’Università Lumsa (Sala Giubileo – via di Porta Castello 44). Dopo il saluto del rettore Francesco Bonini, intervengono il cardinale Piero Parolin, segretario di Stato, e Romano Prodi. Modera Fiorenza Sarzanini.

L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza. Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica, ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male.

Nel novembre 2019, a Hiroshima, città simbolo della Seconda guerra mondiale i cui abitanti furono trucidati, insieme a quelli di Nagasaki, da due bombe nucleari, ho ribadito che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche.

Chi poteva immaginare che meno di tre anni dopo lo spettro di una guerra nucleare si sarebbe affacciato in Europa? Così, passo dopo passo, ci avviamo verso la catastrofe. Pezzo dopo pezzo il mondo rischia di diventare il teatro di una unica Terza guerra mondiale. Cui si avvia come fosse ineluttabile.

Invece dobbiamo ripetere con forza: no, non è ineluttabile! No, la guerra non è ineluttabile! Quando ci lasciamo divorare da questo mostro rappresentato dalla guerra, quando permettiamo a questo mostro di alzare la testa e di guidare le nostre azioni, pèrdono tutti, distruggiamo le creature di Dio, commettiamo un sacrilegio e prepariamo un futuro di morte per i nostri figli e i nostri nipoti. La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione di potere, la violenza, sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia bellica che dimentica l’incommensurabile dignità della vita umana, di ogni vita umana, e il rispetto e la cura che le dobbiamo.

Di fronte alle immagini di morte che ci arrivano dall’Ucraina è difficile sperare. Eppure ci sono segni di speranza. Ci sono milioni di persone che non aspirano alla guerra, che non giustificano la guerra, ma chiedono pace. Ci sono milioni di giovani che ci chiedono di fare di tutto, il possibile e l’impossibile, per fermare la guerra, per fermare le guerre. È pensando innanzitutto a loro, ai giovani, e ai bambini, che dobbiamo ripetere insieme: mai più la guerra. E insieme impegnarci a costruire un mondo che sia più pacifico perché più giusto, dove a trionfare sia la pace, non la follia della guerra; la giustizia e non l’ingiustizia della guerra; il perdono reciproco e non l’odio che divide e che ci fa vedere nell’altro, nel diverso da noi, un nemico.

Mi piace qui citare un pastore d’anime italiano, il venerabile don Tonino Bello, vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, in Puglia, instancabile profeta di pace, il quale amava ripetere: i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti».

Quando cancelliamo il volto dell’altro, allora possiamo far crepitare il rumore delle armi. Quando l’altro, il suo volto come il suo dolore, ce lo teniamo davanti agli occhi, allora non ci è permesso sfregiarne la dignità con la violenza. Nell’enciclica «Fratelli tutti» ho proposto di usare il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari per costituire un Fondo mondiale destinato a eliminare finalmente la fame e a favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa. Rinnovo questa proposta anche oggi, soprattutto oggi. Perché la guerra va fermata, perché le guerre vanno fermate e si fermeranno soltanto se noi smetteremo di ‘alimentarle’.

Francesco
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costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 74 del 13 aprile 2022

LA RAGIONE DELLE COSE

Carissimi,
Ha scritto “Limes” in copertina: “La fine della pace”. La fine della pace significa l’inizio della guerra. Se la guerra deve finire con la vittoria, la pace finisce col ripudio della politica. Ma ha detto il Papa: “Che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”. Tra le macerie c’è tutto ciò che abbiamo costruito dopo Auschwitz, la Resistenza, la Costituzione, l’idea stessa di “Nazioni Unite” e forse anche la Via Crucis. Se irrompono i demoni dell’aggressione, se torna il Moloc della guerra, è perché “il popolo della terra” ha chiuso gli occhi, come denuncia la Bibbia, mentre i suoi re, i capi, i sacerdoti e i profeti – peraltro regolarmente secolarizzati – prostituendosi all’idolo, fanno passare i loro figli e le loro figlie nel fuoco (Ger. 32, 32-35; 1 Re 11,7; Lev. 20, 4). Ora, nella nuova situazione del mondo, ciascuno deve scegliere il suo posto, prendersi le sue responsabilità, ricominciare dalla ragione di tutte le cose.
Nel sito http://labibliotecadialessandria.costituenteterra.it/ trovate una bibliografia storica della nonviolenza e delle lotte non violente a cura di Enrico Peyretti.
Un cordiale augurio di buona Pasqua

www.costituenteterra.it
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logo76Anche su Newsletter n. 258 del 13 aprile 2022 Newsletter n. 258 del 13 aprile 2022.
Chiesadituttichiesadeipoveri
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BIBLIOGRAFIA STORICA DELLE LOTTE NONARMATE E NONVIOLENTE
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Pace, vera, non come la dà il mondo. Uscir fuori dalla logica

Eraldo Affinati su Avvenire di giovedì 14 aprile 2022

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»: nella grande udienza di ieri papa Francesco, rilanciando con la necessaria autorevolezza e forza icastica Giovanni (14-27), ha messo il dito sulla piaga dell’Europa sconvolta dalla guerra in Ucraina. Non ha fatto solo questo. Ha chiamato tutti noi a una riflessione radicale sul senso che dovremmo attribuire al nostro stesso stare al mondo. La pace predicata dal Nazareno, sembra essenziale ribadirlo, non vuole alludere a una semplice tregua stipulata dagli eserciti in lotta: se non lo comprendiamo, continueremo a baloccarci in una riduzione quasi infantile della posta in gioco: stai con me o contro di me? Sei per l’invio delle armi a Zelensky o credi sia più giusto stare dalla parte di Putin?

L’esistenza che Gesù indica agli apostoli come indispensabile per mettersi alla sua sequela supera il concetto di armistizio, ben sapendo che i conflitti saranno sempre inestirpabili, non potranno essere assenti, se non all’interno di un artificiale falansterio: ecco la ragione per cui Miguel de Unamuno, spirito cristiano fra i più fulgidi del Novecento, pensando a una concordia siffatta, da acquario fiorito o paradiso in terra, scrisse: «Non predicarmi la pace, ti prego, essa mi fa paura perché vuol dire sottomissione e menzogna».

Quale valore potrebbe mai avere infatti una pace stabilita secondo le leggi del mondo, che sentenziasse il dominio incontrastato del forte sul debole, la tirannia del carnefice sulla vittima, la vittoria del prepotente sull’inerme? Ma anche le altre ‘paci’ che costellano la storia dell’umanità cosa sono state, se non protocolli di legalità compilati dai popoli vincitori, regno dei potenti sugli imbelli, trionfi dei più scaltri sugli indifferenti? Il male sta sempre davanti e dentro di noi: dobbiamo affrontarlo assumendoci la responsabilità dell’azione nel momento in cui interveniamo per contrapporci all’oltraggio di un principio in cui crediamo.

Così rispose Dietrich Bonhoeffer a chi gli chiedeva come facesse a conciliare il suo essere cristiano e combattente allo stesso tempo: «Se io vedessi un autista pazzo uccidere i passanti sul Kurfürstendamm di Berlino (chiara allusione al Führer), il mio dovere di pastore, prima ancora di soccorrere i feriti, dovrebbe essere quello di strappare il conducente dalla guida del mezzo». In altro momento disse anche: «Solo chi alza la voce in difesa degli ebrei può permettersi di cantare il gregoriano». Dopodiché, precisò con una sorta di dolorosa oculatezza, dovrei chiedere la misericordia di Dio.

E qui arriviamo a Fëdor Michajlovic Dostoevskij, l’anima russa più profonda che conosciamo: non è la prima volta che papa Francesco ci esorta a leggere-rileggere la Leggenda del Santo Inquisitore, uno dei tesori artistici compresi all’interno dei Fratelli Karamazov.

In quel romanzo capitale della letteratura moderna, Ivan – nichilista che armerà la mano di Smerdiakov contro il padre – legge il testo a Aleksej, mite ma non vile, forse con l’intenzione di fiaccarne la certezza religiosa. In queste pagine decisive s’immagina che il Figlio di Dio torni sulla terra, nella Spagna del XVI secolo, e venga condannato al rogo dall’arcigno novantenne che, in nome dell’autorità della Chiesa, con un discorso serrato di straordinaria levatura teologica, gli rimprovera di aver dato agli uomini il carico, per loro insostenibile, della libertà. Cristo, dopo averlo ascoltato in silenzio, per tutta risposta si avvicina all’Inquisitore e lo bacia sulle labbra tremanti.

Come ci ha ricordato Francesco, il rimprovero che viene rivolto a Gesù è quello di non essere diventato Cesare imponendo con la forza la pace armata. Abbiamo invece il fardello della libertà. È vero, la Pasqua ci illumina. Ma prendere posizione significa rischiare, uscire allo scoperto. Il bene è sempre illogico, cioè fuori dalla nostra logica. Che è anche logica di guerra. La tenerezza, il perdono e l’amore gratuito del prossimo sono rivoluzioni permanenti da fare ogni giorno.
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