Te Deum laudamus

chiesa purissima cagliari 1di Gianni Loy

Se è vero che negli accadimenti c’è sempre lo zampino di Dio: Te deum laudamus. Ti lodiamo, oggi, nell’apprendere che il tempo del vescovo toscano è finito. Proprio mentre incominciano i rituali del commiato. Nessuna tentazione di restare oltre, perché il ricambio è dettato dalle leggi del tempo. Ma anche il tempo è dono di Dio. E per questo: Te dominum confitemur.
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Per la verità, proprio perché l’abbandono è dato dal raggiunto limite di età, non si sono manifestate, almeno sino al momento, manifestazioni di dispiacere. La stampa ha presentato il primo resoconto, le autorità hanno già trovato il loro posto nei commiati. Ma nessuno ha dato spazio, almeno sino ad ora, anche ai fedeli, preti o laici, che hanno accolto la notizia con un senso di liberazione.
È a quel coro, silente ma profondo, che io mi unisco. Salvum fac populum tuum. Per la verità, già all’indomani della sua venuta, mi pare proprio in occasione della pastorale della prima Pasqua, ho incominciato ad avvertire che qualcosa non andava. Era appena scoppiata la guerra in Iraq. Ed il nostro arcivescovo si esprimeva con terminologia militaresca: davanti a noi i nemici, secondo categorie che ha ripreso più volte durante la sua permanenza in Sardegna. Diceva: i nostri stanno vincendo, cioè i soldati invasori che avanzavano seminando, anch’essi, morte. Mi disturbava l’idea che i cristiani possano avere dei nemici, che la vittoria sia la sopraffazione delle armi. E neppure è stato buon profeta, in fondo, perché “i nostri”, cioè i suoi, non hanno affatto vinto. Perché non ha vinto nessuno. Perché nessuno può vincere nel lutto e nella morte. Perché quando Dio è venuto ”ad liberandum suscepturus hominem” è venuto per tutti, indistintamente, quelli che l’arcivescovo, in partenza, distingue nelle categorie degli amici e dei nemici.
Ma non solo in Irak, anche questa nostra diocesi, che l’arcivescovo dichiara di “lasciare in salute” (sic) è stata caratterizzata dalle categorie degli amici e dei nemici. Vinti e vincitori. Preti “premiati” e preti cacciati dalla loro baracca. Preti abbandonati nella loro malattia. Sacerdoti ordinati, si. Ma anche qualche sacerdote non ordinato. Seminaristi e diaconi. Ma, spesso, costretti a svernare a Roma, con tutti i rischi di una città tentacolare, svilendo la tradizione delle strutture locali. E non tutti contenti. Per non parlare della sufficienza e del disprezzo con cui è stata trattata la questione dell’uso della lingua sarda nella liturgia: Dio non potrebbe rinnovare il proprio sacrificio salvifico in lingua sarda, secondo l’arcivescovo toscano. E perché no? Mi vien da rispondere. Che differenza, con l’umiltà di un altro toscano, Ernesto Balducci, che faceva autocritica, da toscano, appunto, di quella campagna di educazione forzata alla lingua italiana che, all’indomani dell’unità, partiva proprio dalla sua toscana.
Amici, soprattutto le istituzioni, l’amico Berlusconi in visita i Sardegna, i contributi per i restauri della cattedrale e dell’episcopio, e poi la “collaborazione strettissima” con l’ex sindaco Emilio Floris. E ci credo! Con l’aiuto ricevuto per costruirsi un college per abbienti (chissà se pagherà l’Ici!) che ha suscitato le ire del rappresentante degli studenti in occasione della scorsa inaugurazione dell’anno accademico.
Ed in extremis la mano tesa anche verso il nuovo Sindaco che “sta portando avanti questa collaborazione”, ricorda l’Arcivescovo. Quale? La stessa di Emilio Floris? Non me lo credo!
Fiat misericordia tua, Domine, super nos, quem ad modum speravimus in te.
Quasi mezzo secolo fa, una rivista sarda del cosiddetto dissenso cattolico, in riferimento all’orientamento della gerarchia, decise di intitolare: Il pluralismo non è peccato. Spero possa esser vero ancor oggi, che non venga considerata lesa maestà. Non amo, le categorie degli amici e dei nemici, soprattutto in ambito ecclesiale. Rispetto chi la pensa diversamente, anche questo arcivescovo che se ne va. Solo mi piace ricordare, fuori da ogni ipocrisia, che c’è anche chi legge l’avvenimento con ottica differente ed opposta. Si preparino pure i festeggiamenti, si tessano le lodi. Solo che quel coro di voci clamanti, mista la mia non ha. E c’è anche un altro punto di vista, quello di quanti vivono questo pensionamento, ed a ragione, come una liberazione, che sperano di poter ritornare a fare i preti senza costrizioni, che sperano di poter pregare con la loro lingua materna. Te Deum laudamus. In te, Domine, speravi: non confundar in aeternum.

Gianni Loy

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