Ajò a Crésia

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Appunti dell’intervento di Franco Meloni.
Il libro di Mario Girau è interessante per tutti, ma io credo che nessun sardo della mia generazione e di quelle a me vicine prima e dopo possa privarsene. Perché? Perché Mario raccontando la vita pubblica dei 18 testimoni racconta il contesto in cui si è svolta, che è per molti di noi esattamente il nostro contesto. Se è vero che le biografie dei testimoni si situano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio degli anni Duemila, in realtà le narrazioni prendono in considerazione lo spazio temporale tra l’anteguerra e la guerra (seconda guerra mondiale) e gli anni della ricostruzione, fino appunto agli inizi degli anni Duemila. Pertanto per noi contemporanei i tempi narrati sono all’origine delle situazioni che abbiamo poi vissuto di persona almeno in certa parte. Faccio il mio caso: sono nato nel 1950. E dunque ho conosciuto di persona, più o meno bene, almeno la metà dei protagonisti. Giocoforza la mia lettura del volume non appena l’ho avuto tra le mani si è rivolta innanzitutto proprio ai personaggi conosciuti. Per come si sviluppava la società di quei tempi a quasi tutti è toccato vivere la Chiesa: chi non è mai stato chierichetto (maschi) o giovane (maschi e femmine) iscritto/a all’Azione Cattolica o ad altre associazioni cattoliche? Lo stesso titolo Ajo’ a Cresia, rispecchia questa circostanza. Ora le cose sono diverse: gli italiani (e la situazione non muta per i sardi) tuttora in maggioranza si dichiarano cattolici, ma i praticanti sono una minoranza della popolazione, forse anche di quella che continua a dichiararsi cattolica. Ma ai nostri tempi la Chiesa era per tutti un luogo obbligato. E personalmente ne sono orgoglioso. Ringrazio la mia famiglia, in particolare la mia mamma, di avermi affidato alla Parrocchia (per me Sant’Anna a Stampace, con l’associazione Giac Toniolo). Mi reputo una persona libera di esprimere giudizi critici, anche sulle vicende della Chiesa, come io ho conosciuto in passato e tuttora nel presente, ma sono grato dell’educazione ricevuta, dell’esperienza umana e religiosa vissuta. E il merito di questo bene ricevuto è in parte significativa dei testimoni narrati da Mario e di uomini e donne come loro e da loro idealmente rappresentati. In questo senso i “testimoni di Mario” ne rappresentano tanti altri, complessivamente tutta la Chiesa sarda.
Se è vero che la lettura del libro ci fa capire complessivamente la Chiesa sarda e il contesto in cui ha operato nel periodo citato, devo dire che il maggiore approfondimento è dedicato all’Arcidiocesi di Cagliari e al suo contesto, con peculiare attenzione alla città di Cagliari. Al riguardo consiglio caldamente la lettura del libro ai cagliaritani. Anche a quelli che non hanno particolare interesse alle vicende della Chiesa diocesana. Si trova nel libro, sparsa nelle diverse narrazioni dedicate ai “testimoni” la storia della città, prima, durante la guerra (II guerra mondiale) e soprattutto nel dopo guerra, nella stupefacente fase della ricostruzione. Mario legge la storia della città dalla parte dei poveri, degli ultimi, che poi sono stati i principali destinatari dell’attività dei nostri testimoni.
Riprendendo il discorso
Ovviamente il libro va letto tutto, ma può essere letto per parti, scegliendo ciascun lettore l’ordine del procedere. Come ho fatto io. E questa opportunità costituisce un pregio, che mi piace segnalare.
Appena avuto il libro nelle mani ho letto il
Capitolo su mons. Paolo Botto, arcivescovo di Cagliari per un ventennio (1949-1969) è quello su padre Giuseppe Abbo, gesuita.
Perché?
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- Mons. Paolo Botto, il mio Vescovo, che mi ha cresimato, la cui presenza ha segnato vent’anni di storia della mia vita.
Il ricordo del commiato alla città (le dimissioni).
L’impegno per la visita del Papa: “La Madonna c’è. Il Papa verrà!”
- padre Giuseppe Abbo, confessore di mia mamma, dal punto di vista religioso, ma anche laico: efficace psicoterapeuta (confessione: la psicanalisi dei poveri).

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Ovviamente il libro l’ho letto tutto. Per ultime le narrazioni sulle suore, che ho trovato interessanti nelle diverse tipologie: dalle suore di clausura e quelle impegnate nelle attività di carità.
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I tempi sono cambiati, radicalmente cambiati. E ovviamente sarebbe inutile riproporre esperienze come quelle dei nostri testimoni. Alla Chiesa non è più richiesto di fare “supplenza” allo Stato, almeno negli stessi ambiti e con le modalità del passato. Anche se di “supplenza” o comunque di coordinamento tra attività istituzionali pubbliche e quelle del volontariato e terzo settore c’è bisogno eccome! In applicazione del principio di sussidiarietà (sopratutto orizzontale). Alla Chiesa è forse richiesto un grande e diverso impegno, nell’attuazione completa degli indirizzi conciliari. Particolarmente nel nostro Occidente è richiesta una nuova evangelizzazione. Ripeto con modalità diverse rispetto a quelle dei nostri testimoni, ma, se possibile, con uguale passione, dedizione, adesione al Vangelo. Alla Chiesa spetta il compito di dare senso alla vita delle persone umane (1) Camminando insieme con tutte le persone di buona volontà, credenti, non credenti, di tutti i credi religiosi. È questo il compito dei percorsi sinodali della Chiesa universale e delle Chiese particolari. Ne siamo convinti? Sicuramente non con la consapevolezza e l’impegno necessari. Noi cristiani, noi Cattolici dobbiamo avere fiducia che la strada è indicata e percorsa insieme con noi dallo Spirito Santo, che però non farà nulla senza la nostra adesione e azione (2). Forse è questa la chiave: cercare e trovare lo Spirito Santo, in un atteggiamento di ascolto, in primis attraverso il nostro prossimo.
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(1) Vedasi per correlazione: Sette del Corriere della Sera: Perché è impossibile dimenticare Gerusalemme (e la nostra spiritualità).
https://www.corriere.it/sette/editoriali/23_gennaio_17/perche-impossibile-dimenticare-gerusalemme-nostra-spiritualita-f24e945a-8ff1-11ed-ae40-41a711fcbe95.shtml
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(2) Vedi al riguardo il pensiero di Giuseppe De Rita: https://www.ildomaniditalia.eu/intervista-a-giuseppe-de-rita-la-chiesa-di-fronte-allera-dello-spirito/
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Dal Credo
Credo nello Spirito Santo,
che è Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio.
Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
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Il libro da conto delle qualità dell’autore:
- giornalista e cronista
- storico
- cattolico militante

Contiene spunti che celano il possesso di una mole enorme di materiali che si riferiscono ad altri molti “testimoni”. Mario ha dovuto fare una scelta. D’altra parte è il mestiere di giornalista che comporta l’esercizio continuino del “taglio” (anche del taglia e cuci). Certo un libro non ti costringe alla riduzione impietosa dello scritto come per gli articoli di stampa (una cartella e mezza!), ma una selezione va comunque fatta. Come per un film, quando il cineasta normalmente gira kilometri di pellicola tra cui sceglierà successivamente una piccola parte per la realizzazione finale del film.

Mario sia per vita vissuta, professionale e oltre, sia per la frequentazione di archivi pubblici e privati anche con la collaborazione di storici di professione ha acquisito capacità di storico, in particolare per quanto riguarda la Chiesa sarda e cagliaritana. A mia conoscenza per queste sue capacità è oggi una delle persone più prestigiose del campo.

L’approccio di Mario non è mai staccato. Lui è un cattolico militante, critico e non poco, anche fustigatore delle perversioni e devianze dalla missione data alla Chiesa da Gesù Cristo, ma pur sempre innamorato della sua Chiesa e del Vangelo. Esalta i comportamenti dei suoi pastori e soffre delle loro debolezze. In questo suo modo di vedere forse non è neutrale, certo, ma l’appartenenza non fa ombra alla sua libertà di giudizio. E’ un laico maturo, come vuole il Concilio di cui è convinto assertore.

Devo infine segnalare la capacità introspettiva che Mario dimostra nel delineare il carattere dei testimoni. Soprattutto di quelli da lui maggiormente direttamente conosciuti. Tra tutti cito mons. Paolo Botto. Non me ne intendo e non oso addentrarmi in un campo in cui ho solo conoscenze da studente, ma nella descrizione del “personaggio Botto”, vi è qualcosa di “manzoniano”.
(sutor ne ultra crepidam).
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Un ricordo personale: Don Martino Murgia il 10 agosto 1960 all’udienza di Papa Giovanni XXIII a Castelgandolfo. Io c’ero con don Martino, don Dino Pittau e con gli amici della Toniolo e dell’associazione di cui era assistente spirituale don Martino (credo di Dolianova). Su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=86032

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