Rocca. A sessant’anni dalla PACEM IN TERRIS

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Il quindicinale Rocca della Pro Civitate Christiana, a cui siamo legati da un rapporto di amicizia e collaborazione, nell’ultimo numero (n.7 del 1 aprile 2023) dedica un servizio speciale sull’enciclica Pacem in terris emanata da Giovanni XXIII il 13 aprile 1963. Sono passati 60 anni ma il messaggio dell’enciclica è anche oggi straordinariamente valido. Chiara e netta la condanna della guerra che mai può essere giustificata: non è esiste nessuna “guerra giusta”. Lo rammentiamo a maggior ragione oggi, nel tempo in cui la guerra sconvolge molte parti del mondo, a partire dalla guerra Ucraina/Russia che si combatte in piena Europa, con il rischio sempre più pericolosamente possibile di un coinvolgimento planetario in conflitto atomico.
D’accordo con il direttore di Rocca, che ringraziamo, rilanciamo alcuni contributi del numero 7, già pubblicato online, condividendo in particolare la scelta strategica della nonviolenza come alternativa alle politiche guerrafondaie. Ostinatamente e convintamente per la Pace!

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La guerra tornata nella ragione?
di Raniero La Valle su Rocca

C’è un ripudio della guerra che sta nella Costituzione italiana, a cui non siamo rimasti fedeli (dalla partecipazione alla guerra contro l’Iraq, poi contro la Jugoslavia, al profluvio di armi inviate ad alimentare il conflitto in Ucraina) e c’è un ripudio della guerra proclamato da Giovanni XXIII nella «Pacem in terris» a cui la Chiesa è rimasta sempre fedele: dal «mai più la guerra!» gridato da Paolo VI dalla tribuna dell’Onu, all’opposizione frontale di Giovanni Paolo II alla guerra del Golfo, a papa Francesco che ha definito la guerra come una «mistica della distruzione». E se papa Giovanni aveva scritto che in questa età, che si gloria della potenza atomica, la guerra era uscita fuori della ragione (bellum alienum a ratione), e perciò non appartiene più all’umano, papa Francesco è andato oltre non solo definendo la guerra come «una pazzia», ma qualificando l’industria delle armi, «che le sta dietro», come «diabolica». Purtroppo con la guerra d’Ucraina e con tutte le altre che l’accompagnano le cose sono ancora peggiorate: l’industria delle armi ha talmente aumentato la produzione di armi che ci vorranno ancora più guerre per smaltirle; tutti i giornali parlano oggi della guerra come della cosa più normale del mondo e nessun negoziato è intrapreso per porre fine al sacrificio dell’Ucraina e alla guerra in Europa. Dunque assistiamo a un rovesciamento totale: quello che è diabolico è benedetto da chi ne trae profitti sempre più alti, la guerra che non apparteneva più all’umano vi è stata reintrodotta come congeniale alla natura stessa dell’uomo e quella che era uscita dalla ragione come mezzo atto a risarcire i diritti violati vi è stata rimessa senza che sia consentita altra ragione che la vittoria. Lo scacco della ragione è tanto maggiore perché per tutto il periodo della guerra fredda l’incompatibilità tra la guerra e la ragione era stata tenuta ferma, e anzi era stata presidiata dal terrore (la «deterrenza»), dato il rischio di una guerra nucleare. È stato con la prima guerra del Golfo, passata la paura dell’atomica grazie alla rimozione del muro di Berlino, che la guerra è stata recuperata, con la complicità dell’Onu, come ragionevole e anzi giusta e salutare, e da allora se ne è fatto uso più volte. Oggi la guerra non solo è combattuta in più continenti (papa Francesco ha citato «la Siria che da 13 anni è in una guerra terribile, lo Yemen, Myanmar e dappertutto in Africa»), ma è stata posta come struttura dell’ordine internazionale e cardine della nuova visione del mondo: i prossimi dieci anni, secondo gli Stati Uniti, saranno di «competizione strategica» tra le grandi Potenze e potrebbero finire in una guerra con la Cina. Il mondo è visto come «un campo di gioco globale» in cui le Nazioni si scontrano e lottano per la supremazia. La storia non ha insegnato niente. Ben prima della «Pacem in terris», in piena seconda guerra mondiale, Angelo Roncalli nell’omelia di Pasqua del 1942 nella cattedrale di Santo Spirito a Istanbul, essendo egli allora delegato apostolico in Turchia, aveva denunciato la causa di tutte le guerre: «Ciascuno di noi ama giudicare ciò che avviene dal punto di vista del pugno di terra sulla quale appoggia i piedi, cioè dal punto di vista della propria nazione. È una grande illusione. Bisogna elevarsi e abbracciare coraggiosamente l’insieme; bisogna elevarsi fino a perdere di vista le barriere differenziali che separano tra loro i combattenti» e, già Papa, nel messaggio di Natale del 1959 spiegava che «l’amore del prossimo, e verso la propria nazione, non deve ripiegarsi su se stesso, in una forma di egoismo chiuso e sospettoso del bene altrui, ma deve allargarsi ed espandersi per abbracciare tutti i popoli e con essi intrecciare relazioni vitali». La «Pacem in terris» non è stata dunque un bagliore improvviso, che irrompe nella storia e subito si spegne. Ma la storia aspetta ancora di esserne illuminata. ❑
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La guerra è illogica e immorale efficace e etica è la nonviolenza
di Mao Valpiana su Rocca
La guerra doveva diventare un tabù: vietata, proibita, inimmaginabile, persino impronunciabile. Invece, rieccola, accettata e idolatrata come mezzo per risolvere le controversie internazionali. «Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità»: inizia così il preambolo alla Carta delle Nazioni Unite. Stiamo dunque assistendo al fallimento dell’Onu che non è riuscita nel suo intento principale? Secondo Papa Francesco siamo già in piena terza guerra mondiale, non più «a pezzi». Dopo il primo e il secondo conflitto mondiale l’umanità sta rivivendo il flagello: «Oggi è in corso la terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti». Anche la Costituzione italiana si era data l’obiettivo supremo di ripudiare la guerra, ma oggi c’è dentro in pieno, producendo ed esportando nel mondo le armi che servono ad alimentare i conflitti in corso. Il complesso militare-industriale italiano, Leonardo, il cui maggior azionista è il Ministero dell’Economia, rappresenta la più grande impresa militare europea, con fatturati in continua crescita e armi disseminate su tutto il pianeta, Paesi dittatoriali e in conflitto compresi. Dunque, proprio le istituzioni repubblicane, che la Costituzione dovrebbero rispettare, ne negano la missione fondamentale di ripudio della guerra, orecchie sorde al monito di Francesco: «I governanti capiscano che comprare armi e fare armi non è la soluzione del problema». il tempo stringe Il tempo sta per scadere nonostante gli avvertimenti dati già sessant’anni fa dall’Enciclica Pacem in Terris di S. Giovanni XXIII, all’indomani della costruzione del Muro di Berlino e della crisi dei missili di Cuba: «In un tempo come il nostro, che si gloria della potenza atomica, è alieno ad ogni ragione che la guerra possa essere uno strumento adeguato per ripristinare diritti violati» (n. 67). Papa Giovanni XXIII si poneva nel solco già tracciato dal Mahatma Gandhi pochi giorni dopo l’utilizzo per la prima volta nella storia della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki: «La morale legittimamente da trarre dalla tragedia suprema della bomba è che essa non sarà annullata da una contro bomba, così come la violenza non può essere combattuta da una controviolenza. L’umanità può uscire dalla violenza solo attraverso la nonviolenza. L’odio può essere vinto solo con l’amore». Anche don Lorenzo Milani si mette nella scia della Pacem in Terris e due anni dopo, nella sua Lettera ai giudici del 1965, ne trae le conseguenze politiche: «È noto che l’unica difesa possibile di una guerra di missili atomici sarà quella di sparare 20 minuti prima dell’aggressore, ma nella lingua italiana sparare prima si chiama aggressione, e non difesa. Oppure immaginiamo uno stato onestissimo che per sua difesa spari 20 minuti dopo, cioè spari con i suoi sommergibili, unici superstiti di un paese ormai cancellato dalla geografia. Ma nella lingua italiana, questo si chiama vendetta, non difesa. Mi dispiace se il discorso prende un tono di fantascienza. Ma Kennedy e Krusciov si sono lanciati l’un l’altro pubblicamente minacce del genere. Siamo dunque tragicamente nel reale. Allora la guerra difensiva non esiste. Dunque non esiste più una guerra giusta. La guerra difensiva non esiste più, né per la Chiesa, né per la Costituzione. Gli scienziati ci hanno avvertito che è in gioco la sopravvivenza della specie umana…». Oggi ai nomi di Kennedy e Krusciov, evocati da don Milani, possiamo sostituire quelli di Zelensky e Putin, e dalla storia precipitiamo nella tragica attualità. «Alienum est a ratione» significa fuori di testa, roba da matti. È l’impazzimento del tempo che stiamo vivendo. Papa Bergoglio, in piena continuità pastorale, osserva: «L’umanità era a un passo dal proprio annientamento, se non si fosse riusciti a far prevalere il dialogo, consapevoli degli effetti distruttivi delle armi atomiche. Purtroppo, ancora oggi la minaccia nucleare viene evocata, gettando di nuovo il mondo nella paura e nell’angoscia. Non posso che ribadire in questa sede che il possesso di armi atomiche è immorale». Dunque gli stati atomici sono stati immorali: Russia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Israele, Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, a cui bisogna aggiungere – è l’elenco dell’immoralità – Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Turchia, che ospitano e accettano sul loro territorio le armi nucleari della Nato. Pazzi e immorali, questo siamo. Il tempo sta per scadere. Siamo a 90 secondi dalla mezzanotte secondo l’orologio dell’apocalisse della rivista Bulletin of the Atomic Scientists. È possibile fermare quelle lancette? La soluzione facile non c’è, altrimenti non saremmo qua a piangere, a temere per il futuro stesso del pianeta; ma se non la cerchiamo subito non ci sarà alternativa alla guerra con le sue annunciate drammatiche conseguenze globali. L’antidoto è prendere sul serio la nonviolenza. Il pensiero di Gandhi era chiaro fin dal 1939: «Voi volete eliminare il nazismo, ma non riuscirete mai ad eliminarlo con i suoi stessi metodi» e propose alle nazioni occupate da Hitler di ottenere la vittoria con la resistenza nonviolenta: «L’Europa eviterebbe lo spargimento di fiumi di sangue innocente e l’orgia di odio a cui oggi assistiamo». Aldo Capitini, che conobbe le conseguenze del secondo conflitto mondiale, dopo l’uso del nucleare militare sulla popolazione inerme, con la prima Marcia Perugia-Assisi del 1961 volle lanciare anche in Italia il metodo della nonviolenza politica come alternativa alla guerra: «Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verrà stanchezza e disgusto; e salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore», così scriveva nel 1936 prevedendo i massacri bellici del nazifascismo che incendieranno l’Europa. Alexander Langer si trovò ad affrontare concretamente il dilemma dell’alternativa alla guerra nel 1993 in pieno assedio di Sarajevo: «Oggi penso che davvero occorra un uso misurato e mirato della forza internazionale, e quindi nel quadro dell’Onu. Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente intollerabili e far capire che c’è un limite», che la logica della guerra non paga. Gandhi, Roncalli, Milani, Langer, Bergoglio, sono le voci di un vasto movimento mondiale che dal 1945 in poi lavora per costruire l’alternativa alla guerra. Il tema che il pacifismo pone da oltre mezzo secolo è quello della messa al bando di tutte le armi nucleari, dell’abolizione della guerra dall’orizzonte del genere umano e della costruzione di un sistema di difesa e sicurezza non offensivo. Non è un’utopia, ma la proposta razionale e conseguente al diritto internazionale di una politica estera alternativa al modello imposto dai blocchi militari, la revisione di un modello di difesa basato su criteri di sostenibilità, razionalizzazione, riconversione. È la politica nonviolenta di prevenzione dei conflitti di oggi e del futuro. fermare subito la guerra in Ucraina tra resa e vittoria c’è una terza via? Per fermare la guerra bisogna non farla. Per ottenere il cessate il fuoco bisogna non sparare. Ma è morale, in una guerra di aggressione, chiedere all’aggredito di non prendere le armi? È possibile cercare una soluzione diversa che non sia la vittoria della vittima e la sconfitta del carnefice? Qui si entra in un terreno molto scivoloso, dove l’ideologia rischia di prevalere. La propaganda bellicista annulla ogni sfumatura e appiattisce: «o con me o contro di me», o con un esercito o con l’altro, o con il bene o con il male, senza se e senza ma. La nonviolenza, invece, ha tanti se e tanti ma da esprimere, e soprattutto vuole cercare una via praticabile e concreta, per salvare vite umane, con metodi compatibili con gli obiettivi di giustizia e libertà. La via unica di contrasto dell’aggressione è stata perseguita fino ad oggi solo con le armi, sempre più armi, inviate da Stati Uniti e Europa, ma non ha ancora ottenuto lo scopo desiderato. E la guerra continua. Esprimere una posizione critica all’invio di armi in Ucraina è una valutazione di contesto, fondata sull’esperienza e sui risultati negativi di trent’anni di guerre in tutto il mondo: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Cecenia: dove sono finite le armi? che uso ne è stato fatto? con quali conseguenze? chi erano i buoni e chi i cattivi? chi ha vinto, chi ha perso? libertà e democrazia hanno prevalso? la vita di chi doveva essere liberato, è migliorata o peggiorata? Bisogna rispondere a queste domande prima di seguire lo stesso copione, come una coazione a ripetere. Bisogna capire qual è lo schema di gioco imposto dalle armi stesse: misurarsi con la distruzione del Paese, le migliaia di morti, feriti, invalidi e milioni di profughi. Lo scenario più terribile è quello di uno scontro generalizzato e permanente nel cuore d’Europa. È una prospettiva accettabile, o non conviene perseguire già oggi una strada diversa, che ponga le basi per un futuro di pace? Ci si può impegnare per l’invio di armi sempre più potenti, oppure ci si può impegnare per sostenere la resistenza nonviolenta, oggi minoritaria, ma che proprio per questo ha bisogno di solidarietà e aiuto. L’industria bellica costruisce i fucili; la nonviolenza i fucili li spezza. Sono due scelte diverse, forse entrambe legittime, ma incompatibili. Anche in Ucraina, in Russia, in Bielorussia (dove c’è il rischio concreto dell’apertura di un secondo fronte contro l’Ucraina, da parte del dittatore Lukashenko su pressione di Putin) c’è chi crede nella nonviolenza come possibilità di resistenza civile. Ci vuole ancora più forza per difendersi senza armi in mano, per amare la propria patria senza odiare quella altrui. Il movimento pacifista e nonviolento ha scelto di stare dalla parte di chi la guerra la rifiuta, di chi pratica l’obiezione di coscienza in Russia, in Bielorussia e in Ucraina, di chi diserta e vuole già oggi costruire la pace. Nell’ambito della Campagna di Obiezione alla guerra e della mobilitazione «Europe for Peace», sosteniamo concretamente i movimenti per la pace e la nonviolenza dei Paesi coinvolti nel conflitto che tutelano gli obiettori di coscienza dei loro Paesi e propagandano l’idea di sottrarsi alla guerra, di disertare dagli eserciti. In particolare i pacifisti russi e bielorussi (molti dei quali hanno dovuto espatriare) stanno attuando una vasta campagna per «rubare l’esercito» dalle mani di Putin e Lukashenko. In Bielorussia la campagna ha già attenuto un importante risultato: su 43.000 richiamati per un addestramento alla mobilitazione, se ne sono presentati solo 6.000. In Russia sono decine di migliaia i renitenti alle leva che si sono nascosti o hanno lasciato il Paese legalmente o illegalmente. E sono oltre 22.000 i pacifisti russi arrestati: è sufficiente dire pubblicamente che si è contro la guerra in Ucraina e per la pace, per essere incriminati. In Bielorussia si è arrivati ad emanare la pena di morte per i disertori e l’accusa di terrorismo per i pacifisti. Questo dimostra quanto il regime abbia paura proprio dell’attivismo nonviolento. Stiamo partecipando alla Object War Campaign! per diffondere gli strumenti comunicativi, per assicurare la difesa legale ai perseguitati, per aiutare i condannati o gli esuli, per organizzare le campagne di pressione politica, per rafforzare la rete internazionale della nonviolenza organizzata. Questo è quello che possiamo fare e che facciamo. Mao Valpiana
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È possibile sostenere le iniziative di pace in Russia, Bielorussia e Ucraina con la Campagna «Obiezione alla guerra» con un versamento su IBAN IT35 U 07601 11700 0000 18745455, intestato al Movimento Nonviolento, causale «Obiezione alla guerra»
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Mao Valpiana. Presidente del Movimento Nonviolento Membro dell’Esecutivo Rete italiana Pace e Disarmo, direttore della rivista «Azione nonviolenta»
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One Response to Rocca. A sessant’anni dalla PACEM IN TERRIS

  1. […] guerrafondaie. Ostinatamente e convintamente per la Pace!. Editoriali di Aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=141808 […]

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