Carlo Maria Martini, “Norberto Bobbio: un ateo nel giusto”

img_3122Mi ha colpito una frase molto bella di Norberto Bobbio, il quale – come non credente – dice: “La differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti; ovvero tra coloro che riflettono sui vari perché e gli indifferenti che non riflettono”. E aggiunge (è un’osservazione un po’ amara, forse troppo pessimistica): “La specie degli indifferenti, che è di gran lunga la più numerosa, si trova tanto fra i credenti quanto fra i non credenti”.
———————————————————————————————
bobbio-n-2martini-card
Una riflessione condivisa dal filosofo Norberto Bobbio e dal cardinale Carlo Maria Martini.
——————————————————————————

Vorrei che in queste sere fossimo tutti pensanti, cioè persone che vogliono riflettere e ascoltare (…) Le ragioni del mio cammino di fede. Per introdurci nella strada che insieme vogliamo percorrere mi sono proposto di rendere ragione davanti a voi del mio cammino di fede, nelle sue luci e nelle sue ombre. Certo un cammino di fede è molto difficile da esprimere, proprio per la sua semplicità, direi per la sua primordialità; perché è un’esperienza primaria, qualcosa di così sorgivo, di così semplice, che quando ne parliamo rischiamo di complicarlo.

Cercherò dunque di dire con semplicità, e certamente con molte lacune, quattro luci e tre ombre del mio cammino di fede. In altre parole, vorrei dire quali sono quelle cose semplicissime in cui credo e quali gli ostacoli primari per cui talora ho paura, umanamente, per quanto dipende da me, di non farcela a credere. Mi pare che cominciare così ci aiuterà a penetrare meglio nei contenuti fondamentali di una proposta di fede. Quali, le luci? Dirò innanzitutto che quello del credente è un cammino, una odòs, come dice il Nuovo Testamento greco, una via che si percorre, potremmo dire un’esperienza – dando a questa parola il senso pregnante di cammino pieno e coinvolgente.

E’ dunque qualcosa che è prima vissuto e poi pensato, con una successiva riflessione razionale sul vissuto. Ed è qualcosa che vivo non da solo, singolarmente, ma in una totalità storica che mi investe globalmente, cioè nell’insieme del cammino della Chiesa cristiana nei secoli. L’insieme di questa cultura, di queste memorie, ricordi, libri sacri, gesti, scelte personali, amicizie, convivenze, esperienze comuni, forma il cammino di cui mi sento parte. Che cosa costituisce la radice, o il momento sorgivo, di tale cammino? Si potrebbe dire che al fondo di ciò che si vive si ha l’esperienza di essere cercato, di essere interpellato.

Per questa esperienza originaria, frontale, difficile da descrivere in sé, sono state usate molte metafore, che possono sembrare lontane dall’esperienza quotidiana mentre non lo sono affatto. Abbiamo la metafora della “ferita del cuore”, che indica come una nostalgia o inclinazione profonda, che ci viene dal di fuori ed è tuttavia dentro di noi, dalla quale non si guarisce, che si può voler dimenticare ma che comunque ritorna. E ancora: la metafora dell’ “innamoramento”, che indica una decisione coinvolgente, non puramente razionale ma neppure irrazionale, il percepire un valore che chiede risposta totale e il disporsi a darla volentieri, con la testa e col cuore. E, se vogliamo cercare di esprimere chi è questo “tu” che mi cerca, che mi chiama – come si manifesta nella coscienza di chi crede -, ne posso dare alcune caratteristiche, che sono anch’ esse un tentativo di descrizione dell’esperienza di fede ma non la esauriscono, e non sono se non lo sforzo di dire qualcosa che è al di là delle nostre parole.

Il “tu” che cerca il credente si presenta anzitutto come un mistero indisponibile, su cui non si possono mettere le mani, che è sempre al di là di quanto si pensa di aver capito o colto di lui. Si presenta anche con la caratteristica di dono, qualcosa cioè che non si può pretendere ma che viene dato e il cui esserci dato ci sorprende, perché ha sempre la connotazione del gratuito, del non dovuto. Ancora, si presenta come colui che parla, che dice parole di conforto, di incoraggiamento, anche di giudizio, ma che sempre rialzano e fanno camminare ancora. Si presenta come qualcuno che attrae, con una attrazione che suscita ricerca continua.

Chi crede, quando riflette sulla sua fede, sente tanto vere le parole del salmo: “Come una cerva assetata alle sorgenti, così l’anima mia anela a te, o Signore” (Sal 42), oppure: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia” (Sal 63). Il “tu” misterioso, che si fa cercare, che attrae continuamente e irresistibilmente, si presenta anche come un alleato, che è dalla mia parte, che mi permette di dire in ogni circostanza: sono amato da Dio e non temo alcun male. Si presenta come colui che apre sempre nuove prospettive, nuovi orizzonti di azione e quindi scioglie continuamente i nodi della vita, prospetta nuove vie d’ uscita, nuovi possibili inizi. Infine si presenta come colui che si dona, che si comunica, si manifesta, offre una comunione di esperienza (…).

Quali le ombre? Vorrei ora rendere ragione anche delle difficoltà del mio cammino di fede, difficoltà che ho dovuto superare nel passato o che talora mi sorprendono ancora nel presente, proprio perché il cammino non è soltanto luce, ma luce che si fa strada nelle ombre, qualche volta anche nelle tenebre. In realtà, per giungere a un’esperienza di fede matura, integrata nell’insieme della personalità, quindi capace di rendere ragione di sé, il cammino può essere lungo. E’ il cammino del chiarire sempre meglio a se stessi il senso e il valore dell’esperienza, il cammino della razionalità, dell’integrazione dei valori nell’ ambito del proprio vissuto, così che formino un insieme coerente, nel quale ci si muove a proprio agio (…).

Alla tematica del dolore, esemplificata nella figura di Giobbe, abbiamo dedicato negli scorsi anni un intero ciclo di incontri. Questa sera mi limito a chiedermi: come la coscienza credente supera di fatto queste notti oscure del senso? Mi pare che il superamento avvenga in due modi. Anzitutto con il movimento della fede stessa, che dà fiducia a Colui che, nonostante tutto, può dare un senso. E’ il dinamismo stesso del credere, dell’affidarsi, che opera con una tenacia e una invincibilità che hanno del prodigioso. Non lo si crederebbe se non lo si fosse vissuto. In secondo luogo il superamento avviene perché, mediante l’abbandono al mistero di Dio, che è propriamente la fede, noi ci sentiamo chiamati a non essere inerti, ma a dare senso noi stessi – per quanto sta a noi – alle esperienze dolorose.

Ci si accorge allora che situazioni che apparivano irrimediabili manifestano insperate aperture di solidarietà, di amicizia, di amore. Ma è solo buttandosi dentro che tali aperture si scoprono. E questo coraggio continuato è esigente, è un dono, e però si paga; non può essere programmato a tavolino, chiede il rischio quotidiano dell’affidarsi.
———————————————-
Carlo Maria Martini, “Norberto Bobbio: un ateo nel giusto”. Su La Repubblica 27/10/1992.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>