Oggi martedì 23 maggio 2023 in cammino sinodale.

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La pigrizia della Chiesa
La Repubblica – 22 Maggio 2023 – Blog La Madia.
di Enzo Bianchi
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Card. Matteo Zuppi: in cammino per incontrare tutti
Pubblichiamo dall’Introduzione del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, alla 77ª Assemblea Generale della CEI, che si tiene in Vaticano dal 22 al 25 maggio, il passaggio sul Cammino Sinodale.
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La pigrizia della Chiesa
La Repubblica – 22 Maggio 2023 – Blog La Madia.
di Enzo Bianchi
Per il papato – il ministero del successore di Pietro per tutta la chiesa che deve esprimersi soprattutto in un servizio di comunione – questa è un’ora di grazia, una grande opportunità. Della quale però, almeno a mio parere, sembra non esserci sufficiente consapevolezza. Mi domando se non manchi in radice la fede, sì, quella fede che sola può autorizzare un tale compito e fornire tutta la forza e la speranza per portarlo a termine. Nella chiesa c’è troppa pigrizia, troppo autocompiacimento per quel che si è, e non brucia quel fuoco che chiede coraggio, profezia, che chiede di combattere e vincere ogni timore mettendo la fiducia unicamente nel Vangelo.
Papa Francesco pone dei segni, compie dei passi che si collocano in una determinata direzione, a servizio e non a mortificazione delle chiese cristiane, ma moltissimi sono gli ostacoli che rimangono per accendere un consenso, per aderire alla convinzione che l’assoluto traguardo dell’evangelizzazione può essere solo l’unità visibile nella storia e nel mondo della fede cristiana.
Oggi molte chiese non cattoliche hanno assunto un atteggiamento di attesa verso Roma al punto da desiderare che sorga un ministero di comunione per tutte le confessioni, e sentono il bisogno del carisma cattolico per resistere a ogni tentazione di nazionalismo della fede, con la conseguente miscela esplosiva tra religione e nazionalismo. Ma vogliono però, e giustamente, non una chiesa sorella maggiore dominatrice sulle altre, ma un ministero a servizio di tutte, capace di presiedere una comunione.
Papa Francesco, lo testimoniano in molti, in quest’ora di guerra per l’aggressione russa dell’Ucraina è intervenuto più di duecento volte chiedendo vie di pace e la fine delle ostilità. E finora nessun esito, nonostante i suoi canali diplomatici siano sempre all’opera! È stata un’azione da capo di stato apprezzabile a livello politico e diplomatico, ma ciò che urge è che come capo della chiesa svolga parallelamente un lavoro di comunione, di riconciliazione tra le chiese: questo è ciò che gli compete! Tutti constatiamo che la sua politica non è neutralità etica, non è strategia politica o tattica tra i grandi, così come non dovrebbe essere semplicemente neutrale, ma dovrebbe operare un giudizio e muoversi solo con la profezia. Certo, questo è difficile nella rete diplomatica, ma è possibile come azione tra le chiese. Il patriarca serbo, il patriarca copto di Alessandria d’Egitto, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, il patriarca ortodosso di Antiochia mi hanno detto e scritto che ciò che si attendono è prima di tutto quell’azione di pace tra le chiese oggi, e soprattutto in questo conflitto russo-ucraino dove si trovano schierate le une contro le altre.
Nei giorni scorsi per la prima volta nella storia dei cristiani non cattolici, dei copti martirizzati dall’Isis, sono stati accolti nella chiesa cattolica come santi, senza tentativi di annessione, ma solamente per fraternità solidale.
Sono tanti i gesti che Francesco può fare e che sarebbero accolti dalle chiese: potrebbe essere un grande aiuto per la pace e la riconciliazione e sarebbe il proprium del ministero petrino. Un papato che fa questo non può lasciare spazio, com’è avvenuto in passato, all’ambiguità di intrecci politici ed ecclesiali: semplicemente, senza la pretesa e il vanto di influenzare i potenti di questo mondo, non resta neutrale di fronte al male, ma osa parole profetiche del Vangelo, parole sempre di riconciliazione.
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Card. Matteo Zuppi: in cammino per incontrare tutti

Pubblichiamo dall’Introduzione del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, alla 77ª Assemblea Generale della CEI, che si tiene in Vaticano dal 22 al 25 maggio, il passaggio sul Cammino Sinodale.
Matteo Zuppi all’Assemblea della CEI, Vaticano.
In cammino, per incontrare tutti

In questo orizzonte drammatico e minaccioso, da due anni abbiamo iniziato il Cammino sinodale. Non è stato un evento ma un cammino, proprio per partire dalla vita concreta delle nostre comunità e dai segni dei tempi, cioè dai nostri compagni di strada. Il Cammino sinodale, perché funzioni, deve avvenire nell’esperienza concreta, accettando l’imprevedibilità dell’incontro, misurandosi con le domande che agitano le persone e non quello che noi pensiamo vivano, per trovare assieme le risposte. Il Cammino sinodale non corrisponde a una logica interna né mira a un riposizionamento in tono minore, difensivo o offensivo, ma alla compassione di fronte alla grande folla che accompagna sempre la piccola famiglia di discepoli.
Ci troviamo adesso a un giro di boa che rappresenta anche il tema principale di questa nostra Assemblea: dalla fase narrativa passiamo a quella sapienziale, dall’ascolto al discernimento. Certo: l’ascolto non è “una fase” ma “uno stile di Chiesa”, un approccio costante nei confronti delle diverse realtà dentro e fuori la Chiesa. E quante attese di Dio si rivelano in tanti a loro modo assetati di risposte, con una domanda spirituale, complessa, a volte non decifrata, contraddittoria! Questo si rivela quando ascoltiamo e parliamo con simpatia, non da lontano o con la freddezza del funzionario o omologandoci alla stessa mentalità. Le tante attese che l’incontro suscita chiedono la rivisitazione di tanti nostri modi, un cambio di paradigma per incontrare, ascoltare, prendere sul serio, stabilire relazioni personali nelle quali tutti dobbiamo essere coinvolti.
Pensando all’avvio della fase sapienziale, mi sono lasciato guidare dalla figura di Salomone, il saggio dell’Antico Testamento. La sua preghiera (1Re 3,6-9) risponde alla domanda: “Cos’è il discernimento nella Sacra Scrittura?”. Salomone chiede al Signore: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9a). Il Signore risponde: “Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente” (1Re 3,11-12a).
La sapienza è sinonimo di discernimento. È un dono da chiedere al Signore nella preghiera, conseguenza anche della povertà dalle ricchezze. Salomone chiede un “cuore docile”. Gli esegeti notano che in ebraico questa espressione suona come “un cuore che ascolti”, “un cuore capace di ascoltare” (in ebr. leb shomea‘). Per entrare nella fase del discernimento si richiede la preghiera, per riconoscere il primato della grazia di Dio sulle azioni umane e lasciarsi guidare dallo Spirito che viene dall’alto e rende l’ascolto dell’altro scelta, condivisione, cultura. Il discernimento non consiste nell’applicazione di regole o in un infinito campionario di interpretazioni, ma inizia con la fede, con uno stile di vita personale forgiato dalla Parola di Dio. Non ci sarà vero discernimento se non sapremo continuare ad ascoltare cosa lo Spirito continua a chiederci anche in questa seconda fase del nostro percorso. Salomone si trova a fronteggiare un problema concreto. È il celebre episodio delle due donne che rivendicano lo stesso figlio (1Re 3,16-28): una situazione tragica, che richiede un giudizio giusto, perché è in gioco non solo la verità delle cose ma soprattutto la vita delle persone. La preghiera si misura subito con la realtà, esercitando il dono ricevuto. Quali domande aspettano da parte nostra una decisione saggia?
Non possiamo nascondere che in questa prima fase del Cammino sinodale sono emerse fatiche, in vari ambiti e per varie ragioni: alcune diocesi avevano appena celebrato o erano in piena celebrazione di un Sinodo diocesano e si sono trovate quindi già avanti nel percorso, dovendo aspettare tutti gli altri; alcuni hanno chiesto chiarimenti o hanno persino avanzato dubbi sulla opportunità dello strumento sinodale stesso per affrontare i nodi della vita della Chiesa odierna. Dobbiamo registrare alcune difficoltà nei nostri presbiteri, che ovviamente ci devono far riflettere. Il processo, però, è avviato e procede, grazie alla dedizione di tanti, tra i quali menziono la Presidenza e il Comitato del Cammino sinodale, presieduto da Mons. Erio Castellucci. I referenti diocesani hanno svolto un ruolo decisivo e promettente. Nell’Evangelii gaudium Papa Francesco chiede di “avviare processi, anziché occupare spazi” (EG, n. 223): è quanto stiamo facendo, con tutte le fatiche che questo comporta, ma anche con la serenità del contadino che sa che il suo compito è di seminare nel modo giusto perché i frutti matureranno a tempo debito. I processi impongono (ma solo in itinere non in laboratorio!) di identificare le forme necessarie per trarre le indicazioni comuni e necessarie perché l’esperienza cresca e possa coinvolgere tanti. Se alziamo gli occhi e guardiamo, ci accorgiamo come la timidezza e il pessimismo non solo non siano giusti, ma talvolta infondati. Il Cammino sinodale ci educa al discernimento e alla lettura dei segni dei tempi. Insieme: spesso una “coscienza isolata” non arriva a vedere dove invece giunge uno sguardo comunitario e sinodale. Timidezza e pessimismo non sono fondati, perché c’è una chiamata della Chiesa espressa da tanti segni, tante voci, domande e situazioni.
Solo il Signore conosce i nomi di quanti fanno parte di questo popolo. Se non ascoltiamo queste parole mettendole in pratica, corriamo il rischio di un ripiegamento identitario, accontentandoci di “pochi ma puri” (potrebbe essere pure la pigrizia dei “pochi ma nostri”). Rischiamo di essere irrilevanti nella vita di troppi e nella storia, nascondendo il talento per paura o pigrizia. La predicazione di Paolo si poneva il problema decisivo dell’inclusione dei gentili e della loro fraternità con i giudeo-cristiani. Oggi ci vuole quello spirito di Paolo, quella capacità di abbattere i muri dell’abitudine, d’incontrare audacemente persone e mondi nuovi ed entrare in relazione con il “popolo numeroso” delle nostre città. Sotto l’ispirazione e la protezione dell’apostolo si attua la conversione pastorale. È un fatto storico, di cui portiamo la responsabilità di fronte a Dio e al futuro della Chiesa. Il Signore chiede a Paolo di “non tacere”: una Chiesa chiusa e paurosa, tace.
“Continua a parlare”: non è una novità, ma si deve aprire una stagione di più intenso impegno in questo senso. Tutti – laici, giovani e adulti, anziani, sacerdoti, religiosi – devono impegnarsi in un grande e rinnovato colloquio con le persone del proprio ambiente e andare oltre. Gli ascoltatori della Parola di Dio devono parlare. La Chiesa sinodale deve essere comunicativa. Spiegava Paolo VI che, per primo, fece dell’evangelizzazione l’orizzonte della Chiesa in Italia: “Ancor prima di convertirlo, anzi per convertirlo, il mondo bisogna accostarlo e parlargli” (Ecclesiam Suam, 70). L’evangelizzazione nasce e vive tanto nelle parole dei credenti. Sembra un compito semplice, ma è esigente, perché richiede fedeltà al colloquio: il compito di una Chiesa profetica. Il desiderio di molti giovani – circa 60.000 – di partecipare alla GMG di Lisbona è significativo. Le difficoltà ci sono con il mondo giovanile, come sappiamo; ma le più grandi difficoltà sono la paura e l’impazienza.
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