Convegno di studi ADRIANO OLIVETTI E LA SARDEGNA Attualità di una prospettiva umanistica – Documentazione.

img_4780La Comunità in una società individualizzata
di Remo Siza

Introduzione
In Italia nel linguaggio corrente il richiamo alla comunità e alla sua rilevanza nella vita delle persone è stato molto ampio, sebbene, come ha rilevato Bagnasco (1999) l’uso del termine comunità per certi versi è problematico in quanto nella stessa parola si sovrappongono significati molto differenti.
George Hillery (1955; Collins, 2010) rilevava che esistono 94 definizioni di comunità e l’unico aspetto comune a tutte queste definizioni è l’idea di un tessuto di relazioni sociali che connette le persone fra di loro. Altre dimensioni del concetto quali la prossimità, la profondità emotiva delle relazioni non sono sempre condivise.
Nel dibattito politico e nei programmi dei principali partiti, il riferimento è diventato:
- la comunità locale, spesso come livello politico locale contrapposto a quello centrale.
- la comunità come ambito della partecipazione diretta delle persone al governo che assicura l’efficacia e l’efficienza dell’azione pubblica
- come sistema delle autonomie locali capace di rispondere alla crisi dei partiti e della rappresentanza politica;
- per riavvicinare città alle aree interne dimenticate dal mercato e dall’attuale modello di sviluppo.

Infine, la comunità è stata riscoperta nei sistemi di welfare che intendevano valorizzare il Servizio sociale di comunità, i servizi per l’infanzia, il ruolo delle famiglie e le relazioni di comunità nella cura delle persone.
Nel pensiero di Adriano Olivetti tutte queste accezioni del termine comunità erano presenti.
- non per contrapporre comunità arcaica e città moderna, non come ritorno al passato;
- la comunità è vista come mediazione fra individuo e Stato;
- come ambito di innovazione, ambito di relazioni che rafforzano e danno sostanza umana allo sviluppo industriale e contribuiscono alla costruzione di una società ‘a misura d’uomo’;
- come idea-forza per una radicale riforma del sistema politico.

Il richiamo alla comunità era chiaramente legato ad una preoccupazione per la fragilità dei legami sociali, per i cambiamenti che travolgevano sistemi di valore e istituzioni.

I cambiamenti della società industriale
La comunità che Olivetti richiamava nel suo progetto di riforma era cambiata profondamente a partire dagli ultimi anni Cinquanta.
Una straordinaria espansione economica e una imponente mobilità territoriale che aveva come destinazione le città del triangolo industriale contribuiva ad un cambiamento profondo della società italiana.
Non cambiava soltanto l’economia, cambiavano, forse in modo più radicale, le relazioni fra le persone.
Lo sviluppo industriale incideva profondamente sull’equilibrio individuo e comunità e su un processo fondamentale della modernità: il processo di individualizzazione (Beck, 1992; Beck U and Beck-Gernsheim, 2001).
Il processo di individualizzazione è il fondamento delle società occidentali e di ogni dinamica di innovazione e cambiamento.
Sono processi che promuovono il distacco dai ruoli e vincoli tradizionali costrizioni (della famiglia autoritaria tradizionale, della comunità), che valorizzano l’autonomia individuale verso una crescita della libertà e della consapevolezza di sé dell’individuo, per costruire una vita indipendente sulla base dei valori e dei principi della nascente modernità industriale. Io posso aderire ad un gruppo ma deve essere una scelta personale.
Sono processi che orientano le agenzie di socializzazione verso la costruzione di individualità che inevitabilmente si distinguono dalle comunità di appartenenza.

Una individualizzazione parziale
In quegli anni questi processi definiti di individualizzazione si diffondono molto rapidamente e coinvolgono una larga parte della società italiana. Una parte significativa della popolazione, soprattutto i più giovani, vuole realizzare il proprio progetto di vita e scegliere autonomamente il proprio destino anche lontano dalla comunità di origine, assumere la propria indipendenza rispetto alle attese dei genitori, della rete parentale allargata, dalla comunità, dalle grandi associazioni collettive.
Le comunità tradizionali non si sono comunque dissolte. In fondo, questi processi di emancipazione e di individualizzazione (cioè di distacco dai ruoli e vincoli tradizionali verso una crescita della libertà individuale) erano ancora governabili e funzionali al nuovo sviluppo economico.
La società industriale era una società percorsa da grandi cambiamenti ma comunque solida nei suoi riferimenti culturali, era una società sostanzialmente integrata, in cui le patologie della modernità erano ancora governabili.
Le condizioni per uno sviluppo della comunità erano ancora presenti, ma il futuro di un discorso comunitario sembrò dipendere strettamente dall’iniziativa e dall’attivismo di Adriano Olivetti più che dai cambiamenti delle comunità concrete.
Il Movimento Comunità declinò con la morte di Olivetti (1960), sebbene in quegli anni la comunità a cui si riferiva Olivetti era ancora vitale e poteva ancora contare su una larga parte delle sue risorse tradizionali di partecipazione e di coesione sociale, di relazioni sociali amichevoli.
Nella società industriale degli anni Cinquanta e Sessanta, i processi di individualizzazione si diffondono rapidamente nel tessuto sociale ma sono ancora parziali, non si sono ancora radicalizzati:
- gli individui sono più autonomi, ma le forme collettive di appartenenza (la comunità, il sindacato, grandi associazioni, la Chiesa) sono ancora solide;
- si allentano i legami collettivi ma non del tutto
- la famiglia è diventata nucleare, ma è ancora stabile si riduce sensibilmente il numero di figli; ma i ruoli di genere persistono sebbene siano accettati con molte più resistenze dalla donna;
- la famiglia è ancora inserita nella rete parentale e nella rete dei diritti e dei doveri, seppure in termini meno vincolanti e più esplicitamente conflittuali;
- le abitudini e le tradizioni della comunità di appartenenza ancora persistono sebbene si siano indebolite nella loro capacità di orientare i comportamenti sociali.

Nelle società industriali, c’era ancora una continuità un passaggio lineare tra due fasi del processo di individualizzazione
1. la fase “liberatoria” dai vincoli e costrizioni che limitano l’autonomia e la capacità di autodeterminazione delle persone e non consentono di realizzare i loro progetti di vita. Ciò che diventa importante è la raggiunta possibilità di scegliere la propria vita, senza rassegnazione e passività.
2. la successiva fase di ricomposizione di nuove forme di stare insieme, di convivenza, nuove relazioni di amicizia e di collaborazione, nuove relazioni con le istituzioni che di norma seguono questa fase liberatoria.

I cambiamenti economici e sociali travolgevano la civiltà contadina, le sue relazioni, le sue staticità, ma allo stesso tempo rivitalizzavano le istituzioni più moderne (famiglia nucleare e il ruolo della donna, i partiti, i sindacati…)
La società industriale è una società moderna che ha in mente il suo punto di arrivo:
- la famiglia nucleare (i genitori con un numero limitato di figli) modernizzata nelle sue relazioni, meno autoritaria;
- la Chiesa ha un ruolo cruciale nella vita delle persone seppure risulti indebolita da processi di secolarizzazione
- le istituzioni politiche sono solide,
- il lavoro è stabile, dignitoso, remunerato sufficientemente per partecipare a pieno titolo alla vita sociale.

I movimenti comunitari degli anni Novanta
A partire, dagli anni Novanta in molte parti del mondo, i movimenti comunitari assumono particolarmente rilevanza come progetto di riforma complessiva della società post-industriale, per affrontare la crisi delle sue principali istituzioni, l’individualismo che sembra delineare forme di vita non più socialmente ed ecologicamente percorribili (Etzioni, 1993; 1998).
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito movimenti comunitari coinvolgono in un progetto di politica di riforma della società, politici come Bill Clinton e Tony Blair oltre che decine di altri Capi di Stato nel mondo.
Il Communitarian Network, fondato da Amitai Etzioni nel 1993, è il movimento più importante (Pesenti, 2002). Il movimento nasce da una forte preoccupazione sul futuro delle società contemporanee ed è fondato sulla rivitalizzazione delle comunità, sulla costruzione di valori comuni, di una cultura della coesione sociale.
Il perno di questo progetto di riforma sono le istituzioni agenti della socializzazione (famiglia, scuola, gruppo dei pari, lavoro, mass media) che orientano il comportamento individuale e collettivo
Possiamo non condividere l’appello alla moral voice della comunità, per certi versi averne timore nei suoi effetti di controllo, ma i problemi che il movimento evidenzia sono ineludibili:
- l’esigenza che la famiglia svolga la sua funzione educativa,
- che la scuola non si limiti a curare lo sviluppo cognitivo dei giovani senza alcuna attenzione ad aspetti morali;
- che la comunità si responsabilizzi rispetto ai problemi che sorgono nel suo ambito, sia realmente un punto d’incontro, di comunicazione, di sostegno reciproco tra le persone,
- sia responsive ‘capace di comprendere e dare risposta alle esigenze reali di tutti i membri della comunità, con un appropriato equilibrio tra ordine e autonomia.
- Si condivida un nuovo equilibrio tra diritti e doveri, una democrazia fondata sulla costruzione di valori e regole condivise, che promuova il senso di responsabilità degli individui e delle collettività,

Fukuyama nel suo più recente saggio (2022) sintetizza gli sviluppi del liberalismo classico. L’idea centrale del liberalismo è la valorizzazione e la protezione della autonomia individuale, come libertà di parola, di associazione, di fede e di vita politica. In questi ultimi due decenni il liberalismo ha avuto due sviluppi radicali: il neoliberismo nell’economia come libertà del mercato senza interferenze dello stato, e un secondo sviluppo che valorizza l’autonomia delle persone relativamente alla scelta dello stile di vita e dei valori, come costante rivendicazione dell’autonomia individuale nella vita quotidiana (p. 17).
Queste due versioni del liberalismo hanno sostituito, solo parzialmente, e in parte marginalizzato, il conservatorismo dei movimenti tradizionali di destra, legato ai valori e ai principi morali del passato, alla continuità e il compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro che per circa tre decenni ha assicurato ad una parte considerevole della popolazione estesi sistemi di welfare e alti salari, stabilità e crescita alle società europee.
Il neo comunitarismo costituiva una critica severa alla libertà del mercato, raccomandava una qualche prudenza nella libertà individuale e nelle scelte di vita, auspicava un ruolo più limitato dello stato e la necessità di un richiamo ad alcuni valori della tradizione. Questo movimento influenzò significativamente e l’iniziativa politica della sinistra in tutta Europa e La Terza Via nel Regno Unito come progetto politico che si proponeva di superare la tradizionale dicotomia tra destra e sinistra.
Ma questi tentativi di ricomporre le grandi tradizioni delle società Occidentali non sono riusciti a trovare un equilibrio soddisfacente e stabile tra le esigenze e le logiche di ogni sfera di vita (mercato, stato, società civile, famiglia).

L’influenza del pensiero comunitario in Italia
In Italia il pensiero comunitario non è emerso come sfida culturale agli sviluppi radicali del liberalismo classico, il movimento di pensiero e di azione politica che ha avuto un ruolo fondativo del pensiero politico occidentale.
In Italia, il richiamo alla comunità è molto poco presente nel dibattito pubblico e il pensiero di Adriano Olivetti, sui rapporti fra istituzioni politiche rappresentative, lavoro, comunità è ben poco presente nella letteratura italiana sui movimenti comunitari in Europa.
Le forze politiche e sociali riprendono alcune proposte dei movimenti comunitari, quali la promozione di una transizione dal welfare state fondato su interventi pubblici ad un welfare community che valorizza le risorse di volontariato, le relazioni informali e le famiglie nella promozione del benessere e della salute delle persone; una transizione dalla scuola come soggetto esclusivo alla comunità educante come rete di attori territoriali che si impegnano a garantire il benessere e la crescita di ragazze e ragazzi.
Così come aveva previsto il governo inglese di David Cameron, il governo italiano riprende, nel suo Libro Bianco sul futuro del modello sociale (2009), l’idea di una Big society un modello di governo della società in cui lo Stato si fa da parte, e alle comunità locali e alla partecipazione dei cittadini comuni più intraprendenti è affidata la gestione dei servizi pubblici locali: il welfare state è inefficiente, crea dipendenza, assistenzialismo, non aiuta la crescita delle persone, non alimenta il senso di responsabilità. Libro Bianco si fondava su un nuovo modello delle opportunità e delle responsabilità:
- riformare l’apparato pubblico, trasferendo maggior potere alle comunità locali;
- incoraggiare le persone a svolgere un ruolo attivo, di gestione comunitaria di servizi collettivi;
- promuovere l’azione volontaria delle associazioni senza fini di lucro e delle fondazioni.

La crisi dei processi di individualizzazione
L’emergere del neo comunitarismo così come la rilettura degli scritti del movimento comunitario di Adriano Olivetti possono essere l’occasione per promuovere un dibattito pubblico sul ruolo che svolgono le principali istituzioni (la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, l’ambiente di lavoro) sulla loro capacità di promuovere il senso di responsabilità degli individui e delle collettività; sui processi di socializzazione, cioè, sui processi di interazione, di sviluppo e di formazione della personalità umana in una determinata società.
In una larga parte della società, la fragilità dei legami sociali, la crisi delle appartenenze collettive sono state per lo più interpretate come effetto del neoliberismo, del crescente individualismo, dello sviluppo delle relazioni di mercato alle quali è necessario contrapporre un’alternativa sostanzialmente socialdemocratica e un rafforzamento delle risorse pubbliche
In poco più di un decennio, la società italiana è cambiata in tutti i suoi ambiti di vita, sono cambiate le condizioni economiche delle famiglie italiane, le relazioni fra le persone e con le istituzioni, con la politica, le relazioni di cura, i valori che abbiamo condiviso per decenni e che abbiamo percepito come naturali e ormai acquisiti.
Ciò che sembra delinearsi è una lunga transizione tra la società industriale del secolo scorso, sostanzialmente stabile, prevedibile e lineare nel suo sviluppo e nelle sue frequenti conflittualità collettive e una modernità molto avanzata di cui ancora non riusciamo a cogliere il punto di arrivo, le istituzioni che possono rappresentarlo, i suoi riferimenti culturali, le forme di convivenza civile che possiamo condividere, i comportamenti che possiamo tollerare.
Negli ultimi due decenni e in una larga parte delle società occidentali contemporanee, non sappiamo più come governare l’autonomia e l’attivismo delle persone nella vita reale e virtuale (Siza, 2022). In società globalizzate, caratterizzate da rapide innovazioni tecnologiche, l’attivismo radicale delle persone crea molto frequentemente instabilità nella vita quotidiana e nella vita di ogni istituzione (la famiglia, la scuola, il sistema politico).
Ciò che noi osserviamo nella nostra vita sociale è la crescita di moltitudini di individui con deboli legami collettivi, attivi nel senso che con loro impegno radicale intendono cambiare e semplificare le regole della democrazia e della convivenza civile, riflessivi nel senso che valutano individualmente ogni sollecitazione, ogni richiesta delle istituzioni anche in ambiti che richiedono specifiche competenze (dal vaccino alle reazioni al riscaldamento globale).
La normalità è sempre più estesa, comprende scelte e stili di vita che pochi anni fa la maggioranza delle persone marginalizzava; in fondo siamo disponibili a ritenere normale qualsiasi comportamento.
Il problema diventa come orientare l’autonomia degli individui senza co-stringerli con regole di vita che incombono in ogni sfera di attività, senza disperdere la capacità di innovazione di individui attivi. Quali sono i valori interiorizzati nel nostro passato oppure presenti e attivi nel nostro vivere quotidiano che ci impediscono o limitano significativamente le relazioni di sopraffazione.
Nell’attuale dibattito pubblico emergono posizioni molto semplificate. In molti casi emerge l’illusione di riuscire ad individuare pochi atti risolutivi (per esempio, punizioni esemplari, norme severe) che in una comunità degradata avviino un processo virtuoso. In questo modo non consideriamo che interazioni e atti successivi che non progettiamo di governare possono invertire anche rapidamente gli esiti di ogni azione esemplare.
In altri casi emerge il richiamo alle comunità tradizionali del passato, a relazioni tradizionali nella scuola, in famiglia, alle gerarchie e alle distinzioni di una volta. Il problema è che per realizzare questo progetto non dovremmo soltanto cercare di sollecitare relazioni tradizionali di fiducia e rispetto, ma dovremmo ricostruire anche le istituzioni (il lavoro di una volta, la famiglia tradizionale, la comunità come ambito di relazioni territoriali, l’assenza di tecnologie, le concezioni tradizionali del tempo e dello spazio) che rendevano possibile e funzionali queste relazioni umane. Certe disposizioni interiore alla collaborazione tipiche di una comunità tradizionale in un contesto oggettivo molto differente non orientano i comportamenti concreti con la stessa frequenza.
Nella vita economica leggi e sanzioni (amministrative, penali) limitano la capacità d’iniziativa degli individui e l’orientano verso alcuni obiettivi condivisi. Nelle relazioni intersoggettive contano soprattutto i processi di socializzazione (nella famiglia, nella scuola, nelle relazioni di amicizia, nell’ambiente di lavoro) per costruire individualità collaborative.
In molti contesti, i processi di socializzazione sono diventati disfunzionali, creano molto frequentemente instabilità nella nostra vita quotidiana, tendono a produrre conflitti sociali, nuove divisioni sociali nuove, chiare e distinte, nuove e competitive identità sociali in termini di valori e modelli comportamentali, nella vita pubblica e privata.
In altri contesti i processi di socializzazione contribuiscono alla creazione di individualità molto differenti, creano individui che riconoscono il valore e l’autonomia degli altri; costruiscono nuovi rapporti di collaborazione e di innovazione; iniziative collettive attraverso l’impegno individuale; valorizzano la comunità in cui operano non come fonte di norme e controllo stabilizzati, ma come contesto relazionale in cui creare risposte collettive ai bisogni delle persone.
Il nostro impegno può essere indirizzato ad individuare i contesti, le condizioni, i sistemi di valore che favoriscono questi processi di crescita delle persone; le disponibilità umane e gli atti concreti che creano individualità attive capaci non soltanto di inserirsi attivamente nel mercato del lavoro ma anche di creare relazioni collaborative, iniziative collettive, curare le relazioni con le persone, costruire attivamente una convivenza civile più soddisfacente, legami collettivi meno costrittivi con la propria comunità.
Per queste ragioni può essere utile riprendere i principi e i valori dei movimenti comunitari e su questa base avviare una riflessione pubblica sulla nostra convivenza civile, sui nostri sistemi di valori, sulle istituzioni, sulle relazioni tra città e piccoli centri urbani, per quali motivi il tessuto di relazioni che sta emergendo crea in molti contesti insicurezza e inquietudine
Insomma abbiamo bisogno di riprendere il discorso pubblico sulla fragilità dei legami sociali, sulla crescente frammentazione sociale e sulla esigenza di costruire relazioni sociali caratterizzati da profondità emotiva, impegno morale, coesione sociale e continuità nel tempo (Nisbet, 1977: 68).
Il pensiero di Adriano Olivetti, sulla comunità, sul ruolo della famiglia, della scuola, del gruppo dei pari, sui rapporti fra istituzioni politiche rappresentative, sul lavoro ci sarà sicuramente molto utili in queste riflessioni.

Riferimenti bibliografici
Hillery, G. (1955) Definitions of Community: Areas of Agreement. Rural Sociology, 20, pp. 111-123.
Bagnasco, A. (1999) Tracce di comunità, Bologna: il Mulino.
Beck U. (1992) La società del rischio, Roma: Carocci.
Beck U. and Beck-Gernsheim E. (2001) Individualisation, London: Sage.
Collins, P.H. (2010) The New Politics of Community, American Sociological Review, 1(75), pp. 7-30.
Etzioni, A. (1993) The Spirit of Community: Rights, Responsibilities and the Communitarian Agenda, New York: Crown Publishers.
Etzioni, A. (a cura di) (1998) Nuovi Comunitari, Castelvecchio (Bologna): Arianna Editrice.
Fukuyama, F. (2023) Liberalism and Its Discontents, London: Profile Book.
Nisbet, R.A. (1977) La tradizione sociologica, Firenze: la Nuova Italia.
Pesenti, L. (2002) Comunitarismo-Comunitarismi: una tipologia essenziale, in I. Colozzi (a cura di) Varianti di comunitarismo, in Sociologia e Politiche Sociali, 2(5), pp. 9-38
Siza R. (2022) The Welfare of the Middle Class. Changing Relations in European Welfare States, Bristol: Policy Press.

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