Il valore della Comunità

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Convegno di studi
ADRIANO OLIVETTI E LA SARDEGNA
Attualità di una prospettiva umanistica

Cagliari 27 e 28 ottobre 2023
Aula Bachisio Motzo – Facoltà di Studi Umanistici
dell’Università degli Studi di Cagliari, Sa Duchessa.
img_5003 La Comunità in una società individualizzata
di Remo Siza

Introduzione
Nel linguaggio corrente, in Italia, è molto ampio il richiamo alla comunità, sebbene, come ha rilevato Bagnasco (1999) l’uso del termine comunità per certi versi è problematico in quanto nella stessa parola si sovrappongono significati molto differenti. George Hillery (1955; Collins, 2010) rilevava che esistono 94 definizioni di comunità e l’unico aspetto comune a tutte queste definizioni è l’idea di un tessuto di relazioni sociali che si stabilisce tra le persone. Altre dimensioni del concetto quali la prossimità, la profondità emotiva delle relazioni non sempre sono condivise dai vari autori.
Nel dibattito politico e nei programmi dei principali partiti, il richiamo alla comunità assume differenti significati:
- la comunità locale, spesso come livello politico locale contrapposto a quello centrale
- la comunità come ambito della partecipazione diretta delle persone al governo che assicura l’efficacia e l’efficienza dell’azione pubblica
- come sistema delle autonomie locali capace di rispondere alla crisi dei partiti e della rappresentanza politica;
- come superamento dello squilibrio urbano/rurale, per riavvicinare la città alle aree interne dimenticate dal mercato e dall’attuale modello di sviluppo.
Infine, la comunità è stata riscoperta nei sistemi di welfare che intendono valorizzare il ruolo delle famiglie e le relazioni di comunità nella cura delle persone, il Servizio sociale di comunità, la comunità educativa; come iniziativa professionale di Sviluppo della comunità riconoscendone la sua rilevanza nella vita delle persone.
Nel pensiero di Adriano Olivetti tutte queste accezioni del termine comunità erano presenti: non per contrapporre comunità arcaica e città moderna, non come ritorno al passato, ma come idea-forza per una radicale riforma del sistema politico e la costruzione di una società ‘a misura d’uomo’ (Olivetti, 2001).
La comunità è vista come mediazione fra individuo e Stato, come riappropriazione inevitabilmente selettiva della tradizione, come ambito di innovazione, ambito di relazioni che rafforzano e danno sostanza umana allo sviluppo industriale. Il richiamo alla comunità era chiaramente legato alla necessità di valorizzare la comunità concreta come una forma nuova di rappresentanza più forte e più efficiente della democrazia ordinaria e ad una preoccupazione per la fragilità dei legami sociali, per i cambiamenti che travolgevano i sistemi di valore e le istituzioni in una società post-contadina.

I cambiamenti della società industriale
La comunità che Olivetti richiamava nel suo progetto di riforma era cambiata profondamente a partire dagli ultimi anni Cinquanta. Una straordinaria espansione economica e una imponente mobilità territoriale che aveva come destinazione le città del triangolo industriale contribuiva ad un cambiamento profondo della società italiana. Non cambiava soltanto l’economia, cambiavano, forse in modo più radicale, le relazioni fra le persone.
Lo sviluppo industriale incideva profondamente sull’equilibrio individuo e comunità e su un processo fondamentale della modernità: il processo di individualizzazione (Beck, 1992; Beck e Beck-Gernsheim, 2001).
Il processo di individualizzazione è il fondamento delle società occidentali e di ogni dinamica di innovazione e cambiamento. È un processo che valorizza l’autonomia individuale, che promuove il distacco dai ruoli e vincoli tradizionali, da ogni costrizione (della famiglia autoritaria tradizionale, della comunità), verso una crescita della libertà e della consapevolezza di sé dell’individuo, per costruire una vita indipendente sulla base dei valori e dei principi della nascente modernità industriale
In una fase di transizione, questi processi orientano le agenzie di socializzazione verso la costruzione di individualità che si distinguono dalle comunità di appartenenza.

Una individualizzazione parziale
Negli anni Sessanta, in particolare, i processi di individualizzazione si diffondono molto rapidamente e coinvolgono una larga parte della società italiana.
Una parte significativa della popolazione, soprattutto i più giovani, vuole realizzare il proprio progetto di vita, scegliere autonomamente il proprio destino spesso lontano dalla comunità di origine, assumere la propria indipendenza rispetto alle attese dei genitori, della rete parentale allargata, dalla comunità, dalle grandi associazioni collettive.
Le comunità tradizionali comunque non si dissolvono. In fondo, questi processi di emancipazione e di individualizzazione (cioè di distacco dai ruoli e vincoli tradizionali verso una crescita della libertà individuale) erano ancora governabili. Per certi versi era una individualizzazione contenuta e programmata secondo esigenze funzionali al nuovo sviluppo economico.
La società industriale era una società percorsa da grandi cambiamenti ma comunque solida nei suoi riferimenti culturali, era una società sostanzialmente integrata, in cui le patologie della modernità erano ancora governabili.
Il richiamo di Olivetti alla comunità aveva comunque una sua concretezza. La comunità aveva ancora la sua consistenza. Il Movimento Comunità declinò con la morte di Olivetti (1960), sebbene in quegli anni la comunità a cui Olivetti si riferiva era ancora vitale e poteva ancora contare su una larga parte delle sue risorse tradizionali di partecipazione e di relazioni sociali amichevoli. Il futuro di un movimento politico comunitario sembrò dipendere strettamente dall’iniziativa e dall’attivismo di Adriano Olivetti più che dai cambiamenti delle comunità concrete.
L’idea di comunità rimaneva comunque vitale nel linguaggio corrente, nelle iniziative sociali e culturali di associazioni, di gruppi locali molto attivi.
In fondo nella società industriale degli anni Cinquanta e Sessanta, i processi di individualizzazione si diffondono rapidamente nel tessuto sociale, ma sono ancora parziali. Gli individui sono più autonomi, ma le forme collettive di appartenenza (la comunità, la Chiesa, il sindacato, le grandi associazioni) sono ancora solide. La famiglia è diventata nucleare, ma è ancora stabile: si riduce sensibilmente il numero di figli, è ancora inserita nella rete parentale e nella rete dei diritti e dei doveri, seppure in termini meno vincolanti e più esplicitamente conflittuali. Le abitudini e le tradizioni della comunità di appartenenza ancora persistono sebbene si siano indebolite nella loro capacità di orientare i comportamenti sociali.
Gli individui sono più autonomi, ma le forme collettive di appartenenza (la comunità, il sindacato, le grandi associazioni, la Chiesa) sono ancora solide, si allentano i legami collettivi, ma non del tutto:
- la famiglia è diventata nucleare, ma è ancora stabile si riduce sensibilmente il numero di figli; ma i ruoli di genere persistono sebbene siano accettati con molte più resistenze dalla donna;
- la famiglia è ancora inserita nella rete parentale e nella rete dei diritti e dei doveri, seppure in termini meno vincolanti e più esplicitamente conflittuali;
- le abitudini e le tradizioni della comunità di appartenenza ancora persistono sebbene si siano indebolite nella loro capacità di orientare i comportamenti sociali.

Nelle società industriali, c’era ancora una continuità e un passaggio lineare tra due fasi del processo di individualizzazione
1. la fase “liberatoria” dai vincoli e costrizioni che limitano l’autonomia e la capacità di autodeterminazione delle persone e non consentono di realizzare i loro progetti di vita. Ciò che diventa importante è la raggiunta possibilità di scegliere la propria vita, senza rassegnazione e passività.
2. la successiva fase di ricomposizione di nuove forme di stare insieme, di convivenza, nuove relazioni di amicizia e di collaborazione, nuove relazioni con le istituzioni che di norma seguono questa fase liberatoria.

I cambiamenti economici e sociali travolgevano la civiltà contadina, le sue relazioni, le sue staticità, ma allo stesso tempo rivitalizzavano le istituzioni più moderne (famiglia nucleare, il ruolo della donna, i partiti, i sindacati…)
La società industriale è una società moderna che ha in mente il suo punto di arrivo:
- la famiglia nucleare (i genitori con un numero limitato di figli) modernizzata nelle sue relazioni, meno autoritaria;
- la Chiesa ha un ruolo cruciale nella vita delle persone seppure risulti indebolita da processi di secolarizzazione;
- le istituzioni politiche sono solide,
- il lavoro per una larga parte della popolazione è stabile, dignitoso, remunerato sufficientemente per partecipare a pieno titolo alla vita sociale.

I movimenti comunitari degli anni Novanta
Negli anni Novanta, cambia profondamente la relazione individuo-comunità ed emerge una radicalizzazione dei processi di individualizzazione. Le individualità che emergono sono più radicalmente indipendenti dalle comunità territoriali e i legami sociali si indeboliscono in termini molto più significativi.
In questi anni, i movimenti comunitari assumono particolarmente rilevanza in molte parti del mondo.
Così come era accaduto in Italia, in altre nazioni il movimento comunitario aveva una sua esplicita caratterizzazione politica e costituì una corrente fondamentale della Terza via il progetto politico che si proponeva di superare la tradizionale dicotomia tra destra (conservatrice o neoliberista) e la sinistra tradizionale.
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito movimenti comunitari coinvogevano in un progetto di politica di riforma della società, politici come Bill Clinton e Tony Blair oltre che decine di altri Capi di Stato nel mondo. Il richiamo della comunità, lo ritroviamo qualche anno più tardi (nel primo decennio del duemila) nella Big Society del Governo conservatore inglese di David Cameron richiamato dal Governo Berlusconi nel Libro Bianco sul futuro del modello sociale (2009), verso un welfare community che sostituisca il welfare state.
Il Communitarian Network, fondato da Amitai Etzioni nel 1993, è il movimento più importante (Pesenti, 2002). Il movimento nasce da una forte preoccupazione sul futuro delle società contemporanee ed è fondato sulla rivitalizzazione delle comunità, sulla costruzione di valori comuni, di una cultura della coesione sociale.
Il perno di questo progetto di riforma sono gli agenti della socializzazione (famiglia, scuola, gruppo dei pari, lavoro, mass media) che orientano il comportamento individuale e collettivo e l’urgenza di un potenziamento delle loro capacità integrative:
- l’esigenza che la famiglia svolga la sua funzione educativa,
- che la scuola non si limiti a curare lo sviluppo cognitivo dei giovani senza alcuna attenzione ad aspetti morali;
- che la comunità si responsabilizzi rispetto ai problemi che sorgono nel suo ambito, sia realmente un punto d’incontro, di comunicazione, di sostegno reciproco tra le persone,
- sia responsive ‘capace di comprendere e dare risposta alle esigenze reali di tutti i membri della comunità.
- promuova il senso di responsabilità degli individui e delle collettività, un nuovo equilibrio tra diritti e doveri.
Il crescente individualismo sembrava delineare forme di vita non più socialmente ed ecologicamente percorribili (Etzioni, 1993; 1998).
Il neo comunitarismo costituiva una critica severa alla libertà del mercato, raccomandava una qualche prudenza nella libertà individuale e nelle scelte di vita, auspicava un ruolo più limitato dello stato e la necessità di un richiamo ad alcuni valori della tradizione.

Il richiamo alla comunità nella società individualizzata
In molte nazioni il pensiero comunitario ha costituito una delle radici culturali della Terza via: ha avuto capacità di mobilitazione nel primo decennio del nuovo millennio, ma negli anni successivi ha perso la capacità di affrontare le criticità che emergevano.
Dopo i primi anni di crescita, il pensiero comunitario non è emerso come sfida culturale credibile ai due principali sviluppi del liberalismo classico (espressione dominante dell’ideologia occidentale) analizzati da Fukuyama in un suo recente saggio (2022). L’idea centrale del liberalismo classico è la valorizzazione e la protezione della autonomia individuale, come libertà di parola, di associazione, di fede e di vita politica. Fukuyama, rileva che in questi ultimi due decenni il liberalismo ha avuto due sviluppi radicali:
- il neoliberismo nell’economia come libertà del mercato senza interferenze dello stato,
- il liberalismo come costante rivendicazione dell’autonomia individuale nella scelta dello stile di vita e dei valori, che valorizza l’autonomia delle persone nella vita quotidiana (p. 17).

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Il neoliberismo nell’economia ha travolto il conservatorismo delle destre tradizionali, sollecitato il cambiamento, l’innovazione, la conquista di nuovi mercati, la competizione, la liberazione dai vincoli e dalle costrizioni che limitano l’iniziativa individuale.
Il liberalismo negli stili di vita ha costituito il naturale compimento dell’affermata libertà individuale anche nella vita privata, sul piano culturale, piuttosto che il conservatorismo delle tradizioni, come espressione di una emancipazione e di una liberazione che finalmente era possibile assicurare a tutti, come espressione della modernità avanzata che il capitalismo intendeva rappresentare.
Queste due sviluppi del liberalismo hanno costituito i riferimenti fondamentali dello Spirito del nuovo capitalismo (Boltanski e Chiapello, 2014), di un capitalismo altamente tecnologico che si riappropria delle istanze di cambiamento, di modernità degli stili di vita, di diritti di libertà individuali negli stili di vita.
In nuovo capitalismo che emerge nella modernità avanzata si rivolge verso le azioni che concorrono alla realizzazione del profitto. Allo stesso tempo, in armonia con i valori e le preoccupazioni di coloro che sono coinvolti nei processi di produzione, si appoggia su un impianto culturale giustificatorio adeguato ad una società individualizzata che valorizza il cambiamento, la realizzazione individuale, il rischio e la mobilità (Boltanski e Chiapello, 2014: 76-84).
Nei primi due decenni del nuovo millennio il neoliberismo nell’economia e il liberalismo come costante rivendicazione dell’autonomia individuale hanno assunto un ruolo cruciale nella trasformazione dell’economia e delle relazioni fra le persone, hanno inciso significativamente sui processi di individualizzazione e sugli agenti di socializzazione (la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, i mass media) che ne orientano l’evoluzione, radicalizzandone le dimensioni liberatorie rispetto alle regole, ai legami e alle tradizioni.
Queste due versioni del liberalismo hanno sostituito, solo parzialmente, e in parte marginalizzato, il conservatorismo dei movimenti tradizionali di destra, legato ai valori e ai principi morali del passato, alla continuità e il compromesso socialdemocratico tra capitale e lavoro che per circa tre decenni ha assicurato ad una parte considerevole della popolazione estesi sistemi di welfare e alti salari, stabilità e crescita.

La crisi dei processi di individualizzazione
Il mix di cambiamenti radicali del lavoro, delle condizioni economiche e delle relazioni nella vita privata creano instabilità e insicurezze insostenibili per molti gruppi sociali. Cresce la capacità di mobilitazione di movimenti che coinvolgono gruppi sociali travolti dall’apertura dei mercati, dalla globalizzazione e resi incerti e insicuri nella sfera di vita. In molte parti del mondo i movimenti populisti si rivolgono al popolo che lavora duramente contro l’establishment politico, economico culturale, scientifico (le “élite corrotte”), che ha creato insicurezza, impoverimento diffuso, disuguaglianze. Questi movimenti intendono valorizzare lo stato nazionale come risposta al mercato globalizzato, con un costante richiamo alla famiglia tradizionale, alla comunità tradizionale e a principi conservatori nelle relazioni private; alla politica come espressione della volontà della maggioranza del popolo (general will) e non come espressione di minoranze etniche o religiose.
Nei movimenti populisti il richiamo alle comunità perde i suoi significati innovativi. Si assume come riferimento la comunità tradizionali del passato, le relazioni tradizionali nella scuola, in famiglia, le gerarchie e le distinzioni di una volta. Ma per realizzare questo ritorno al passato non dovremmo soltanto cercare di sollecitare relazioni tradizionali di fiducia e rispetto, ma dovremmo ricostruire anche le istituzioni che rendevano possibile e funzionali queste relazioni umane: il lavoro di una volta, la famiglia tradizionale, la comunità come ambito di relazioni territoriali, l’assenza di tecnologie, le concezioni tradizionali del tempo e dello spazio. Certe disposizioni interiore alla collaborazione e alle relazioni amichevoli tipiche di una comunità tradizionale nascono in un contesto oggettivo ben definito, con molte difficoltà possono essere riproposte in contesti che hanno opportunità di relazione e difficoltà oggettive molto differenti.
Il richiamo alla comunità del passato rischia in molti casi di trasformarsi in un impegno attivo per una comunità chiusa di persone uguali, di minoranze etniche, religiose che non intendono confrontarsi e trovare punti di contatto con altre culture oppure in una autosegregazione delle persone con alti livelli di reddito, le cosiddette gated community, residenze separate vigilate e presidiate da operatori di polizia privata, con sistemi di recinzione e di controllo tecnologico sofisticati.

Una lunga transizione
Una rilettura degli scritti del movimento comunitario di Adriano Olivetti e una valutazione più attenta del neo comunitarismo possono esserci utili per promuovere un dibattito pubblico più articolato sulla relazione individuo-comunità:
- sul ruolo che svolgono le principali istituzioni (la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari, l’ambiente di lavoro)
- sulla loro capacità di promuovere il senso di responsabilità degli individui e delle collettività;
- sui processi di socializzazione, cioè, sui processi di interazione, di sviluppo e di formazione della personalità umana;
- sull’equilibrio che intendiamo stabilire tra comunità, mercato e Stato
Ciò che sembra delinearsi è una lunga transizione tra la società industriale del secolo scorso, sostanzialmente stabile, prevedibile e lineare nel suo sviluppo e nelle sue frequenti conflittualità collettive e una modernità molto avanzata di cui ancora non riusciamo a cogliere e a definire a grandi linee il punto di arrivo, le istituzioni che possono rappresentarlo, i suoi riferimenti culturali, le forme di convivenza civile che possiamo condividere, i comportamenti che possiamo tollerare.
La normalità è sempre più estesa, comprende scelte e stili di vita che pochi anni fa la maggioranza delle persone marginalizzava; in fondo siamo disponibili a ritenere normale qualsiasi comportamento.
In una larga parte delle società occidentali contemporanee, non sappiamo più come governare l’autonomia e l’attivismo delle persone nella vita reale (Siza, 2022). Nelle relazioni virtuali queste difficoltà sono ancora più evidenti. Ciò che noi osserviamo nella nostra vita sociale:
- è la crescita di moltitudini di individui con deboli legami collettivi,
- attivi nel senso che con loro impegno radicale intendono cambiare e semplificare le regole della democrazia e della convivenza civile,
- riflessivi nel senso che valutano individualmente ogni sollecitazione, ogni richiesta delle istituzioni anche in ambiti che richiedono specifiche competenze (dal vaccino alle reazioni al riscaldamento globale) (Siza, 2022).
In società globalizzate, caratterizzate da rapide innovazioni tecnologiche, l’attivismo radicale delle persone che intendono promuovere un cambiamento profondo nell’ambito dei sistemi pubblici e nella vita ordinaria, crea una generale instabilità nella vita quotidiana e nella vita di ogni istituzione (la famiglia, la scuola, il sistema politico).
In molti contesti, i processi di individualizzazione sono diventati disfunzionali, tendono a produrre estesi conflitti sociali, nuove divisioni sociali nuove, chiare e distinte, nuove e competitive identità sociali in termini di valori e modelli comportamentali, nella vita pubblica e privata.
Dobbiamo chiederci, quali siano i valori interiorizzati nel nostro passato oppure presenti e attivi nel nostro vivere quotidiano che promuovono l’integrazione, una convivenza civile più amichevole; i valori che ci impediscono o limitano significativamente la discriminazione di alcuni gruppi sociali, le relazioni di sopraffazione.

L’emergere di individualità collaborative
Allo stesso tempo, però, emergono sistemi di valore, azioni individuali e collettive molto differenti dall’individualismo strumentale. In molti contesti i processi di individualizzazione contribuiscono alla creazione di individualità collaborative, creano individui che riconoscono il valore e l’autonomia degli altri; costruiscono nuovi rapporti di collaborazione e di innovazione; valorizzano la comunità in cui vivono e operano non come fonte di norme e controllo stabilizzati, ma come contesto relazionale in cui creare risposte collettive ai bisogni delle persone.
Il nostro impegno può essere indirizzato all’osservazione di contesti, di condizioni, di sistemi di valore che favoriscono questi processi di crescita delle persone; alle iniziative delle istituzioni, delle famiglie, delle comunità che creano disponibilità umane, gli atti concreti che creano individualità attive capaci non soltanto di inserirsi attivamente nel mercato del lavoro, ma anche di creare relazioni collaborative, iniziative collettive, costruire attivamente una convivenza civile più soddisfacente,
Forse dobbiamo incominciare a riflettere su una visione di una società differente, in qualche modo alternativa al neoliberismo e alla costante rivendicazione dell’autonomia individuale nella vita quotidiana. Non un modello da generalizzare e neanche una normalità stringente e ben definita da assumere come riferimento in ogni contesto di vita.
È necessario, invece, incominciare ad immaginare una società che valorizzi le iniziative autonome che danno concretezza a principi come l’uguaglianza, la dignità delle persone, la giustizia sociale, l’inclusione e la sicurezza fondate comunque su principi e un tessuto di valori che progressivamente, con i tempi del cambiamento culturale, diventino largamente condivisi alle individualità e alle collettività capaci di curare le relazioni con le persone
Così come in questi ultimi decenni abbiamo fatto per le relazioni uomo-natura, i cambiamenti climatici, il degrado ambientale, abbiamo bisogno di riprendere il discorso pubblico sulla fragilità dei legami sociali, sulla crescente frammentazione sociale, sulla esigenza di costruire relazioni sociali caratterizzate da profondità emotiva, impegno morale e continuità nel tempo (Nisbet, 1977: 68), dimensioni di vita che sono alla base di rapporti amichevoli e di una comunità concreta. Il miglioramento delle nostre relazioni fra le persone può essere generato da un discorso pubblico ricorrente sulla insostenibile fragilità dei legami sociali, avviare una riflessione pubblica sulla nostra convivenza civile, per quali motivi il tessuto di relazioni che sta emergendo crea troppo frequentemente insicurezza e inquietudine.
Il pensiero di Adriano Olivetti, sulla comunità, sul lavoro, sui rapporti fra istituzioni politiche rappresentative, sul ruolo della famiglia e della scuola, del gruppo dei pari, ci sarà sicuramente molto utile in queste riflessioni.

Riferimenti bibliografici
Hillery, G. (1955) Definitions of Community: Areas of Agreement. Rural Sociology, 20, pp. 111-123.
Bagnasco, A. (1999) Tracce di comunità, Bologna: il Mulino.
Beck U. (1992) La società del rischio, Roma: Carocci.
Beck U. and Beck-Gernsheim E. (2001) Individualisation, London: Sage.
Collins, P.H. (2010) The New Politics of Community, American Sociological Review, 1(75), pp. 7-30.
Etzioni, A. (1993) The Spirit of Community: Rights, Responsibilities and the Communitarian Agenda, New York: Crown Publishers.
Etzioni, A. (a cura di) (1998) Nuovi Comunitari, Castelvecchio (Bologna): Arianna Editrice.
Fukuyama, F. (2023) Liberalism and Its Discontents, London: Profile Book.
Nisbet, R.A. (1977) La tradizione sociologica, Firenze: la Nuova Italia.
Olivetti, A. (2001) Città dell’uomo, Torino: Edizioni di Comunità, Torino
Olivetti, A. (20013) Il cammino della Comunità, Torino: Edizioni di Comunità.
Pesenti, L. (2002) Comunitarismo-Comunitarismi: una tipologia essenziale, in I. Colozzi (a cura di) Varianti di comunitarismo, in Sociologia e Politiche Sociali, 2(5), pp. 9-38
Siza, R. (2022) The Welfare of the Middle Class. Changing Relations in European Welfare States, Bristol: Policy Press.
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