Tonino Dessì. Chi voto.

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img_6158di Tonino Dessì. Sosterrò col mio voto, alle imminenti elezioni regionali, la coalizione “Sardegna è ora”.
È la coalizione che può, vincendo, conseguire il più urgente obiettivo “di salute pubblica”: quello di liberare il governo della Regione dalla destra sarda e italiana e dai suoi alleati.
Il centrodestra ha pessimamente governato la trascorsa legislatura regionale sotto la guida sardoleghista e non è proprio auspicabile che riprenda la gestione dell’istituzione autonomistica proponendosi stavolta sotto la guida di un esponente ultraconservatore di Fratelli d’Italia.
Considero che per tutte le componenti democratiche e popolari della società sarda e per tutti i sardi portatori di interessi economici, sociali, civili di vitale valore collettivo generale, una compagine di maggioranza e di governo progressista possa costituire un interlocutore istituzionale e politico assai più permeabile, aperto e sensibile di quanto abbia dimostrato di essere questa destra, che ha invece rappresentato e rappresenta poteri oligarchici, corporativi, lobbistici e affaristici, interni ed esterni all’Isola.

“Sardegna è ora” è una coalizione composita e plurale.
Un esercizio corretto della Presidenza della Regione e la coerenza con le ispirazioni fondamentali del programma presentato al corpo elettorale dovranno garantirne la coesione come maggioranza consiliare e come esecutivo.
Ritengo che un’esperienza di questo genere possa costituire l’occasione opportuna di una matura e responsabile collaborazione tra soggetti politici democratici indubbiamente diversi, quali il PD, le altre forze del centrosinistra e il M5S.
Lungi dall’essere uno scenario da esorcizzare, questa mi pare una novità da incoraggiare decisamente.
Il “campo” di riferimento è abbastanza largo e può contare su un vastissimo bacino sociale e di opinione dal quale attingere risorse e competenze per radicare il proprio consenso e per dare robustezza sia all’attività di governo e di riforma della Regione sia al confronto con lo Stato.
Credo che occorra dare il giusto risalto al valore storico, anche sul piano simbolico, dell’elezione per la prima volta di una donna alla Presidenza della Regione che il possibile successo di questa coalizione prefigura.
Alessandra Todde presenta tutti i requisiti di novità, ma anche di esperienza istituzionale, che una candidatura presidenziale richiede.
Sono a mio avviso ragioni tutte valide per compiere una scelta improntata a un atteggiamento laicamente fiducioso.

Poichè intendo esercitare il diritto di voto nella sua pienezza e pur non cessando di collocarmi a sinistra come un indipendente non iscritto a nessuna organizzazione di partito, esprimerò anche le due preferenze consentite dalla legge.
Esse andranno, per la circoscrizione di Cagliari, nella medesima lista di “Sinistra Futura” in cui sono candidati, al compagno Roberto Bob Mirasola e alla compagna Gabriella Lanero.
Due persone di sinistra impegnate da sempre nei movimenti progressisti, con le quali ho condiviso negli anni più recenti l’impegno nel Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria e nella Scuola di cultura politica Francesco Cocco.
Due persone rigorose, ma profondamente connotate da spirito unitario e scevre da inclinazioni settarie, nella migliore tradizione che io ancora ricordo della sinistra sarda.

Sulle vicende che hanno portato alla divisione di uno schieramento progressista che avrebbe potuto essere già in partenza travolgentemente amplissimo, ho avuto modo di esprimere le mie valutazioni puntualmente “in corso d’opera”.
Debbo dire che il fatto in sè non avrebbe creato le preoccupazioni che invece ha creato e che tuttora crea, se la forma di governo e il sistema elettorale sardi non fossero quelli che sono: una forma di governo presidenziale a elezione diretta, corredata da un sistema elettorale premiale maggioritario a turno unico.
Per le ragioni che ho illustrato più volte, in questa condizione l’unità al fine di perseguire l’obiettivo “di salute pubblica” avrebbe dovuto far premio su divergenze che a dire il vero, dal punto di vista strettamente programmatico, erano pacificamente sormontabili.

Invece, al seguito della pretesa di ritorno di un ex Presidente della Regione che a suo tempo dissipò il patrimonio collettivo di una legislatura, provocandone persino la fine anticipata e che conseguentemente rimediò nel 2009 una sconfitta disastrosa per tutta la Sardegna democratica e progressista, si sono aggrumati un coagulo di rancorosi residui dei tanti conflitti che hanno travagliato il centrosinistra isolano, la perdita di ogni asse di riferimento generale di un micropartito che a questo punto non si capisce più perché continui a definirsi comunista, il minoritarismo irrimediabile di alcune sigle vecchie e nuove del piccolo, ma frammentato universo indipendentista.
Colpisce davvero, ancora una volta, l’incapacità del mondo indipendentista sardo di trovare una ragione comune di unità. Presentandosi tutto insieme con un’unica lista, magari con la candidatura di una sua nota esponente, come Lucia Chessa, oggi leader di una lista solitaria, Sardegna R-esiste, a quel fatidico cinque per cento avrebbe potuto realisticamente puntare per eleggere, finalmente in autonomia, qualche proprio rappresentante in Consiglio regionale.
Invece ancora una volta si presenta diviso, addirittura con due liste anche in questa coalizione guidata da un esterno a quel mondo, al cui successo personale ciascuna di esse affida a mio avviso illusoriamente la funzione del “traghetto”.
Ma il dato più rilevante è la comune accettazione della strumentalizzazione operata da soggetti politici italiani come l’alleata organica Azione di Carlo Calenda e il sostenitore “esterno” Matteo Renzi, mossi dall’intento esclusivo di sabotare in qualunque modo e in qualunque sede il percorso possibile di un’alleanza delle opposizioni alla destra italiana e sarda.

Cinque liste di scarsa consistenza, che pur assommate partono gravate dalla probabilità di non raggiungere la soglia del dieci per cento occorrente per entrare in Consiglio regionale o, nella migliore delle ipotesi, di superarla giusto per eleggere alcuni consiglieri regionali centristi ed ex PD renziani, la più parte raccoltisi intorno ad Azione, che comunque costituisce in quella coalizione la formazione elettorale più strutturata quanto a capacità relativa di raccogliere preferenze.
Chi ha deciso di tirarsi fuori e di scindere il possibile, più ampio e certamente già in partenza vincente schieramento, per poi condurre una campagna elettorale tutta astiosamente e aspramente concentrata contro l’alleanza tra centrosinistra e M5S, raccoglierà i frutti prevedibili che il sistema elettorale riserva ai soggetti con i minori consensi.
Mi auguro che non debba accollarsi, sull’esito delle elezioni, anche responsabilità politiche negative assai più gravi.

Infine.
Ho usato il concetto di “laicità”.
Non sembri sinonimo di acconciamento rassegnato a una realtà politica che continuo a considerare gravemente insoddisfacente.
Semmai intendo significare due cose.
La prima è che diffido delle narrazioni palingenetiche, specie se messe in piedi a ridosso di scadenze elettorali. Abbiamo in tanti già dato con entusiasmo e spirito di servizio, ma abbiamo purtroppo causato e subito anche amare delusioni.
Pretendo piuttosto, finalmente, una radicalità tanto coerente quanto capace, pragmatica, tempestiva, concreta.
La seconda è che a seguito del voto sono gli eletti, a contrarre un debito democratico con chi li ha votati.
Le elezioni sono infatti una tappa fondamentale, ma ancora preliminare.
Quando si assumono, per elezione rappresentativa o per nomina correlata all’esito elettorale, responsabilità di governo, la disciplina e l’onore attengono a chi ricopre i relativi incarichi.
Richiamare gli eletti e i governanti a quel “debito d’onore” spetta, fin dall’indomani delle elezioni, senza alcun vincolo di disciplina acritica, in primo luogo a chi li ha votati, così come a tutta la società sarda compete reclamare ed esigere con la dovuta incisività azioni e risultati conformi al proprio interesse generale.

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