LA SARDEGNA E LA BIOECONOMY

chimica-verde-Maste-Unissape-su-limoni-IMG_4811-1024x575-150x150sedia-van-gogh-4-150x150-bis1di Vanni Tola
Sassari – Il Consorzio provinciale industriali ed il Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università di Sassari hanno promosso un convegno avente per tema: “Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” al quale hanno partecipato esperti internazionali. I temi principali, la chimica verde e la bioeconomy, sono stati sviluppati dai relatori con approcci differenti ma decisamente molto interessanti. Si è parlato di bioeconomia come prospettiva di sviluppo sostenibile, della filiera della trasformazione delle bioplastiche, della filiera della chimica fine applicata agli estratti vegetali, dello sviluppo delle tecnologie ambientali e della filiera dei biocarburanti. Alcuni relatori locali hanno poi illustrato importanti iniziative industriali avviate in Sardegna relativamente alle nuove metodologie ed alle tecnologie della bioeconomy. Riteniamo utile riportare in sintesi i contenuti di alcuni interventi per favorire una migliore conoscenza del dibattito in corso relativamente alla riconversione dei sistemi produttivi locali e internazionali. Cominciamo con l’analisi dell’intervento della Dott.ssa Giulia Gregori, esperta di politiche europee e responsabile della pianificazione strategica di Novamont, che ha svolto una relazione sul tema: “La bioeconomy, una prospettiva di sviluppo sostenibile”. Con il previsto aumento della popolazione mondiale fino a sfiorare 9 miliardi di abitanti nel 2050 e l’esaurimento delle risorse naturali, il nostro continente ha bisogno di risorse biologiche rinnovabili per produrre alimenti e mangimi sicuri e sani ma anche materiali, energia e altri prodotti. Il termine Bioeconomy indica una teoria economica proposta da Nicholas Georgescu-Roegen per realizzare un’economia ecologicamente e socialmente sostenibile. Parlare di bioeconomia significa quindi riferirsi a un’economia che si fonda su risorse biologiche provenienti della terra e dal mare e dai rifiuti, che fungono da combustibili per la produzione industriale ed energetica e di materia prima per la produzione di alimenti e mangimi. Significa anche parlare dell’impiego di processi di produzione fondati su bioprodotti per un comparto industriale sostenibile. L’Europa deve passare a un’economia ‘post-petrolio’ e ad un maggiore utilizzo di fonti rinnovabili. Non è più soltanto una scelta ma una necessità. L’obiettivo è quello di promuovere il passaggio a una società fondata su basi biologiche invece che fossili, utilizzando i motori della ricerca e dell’innovazione. La Commissione Europea ha adottato, da qualche tempo, azioni strategiche per indirizzare l’economia verso un più ampio e sostenibile impiego delle risorse rinnovabili. “L’innovazione per una crescita sostenibile: una bioeconomia per l’Europa” è una strategia della Commissione Europea che prevede un piano d’azione basato su un approccio interdisciplinare, intersettoriale e coerente al problema. L’obiettivo è creare una società più innovatrice e un’economia a emissioni ridotte, conciliando l’esigenza di un’agricoltura e una pesca sostenibili e della sicurezza alimentare con l’uso sostenibile delle risorse biologiche rinnovabili per fini industriali, tutelando allo stesso tempo la biodiversità e l’ambiente. Il piano europeo per la bioeconomia si basa pertanto su tre aspetti fondamentali:
- Sviluppare tecnologie e processi produttivi nuovi destinati alla bioeconomia;
- Sviluppare mercati e competitività nei diversi settori della bioeconomia;
- Stimolare una maggiore collaborazione tra i responsabili politici e le parti interessate.
(segue)
Una grande scommessa per il futuro alla quale l’Italia e la Sardegna devono concorrere pena l’essere tagliate fuori da un processo di profonda trasformazione delle attività produttive che si configura come una rivoluzione scientifico-tecnologica e perfino etica e culturale di grande portata. La commissaria europea per la ricerca, l’innovazione e la scienza, Màire Geoghegan-Quin, l’ha definita: “Una mossa positiva per l’ambiente, la sicurezza energetica e alimentare e per la competitività futura dell’Europa”. Attualmente la bioeconomia europea vanta già un fatturato di circa 2000 miliardi di euro e impiega oltre 22 milioni di persone che rappresentano il 9% dell’occupazione complessiva dell’EU. Nel mese di settembre del 2010 il presidente Barroso ha dichiarato che nell’ecoindustria europea i posti di lavoro sono cresciuti del 7% annuo dal 2000, e di auspicare per il 2020 la creazione di 3 milioni di posti di lavoro verdi poiché è indispensabile una crescita sostenibile e intelligente che generi nuove opportunità per il territorio. La bioeconomy si va sviluppando in diversi settori, agricoltura, silvicoltura, pesca, produzione alimentare, la produzione di pasta di carta e carta, nonché nei comparti dell’industria chimica, biotecnologica ed energetica. Si calcola che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia la ricaduta in valore aggiunto nei settori del comparto bioeconomico sarà pari a dieci euro entro il 2025. Un settore nuovo – afferma la Dott.ssa Giulia Gregori – che darà effettive opportunità e che può diventare fattore competitivo distintivo per l’Europa. Ciò che è importante e determinante nella bioeconomia è la circolarità delle diverse filiere, occuparsi cioè di tutto il ciclo dei prodotti al di la del settore specifico. La bioeconomy è una necessità per l’ambiente, per i posti di lavoro e per la competitività del sistema Europa. Per tale motivo l’Unione ha stabilito di investire massicciamente nel settore. L’approccio è quello dell’integrazione delle filiere di differenti settori produttivi chiamati ad interagire con il mondo dell’industria chimica, delle biotecnologie, della produzione di energia di origine non fossile utilizzando differenti risorse quali gli scarti agricoli o colture dedicate (es. il cardo e tante altre), da trasformare in prodotti ad alto valore aggiunto. Naturalmente mettendo in sinergia differenti tecnologie, la scienza dei nuovi materiali, la bioingegneria ed altre competenze ancora. La Commissione europea svolge il proprio ruolo sviluppando strategie di supporto ai processi di sviluppo della bioeconomia e per fare si che le ricerche in atto si trasformino in opportunità di mercato e di lavoro e nuova occupazione. Si stima, per tale scopo, una dispononibilità finanziaria dell’Unione di oltre quattro mila milioni di euro da destinare principalmente alla realizzazione di progetti di ricerca e, soprattutto, agli investimenti, oltre che per la creazione di dimostratori della bioeconomia. E’ stato costituito un gruppo di trenta esperti internazionali che coopera con la Commissione per implementare i progetti di bioeconomia operando su tre direttrici. Un’azione che riguarderà investimenti in ricerca e innovazione e la definizione di nuove competenze e cercherà di fare sinergie tra le diverse tipologie di finanziamento europee nazionali, regionali e investimenti privati per far si che si operi insieme nella stessa direzione e che i fondi siano utilizzati per rendere più “potente” la portata dei progetti che saranno realizzati. A quest’azione si accompagnerà un’attività finalizzata ad aiutare a sviluppare i mercati, a spingere per la competitività dei settori. Ed infine una terza azione che sarà finalizzata a rafforzare sempre di più il coordinamento tra le policy in settori che non sono strettamente collegati alla ricerca e all’innovazione ma che perseguono gli stessi obiettivi generando quindi una forte interazione con i fondi della politica agricola, della pesca e altri ancora.Oltre l’Europa anche altri paesi hanno compreso le potenzialità della bioeconomia e stanno investendo a loro volta cifre considerevoli per colmare i loro ritardi. C’è bisogno quindi di velocità e di cifre importanti per far si che non si rimanga indietro nella competizione internazionale. La sfida, per l’Europa, si gioca tutta intorno all’aumento del supporto alla costruzione di impianti di dimostratori e bioraffinerie. E’ operativa una piattaforma pubblico-privata costituita da un insieme d’imprese, da associazioni e università che si pone l’obiettivo di lavorare sulla biomassa, sulle bioraffinerie e sui prodotti e i mercati per far sì che la filiera risulti funzionale dal punto di vista delle tecnologie, dell’apporto di materie prime e in termini di corretto inserimento nel mercato. Il progetto Matrìca per la chimica verde si colloca all’interno di queste dinamiche, può essere una parte significativa all’interno dei processi in atto per lo sviluppo della bioeconomy e può rappresentare un’importantissima occasione di riconversione dell’apparato industriale chimico isolano verso produzioni biocompatibili.
** – Approfondiremo altri temi presentati nel convegno internazionale sulla bioeconomy, svoltosi a Sassari nel mese di Settembre, con articoli che seguiranno.

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