VI DICO PERCHE’ I LAVORATORI DELL’ALCOA NON DEVONO ANDARE PIU’ A ROMA

CSS 1Lettera di Giacomo Meloni, Segretario nazionale della della Confederazione Sindacale Sarda

Confederazione Sindacale SardaSEGRETERIA GENERALE
Via Roma, 72 – 09123 Cagliari
Tel. 070.650379 – Fax 070.2337182
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SINDACADU DE SA NATZIONE SARDA – SINDACATO DELLA NAZIONE SARDA
VI DICO PERCHE’ I LAVORATORI DELL’ALCOA NON DEVONO ANDARE PIU’ A ROMA
Ho un grande rispetto delle RSU e dei lavoratori dell’Alcoa, meno dei loro rappresentanti Sindacali Territoriali e per nulla del Presidente Cappellacci e degli Assessori Regionali di questa Giunta colpevoli di nascondere la verità ai lavoratori ed alle loro famiglie.
Che senso ha andare ancora una volta a Roma a manifestare davanti al Ministero dello Sviluppo col rischio di essere manganellati com’è già avvenuto senza neppure le scuse formali.
L’Alcoa che abbiamo conosciuto non esiste più da anni ed è veramente triste che i 474 dipendenti siano ingannati dalla politica che ha l’unico scopo di tenerseli buoni fino almeno alle prossime elezioni regionali.
Quando le Organizzazioni Sindacali e la Giunta Reg.le invocarono da Bruxelles la cancellazione della pesante multa di 400 milioni di euro, comminata all’Alcoa per infrazione per gli aiuti di stato goduti nel tempo, si ottenne soltanto che la stessa fosse diminuita; ma recentemente la UE ha confermato la multa e sicuramente l’Alcoa anche per questo fatto non ritornerà sulla decisione di disinvestire in Sardegna, avendo tra l’altro già spostato la produzione di alluminio in altre località più convenienti soprattutto sui costi energetici.
Mi fa indignare come ci siano ancora ministri, assessori regionali, amministratori locali e purtroppo anche sindacalisti che promettono, sapendo di mentire, di strappare all’Europa aiuti per dimezzare i costi energetici di produzione.
Fino a quando questi signori avranno la spudoratezza di mentire ai lavoratori e di prenderli in giro?
E fino a quando i lavoratori dell’Alcoa sopporteranno che questi signori giochino sulla loro buonafede e soprattutto sulla loro disperazione alla vigilia del loro licenziamento ormai sicuro?
Mi rivolgo ai politici ed in particolare all’on. Ugo Cappellacci, a cui avevo indirizzato la lettera che qui allego, dove proponevo come Confederazione Sindacale Sarda una soluzione per l’Alcoa, rifacendomi all’esperienza dei Giapponesi che nel Mar Mediterraneo hanno delle navi che raccolgono le lattine di alluminio per riciclarle, producendo un alluminio più puro e senza inquinare e a bassi costi energetici.
Non mi sono accontentato di inviare la lettera, ma ne ho investito direttamente – andandola a trovare – la Presidente del Consiglio Reg.le on. Claudia Lombardo e gli onorevoli Capi-Gruppo a cui ho spiegato che la più grande Ditta in europa che raccoglieva lattine da riciclo era una Ditta Italiana che poi le vendeva ai giapponesi. Ma il dato più importante era questo:
L’alluminio è un materiale totalmente riciclabile. Il suo recupero e riciclo, oltre a evitare l’estrazione di bauxite (più produzione annua di 1.500 0000 ton/anno di rifiuti speciali, quali i fanghi rossi), consente di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrlo, partendo dalla materia prima. Infatti per ricavare dalla bauxite 1 kg. di alluminio sono necessari 14 kWh, mentre per ricavare 1 kg. di alluminio nuovo da quello riciclato servono solo 0,7 kWh di energia. Il riciclo dell’alluminio costituisce un’importante attività economica, che dà lavoro a molti addetti: l’Italia è il primo produttore europeo di alluminio riciclato ed il terzo nel Mondo.
Tutti ci facevano i complimenti, ma declinavano di prendere in considerazione la proposta che, secondo i più, era irrealizzabile in Sardegna dove è primario salvaguardare l’intera filiera dell’alluminio derivante dalla lavorazione della bauxite che viene importata in gran misura dall’estero perché la bauxite sarda è insufficiente. Tutto ciò per salvare l’Euroallumina dove si lavora la bauxite e si produce l’allumina, ma dove anche si produce il disastro dei fanghi rossi che minacciano di sfaldarsi dalle colline alte 30 metri e-cosa inaudita- inquinano un tratto di mare davanti a Carloforte, rovinando le attività della pesca e mettendo in difficoltà le stesse attività turistiche.
Ma per questo provvedono i carlofortini che hanno denunciato apertamente le attività inquinanti dell’Euroallumina, che, quando era in attività, copriva con i suoi fumi velenosi il cielo dell’isola di S.Pietro, i cui abitanti ignoravano i tumori alle vie respiratorie mentre ora ne sono colpiti.
Mi vergogno del fatto che gli stessi lavoratori ed i sindacati territoriali abbiano fatto istanza di disequestro al Magistrato che aveva messo doverosamente sottosequestro il lago velenoso dei fanghi rossi definiti in un dibattito pubblico dal “mitico capo incursore” delle manifestazioni operaie “perfettamente inerti e sani come la salsa del pomodoro”.
Peccato che l’Euroallumina- ora ferma per manutenzione- sia di proprietà della Ditta russa Rusal indebitata in patria – che chiede alla Regione Sardegna 30 milioni ed altri 60 milioni al Governo italiano per riavviare la fabbrica. Ma mi chiedo se la Regione Sardegna sappia calcolare costi e ricavi? Oppure, come mi è stato detto a chiare lettere conviene tacere perché: “Non ci si può mettere contro i sindacati e soprattutto gli elettori, a maggior ragione di quei territori molto sensibili e drammaticamente colpiti dalla crisi industriale e occupazionale”.
Allora è meglio la cassa integrazione e l’assistenzialismo, pur avendo costi altissimi.
Questo è il fallimento dell’attuale classe politica sarda e di quei sindacati che la sostengono, che mandano in piazza i lavoratori a gridare “Lavoro, Lavoro…”, che- come ci ha insegnato Papa Francesco nella recente visita a Cagliari, è un grido di dolore che diventa preghiera. Ma la classe Politica ed i Sindacati non possono far finta di non avere responsabilità e di non sapere che i posti di lavoro si potrebbero immediatamente attivare come i 500 posti del Progetto Geoparco e migliaia di posti di lavoro nei cantieri delle bonifiche dei territori delle fabbriche dismesse e nei Poligoni di guerra o nel coraggio di investire nell’Agroalimentare con una moderna agricoltura e pastorizia legati all’agroindustria di conservazione e trasformazione dei prodotti, settori che in tutto il mondo danno posti di lavoro, richezza e benessere.
Cagliari, 17 ottobre 2013
Il Segretario Generale della CSS
Dr Giacomo Meloni

In calce la LETTERA APERTA ALL’ON. UGO CAPPELLACCI
DEL 27/02/2009
Confederazione Sindacale Sarda
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On.Dott.Ugo Cappellacci
Presidente della Regione
Autonoma della Sardegna
c/o Presidenza RAS
Presidente@regione.sardegna.it
Oggetto: Lettera aperta al Sig.Presidente
Caro Sig.Presidente,
oggi verrà ufficializzata la sua elezione a nuovo Presidente della nostra Regione e ciò è motivo di soddisfazione e speranza, ma anche di enormi responsabilità legate all’assunzione del governo regionale in un momento di crisi globale i cui riflessi sono ancor più pesanti per la nostra già fragile economia.
So che alla drammatica emergenza occupazionale nel Programma con cui la sua Coalizione ha vinto le elezioni regionali ci sono già interessanti e concrete risposte, ma vorrei, se mi è permesso,
avvertirla del pericolo che l’emergenza possa condizionare le scelte di governo, allontanando le risposte strutturali di medio e lungo termine di cui il nostro sistema produttivo industriale ha
urgentemente bisogno.
Penso in particolare alle industrie dell’area del Sulcis-Iglesiente ed alle risposte che si debbono dare ai circa 900 lavoratori, le cui sorti dipendono dalla soluzione che si darà alla crisi della Eurallumina.
Le enormi e comprensibili pressioni sul Governo Nazionale e sulla Regione perché si trovi una soluzione-ponte che apra una immediata linea di credito alla Rusal ci appare molto rischiosa, se si
accertasse che questa Azienda avrebbe contratto debiti verso le banche e il Governo russo, i fornitori e gli stessi azionisti per un totale di 16.3 miliardi di dollari.
Forse agendo così si allungherebbe di alcuni mesi l’agonia della fabbrica, ma quei finanziamenti finirebbero davvero dentro un pozzo senza fondo.
Più opportune ci sembrano le riflessioni che il prof. Vincenzo Migaleddu, Coordinatore Area Ricerrca ISDE-Italia Medici per l’Ambiente, ha recentemente svolto sul sito dell’Associazione Nino
Carrus in data 16/01/2009 all’interno della sua pubblicazione “Procedura VAS. Osservazioni per la modifica del Piano Energetico Ambientale Regionale Sardegna (PEAR)
ai sensi dell’art.10 comma 4 parte II del Decr. Leg.152/2006 e s.m.i”.
Ci permettiamo, condividendoli pienamente come Confederazione Sindacale Sarda, di riportarne i passi più significativi relativamente all’area del Sulcis-Iglesiente.
**********
L’obiettivo del Piano relativo al “sostegno del Sistema produttivo industriale e carbonifero dell’area Sulcis-Iglesiente”, appare di sapore autarchico, datato e lontano dalle più moderne concezioni di risparmio energetico. La necessità di supportare una produzione energivora come quella dell’alluminio è nel PEARS il presupposto per la produzione di ulteriore EE da fonti fossili, solo in parte locali. La riduzione dei consumi energetici del 20% al 2020 non può essere raggiunta puntando solo sulla riduzione dei consumi energetici di tipo domestico (vedi certificazione energetica delle nuove costruzioni), ma deve partire dalla riconversione di un sistema produttivo a bassa efficienza come la produzione di alluminio dalla bauxite.
L’alluminio è un materiale totalmente riciclabile. Il suo recupero e riciclo, oltre a evitare l’estrazione di bauxite (più produzione annua di 1 500 0000 ton/anno di rifiuti speciali, quali i fanghi rossi), consente di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrlo, partendo dalla materia prima. Infatti per ricavare dalla bauxite 1 kg. di alluminio sono necessari 14 kWh, mentre per ricavare 1 kg. di alluminio nuovo da quello riciclato servono solo 0,7 kWh di energia. Il riciclo dell’alluminio costituisce un’importante attività economica, che dà lavoro a
molti addetti: l’Italia è il primo produttore europeo di alluminio riciclato ed il terzo nel Mondo. Una nuova quota di tale produzione e occupazione dovrebbe essere assegnata alla Sardegna: ciò garantirebbe con maggiore efficacia il raggiungimento dell’ obiettivo della stabilità “socio-economica”della comunità dell’isola. La mancanza di competenze multidisciplinari nella stesura del PEARS emergere chiaramente nell’assenza di una seria analisi sui costi sanitari delle attuali strategie industriali ed energetiche. Fra tutte le normative considerate nella stesura del piano mancano quelle che saldano le attività produttive ed energetiche alle ricadute sulla salute dei cittadini, attraverso il cambiamento della qualità dell’aria. Non viene dunque preso in considerazione il D.Lgs 351/99 “attuazione della direttiva 96/66 CE in materia di valutazione e gestione dell’ambiente aria”.Tale norma, seppur non recente, si ritrova ancora inapplicata nell’isola per quanto riguarda l’art 1-finalità, comma d, che impone di mantenere “la qualità dell’ aria ambiente, laddove è buona e migliorala negli altri casi”.
E’ noto come un sistema regionale di centraline di rilevazione efficiente ed efficace sia ancora progettualità sulla carta, mentre nei fatti si ritrovino “controllati” che si controllano con centraline proprie.
I dati del registro Tumori della provincia di Sassari sull’elevata incidenza di tumori tra i lavoratori dell’area industriale di Porto Torres, nono sono confortanti; quelli più recenti che riguardano l’incremento annuo dei tumori nella prima infanzia e nell’adolescenza nell’intera provincia di Sassari, caratterizzati da incidenze superiori al 2% dell’incremento annuo della penisola (1% negli altri paesi europei; 0,7 negli Stati Uniti), sono anch’ essi significativi per le ricadute di un certo sistema industriale sulla salute delle fasce biologicamente più vulnerabili della società; l’esistenza
di dati solo per la provincia di Sassari dimostra l’arretratezza del sistema sanitario regionale che anche l’ultima gestione non è riuscita a sanare. Invero, i dati biostatistici sulle 18 aree a forte impatto ambientale sono frutto dell’ impegno dell’ultimo assessorato alla sanità, anche se a tale
impegno non ha fatto seguito una adeguata progettualità di prevenzione primaria inserita nel piano
sanitario regionale. Tra i dati raccolti in queste aree della Sardegna (circa 900 000 persone) il sesso
maschile mostra un tasso di mortalità indicizzato per età per mille abitati per anno, più elevato
rispetto all’intera penisola italiana, val padana compresa (84.4 v/s 80.8). Il rapporto Censis del
dicembre 2007 riporta altri dati su cui riflettere ; tra questi, un rilievo particolare merita l’indicatore
sintetico della salute che come si osserva, ci vede all’ultimo posto nel paese.
**********
Caro Sig.Presidente,
chiediamo scusa se proprio nel giorno della festa per il suo insediamento al Governo della Regione, le poniamo questi problemi,ma siamo convinti che la sua grande sensibilità ed apertura al sociale saprà accogliere anche questo nostro contributo che come CSS vogliamo dare perché le scelte che il Governo e la Regione si accingono a fare per il sostegno del sistema produttivo industriale della Sardegna, legato in gran parte al Piano Energetico Ambientale, siano scelte coraggiose e giuste che aiutino i Sardi e la Sardegna ad intraprendere decisamente la strada del nuovo sviluppo e proprio la soluzione della crisi dell’Eurallumina potrebbe segnare la svolta nella salvaguardare insieme ai posti di lavoro l’ambiente e la salute delle popolazioni direzione di uno sviluppo ecocompatibile all’interno del quale dell’intero territorio.
Con cordialità
Cagliari, 27/02/2009 Il Segretario Generale CSS
Dott. Giacomo Meloni

One Response to VI DICO PERCHE’ I LAVORATORI DELL’ALCOA NON DEVONO ANDARE PIU’ A ROMA

  1. admin scrive:

    Da La Nuova Sardegna on line del 18 ottobre 2013
    Alcoa, la Corte Ue contro L’Italia: «Recuperate 295 milioni di aiuti di Stato»
    La Corte di Giustizia dell’Unione Europea accusa l’Italia: «Dovete recuperare gli aiuti di Stato concessi all’Alcoa a Portovesme e a Fusina sotto forma di di tariffa agevolata per l’energia elettrica»

    «L’Italia è venuta meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all’Alcoa sotto forma di tariffa agevolata per l’elettricità«. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che si è pronunciata riguardo a un ricorso presentato dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia. L’Alcoa dal 1996 ha beneficiato di una tariffa agevolata per l’elettricità destinata a due stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l’altro in Veneto (Fusina), grazie a un contratto con Enel. La tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata autorizzata dalla Commissione Europea, che aveva ravvisato l’insussistenza di un aiuto di Stato in quanto, all’epoca, si trattava di un’operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni di mercato. La tariffa è stata prorogata a due riprese – prima fino al giugno 2007, poi fino al 2010 – senza essere adattata all’evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e non corrispondeva più alle condizioni del mercato. L’importo equivaleva alla differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia elettrica (Enel) e il prezzo agevolato. Nel 2009 la Commissione Europea ha ritenuto che queste proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell’Alcoa, procurandole quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Le proroghe «costituivano pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l’Italia doveva recuperare, interessi compresi – sottolinea la Corte -. L’Italia doveva inoltre annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l’importo complessivo dell’aiuto da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonchè i documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al rimborso dell’aiuto«. Secondo l’Italia, l’importo da recuperare ammontava a circa 295 milioni di euro, di cui 38 milioni di interessi. La Commissione Europea, ritenendo che l’Italia non avesse rispettato nè l’obbligo d’informazione nè l’obbligo di recupero, ha presentato ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di Giustizia. Nella sua sentenza, la Corte ricorda che «lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l’esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute. Il recupero va effettuato senza indugio e un recupero successivo ai termini impartiti non può soddisfare i requisiti del Trattato«. «Poichè la decisione 2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il 20 marzo 2010 – prosegue la Corte -. A tale data non era stato recuperato l’intero aiuto. Al contrario, il procedimento di recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso, ossia più di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione. Secondo costante giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione è quello dell’impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi – spiega ancora la Corte di Giustizia Europea -. Tanto nei suoi contatti con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l’Italia non ha mai fatto valere un’impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonchè la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l’Alcoa«.

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