Elezioni sarde: una forte compagine di centro sinistra, degli indipendentisti e dei sovranisti per vincerle!

lampadadialadmicromicro mongolfiera KandisckySi vota il 16 febbraio. Il tempo è breve (per un’ennesima decisione scorretta e forse illegittima di Cappellacci) ma deve essere sufficiente per una campagna elettorale che ci consenta di liberarci del peggior governo che abbia mai avuto la Sardegna: quello delle giunte Cappellacci. A una compagine formata dai partiti del centro sinistra e delle formazioni politiche indipendentiste e sovraniste questo compito e la responsabilità di dare un nuovo governo e una nuova prospettiva alla Sardegna!
ALCUNE ANALISI (segue)

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“Detto e fatto”: candidato e condannato. Quando commentare è superfluo
Articolo pubblicato il 28 dicembre 2013 da SardiniaPost

Dunque le vicende della Sardegna (del suo governo, del suo futuro) saranno definite entro il 12 gennaio. Entro quel giorno, infatti, gli aspiranti governatori dovranno presentare la loro candidatura. E’ quanto si ricava mettendo assieme la data appena indicata dal governatore in carica per il voto – il 16 febbraio – e le regole elettorali. Un calcolo che abbiamo fatto velocemente, con l’aiuto di alcuni addetti ai lavori, ma che dovrebbe essere preciso. Se non lo fosse, la variazione sarebbe comunque di pochi giorni. La sostanza non cambierebbe.

La “sostanza” – che ricaviamo dall’incrocio della cronaca politica con quella giudiziaria – dice che il 13 gennaio la magistratura pronuncerà la sentenza nel processo che vede il governatore Cappellacci accusato di bancarotta. Se sarà accolta la richiesta del pubblico ministero, avremo un caso probabilmente unico nel panorama politico nazionale. Quello di un governatore candidato e condannato. Una cosa che ricorda, in modo sinistro, quel “detto fatto” col quale lo stesso Cappellacci ha inaugurato (al solito con i nostri soldi) la sua campagna elettorale.

Questo che state leggendo è un articolo collocato in uno spazio di solito riservato ai commenti. Ma oggi si fa eccezione. Lo dedichiamo esclusivamente a riportare la notizia che avete appena letto. Ogni commento, evidentemente, è superfluo.
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L’analisi di GIOMMARIA BELLU (SardiniaPost)
L’ANALISI. Il centrosinistra e il “nuovo candidato”. Cosa succede se la Barracciu si ritira
Articolo pubblicato il 29 dicembre 2013 (SardiniaPost)

Cosa farà Francesca Barracciu? La risposta a questo punto deve arrivare a tempo di record. E’ evidente a tutti che il governatore Ugo Cappellacci ha accelerato al massimo le procedure elettorali anche perché conta di trarre qualche vantaggio dalla confusione che ancora regna nel centrosinistra, oltre che per creare difficoltà alle organizzazioni politiche che – come per esempio Sardegna Possibile e il Movimento 5 stelle – non hanno rappresentanti in consiglio regionale e, per poter presentare le liste, dovranno avviare una raccolta di firme a tempo di record.

Ma nel caso in cui la vincitrice delle primarie del centrosinistra decidesse di fare il famoso “passo indietro” – per motivi di opportunità legati all’indagine giudiziaria nella quale è coinvolta – si porrebbe immediatamente il problema di individuare il nuovo candidato (o la nuova candidata) della coalizione. In che modo?

I tempi sono strettissimi: meno di due settimane. Quindi è del tutto escluso che la scelta possa essere effettuata attraverso delle nuove primarie. Manca il tempo materiale per svolgerle. D’altra parte, la proposta avanzata dalla cosiddetta “ala soriana” di creare una sorta di “direttorio” per guidare il Pd sardo in attesa del congresso appare anche un tentativo di rispondere a questo delicatissimo problema. In sostanza, la scelta del candidato verrebbe fatta da una sorta di “comitato di saggi” in grado, nel suo complesso, di rappresentare il partito.

Un altro punto fermo è che l’eventuale passo indietro di Francesca Barracciu dalla candidatura non sarebbe (a meno che non fosse lei stessa a fare questa scelta) un “passo indietro” dal vertice del Pd isolano. Si tratterebbe di una decisione assunta per ragioni di opportunità da un esponente politico che ha detto più volte di non avere alcuna preoccupazione per gli esiti dell’indagine giudiziaria. Quindi il ritirarsi dalla corsa per il governatorato non metterebbe in discussione il suo ruolo interno. Anzi, potrebbe rafforzarlo. Tanto più che oggi l’eurodeputata, proprio in virtù del risultato ottenuto alle primarie, è tra gli esponenti del Pd sardo l’unico ad avere avuto di recente un’investitura dalla base.

In definitiva è ragionevole pensare che la Barracciu avrebbe voce in capitolo nella scelta del nuovo candidato. Assieme ai componenti del ‘direttorio’ i quali – stando anche al risultato sardo delle primarie nazionali – dovrebbero essere fortemente rappresentativi della componente renziana (della quale la stessa Barracciu fa parte) e civatiana. Da questo punto di vista, l’assemblea che si è tenuta sabato a Tramatza dà un’idea abbastanza precisa della nuova maggioranza del Pd isolano. Quella che, dopo le elezioni, sarà formalizzata del congresso.

Ma chi potrebbe essere il nuovo candidato? Alcuni nomi circolano da molto tempo. Sono quelli di Franco Siddi, segretario nazionale del sindacato dei giornalisti, e dell’economista Francesco Pigliaru, già assessore nella prima giunta Soru. Oggi la Nuova Sardegna ne indica altri: Arturo Parisi, già ministro e braccio destro di Romano Prodi, l’ex deputato Guido Melis, e un altro ex assessore della giunta Soru, Carlo Mannoni.

Di certo, l’eventuale nuovo candidato dovrà avere alcune precise caratteristiche. Intanto, benché “scelto dai sardi”, dovrà godere della piena fiducia della nuova segreteria nazionale. E’ chiaro, infatti, che un intervento di Matteo Renzi nella campagna elettorale sarda potrebbe fare la differenza. E poi dovrà essere una personalità già nota all’elettorato. I tempi strettissimi rendono molto improbabile la scelta di una figura del tutto nuova alla politica. A meno che non si tratti di una personalità della società civile di enorme notorietà. Una figura, per dare l’idea, come Bianca Berlinguer o Giovanni Floris. Nomi che nei mesi scorsi sono stati fatti.

Ma c’è un altro elemento di cui tenere conto. Un elemento che porta a escludere la possibilità della candidatura di una “star sarda” della tv nazionale. O comunque di una “star”. Ed è il fatto che queste elezioni – per via di una legge elettorale che non prevede il ballottaggio e della frammentazione del quadro politico – sono dall’esito molto incerto. Nessuno ha la vittoria in tasca. Ed è davvero difficile che figure come quelle citate accettino di esporsi al rischio, non piccolo, di una sconfitta. Col conseguente devastante danno di immagine che ne seguirebbe. Per assumersi un rischio del genere è necessario essere animati da un certo grado di militanza.

I nomi che circolano corrispondono a queste caratteristiche e sono tutti “papabili”. Parisi, Siddi, Pigliaru, Melis e Mannoni sono figure diverse tra loro, ma hanno alcune caratteristiche comuni. Intanto sono tutte note all’elettorato del centrosinistra, almeno a quello più attento che poi costituisce la base dell’opinione pubblica capace di orientare il voto in tempi rapidi. Sono interne alla politica ma distanti dagli scontri che hanno diviso il Pd isolano. E hanno esperienza di governo, come assessori (Pigliaru e Mannoni) o come ministri (Parisi), o di gestione di organizzazioni complesse (Siddi), o hanno una conoscenza profonda, anche per motivi accademici, dei meccanismi dell’amministrazione ( Melis).

Ovviamente la condizione preliminare è, oltre al “passo indietro” della Barracciu, l’accettazione convinta da parte del partito (non solo la nuova maggioranza ma anche di larga parte della vecchia) del sostituto. E qua sarà decisiva la capacità del nuovo vertice “di fatto” del Pd isolano di mettere da parte le divisioni interne per concentrarsi nella campagna elettorale. Con un sostegno forte e convinto dell’eventuale nuovo candidato. Il quale molto difficilmente potrebbe farsi carico di un rischio (politico e di immagine) così alto in un clima di scontro. La via, insomma, è molto stretta. Ed è questa una delle ragioni per cui il “passo indietro” è tutt’altro che scontato. Ma per avere la risposta si tratta, a questo punto, di attendere qualche giorno. Forse qualche ora.

G.M.B.
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L’analisi di VITO BIOLCHINI (http://www.vitobiolchini.it)

Tramatza story, ultima chiamata per il Pd. Nelle mani di Soru il “Mary pass” per mandare Pigliaru in touchdown
by vitobiolchini, pubblicato il 29 dicembre 2013

Mancano cinquanta giorni alle elezioni regionali, due settimane alla presentazione delle liste e il fronte progressista sardo non ha ancora deciso definitivamente quale sarà il suo candidato alla presidenza della Regione né tantomeno l’alleanza che lo dovrebbe sostenere: per Ugo Cappellacci la rielezione è veramente a portata di mano. Basterebbe questo a bocciare in blocco la classe dirigente di quello che una volta si chiamava centrosinistra e che oggi non è altro che una galassia di potentati vecchi e nuovi, a cui la severa lezione dello tsunami grillino dello scorso febbraio (quando il M5S raccolse in Sardegna il trenta per cento dei consensi) non ha insegnato nulla se non ad essere più arroganti e più gelosi del proprio squallido potere personale.

Stamattina l’assemblea regionale del Pd si contorcerà nelle ultime convulsioni prima di vomitare al mondo l’unico nome che la pancia del partito ha provato a digerire, quello dell’inquisita Francesca Barracciu.

Per capire la portata del disastro prossimo venturo bisognerebbe ripercorrere il percorso che sta portando a questo suicidio politico, partendo dal tentativo di tutti i partiti dell’alleanza di non far svolgere le primarie, poi di promuoverne una partecipazione limitata, poi di rimandare di settimana in settimana la fissazione dei termini di partecipazione fino a imporre un numero spropositato di firme da raccogliere in piena estate con il chiaro intento di limitare le sorprese e fare il gioco degli apparati. Contestualmente si parlava a vuoto di programma, si perdeva tempo, in un inutile gioco tattico volto solamente a tutelare le posizioni apicali dei partiti, grandi e piccoli, le loro rendite di posizione, le loro smanie di candidatura e di elezione.

La responsabilità di questo disastro non è solo del Pd, ma anche di Sel, Rossomori e degli altri partiti minori, sempre pronti a bacchettare il partito di maggioranza della coalizione ma assolutamente incapaci di proporre una seria candidatura alle primarie. Sel si è impegnata più di tutti, arrivando addirittura a teorizzare il non svolgimento delle primarie e disorientando l’elettorato con dichiarazioni ambigue ed altalenanti dei suoi maggiori dirigenti, un giorno pronti ad aprire ai Cinquestelle, un altro a Michela Murgia, un altro ancora rassicuranti sul futuro dell’alleanza di centrosinistra. Una follia.

La lettera divulgata ieri dai giovani del centrosinistra (in realtà gran parte di Sel) certifica l’irrilevanza politica della sinistra in Sardegna, la sua totale subordinazione al Pd, la sua incapacità di immaginare un percorso originale e innovativo. Oggi la sinistra sarda sa solo riproporre schemi funzionali alla riproduzione e al carrierismo del suo ceto politico, e nulla più.

In casa Pd invece tutto il periodo che ha preceduto le primarie è stato caratterizzato dal tormentone Soru. L’ex presidente, recordman di assenteismo in consiglio regionale, ha messo sotto scacco il partito, minacciando a più riprese un suo improvvido ritorno in campo. Una posizione talmente assurda da fare il gioco della vecchia guardia del partito, tutta tesa a salvare le posizioni di potere acquisite negli anni.

Ma era chiaro che, nel bene o nel male, la scelta del candidato presidente sarebbe spettata a lui. Ma Soru invece che fare politica pensava a se stesso, alla sua rivincita. Alla fine però ha dovuto cedere e in extremis, al momento di decidere chi proporre, ha scelto Francesca Barracciu, con la quale nei mesi precedenti si era scontrato in maniera molto dura: una guerra di posizione in vista della candidatura che ha visto prevalere l’ex sindaco di Sorgono.

Della Barracciu si possono dire tante cose. La sua inadeguatezza politica è emersa in questi due mesi e mezzo che hanno seguito la sua vittoria alle primarie (modesta per partecipazione e qualità del voto, con mille elettori a Sorgono e meno di tremila a Cagliari…) ed è esplosa con il suo coinvolgimento nell’inchiesta sui fondi ai gruppi. Ma Francesca Barracciu non è solo una donna che si è costruita certosinamente questa scalata a viale Trento, arrivando perfino a vivere come un impaccio la nomina di europarlamentare dopo l’elezione di Crocetta alla Regione, no: Francesca Barracciu è stata scelta da un mondo, quella della destra del Pd, quale garante di interessi nazionali molto chiari.

Gianfranco Macciotta (uno dei pochi esponenti del Pd sardo ancora ascoltati a Roma) lo ha detto chiaramente in un suo intervento terrificante (per contenuti, e per toni) pubblicato nei giorni scorsi dalla Nuova Sardegna: la Barracciu non si tocca, non si può toccare. Neanche se è indagata. E perché? Ve lo dico io: perché deve garantire quei grandi poteri nazionali (immagino Eni ed Enel, ma anche le grandi industrie militari che senza i poligoni sardi entrerebbero in crisi) dal rischio di una politica che metta prima gli interessi della Sardegna. Ecco perché l’indipendentismo e il sovranismo sono lo spauracchio della destra del Pd di cui Macciotta è indiscusso campione (e La Nuova Sardegna megafono privilegiato). Ecco perché la Barracciu dice sì all’impresentabile e inconsistente Partito Sardo d’Azione e no al Partito dei Sardi, alla proposta di Michela Murgia e a tutti gli altri sovranismi. Perché il suo programma deve tutelare lo status quo, non può certo spingere al cambiamento radicale che serve alla Sardegna.

Il permanere in campo della Barracciu non è solo il frutto della sua arroganza o dell’incapacità politica di Soru, ma soprattutto della volontà della destra del Pd di blindare la tutela degli interessi italiani che hanno trovato nella parlamentare europea una valida rappresentante.

Però la partita non è ancora finita. Anche i meno avveduti sanno che la candidatura della Barracciu può determinare per il Pd una disfatta e non solo una disonorevole sconfitta. Nomi alternativi in campo ce ne sono ma uno più di tutti può raccogliere consensi, a Roma come in Sardegna. Da settimane gli sherpa della politica lavorano sottotraccia con tante comprensibili cautele ma ormai non ha più senso nascondere il fatto che l’economista Francesco Pigliaru sia ritenuto da molti la più valida alterativa all’impresentabile vincitrice delle primarie.

Pigliaru finora non è voluto uscire allo scoperto, e c’è da capirlo: perché su di lui pesa il veto irremovibile di Renato Soru. L’ex presidente non ha perdonato a quello che è stato il suo assessore al Bilancio e alla Programmazione l’opposizione al progetto di voler accorpare la spesa in capo alla presidenza e che determinò l’uscita dall’esecutivo dell’economista.

Se Soru oggi facesse un gesto di generosità e proponesse a Tramatza il nome di Pigliaru la candidatura della Barracciu con forte probabilità tramonterebbe. Perché troverebbe sponda nella corrente di Antonello Cabras, innanzitutto. Perché avrebbe il via libera di partiti come Sel (che chiedono solo disperatamente un altro nome), e riavvicinerebbe anche i sovranisti. Certo, altri problemi politici resterebbero aperti, apertissimi: ma almeno non si avrebbe un candidato indagato.

Pigliaru è la migliore candidatura possibile? Forse no: ma è l’unica ora possibile contro quella inverosimile della Barracciu. Soru ha l’ultima possibilità per provare a raddrizzare una situazione che lui più di altri a contribuito a provocare. Finora ha sbagliato tutte le mosse, dimostrando che la politica non fa per lui e che farebbe meglio ad occuparsi nuovamente a tempo pieno delle sue imprese. Ora però ha in mano la palla per quello che nel football americano si chiama “lancio dell’Ave Maria”: a tempo quasi scaduto, da distanza siderale, si scaglia l’ovale il più lontano possibile, alla cieca, sperando che ci sia un ricevitore a raccoglierla, andare in touchdown e regalare la vittoria alla sua squadra.

A questo si sono ridotti il Pd e gli altri partiti sardi del fu centrosinistra: a sperare nella Madonna. Ma altra scelta non c’è.
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