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L’Unione Sarda, 01 febbraio 2014

Una crescita intelligente
Definiti priorità e obiettivi per i prossimi 7 anni – Predisposto un documento di programmazione dei fondi comunitari

Il 2014 sarà un anno di novità: nuova programmazione europea e nuova legislatura. A livello comunitario, nella “Strategia 2020”, sono state definite tre priorità fondamentali connesse tra loro: crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Per concorrere a tali finalità e orientare nella direzione stabilita le risorse comunitarie disponibili a livello regionale, è stato predisposto il Documento Strategico Unitario per la programmazione dei fondi comunitari (DSU). In questo documento sono state definite le priorità da assumere nel prossimo settennio e fissate le premesse per l’elaborazione dei programmi – strutturati ed incardinati su un sistema di indicatori misurabili – che dovranno essere espressione diretta di strategie organiche di sviluppo.
Per valutare gli avanzamenti nel perseguimento della Strategia Europa 2020, la Commissione Europea individua una serie di indicatori che attengono ai temi dell’occupazione, degli investimenti in R&S, dei cambiamenti climatici e dell’efficienza energetica, dell’istruzione e della povertà, in relazione ai quali sono stati fissati target diversi per ogni Paese Membro.
Questo significa che nel processo di programmazione regionale, considerato l’orientamento al “risultato” che ispira questo nuovo ciclo di programmazione, sarà attribuito un ruolo fondamentale alle attività di valutazione della fattibilità degli obiettivi che la Regione intende raggiungere nel periodo 2014-2020. I nuovi regolamenti comunitari si riferiscono in questo caso alla valutazione ex-ante che ha diversi obiettivi, tra cui: “valutare la coerenza dell’asse- gnazione delle risorse di bilancio con gli obiettivi del programma” e “in che modo i risultati attesi contribuiranno al conseguimento degli obiettivi”.
La valutazione è pertanto un “must” nei programmi comunitari, non si può decidere di non farla. Si può scegliere però tra farla correttamente, per utilizzare al meglio i risultati e aiutare i decisori pubblici a prendere delle “decisioni informate”, piuttosto che farla per mero obbligo normativo, considerandola una semplice appendice del Programma.
In aggiunta a ciò, il momento storico fortemente caratterizzato da scarsità di risorse, ci riporta alla mente una regola basilare dell’economia. Robbins sosteneva infatti che “data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi”. In altri termini, considerata la scarsità di risorse pubbliche a disposizione è fondamentale fare delle scelte e stabilire quali politiche adottare per contribuire alla ripresa della regione. A tal fine la valutazione consente di capire se le politiche avranno degli effetti, quando (nel breve o nel medio-lungo periodo) e, soprattutto, su quali individui o su quali macro-variabili (tasso di disoccupazione, tasso di crescita del Pil, tasso di inflazione).
I modelli di valutazione verranno, quindi, stimati considerando che le politiche interagiscono tra loro e che ognuna di esse ha degli effetti diretti ma potrebbe averne anche di indiretti, positivi o talvolta anche negativi. Si dovranno pertanto stabilire le interazioni esistenti sia tra politiche micro, che agiscono su “gruppi di beneficiari omogenei” – si pensi a titolo di esempio agli interventi di contrasto all’abbandono scolastico o a quelli contro la disoccupazione giovanile – sia tra politiche che coinvolgono diversi livelli. Il caso tipico è quello in cui delle politiche macro, come quelle di rilancio dell’economia regionale, interagiscono con politiche micro rivolte a una selezione di settori produttivi e ambiti tecnologici da promuovere, sui quali concentrare gli interventi.
Il lavoro del valutatore inizia perciò ipotizzando un legame causale tra gli interventi e gli effetti di questi (elemento richiamato costantemente nei documenti preparatori del nuovo ciclo di programmazione) e procede poi sottoponendo a verifica empirica queste relazioni.
Questo non vuol dire demandare al valutatore la scelta delle politiche da attuare, che rimane comunque di competenza del politico che ha un mandato elettorale, significa invece consentire al politico di prendere decisioni “informate” sulle politiche che intende adottare e di rendicontare ai cittadini l’uso delle risorse pubbliche.
Lucia Schirru
Giorgio Garau

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L’Unione Sarda, 01 febbraio 2014

Razionalizzare
le agevolazioni

Daniele Bondonio* – Intervento cruciale in uno scenario di crisi

Le politiche di aiuto alle imprese, negli ultimi decenni, hanno mantenuto in Europa e in Italia un ruolo di primaria importanza. Nell’ultimo ciclo di programmazione delle risorse comunitarie circa 6-8 miliardi di euro sono stati spesi ogni anno nell’Ue per interventi a supporto delle spese di investimento delle imprese. In ogni regione italiana, negli ultimi anni, sono stati operativi in media quasi una quindicina di interventi agevolativi di fonte legislativa nazionale e un largo numero di agevolazioni di base legislativa regionale.
Nell’attuale scenario di crisi economica risulta sempre più cruciale, anche nel nostro paese, razionalizzare il variegato quadro delle agevolazioni e indirizzare verso gli strumenti maggiormente efficaci le limitate risorse pubbliche disponibili. Per ottenere tale risultato, uno strumento di rilevante importanza è rappresentato dalla valutazione d’impatto controfattuale. Questo tipo di analisi mira a valutare l’impatto di un intervento pubblico su risultati utili per la collettività, quali ad esempio l’incremento occupazionale, degli investimenti, della produzione e/o del livello di innovazione.
Altro elemento distintivo di questo tipo di analisi è la definizione di impatto come la differenza tra gli incrementi di investimento/occupazione/produzione/innovazione registrati nelle imprese agevolate e i cambiamenti che si sarebbero verificati in assenza dell’intervento pubblico. Tale differenza definisce l’effettiva “addizionalità” dell’intervento pubblico, elemento essenziale per produrre un impatto positivo per la collettività.
Quest’ultimo aspetto è di estrema importanza: non sempre le agevolazioni con la maggiore richiesta da parte delle imprese rispetto ai fondi disponibili, o con la migliore gestione amministrativa dei loro aspetti procedurali sono quelle che producono la maggiore addizionalità. Ciò si verifica ad esempio (anche in presenza di interventi molto ben gestiti) ogni volta che una impresa incamera gli aiuti per investimenti che ha già deciso di intraprendere e che realizzerebbe comunque anche in assenza dell’agevolazione.
Una recente valutazione d’impatto controfattuale prodotta per la commissione europea su dati italiani (di cui chi scrive è stato responsabile scientifico), ha evidenziato come i contributi a fondo perduto creino in media meno addizionalità occupazionale, di investimenti e di fatturato, in rapporto alla spesa pubblica sostenuta, rispetto ai finanziamenti agevolati. Questi ultimi creano maggiore addizionalità per le piccole imprese rispetto alle grandi imprese, evidenziando come una delle principali criticità degli ultimi anni su cui le agevolazioni pubbliche devono intervenire sia la difficoltà di accesso al credito per le imprese che non hanno i mezzi per offrire adeguate garanzie bancarie. Sulla base di questi risultati la commissione europea si appresta a redigere le linee guida per l’utilizzo dei fondi strutturali europei in cui saranno probabilmente escluse le grandi imprese per alcune tipologie di agevolazione.
*Professore di Statistica economica presso l’Università del Piemonte orientale
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L’Unione Sarda, 01 febbraio 2014

È necessario migliorare
l’efficacia della spesa

Paolo Mattana* – Scelta oculata delle risorse pubbliche

È sempre più pervasivo, nel dibattito pubblico, il richiamo alla valutazione dell’intervento pubblico come leva per migliorare l’efficacia della spesa. Non è solo la severità dell’attuale congiuntura a spingere per meccanismi che consentano una scelta oculata tra gli usi alternativi delle risorse pubbliche, ma anche un ormai acquisito approccio culturale dell’opinione pubblica che, dopo un lungo periodo di benign neglect, esige che l’operato del decisore pubblico sia sottoposto a esame da parte di soggetti indipendenti che esprimano giudizi validabili dalla comunità scientifica sull’opportunità, il disegno, le performance e gli effetti degli interventi posti in essere.
Esigenze ormai ineludibili di valutazione emergono sia in ambiti prettamente settoriali, quali quello delle politiche del lavoro, dell’abbandono scolastico, dello sviluppo rurale – in cui il decisore pubblico è chiamato a giustificare l’uso di imponenti risorse a fronte di risultati che appaiono quantomeno deludenti – sia in ambiti più generali, dove l’intervento pubblico complessivo concorre con le dinamiche del settore privato nel determinare la performance relativa di un paese/territorio. L’attività di valutazione può prodursi ex-ante, rispetto a un’azione pubblica in divenire, oppure a posteriori, a verifica degli esiti ottenuti. Mentre le valutazioni ex-ante consentono di “mettere in fila” i risultati attesi da singole azioni per ottenere una migliore “messa a punto” dell’intervento o, addirittura, di motivare l’abbandono di una tipologia di intervento a favore di altre più “incisive”, le valutazioni a posteriori fotografano ciò che si è ottenuto grazie all’intervento e consentono un opportuno confronto, sia con i risultati attesi, sia con le risorse impegnate. È utile far cenno al fatto che le valutazioni ex-ante richiedono tipicamente l’uso di modelli complessi per la simulazione degli effetti; le valutazioni a posteriori necessitano invece di opportuni confronti tra la condizione osservata dopo l’intervento e una adeguata approssimazione della condizione ipotetica, detta controfattuale, che si sarebbe osservata, per gli stessi soggetti e nello stesso periodo, in assenza di intervento. Le valutazioni a posteriori sono quelle che più spesso il decisore pubblico si esime dall’intraprendere; eppure i benefici di una tale attività, in termini di “apprendimento”, per una più informata ripetizione dell’intervento, sono davvero inestimabili.
Al di là delle aperture di facciata, l’impressione è che una tale “cultura del risultato” non abbia ancora fatto breccia nella mentalità del decisore pubblico; a differenza di altri paesi, particolarmente quelli anglosassoni e scandinavi – dove le decisioni di spesa pubblica si fondano su severi processi di selezione – duole constatare come da noi l’attività di valutazione non appaia in cima alla scala delle priorità istituzionali; pur osservando che esistono marcate differenze territoriali – che per una volta non vedono la nostra Regione in posizioni di retroguardia – i decisori pubblici si affidano alle valutazioni sporadicamente, con risorse residuali e senza un’adeguata programmazione.
*Ordinario di Economia politica

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