DIBATTITO. Di sardi e di Sardegna. Ma siamo così mal presi?

Disperaz31Da Il Sole 24 Ore del 2 marzo 2014
La solitudine dei sardi in un Sud dimenticato
di Roberto Napoletano
Mi chiama Pino Aprile nella tarda serata di venerdì e mi dice con voce ferma: «Sai, mi sto convincendo che si stanno creando le condizioni per la secessione del Sud per colpa del Sud, non è giusto ma è così, hanno firmato per decreto la morte delle università meridionali e, poi, guarda la Sardegna, non esiste più, e pensare che era stata regalata al Sud per aggiustare i dati statistici del Nord, invece dipendeva dal Piemonte e se non c’era il Regno Sardo i Savoia non avrebbero mai avuto la dignità regale, sarebbero rimasti dei grandi feudatari o poco più… ». – segue –
Fa il suo, Pino Aprile, ha deciso di riscrivere la storia d’Italia, ha cominciato con Terroni e non molla: «Guarda che la solitudine della Sardegna oggi è più amara e profonda di quella della Calabria e della Sicilia, non ha treni, non ha strade, non ha lavoro, paga cara l’energia… ». Parlavo nei giorni scorsi, con qualche amico, di Mezzogiorno dimenticato, anche mediaticamente, in questa crisi terribile che “fabbrica” disoccupati e dolore e propone un’inedita questione
settentrionale: forse, anche per questo, mi colpiscono parole così dure sulla Sardegna perché Pino sulla storia si concede qualche (piccola) licenza ma sulla cronaca non conosce rivali, entra dentro, racconta quello che ha visto, tocca le corde giuste. Mi viene
voglia di sentire Mario Sechi, amico e giornalista di razza, che non ha mai lasciato con il cuore la “bellezza povera” della sua Cabras in quel di Oristano. La risposta è immediata, come sempre: «Solitudine? Guarda in casa nostra, io sono a Roma e ho fatto un bel po’ di giri, mia sorella Sara è andata prima a Londra e ora sta a Milano, mio fratello Salvatore vive e lavora in Brasile, l’altro mio fratello Pietro ha passato la vita fuori dall’isola, prima in Germania, poi in Veneto, ora è rientrato, ma la storia della nostra solitudine è un dato reale. Rispetto al passato c’è qualcosa di più. I nostri giovani vanno fuori, in sé non è un male, ma il punto è che non tornano mai, non riportano in Sardegna questa ricchezza, per chi può solo restare si tratta di fare i conti con una fatica sempre più alta, non c’è Pil, non c’è lavoro e c’è una classe politica che non mantiene nessuna delle promesse».
Mario si ferma, ha un sussulto: «Ricordati, mi diceva sempre Cossiga, che noi sardi mangiamo minestra e politica, ora vorrei potergli dire che si continua a fare (molta) politica ma è sparita la minestra». E ancora: «Gramsci era sardo e, dai Quaderni del
carcere, si è appreso che riteneva un’ingiustizia che il figlio del farmacista potesse studiare e lui no. Che cosa dire dei Berlinguer, da Sassari è partito Enrico, il sogno suo e di una famiglia che hanno fatto la storia della sinistra di questo Paese. Togliatti ha studiato a Sassari. Voglio dire che la Sardegna ha espresso una classe dirigente di primissimo piano, eppure siamo ridotti così male» . Perché? «Credimi, Cagliari è molto bella, il suo lungomare è splendido, posso dirti che la mia piccola Cabras è molto bella per il suo mare, per fare le vacanze, c’è un po’ di cuore in quello che dico ma è la verità.
Abbiamo siti archeologici romani che appartengono alla storia, un buon aeroporto a Cagliari, una stagione di turismo d’élite importante ma sempre più corta. La gente ha voglia di fare e sa fare le cose, ma è delusissima, non ci può essere lavoro in una terra dove cadono, una dietro l’altra, le fabbriche vere e quelle dell’illusione, e dove soprattutto i trasporti sono inesistenti, il costo dell’energia alle stelle, dove tutto è fermo». Lo ascolto, un brivido mi percorre la schiena. Faccio un salto indietro di quasi vent’anni, rivedo davanti ai miei occhi la faccia di Gabriele Pescatore, il Grande Elemosiniere che fece ripartire il Sud negli anni del miracolo economico, e risento una voce ancora forte che risponde alle mie domande e dice testualmente: «L’immagine del Mezzogiorno che più porto dentro di me è quella di una maestra elementare di Nuoro, Margherita Sanna, che incontrai in una delle nostre ricorrenti peregrinazioni nell’isola. Ricordo il fervore con cui descriveva, quasi come una novella Grazia Deledda, le donne sarde vestite di nero che facevano a piedi 3/4 chilometri al giorno per andare a raccogliere l’acqua sui greti dei fiumi. La Cassa ha portato l’acqua nelle case dei sardi e, forse, questo ha rappresentato uno strumento di consenso per la classe politica dominante. Che dovevamo fare, lasciare il Mezzogiorno a secco?». Pescatore portò l’acqua nelle case dei sardi e cominciò l’opera di accrescere l’offerta di infrastrutture e di servizi, gli altri, quelli che vennero dopo, si sono distratti, hanno pensato a fare politica (anche nobile) e ad assumere gente, hanno pensato meno (molto meno) alle strade e ai treni dell’isola, hanno lasciato cadere la sfida dell’innovazione. Oggi la Sardegna ha bisogno di uomini del fare come Pescatore al passo con i tempi e, purtroppo, in giro non se ne vedono. Speriamo ovviamente di sbagliarci.
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UN COMMENTO

Conclude Roberto Napoletano “… Oggi la Sardegna ha
bisogno di uomini del fare come Pescatore al passo con i tempi e, purtroppo, in giro non se ne vedono. Speriamo ovviamente di sbagliarci”. Io credo che questi “uomini del fare”( donne e uomini) esistano. Sono sardi (o anche no) in certa misura fuori dall’isola, ma anche tra di noi e che attualmente sono nascosti, magari schiacciati sotto coperchi pesanti tenuti pressati da persone che detengono il potere senza avere capacità se non appunto solo quella di “gestire il potere”. Penso solo all’Università che per varie ragioni non esercita il ruolo di motore dello sviluppo di cui avremo necessità. Ecco dobbiamo cercare di togliere questi coperchi per far emergere le persone migliori. Per fare un esempio: l’innovazione è considerata la leva più importante per il cambiamento e lo sviluppo (certe frasi sono diventate purtroppo banali e poco credibili a furia di ripeterle!) ma ci sono troppi personaggi che detengono il potere di impedire l’innovazione, pur dichiarandosene (ovviamente) paladini! A questi personaggi l’innovazione sta come la democrazia a Berlusconi: proprio non la capiscono, anche se a volte si sforzano. Ecco se si togliessero o li togliessero di mezzo avremmo risolto molti nostri problemi. Racconto ora un episodio che mi è rimasto impresso, di molti anni fa. Mi pare pertinente. Partecipavo con alcuni colleghi a un corso di formazione alla Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione, a Roma, e venne a farci una lezione il prof. Domenico De Masi, sociologo. Esordì dicendo: ho trovato a dirigere questa Scuola una persona che conosco fa tempo. Gli ho chiesto: “Come va la Scuola?” e mi ha risposto “Male. Sai manca la motivazione. Si tira a campare…. e cose del genere”. Io gli ho detto subito; “Per come mi rispondi, sono sicuro che se tu ti togliessi dalle palle, la situazione di questa Scuola migliorerebbe di colpo…” . Ecco! (Franco Meloni)

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