in giro con la lampada di aladin…

lampadadialadmicromicro Fedeltà a Renzi e tappeti rossi per le multinazionali: è questa l’idea di Pigliaru per la Sardegna?
30 agosto 2014 alle 02:20 Vito Biolchini su vitobiolchini.it

Ugo Cappellacci non ha proprio tutti i torti quando afferma che “la Giunta dei professori non produce niente di originale, ma copia e incolla le nostre azioni”: effettivamente sul San Raffaele l’esecutivo di centrosinistra e sovranista guidato da Francesco Pigliaru non avrebbe potuto soddisfare meglio le attese del centrodestra. Certo, ci sono battaglie che per loro natura uniscono gli schieramenti, ma chi come me inizia ad avere qualche capello bianco non può dimenticare la storica avversione al progetto dell’ospedale privato di don Verzè (ora fatto proprio da Qatar e Vaticano) da parte del centrosinistra sardo. - segue -

In realtà l’operazione San Raffaele fu sdoganata da Renato Soru (e non fu l’unica battaglia della destra che nel 2004 il presidente del centrosinistra fece propria, un’altra fu l’affossamento del parco del Gennargentu) anche se sotto il vigile controllo dell’assessore Nerina Dirindin, fedele paladina della sanità pubblica, che mise dei paletti molto chiari all’operazione. In parte quei paletti hanno orientato in questi mesi l’azione di Francesco Pigliaru, molto accorto nel pretendere che il via libera alla strana coppia Qatar-Vaticano potesse arrivare solo dopo le opportune deroghe concesse del governo (praticamente ciò che fin dall’inizio faceva osservare l’ex viceministro Paolo Fadda…).
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La questione San Raffaele sarebbe però rimasta ai margini della politica sarda se a riproporla con forza non fosse stato il governo nazionale. Il fallimento dell’impero di don Verzè ha infatti determinato l’impegno di ben tre tre presidenti del Consiglio (Monti, Letta e ora Renzi), tutti assolutamente risoluti nella volontà di risolvere il disastro provocato da un crack tanto miliardario quanto imbarazzante per la politica italiana. Renzi ha dunque proseguito nella linea dei predecessori, trovando in Francesco Pigliaru un sollecito esecutore delle volontà romane.

Con questo non voglio dire che il presidente sardo abbia subìto il capo del governo: proprio per niente. “Per la prima volta il Governo, in perfetto accordo con la Regione, modifica alcune norme per aprire la Sardegna a investimenti esteri qualificati che contribuiscano a farla uscire dalla crisi” si legge nel “comunicato della vittoria”. In questa frase s’intravvede chiaramente il progetto di Francesco Pigliaru per la Sardegna: totale aderenza al progetto Renzi e richiamo di investimenti “qualificati” (nel caso del San Raffaele, esteri).

Quella di Pigliaru è dunque una Sardegna che conta di uscire dalla crisi in due modi. Innanzitutto agganciandosi alla locomotiva Renzi, anche a costo di assecondare le decisioni di questo governo che evidentemente penalizzano l’isola, come ad esempio quella di abolire l’autorità portuale del nord Sardegna. Invece che protestare energicamente, Pigliaru ha preferito affermare che “nessun territorio verrà penalizzato, anzi adesso faremo in modo che questa  semplificazione sia un’occasione per il loro rilancio e per sottrarli a cieche logiche di campanile”. Se la sede dell’autorità portuale fosse stata Sassari e non Olbia probabilmente Pigliaru avrebbe reagito diversamente (e insieme a lui il presidente del Consiglio regionale Ganau e il segretario del Pd Silvio Lai).

La promessa poi che verrà impedita “qualunque forma di centralismo amministrativo cagliaritano” fa tremare le vene ai polsi: avremo presto un sassarese anche a governare i porti della Sardegna? In ogni caso l’argomento riguardante le “cieche logiche di campanile” può essere riutilizzato nel caso in cui il governo dovesse abolire la Corte d’Appello a Sassari (ipotesi che sta già facendo impazzire il Pd turritano).

In Sardegna senza autonomia non c’è democrazia, e il governo Renzi (anche con decisioni come questa che accentra le competenze dei porti un una sola autorità) indebolisce il sistema politico isolano. Ma a Pigliaru sta bene così perché Renzi non si discute: esattamente come non si discute il ministro della Difesa quando manca di rispetto all’istituzione regionale (e il presidente è stato lesto a sconfessare l’incazzatura del suo vicepresidente) e non si discute il ministro dell’ambiente quando prefigura per l’isola un futuro da “showroom per le rinnovabili” (e su questo ci torneremo).

In questo modo però l’aderenza alla politica renziana (di cui Pigliaru è stato fin da subito un convinto sostenitore) rischia però di trasformarsi in fedeltà. Se c’è invece qualcosa di cui la Sardegna ha bisogno è proprio di un rapporto costantemente dialettico con lo Stato (e che cos’è se non anche questo, il famoso “sovranismo”?). Sul San Raffaele il governo ha fissato il risultato finale e i tempi in cui raggiungerlo, lasciando alla Regione il compito di sbrogliare la matassa: tutto qui, perché il finale era già scritto fin dall’inizio e non poteva essere altrimenti visto cheRenzi oltre tre mesi fa aveva perfino costretto Pigliaru a salire sul primo aereo per Roma per firmare davanti ai flash l’accordo con il Qatar…

Chiusa la partita San Raffaele, ora si arriverà al dunque con le servitù militari e con la vertenza entrate: questa Regione sovranista e di centrosinistra continuerà ad essere accondiscendente nei confronti del governo Renzi?

Per Pigliaru però la Sardegna esce dalla anche attraendo capitali. Il che non è di per sé né giusto né sbagliato (siamo pur sempre in un sistema economico chiamato “capitalismo”): si tratta di capire di che razza di capitali stiamo parlando.

Pigliaru li vuole “qualificati”. Cioè? Le multinazionali e i fondi sovrani? Il Qatar è un investitore scomodo perché fuori scala rispetto alla nostra capacità di contenerlo (già padrone della Costa Smeralda, ora di un mega ospedale e presto anche di Meridiana, come ci ha avvisato ieri la Nuova Sardegna). Però quella con gli emiri per Pigliaru è stata una sorta di operazione pilota.

Il progetto della Regione inizia dunque a delinearsi: il Qatar serve a risollevare la Gallura, l’Eni e il progetto della chimica verde per rilanciare il Sassarese, Enel e Glencore per risuscitare il Sulcis con l’industria che inquina e addirittura il carbone, probabilmente Finmeccanica e Vitrocisiet per il sud Sardegna (e i suoi poligoni di Teulada e Perdasdefogu), chissà chi per trasformare l’isola in quello straordinario “showroom per le rinnovabili” vagheggiato dal ministro dell’ambiente.

Un progetto economico calato dall’alto, non condiviso, non partecipato, che ha bisogno di silenzio e di discrezione (al giornalista dell’Unione Sarda che sul caso Alcoa chiede al presidente “con chi trattate?” lui risponde “Non posso dirlo, non è il momento”) e fatto di capitali che sono in grado di esercitare un un potere difficilmente contrastabile dalle nostre fragili istituzioni autonomistiche. La lezione di Rovelli non è servita?

Altro che sviluppo dal basso, con l’idea di un nuovo modello partecipato e sostenibile (dal punto di vista ecologico e anche da quello democratico). Fedeltà al governo romano e tappeti rossi per i poteri forti del capitalismo internazionale: che sia questo il nuovo modello di sviluppo per la Sardegna a cui il presidente Pigliaru (opportunamente sostenuto dalla sua maggioranza di centrosinistra e sovranista) sta pensando?

 

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