DRITTO&ROVESCIO. in giro con la lampada di aladin sulle Nazioni senza Stato…

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DRITTO E ROVESCIO MARIA LAIbandiera-scozzese-band 4 mori
- Referendum sull’indipendenza: quel no che accomuna la Scozia al Québec. ADRIANO BOMBOI su SardegnaSoprattutto .
- LA VERA AUTONOMIA È QUELLA ECONOMICA . ANDREA SABA su La Nuova Sardegna
Mentre procede, fra spinte ed ostacoli, il processo di unificazione europea, un secondo movimento simultaneo spinge verso la ricerca di una indipendenza nazionale. Al contrario di Catalogna e Scozia, non possiamo rivendicare ricompense per la ricchezza prodotta.
- UNA STAGIONE NUOVA DOVE SI PUÒ SCEGLIERE. FRANCISCU SEDDA su La Nuova Sardegna.
La storia è in cammino. In Scozia come altrove. Con buona pace dei conservatori di ogni parte e colore. Di coloro che vorrebbero ibernare il mondo.
UNA GRANDE LEZIONE Come si è arrivati a tanto? Rafforzando la coscienza storica nazionale e investendo in istruzione.

LA VERA AUTONOMIA È QUELLA ECONOMICA
di ANDREA SABA

Mentre procede, fra spinte ed ostacoli, il processo di unificazione europea, si verifica un secondo movimento simultaneo che spinge paesi come la Scozia e la Catalogna – e forse anche le Fiandre e la Sardegna – verso la ricerca di una indipendenza nazionale. Sono tendenze importanti e perfettamente logiche anche se, apparentemente, si muovono in direzioni opposte. La Scozia e la Catalogna sono ricche rispetto alle loro nazioni. La Scozia ha il petrolio e ritiene che la maggior parte degli incassi derivanti dovrebbe rimanere a favore degli scozzesi; la Catalogna è nettamente la regione più ricca della Spagna, parla una sua lingua e, con la crisi, vede molte risorse che si perdono in tutta la Spagna e sono sottratte al reddito catalano. In un mio saggio “L’Europa incompiuta e il declino nazionale” – in Gazzetta Ambiente 2008 numero 2 – descrivevo questa tendenza che deriva dal fatto che ormai una serie di decisioni fondamentali si prendono in sede europea e questo accentua l’esigenza di indipendenza di quei territori, come la Scozia, che hanno una potenziale autonomia economica che non viene riconosciuta dall’Europa. Ora l’Europa, con la gravissima crisi, ha mostrato, sul terreno economico e finanziario, di avere una grande capacità di intervento: Draghi sarà ricordato come il salvatore dell’economia europea. La carenza grave è sul versante politico dove i passi verso la creazione di quelle istituzioni fondamentali per la gestione dell’Europa tardano ad emergere. E questo aumenta la voglia di indipendenza di quei territori che hanno potere economico ma non riconoscimento politico. Per questo il segnale scozzese è importante: i governanti europei devono capire che non è possibile rinviare troppo oltre la creazione di una repubblica federale europea in cui Scozia, Catalogna ed altri compaiano come stati membri: l’indipendenza si giustifica e si realizza nell’ambito dell’Europa Unita. La decisione recente del Parlamento europeo (si noti, non del governo, ma di un organo che rappresenta tutti gli elettori europei) ha proposto al Parlamento ucraino un accordo di grande saggezza politica: l’Ucraina verrà accolta come membro candidato, per tre anni, a far parte dell’Europa, ma in cambio concede una larghissima autonomia – ai limiti dell’indipendenza – alle regioni di lingua russa. La guerra si risolverebbe senza sangue e con un giusto equilibrio con la Russia (con cui non ci conviene litigare). Si tratta del primo atto politico unitario della nuova Europa che sta uscendo dalle amare vicende della crisi. L’esperienza scozzese e questi recenti accadimenti europei sono importanti per quei territori che hanno tensioni indipendentiste come la Sardegna. Al contrario della Scozia e della Catalogna e delle Fiandre, la Sardegna non è più ricca, non può rivendicare una maggiore ricompensa per la sua ricchezza prodotta, ma sta diventando la più povera fra le regioni italiane. Per ora ci salva il turismo, ma l’industria è alla fine dopo anni di erogazioni di contributi e finanziamenti di pubblico denaro, l’agricoltura, tranne alcune lodevoli eccezioni, è allo sbando. Sembra che l’unica attività positiva siano le servitù militari che, mantenendo alcune migliaia di uomini nelle zone requisite, creano un mercato positivo per i pescatori e gli agricoltori locali;che, ovviamente, si oppongono alla eliminazione. E hanno ragione, sono come una forma di turismo che dura dodici mesi.Ma non è il futuro. In una Europa unita la Sardegna, che è europea, dovrebbe trovare un suo ruolo specifico: per esempio diventare, grazie alla bellezza ed al clima, una sorta di paradiso dei pensionati europei come Cartagine o le Canarie. I pensionati europei sono circa cento milioni. Con politiche fiscali, assicurative ed organizzative di livello europeo è una via che si dovrebbe sperimentare, se no, senza una vera autonomia economica, quella politica non serve.
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UNA STAGIONE NUOVA DOVE SI PUÒ SCEGLIERE
di FRANCISCU SEDDA
La storia è in cammino. In Scozia come altrove. Con buona pace dei conservatori di ogni parte e colore. Di coloro che vorrebbero ibernare il mondo.
UNA GRANDE LEZIONE Come si è arrivati a tanto? Rafforzando la coscienza storica nazionale e investendo in istruzione,

La storia è in cammino. In Scozia come altrove. Con buona pace dei conservatori di ogni parte e colore. Di coloro che vorrebbero ibernare il mondo fingendo di non sapere che “oggi” è solo un momento contingente in una storia che continuamente si riapre. Una storia in cui parole come emancipazione, partecipazione, responsabilità, autodeterminazione (ma anche fratellanza, Europa, umanità) non smetteranno di muovere gli individui dei popoli e delle nazioni senza Stato a cercare quel cambiamento che garantisca alle proprie terre sovranità e indipendenza e alla propria gente prosperità e giustizia. Certo, qualche indipendentista sardo acerbo, ancora convinto che l’indipendenza sia una passeggiata, oggi sarà forse deluso. Ci pensi. Fra le cose umane niente di alto e giusto accade facilmente: figuriamoci poter partecipare veramente, da liberi ed eguali, a questo nostro mondo grande, terribile e interdipendente assumendo in esso, finalmente, tutti i diritti e i doveri che ci spettano. Come ha detto Alex Salmond poco dopo l’esito del voto: «Non concentriamoci sulla breve distanza che ci è mancata ma sulla lunga distanza che abbiamo percorso». Di questo si tratta. Vent’anni fa, quando di anni ne avevo diciotto, parlare di indipendenza della Sardegna era tabù. Come un fiore costretto a crescere in mezzo ai rovi la mia visione indipendentista si doveva confrontare con “verità” avvilenti: «L’indipendenza si può fare solo con la violenza», «In Europa non sarà mai possibile celebrare un referendum per creare un nuovo Stato». Un diciottenne sardo di oggi troverebbe insensate queste affermazioni. Semplicemente sono state spazzate via. Da un nuovo e diverso indipendentismo sardo. Da quanto di meraviglioso è accaduto ieri in Scozia dove un intero popolo è andato a votare serenamente per decidere cosa voleva essere. Non si cada dunque nell’errore di guardare il dito – la vittoria del No – invece che la luna – l’aver conquistato la possibilità di giocare per vincere, sapendo che l’altra parte del proprio popolo avrebbe acettato il verdetto proprio come hanno fatto gli indipendentisti. Come si è arrivati a tanto? Con decenni di lavoro su se stessi. Rafforzando la coscienza storica nazionale, investendo in istruzione, coinvolgendo tutti in un patriottismo scozzese, civico e multietnico. Rendendo il tutto credibile governando bene – da indipendentisti – il proprio Paese, ridandogli fiducia nelle sue potenzialità. Tuttavia a una parte di scozzesi questo non è bastato. La forza del legame con il Regno Unito dentro cui tutti sono giocoforza cresciuti, l’incertezza (ben instillata) su delicati aspetti economici, una congiuntura geopolitica che ha portato alcuni grandi poteri a schierarsi contro. Non ultimo – triste dirlo – un’Europa che invece di cogliere l’occasione per rilanciare il grande tema degli Stati Uniti d’Europa si è mossa secondo la più banale realpolitik tifando per l’anti-europeo establishment di Westminster piuttosto che per una Scozia non solo europeista ma che ha fatto della difesa del welfare state – simbolo di europeità – il suo cavallo di battaglia. Ma tant’è. Un diciottenne scozzese ha detto, “Nonostante oggi, ora so che nella mia vita vedrò l’indipendenza”. Ha ragione. Tanto più che le analisi del voto dicono che i vecchi hanno generalemente votato No mentre i giovani in prevalenza Sì. A noi sardi, a chi non pensa che la nostra storia di libertà sia finita o si sia compiuta con l’autonomia regionale, non resta che prendere esempio. E tradurre il buono della vicenda scozzese per costruire con coraggio, umiltà e spirito inclusivo la nostra via verso una Repubblica di Sardegna libera, prospera, giusta, degna. Chissà che la storia, come altre volte è successo, non premi chi è partito in ritardo e ha potuto farsi forte delle esperienze altrui. Non sarebbe male se stavolta al traguardo Achille e la tartaruga arrivassero insieme.
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Referendum sull’indipendenza: quel no che accomuna la Scozia al Québec. Adriano Bomboi su SardegnaSoprattutto.
By sardegnasoprattutto/ 20 settembre 2014/ Culture/

Correva il 1980, il Québec propose un referendum popolare sull’indipendenza dal Canada. Vinsero i no col 59,56% dei consensi, pari a 2.187.991 votanti, a fronte dei si, il 40,44% dei consensi, pari a 1.485.852 votanti. Ma l’indipendentismo non arrestò la sua marcia verso la libertà, e nel 1995 propose un nuovo referendum. Anche in questo caso gli esiti non furono dei migliori, ma videro un rapporto di sostanziale parità fra i contendenti: i no si attestarono sul 50,58%, pari a 2.362.648 votanti. I si al 49,42%, pari a 2.308.360 votanti. Meno di sessantamila persone impedirono democraticamente un nuovo corso storico alla confederazione canadese ed al popolo del Québec. Oggi, al referendum sull’indipendenza scozzese del 18 settembre hanno prevalso i no, col 55,4% dei consensi, rispetto ai si, con un risultato del 44,5%.

Quali lezioni trarne? Essenzialmente quattro: la prima è che, nel caso del Québec, a dispetto di quanto riteneva il governo centrale, il fallimento degli indipendentisti e la concessione di maggiori autonomie non disinnescò la “minaccia” indipendentista stessa, che proprio grazie alle nuove competenze amministrative conseguite ha conquistato un rinnovato radicamento sociale e politico (ciò si è determinato recentemente anche a favore dei Catalani, grazie al loro nuovo Statuto autonomo, nei confronti di Madrid).

La seconda, come anticipato, è che la relativamente buona performance degli indipendentisti, sempre prossimi ad ottenere il 50% dei consensi della popolazione votante, ha indotto il governo centrale a non poter evitare dei negoziati per l’allargamento dell’autonomia in un consesso di tipo confederale. E con ogni probabilità ciò avverrà anche nei nuovi negoziati in agenda fra Edimburgo e Londra. La terza lezione riguarda l’insegnamento del mondo libero all’Europa continentale: come ha ricordato Carlo Lottieri, nel momento stesso in cui un popolo ha la democratica facoltà di decidere se costruirsi un proprio Stato o rimanere nel vecchio, è già libero. E ciò lo si deve allo spirito liberale di istituzioni che storicamente hanno conosciuto una riforma protestante, e che fin dall’età moderna hanno saputo opporsi a poteri centrali, quali Chiesa e Monarchia (pensiamo allo sviluppo del parlamentarismo britannico, od alla Dieta elettiva federale dei principati tedeschi).

Viceversa, ancora oggi purtroppo gli Stati dell’Europa meridionale continuano ad essere segnati da sistemi politici rigidi, le cui costituzioni negano il diritto dei popoli all’autodeterminazione. La quarta e ultima lezione riguarda inevitabilmente l’autocritica che dovranno fare gli indipendentisti, poiché non sono riusciti a conquistare la maggioranza dei consensi degli elettori. Per stare nel contesto europeo, e scozzese, nei prossimi giorni sarà tempo di analisi per valutare in base a quali fattori lo Scottish National Party non sia riuscito a convincere la maggioranza degli indecisi. Buona parte della propaganda indipendentista si è basata nella presentazione di una alternativa maggiormente socialdemocratica rispetto al cosiddetto “neoliberismo” britannico.

Petrolio o meno, sfortunatamente la mancata vittoria dei si non porterà il popolo scozzese a comprendere le difficoltà di gestire autonomamente un proprio welfare, sobbarcandosi le responsabilità che ne derivano. La storia ci insegna comunque che tutte le nazioni che hanno scelto l’indipendenza non sono mai tornate indietro rispetto a tale decisione. In rapporto al caso scozzese, è certa la possibilità di non poter replicare il modello scandinavo, così come prospettato dall’SNP nella fase pre-referendaria. Sia perché tale modello si basa su un’organizzazione sociale e politica di tipo corporativistico, ben diversa quindi dalla tradizione politica, culturale e commerciale anglosassone di matrice liberale.

E sia perché in realtà, nel 2011 lo Scottish National Party non si è confermato al governo di Edimburgo con tematiche esclusivamente laburiste (aspetto su cui invece si è incentrato in occasione del referendum), ma seppe conquistare il voto anche nelle tradizionali circoscrizioni liberali. Nonché avvicinandosi alle tematiche proposte dalle classi produttrici del Paese, sollecitando una fiscalità meno onerosa. In questi termini il nostro indipendentismo Sardo ha ancora molto da imparare prima di poter immaginare un valido radicamento sociale nel territorio. Perché solo con la battaglia al fiscalismo ed alla cultura dell’assistenzialismo sarà possibile intaccare l’intelaiatura politica italiana che oggi rallenta lo sviluppo del nostro territorio. Ci sarà una quinta lezione su cui riflettere? Ne riparleremo dopo il prossimo referendum indipendentista della Catalogna.

*Fondatore del gruppo politico-culturale U.R.N. Sardinnya per la riforma dell’indipendentismo Sardo, e direttore del magazine SaNatzione.eu.

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