in giro con la lampada di aladin…
- Grazie a Renzi, Soru si rifà una verginità politica. E, tra i due, Pigliaru rimarrà stritolato. Vitobiolchini su vitobiolchini.it
- Ed io tra di voi…
Grazie a Renzi, Soru si rifà una verginità politica. E, tra i due, Pigliaru rimarrà stritolato. Vitobiolchini su vitobiolchini.it
30 settembre 2014 alle 13:12
Non c’è politico, tra quelli che ho avuto modo di sentire in queste settimane, che non ritenga che il reale obiettivo di Renato Soru sia quello di guidare il Pd sardo per poi, in un modo o in un altro, scalzare dalla presidenza della Regione Francesco Pigliaru: un po’ come ha fatto Matteo Renzi con Enrico Letta. E non c’è politico, tra quelli con cui ho parlato, che non interpreti il sostegno dato dalla stragrande maggioranza dei consiglieri regionali del Pd alla candidatura dell’ex presidente come la volontà di mandare un segnale preciso a quello attuale, di presidente: un segnale di forte scontentezza per come in viale Trento si interpretano i rapporti tra esecutivo e partiti, tra presidenza e consiglieri di maggioranza.
I nodi vengono al pettine, e il pettine di Francesco Pigliaru non è la crisi (nell’isola ormai quasi fuori controllo) ma ha un altro nome: congresso del Pd. Perché è finito quel tempo quasi magico e sospeso che al presidente era stato concesso dopo la sua elezione avvenuta lo scorso 16 febbraio, quei sette-otto mesi in cui avrebbe potuto fare qualunque cosa senza avere un contraltare politico forte, vista sia la sua fresca elezione sia la scadenza del mandato del segretario del Pd e la conseguente vacatio di potere.
Sette-otto mesi nei quali Pigliaru avrebbe dovuto accumulare un vantaggio e far accrescere la credibilità sua e del suo esecutivo, in maniera tale da poter reggere l’urto con un Pd nuovamente organizzato e soprattutto coeso sul tema degli “assetti” (ovvero assessorati, consulenze, posti negli uffici di gabinetto, nei consigli di amministrazione, candidature).
Adesso les jeux sont faits, e Pigliaru, senza avere neanche giocato un ruolo nella partita per il nuovo segretario, dovrà aspettare il verdetto che sarà, in ogni caso, negativo: un mini rimpasto se lo tsunami Soru dovesse miracolosamente infrangersi contro la barriera eretta dalla corrente diessina e che ha come suo candidato il senatore Ignazio Angioni (ma è candidato sul serio oppure no? Qualcuno lo ha visto in giro a fare campagna elettorale?), oppure un sostanziale azzeramento se a vincere fosse l’eurodeputato. La vittoria di Thomas Castangia, rappresentante dei civiatiani, non è neanche presa in considerazione dai bookmakers.
Il motivo della crisi politica strisciante è presto detto: assecondando i partiti nel momento della composizione della giunta, Pigliaru non ha allungato la speranza di vita del suo esecutivo ma, al contrario, l’ha drammaticamente accorciata. La solenne promessa di preferire le competenze alle appartenenze si è infranta subito e continua ad essere disattesa attraverso nomine sempre più orientate a destra nelle direzioni generali e nelle agenzie (ultima quella all’Agris, in attesa di capire ciò che succederà all’Agenzia per il Lavoro).
Soru segretario avrà buon gioco a fare tabula rasa e a chiedere la testa di quasi tutti gli assessori (salvo quelli, è ovvio, garantiti da Paolo Fadda e Antonello Cabras) e difendere l’esecutivo Pigliaru sarà difficile per tutti. Non solo: la naturale sintonia di Soru con il segretario Renzi (avete visto cos’è successo ieri in direzione?) rischia di metterlo in una posizione sovraordinata rispetto al presidente Pigliaru. Anche perché il Pd nazionale ha bisogno di un segretario regionale come Soru, il cui piglio autoritario bene si confà a questa nuova stagione in cui il partito si sta liberando di tutte le remore che arrivavano da un lontano passato di sinistra.
Dopo dieci anni di carriera, grazie a Renzi, Soru può dunque rifarsi una verginità: il suo momento politico è questo. Le vendette tanto attese devono solo essere consumate. Senza che ci sia nessuno a contestargli il processo per evasione fiscale o il vizietto dell’assenteismo dalle assemblee nelle quali si fa eleggere (a Bruxelles già risulta presente ad appena il 50 per cento delle votazioni) o l’astuzia di nominare tra i suoi assistenti in Europa il figlio di un capocorrente locale. Come si fa politica in Sardegna Soru l’ha capito benissimo, altroché.
Lui e Renzi sono figli della stessa idea di politica, condividono la stessa idea di società, insieme si troveranno benissimo. E Pigliaru, in mezzo, rischia di venire stritolato. Peccato.
Da SardegnaSoprattutto
Si scrive Sardegna, si legge paradiso degli eco furbi [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto / 30 settembre 2014/ Società &
Non capita spesso di partecipare ad un convegno e sentire i relatori dirsi l’un l’altro: oggi ho imparato molte cose. Chi è intervenuto al convegno Quale energia per quale Sardegna? organizzato dal FAI (Fondo Ambiente Italiano), sabato 27 settembre a Milis, ha scoperto una realtà che lascia interdetti.
Che la Sardegna fosse un luogo di predatori dell’energia lo si diceva, lo si scriveva, ma dai dati esposti, dalle relazioni di accademici, professionisti, imprese, imprenditori agricoli se ne è avuta la certezza. Come stare su di un treno che corre verso una destinazione ignota con un conduttore nascosto ai più. Sempre che ci sia questo conduttore, e non si sia invece in presenza di una miriade di iniziative che sfuggono a qualsiasi logica che non sia quella dei “molti, maledetti e subito”.
Scoprire, ad esempio, che l’investimento nelle serre fotovoltaiche si ripaga in due anni, e il tempo restante è guadagno netto. Società che cambiano di proprietà e scompaiono, giochi di scatole cinesi con il rischio che il proprietario dell’area alla fine non abbia nessun affitto e si ritrovi con ferraglia da smaltire ed un terreno senza vita, sigillato dopo anni di coperture metalliche. Oltre al danno la beffa. In quindici anni, è cambiato il panorama della Sardegna, disseminato di torri eoliche, di fotovoltaico a terra, di impianti per la combustione delle biomasse, minacciato dallo scavo di pozzi per la ricerca del geotermico, del gas, del petrolio fino agli impianti termodinamici pensati per il deserto e approdati sui nostri terreni agricoli.
Si corre il rischio di rimanere senza le migliori terre coltivabili in un mondo dove nel 2050 sono previsti 9,5 miliardi di abitanti, dove già oggi l’isola importa l’80% del cibo ed esporta il 40% dell’energia prodotta. Intanto si propone la coltivazione del cardo per le bioplastiche e di canne nel Sulcis per le centrali a biomassa. Il tutto in assenza di qualsiasi Piano Energetico Regionale.
Nessuno che risponda alle domande che ci si poneva nell’incontro. Perché si deve produrre tanta energia? Chi lo deve fare? Quali sono i futuri probabili e quanta energia occorrerà loro? Il piano energetico è funzione di un progetto di sviluppo. Ne abbiamo uno in Sardegna? Luciano Burderi dell’Università di Cagliari, affermava che per affrancare tutta l’isola dall’energia fossile basterebbe che nei 377 comuni si realizzasse un impianto fotovoltaico delle dimensioni di ventisei campi di calcio in rete con l’idroelettrico. Un dato teorico perchè la superficie potrebbe essere ridotta dai tetti fotovoltaici ecc.
Poiché l’energia è bene comune e le reti sono complesse, deve essere il pubblico a realizzare gli interventi. L’energia non può essere il far west, lasciata all’anarchia dei privati. E’ come chiedere ad ognuno di tracciarsi la strada da casa sua, col risultato di paralizzare la circolazione. Le energie fossili sono in fase di esaurimento, con i costi di estrazione dei giacimenti residui che diventeranno talmente alti da non essere remunerativi. Rockefeller dopo essere diventato straricco con la Exxon dichiara sui giornali che boicotterà gas e petrolio. Anche lui investe in rinnovabili. L’affare del presente e del futuro.
Il capo della Procura di Cagliari Mauro Mura, intervistato nel corso del Convegno dal direttore dell’Unione Sarda, con parole caute ha lanciato un allarme. La partita delle energie rinnovabili sta facendo muovere forze oscure e finanza grigia. Benché non vi sia certezza, è probabile che il crimine organizzato abbia messo gli occhi da tempo sull’affare; cita le intercettazioni dove Totò Riina afferma che il boss Messina Denaro si sta dedicando ai “pali della luce”.
L’incontro ha assunto toni preoccupanti quando un’imprenditrice agricola ha raccontato di aver scoperto per caso che i suoi terreni sono stati inseriti in un progetto sul solare termodinamico e che potrebbero essere espropriati in virtù del DPR 327 del 2001. In questo novello Klondike per pochi, un impianto termodinamico privato è di pubblica utilità? Tutto da dimostrare. Non vi è dubbio però che la potenza finanziaria di chi investe potrà procurarsi i migliori avvocati. Nell’incertezza resta la domanda: esiste ancora una proprietà privata in Italia? O esiste solamente per chi può avere a sua disposizione i migliori studi legali d’Europa? Lo stato di diritto, a questo punto, è fortemente compromesso. Non aiuta il decreto Salva Italia, con le valutazioni di impatto ambientale avocate a Roma sorpassando regioni e comunità locali. Decreto in odore di anticostituzionalità, ma tant’è.
Fino ad oggi l’unico contrasto agli ecofurbi è venuto dai comitati territoriali. Il più famoso di tutti, quello di Arborea, che è riuscito ad impedire lo scavo di pozzi in un’area pregiata. Il parere negativo del SAVI, il Servizio di vigilanza regionale, ha fatto perdere il controllo anche ad un giornale misurato come il Sole 24 Ore. Come osano questi trinariciuti fuori tempo? Sembra chiedersi il giornale confindustriale.
La politica, quella dei partiti e nelle istituzioni, non pare rendersi conto dell’entità dello scontro in atto. Parte di essa è forse complice, vicina a faccendieri che navigano nell’area grigia tra finanza e relazioni potenti; l’altra è superficiale o non informata, o semplicemente vittima del pensiero unico che taccia da passatista chi non è d’accordo.
Eppure in Sardegna esistono competenze complesse e diffuse ed una società educante che agisce per irrobustire la pubblica opinione. L’incontro, particolarmente competente ed affollato, ne è stato testimonianza. Lo ricordava Maria Antonietta Mongiu, Presidente regionale del FAI Sardegna, nel suo intervento conclusivo. Saperi e competenze che però non riescono ad incontrare la politica, sequestrata com’è dalla sua autoreferenzialità e dai partiti italiani (e non solo) con interessi che il più delle volte sono in netto contrasto con quelli della comunità regionale.
È tempo di una grande presa di consapevolezza. E’ tempo di una vertenza unitaria con lo Stato su tutti i temi in agenda. Ogni giorno che passa siamo noi a perdere. Bisogna salvare la Sardegna anche scontrandosi duramente con i potentati politici romani e sardi. Siamo con le spalle al muro e la posizione non è delle migliori.