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lampada aladin micromicroThe University of SardignaCrollo dei diplomi e fuga dalle università dell’isola. Un calo dei diplomati del 30 per cento in dieci anni E sempre più ragazzi preferiscono gli atenei della penisola. MARIANO PORCU su La Nuova Sardegna 26 settembre 2014.
- SardegnaStatistiche: indici attrattività delle università sarde.

Crollo dei diplomi e fuga dalle università dell’isola
Un calo dei diplomati del 30 per cento in dieci anni E sempre più ragazzi preferiscono gli atenei della penisola
di MARIANO PORCU *
(La Nuova Sardegna 26 settembre 2014)
Crollo dei diplomi e fuga dalle università dell’isola
Più istruzione uguale più conoscenza; più conoscenza uguale più sviluppo. Seguendo questo “mantra” il governo nazionale ha appena varato il suo “Piano scuola” e l’istruzione è forse il tema su cui si è speso di più in campagna elettorale il presidente Pigliaru, connotando così il suo programma in maniera nettamente differente da ciò che aveva fatto (o non fatto) il governo di centro-destra che l’ha preceduto.

Negli ultimi 10 anni il numero dei diplomati residenti in Sardegna è diminuito facendo registrare, nel 2012/13, un calo di quasi il 30% rispetto all’anno scolastico 2002/03. Questa dinamica è del tutto differente da quella che si registra per l’Italia nel suo complesso, per la quale si osserva un numero pressoché costante di neo-diplomati, con lievi oscillazioni da un anno all’altro. Il dato nazionale riflette, verosimilmente, l’apporto che le giovani generazioni di immigrati danno alla popolazione scolastica nazionale. La Sardegna non si avvantaggia di questo apporto. Considerando, poi, l’andamento negli anni del tasso di passaggio scuola-università, si rileva per l’isola un trend decrescente in linea con quello nazionale (attualmente, circa 6 diplomati ogni 10 si immatricolano all’università). Quindi, cala il numero dei giovani sardi che conseguono ogni anno un diploma e anche quello di coloro che, in un prossimo futuro, avranno un livello di istruzione universitaria.

Ma c’è anche un altro aspetto che dovrebbe attirare la nostra attenzione. È, sì, calato il numero di coloro che si immatricolano all’università, ma sempre molti diplomati sardi decidono di iscriversi in un ateneo della penisola. Sono quelli che possiamo definire come “immatricolati-movers”. Il loro numero è diminuito ma seguendo un trend non così marcato come quello di coloro che decidono di frequentare i corsi delle università sarde.

Tralasciando le tecnicalità che sottendono questa spiegazione, possiamo banalmente dire che siamo di fronte ad un fenomeno stranoto ai demografi che studiano i movimenti migratori: la migrazione è un fenomeno altamente selettivo e tende ad interessare gli individui più intraprendenti o, come in questo caso, i più dotati di risorse (vale a dire i diplomati che provengono da famiglie che sono in grado di supportare i progetti “migratori” dei loro figli verso la penisola).

Ma è un bene o un male che tanti diplomati decidano di “emigrare”? Dipende dai punti di vista. Dal punto di vista degli individui dovremmo ritenere che sia un bene: viaggiare, confrontarsi con altre realtà, allargare i propri orizzonti aumenta il capitale umano e, in molti casi, moltiplica le opportunità tra le quali scegliere la strada verso il proprio futuro. Consideriamo però anche altri punti vista; iniziando da quello dei territori. Da tempi piuttosto lontani la Sardegna è terra di emigrazione, ma viste le sfide che ci attendono (vedi alla voce “sviluppo”) i diplomati che frequentano l’università al di fuori dell’isola portano via qualche pezzo del nostro futuro: loro vorranno sì, in molti casi, rientrare ma, purtroppo, la loro terra non avrà granché da offrire e, perciò, spenderanno il loro ingente capitale di istruzione (diploma + laurea) altrove. Altro punto di vista: quello delle università sarde. I due atenei si trovano ad operare, rispetto al pubblico degli studenti che hanno la possibilità di “emigrare”, in un quasi-mercato: “vendono” un prodotto (la loro offerta formativa) che perde di competitività poiché non è facile impiegarlo per trovare un lavoro nell’isola. Nonostante ciò, ricevono finanziamenti anche sulla base della loro attrattività. Recenti ricerche hanno mostrato che le variabili “strutturali” del territorio in cui ha sede un ateneo (una serie di indicatori riferiti a variabili economiche come il tasso di disoccupazione, il livello dei servizi, il reddito) influiscono sull’attrattività più delle caratteristiche dell’offerta formativa.

Che fare, quindi? Bisogna governare il fenomeno della mobilità studentesca e non più, semplicemente, subirlo (così come i territori poveri subiscono l’emigrazione della loro forza lavoro). Per governarlo occorre conoscerlo. I pochi dati riportati (di fonte MiUR) permettono solo di intravedere i tratti generali del fenomeno. Servono studi per aggregati di diplomati, analisi dei flussi per individuare le caratteristiche dei “poli di attrazione”, studi caso-controllo, ricerche qualitative per capire cosa accade davvero nella scuola nell’orientare gli studenti agli studi universitari.

Occorre, anche, che gli atenei sardi affrontino la sfida della competitività con strumenti più efficaci di brochure informative o altre iniziative di pseudo-marketing. Per renderle attrattive e competitive è indispensabile dare più valore aggiunto alle lauree conseguite nell’isola. Come? Ad esempio, modernizzando gli strumenti didattici (abbiamo le Lim nelle scuole … ma come sono attrezzate le nostre aule universitarie?). È necessario sottoporre a “manutenzioni” continue l’offerta formativa aggiornandola in modo da valorizzare al meglio le potenzialità che è in grado di esprimere per preparare i giovani alle sfide del lavoro. In mancanza di un tessuto produttivo in grado di offrire reali opportunità di tirocinio, sarebbe utile favorire gli spin-off universitari e rendere gli stessi le “palestre” in cui svolgere le attività di job-training. Serve tutto questo e anche altro. Occorre, soprattutto, sburocratizzare la gestione del diritto allo studio dando direttamente risorse agli atenei per organizzare i supporti che favoriscono la vita dei loro studenti (in sede e fuori-sede).

La sfida è difficile, per le università sarde ma anche per la Regione. Servono idee e la capacità di attuarle.

* Professore di Statistica Sociale
Università di Cagliari
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DA Aladinews
(…) Una riflessione, anch’essa riduttiva, a favore dell’Università della Sardegna: gli esperti di marketing sostengono che l’unico brand che “tira” nel mondo per la Sardegna è appunto “Sardegna”, vale anche per l’attrattività degli studenti stranieri. Certo ciò che conta è la reputazione dei docenti, dei ricercatori, dei servizi, dell’organizzazione, ma consideriamo sempre tutto.
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Da La Nuova Sardegna 16 febbraio 2015
Lettera aperta di Claudia Firino dopo il duro confronto
«La Regione ci sarà con il suo pacchetto di finanziamenti»
L’assessore ai sindaci: «Scegliete le scuole
che hanno un futuro»

CAGLIARI Le polemiche sono state aspre sulle scuole chiuse e su quelle da accorpare. Il piano presentato dall’assessore alla Pubblica istruzione, Claudia Firino, ha accesso gli animi e mandato in piazza tutti con i sindaci in prima linea. Ora è proprio ai sindaci che lo stesso assessore ha scritto una lettera aperta. Anzi, nei fatti è una richiesta esplicita di deporre le armi e cominciare a ragionare. Come? Così: «Lasciamo a voi sindaci – scrive Claudia Firino – la possibilità d’individuare quali sedi abbiano le migliori prospettive». Certo, la Giunta ha presentato il suo piano, è molto dettagliato, e deciso in quali Comuni o frazioni le scuole Elementari e Medie andranno chiuse il prossimo anno per essere trasferite altrove. Ma ora l’assessore dà questa possibilità in più alle comunità anche dopo cinque mesi di incontri, consultazioni e confronti. «È un discorso (quello della Regione) che taluni di voi – continua la lettera dell’assessore ai sindaci – hanno tradotto in una prospettiva concreta, ma che altri hanno letto come il rischio dell’arretramento della presenza del pubblico dalle loro comunità, e come tale lo rifiutano». È proprio quel fronte del no che oggi Claudia Firino non vuole convincere ma con cui invece «vuole condividere»il rilancio dell’offerta formativa. «Però occorre partire – sottolinea l’assessore – da un dato di fatto: una scuola vive se ha almeno due componenti, alunni e insegnanti. Se uno dei due viene a mancare, la scuola non esiste più». Dunque, la Regione i suoi calcoli li ha fatti da tempo e stilato anche una classifica, «senza lasciare solo o indietro nessuno ma in coerenza con lo sviluppo dei territori», la precisazione, e in questi giorni aspetterà che i sindaci chiamati in causa dicano la loro. «Noi ci siamo – aggiunge l’assessore in un altro passaggio della lettera – e ci saremo con le risorse finanziarie per il trasporto, l’innovazione, i miglioramenti della didattica, il tempo pieno, l’orientamento e la motivazione dei ragazzi, la formazione degli insegnanti, l’edilizia, i campi sportivi e le biblioteche». È questo il pacchetto messo sul piatto dalla Regione e non certo per sostenere che la «nostra scelta è giusta», ma – scrive l’assessore – «nella convinzione che migliorare l’offerta formativa faccia parte dello sviluppo di un territorio» e «nella certezza che lo spopolamento si combatta anche con i poli scolastici territoriali». Territoriali, appunto, e non più solo comunali, è il messaggio finale dell’assessore. Sul piano scolastico è intervenuto anche il senatore Luciano Uras di Sel, lo stesso partito dell’assessore. Dopo aver denunciato che non può essere questa Giunta «a pagare il prezzo di scelte governative che in passato hanno imposto parametri inaccettabili per la Sardegna, realtà vasta e complessa anche nei collegamenti interni», il senatore scrive: «Quanto in questi giorni è stato deciso dall’amministrazione regionale, un piano certo migliorabile nel prossimo confronto in Consiglio, è comunque un quadro di soluzioni apprezzabile e razionale che pone al centro solo e soltanto l’educazione e l’istruzione dei ragazzi».

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