Emilio Lussu

(Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975)
Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu a 40 anni dalla sua morte
Emilio Lussu dip Foiso Fois
di Francesco Casula
Oggi 5 marzo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Emilio Lussu. Ebbene in Sardegna, la sua terra, nessuna pubblica istituzione né partito pare che intenda ricordarlo. Gli è che i politici – ma anche le istituzioni culturali, le Università per esempio – sono impegnati in ben altri riti. Lussu rimane ancora un personaggio “scomodo” e disadatto ad ogni incorporazione storica dei vincitori, anche post mortem. Così, anche quando lo si celebra e lo si ricorda, si cerca di sterilizzare il suo pensiero, la sua eredità morale, politica e persino letteraria. E’ successo così negli ultimi decenni, in cui dopo anni di colpevole silenzio, molti, troppi in Sardegna si sono scoperti e riconosciuti “sua figliolanza” (l’espressione è della moglie Joyce). Magari quelli stessi che in vita hanno combattuto Lussu e le sue idee. Ed hanno cercato, tutti, di tirare Lussu per la giacchetta, cercando di “convertirlo”, di purgare le parti più scomode del suo pensiero, per mitizzarlo e imbalsamarlo. Una volta sterilizzato e ridotto a “santino”, innocuo e rassicurante, si può anche “mettere nella nicchia” (anche quest’espressione è di Joyce) per diventare dio protettore dei sardi e della Sardegna.
Si dimenticano costoro chi era Lussu, uomo di parte. Sempre dalla parte del popolo lavoratore sardo, pacifista e federalista, nemico giurato dello Stato burocratico e accentratore, degli ascari e mediatori locali e delle clientele, della politica ridotta a mera gestione del potere. Nel 1945, quando era Ministro del Governo Parri, Vittorio Foa suo compagno di partito, una volta andò a chiedergli di mettere una firma sotto un’autorizzazione per aiutare finanziariamente il suo Partito. Lussu rispose: “puoi chiedermi di montare a cavallo ed andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io, per il Partito, lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia mai!” Questo era Lussu, sempre e non solo nel 1945. Rientrato nel 1919 dal fronte, viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava per aver dimostrato che un generale si era arricchito vendendo cavalli e altri beni dell’esercito. Una bella lezione a molti politici di oggi, immersi nell’affarismo e nella melma della corruzione.
Scomodo è anche il suo lascito ideale, culturale e di pensiero: ad iniziare dalla sua teoria federalista che si coniuga in modo inscindibile con i valori forti della libertà e dei diritti, della democrazia diretta e dell’autogoverno, della partecipazione e del controllo popolare. Scrive in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di «Giustizia e Libertà»: ”Frequentemente accade di parlare con uno che riteniamo federalista perché si professa autonomista e scopriamo invece, che è unitario con tendenze al decentramento”.
E precisa: ”Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari – o meglio federati, aggiungo io – di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da «Federalismo» di Norberto Bobbio, «Introduzione a Silvio Trentin».
In questo modo il potere sovrano originario e non derivato spetta a più Enti, a più Stati e perciò scompare la sovranità di un unico centro, dello stato come veniva concepito nell’Ottocento – che Lussu critica in quanto “unica e assorbente” – di un unico potere e soggetto singolare per fare capo a più soggetti e poteri plurali. Con questa impostazione Lussu supera il concetto di unipolarità con cui si indica la dottrina ottocentesca in cui libertà e diritto fondano la loro legittimità solo in quanto riconducibili alla fonte statale. Quella su Federalismo è un’altra lezione a chi oggi, lungi da imboccare la strada della riforma dello Stato in senso federalista, attacca le Autonomie locali e, delirando, pensa all’abolizione delle Regioni, per ritornare a uno Stato centralista e centralizzatore.
Infine il suo Pacifismo. Interventista convinto e “chiassoso”, parteciperà alla Prima Guerra con entusiasmo, giustificandola “moralmente e politicamente”. Al fronte però sperimenta sulla propria pelle, l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i pidocchi, i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Ma soprattutto con l’olocausto degli uomini sfracellati e le foreste di crani nei cimiteri militari; con i 13.602 sardi morti su 100 mila pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio per intenderci o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati..
Scriverà a questo proposito Camillo Bellieni, compagno d’armi prima e di Partito poi, di Lussu:”Chi accennasse a selvagge passioni brulicanti nel nostro sangue nel tragico istante della mischia non avrebbe altra scusa per il suo errore che l’immensa ignoranza delle nostre cose. Giudizi simili possono essere dati solamente da coloro che non hanno visto l’infinita tristezza dei nostri soldati nell’ora precedente all’azione”.
La retorica patriottarda e nazionalista, vieta e bolsa, sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. “Abbasso la guerra”, “Basta con le menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu – in «Un anno sull’altopiano»“Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita”. Anche perché, in cambio dei 13.602 sardi morti in guerra, (1386 morti ogni diecimila chiamati alle armi, la percentuale più alta d’Italia, la media nazionale infatti è di 1049 morti) – per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi – “non sfamava la Sardegna”.
Nascerà dalla sua esperienza sul fronte l’opposizione netta, radicale, decisa di Lussu alla guerra:” Di guerre non ne vogliamo più – scriverà – e vogliamo collaborare e allontanare la guerra vita natural durante nostra e dei nostri figli e a renderla impossibile per sempre, disarmandola”. Chi vuole la guerra, secondo Lussu, è chi non la conosce, parafrasando in qualche modo il seguente apoftegma:”Chi ama la guerra non l’ha mai vista in faccia” (Erasmo da Rotterdam, «Adagia, Sei Saggi politici in forma di proverbi», Einaudi, Torino 1980).
Una lezione pacifista, quanto mai attuale e opportuna, specie in un momento in cui nuove inquietanti fosche e minacciose avvisaglie di guerra sembrano apparire nell’orizzonte.
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Emilio Lussu Ed 5 3 15
Emilio Lussu
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Vittorio Foa
Il mio ricordo di Lussu
Ciao Lussu, poeta in armi

Scritto da Vittorio Foa nel marzo 1975 per il Manifesto

Emilio Lussu ha avuto il singolare destino di convivere con la sua leggenda. E questo non solo per essere morto in età tarda, dopo essersi chiuso per anni in un silenzioso ritiro carico di dignità pari alla dignità che segnò tutta la sua vita. La leggenda di Emilio Lussu è nata nella sua giovinezza, nei suoi anni trenta e lo ha accompagnato fino alla morte: l’organizzatore di pastori, pescatori, minatori e contadini, il politico eminente, lo studioso, lo scrittore di successo, il parlamentare ascoltato, l’uomo pratico e concreto legato alle normali vicende della vita di ogni giorno, appariva contemporaneamente, nella luce della sua leggenda, come un solitario guerriero, come un paladino capace di affrontare e di mettere in fuga torme di infedeli.

E’ forse possibile, sia pure in modo sommario, cercare le origini della leggenda di Lussu e scoprire che essa non contraddice minimamente la figura di Lussu uomo del suo tempo. La prima radice della leggenda sta indubbiamente nello scontro fisico coi fascisti che egli, consapevolmente volle affrontare da solo nella sua casa di Cagliari. Lussu sapeva, per informazioni sicure, che gli squadristi avrebbero assalito la sua casa di notte, con intenzioni omicide. Nella calma più perfetta si preparò. Rifiutò, con una saggezza da vecchio patriarca, lui che aveva solo trentacinque anni, di chiedere aiuto alla polizia che sapeva complice dei fascisti, congedò la vecchia governante, si armò e attese da solo gli aggressori. Quando essi arrivarono e trovando sprangato il portone entrarono dalle finestre con delle scale, Lussu uccise freddamente il primo che si affacciò mettendo in fuga la torma. Si tratta di un singolo episodio, in mezzo a molti altri di indomito coraggio nella lotta contro il fascismo avanzante.

Perché allora esso ha segnato così profondamente la coscienza dei giovani antifascisti militanti? In realtà non si tratta di un dato caratteriologico, di un semplice esempio di coraggio. Si tratta di un dato più profondo che attinge alla sfera ideologica. Lussu ha deciso di affrontare lo scontro fisico, e probabilmente mortale, da solo. Egli negava in un sol colpo tutta la realtà che lo circondava fatta di compromessi e capitolazioni e rinunce, una realtà di ripieghi e pretesti per non battersi, per giustificare prima l’inerzia e poi la subordinazione al nemico. Egli illustrava quella sera, meglio che con un trattato di etica politica, che quando il destino ti mette di fronte al nemico per agguerrito che esso sia non puoi voltare le spalle. Vivere questo imperativo da solo, in una condizione limite, è solo un modo, peraltro molto efficace, di proporla al livello di massa.

La leggenda di Lussu ha anche un’altra radice. Il giovane capitano della brigata Sassari, che torna alla sua isola dopo una sanguinosa esperienza di trincea, raccontata in un libro di sconvolgente bellezza «Un anno sull’altipiano», si fa organizzatore di pastori e pescatori, di contadini poveri e di minatori, si fa assertore di giustizia e di autonomia in una società oppressa dall’ingiustizia e dal centralismo statale. Che importa se la sua dottrina non è il marxismo, ma un radicalismo piccolo borghese? Il marxismo del suo tempo era intriso di determinismo delle forze produttive, per cui solo una classe operaia industriale sviluppata può agire in modo rivoluzionario, e anche di massimalismo pure esso operaistico. Solo Gramsci, pure lui sardo apriva allora un discorso nuovo, Salvemini aveva da tempo rinunciato al socialismo.

Lussu era dunque un socialista «diverso»; per lui la rivoluzione non nasceva solo dalla concentrazione capitalistica e dalle grandi fabbriche, ma anche dalla condizione contadina del mezzogiorno e delle isole. In questo senso Lussu si ricollegava all’epopea dei fasci siciliani, che il partito socialista aveva ripudiato, abbandonandoli alla reazione borghese e scegliendo l’alleanza con la borghesia industriale avanzata. Il fondatore del Partito sardo di azione poté poi, nel lungo corso della sua vita, rivendicare il suo socialismo, pur diverso perché sostanziato di autonomia e di iniziativa contadina. La continuità militare-contadina e la «diversità» della sua organizzazione politica di massa contribuirono certo alla leggenda di Lussu, così come la potente immaginazione di cui caricò sempre il suo linguaggio e la sua azione politica. Proprio perché diverso, perché autonomista e contadino, Lussu era impermeabile a qualsiasi infiltrazione riformistica, assai più dei suoi giovani compagni di sinistra operaisti e industrialisti. Proprio per quello Lussu ruppe col Partito socialista al tempo del centrosinistra, ma nella sinistra socialista come poi nel Psiup mantenne una notevole indipendenza di giudizio. Ancora una volta leggenda e vita normale sono due facce di una unica esperienza.

L’immaginazione di Emilio Lussu! Anche questa non era un semplice dato di carattere. Anche quando il suo discorso sembrava echeggiare toni e ritmi guerrieri e feudali, o persino tribali, comunque sempre legati alla storia e ai costumi precapitalistici della sua terra, l’immaginazione di Emilio Lussu era una forza moderna, era il rifiuto dei canoni banali e sterili delle istituzioni burocratiche della democrazia borghese, era l’invito a non separare la politica come tecnica dalla poesia come ricerca e creazione di nuovi modi di lavoro e di vivere. Dopo il 18 aprile 1948 il poeta Lussu poteva, in un famoso discorso al Senato, raccontare la storia di quella vittoria democristiana come la vittoria della cristianità a Lepanto nel 1571 con De Gasperi nei panni dell’ammiraglio Don Giovanni d’Austria e Togliatti in quelli di Alì Pascià. Non era un semplice scherzo, era il tentativo, pur in veste poetica, di smascherare un imbroglio ideologico.

Vorremmo ricordarne altre, fra le numerose «immagini» politiche create da Lussu per caratterizzare un giudizio oppure una iniziativa. Anche quando erano dure, la carica di ironia contribuiva ad addolcirle, a trasformare la polemica in un insegnamento. Basta qui un solo episodio. Nel settembre 1945, quando Lussu era ministro nel governo Parri, chi scrive andò a chiedergli, per aiutare finanziariamente il partito di cui entrambi facevano parte, di mettere una firma sotto una autorizzazione, cosa consueta nel sottobosco politico del tempo. Lussu rispose: «Compagno, puoi chiedermi di montare a cavallo e andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io – per il partito – lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia, giammai». Nell’irrealismo dell’immagine il poeta riusciva a cogliere e giudicare la squallida realtà del mondo in cui ci avvolgevamo e ad avanzare, almeno come ipotesi, un mondo diverso.
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Vittorio Foa ed 5 3 15
Vittorio Foa
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[Foto 1. Archivio Corriere della Sera, 2. Archivio Rai, riprese dal blog del Circolo Giustizia e Libertà di Sassari]
Emilio-Lussu-ad-Armungia
- Emilio Lussu su Aladinews
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One Response to Emilio Lussu

  1. […] scritto commemorativo che Vittorio Foa, fece per il manifesto, il giorno dopo la morte di Lussu. Il mio ricordo di Lussu Ciao Lussu, poeta in armi Scritto da Vittorio Foa nel marzo 1975 per il Manifesto [segue] Emilio Lussu ha avuto il singolare […]

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