Oggi martedì, martis, 10 marzo 2015

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Da La Nuova Sardegna, martedì 10 marzo 2015
Economia e politica
E rispetto alle politiche del lavoro anche il sindacato deve uscire dalla sua arcaicità
I tempi sono cambiati e i lavoratori sono più avanti dei loro rappresentanti.

di Andrea Saba
La prima fase della crisi volge verso il termine e cioè verso un lieve incremento del Pil derivante dalla buona tenuta dell’export italiano e dalla azione della Bce con l’audace manovra dell’acquisto di buoni del tesoro dei paesi euro. Il primo aspetto è molto interessante. L’industria italiana, delle cui caratteristiche peculiari si parla poco, ha consentito di mantenere la bilancia commerciale italiana in attivo durante tutta la crisi, anche nei momenti più bui. È ora in atto una progressiva trasformazione assai positiva: le piccole imprese stanno aumentando la loro presenza sui mercati esteri anche su quelli extra europei. Questa è una delle condizioni su cui si baserà il futuro della economia italiana. La produzione di altissimo livello qualitativo sia nel campo manifatturiero che in quello agroalimentare, si sta aprendo un varco sempre più ampio nei mercati mondiali, specie nei paesi di recenti sviluppo. Protagoniste sono nuove imprese, spesso create da giovani intraprendenti che utilizzano tecnologie avanzate; ma anche importanti sono le nuove forme di organizzazione fra gruppi di imprese per affrontare il mercato internazionale. Ora se grazie al “quantitative easing” messo in atto dalla Bce che consente una progressiva facilitazione del credito, ed al Job act (Uffa! Ma non possono parlare in italiano? Se rompe le palle a me, che sono laureato a Cambridge, figuriamoci all’italiano medio) che rende più flessibili le relazioni industriali, si segnala un incremento della produzione industriale, una opportuna riduzione del carico fiscale potrebbe consolidare la ripresa. Queste politiche hanno tempi molto diversi. La politica monetaria di Draghi, promettendo a dicembre di procedere all’acquisto di buoni del tesoro dell’eurozona, ha determinato immediate aspettative che hanno fatto calare lo spread e ridotto la quotazione dell’euro, cioè ha avuto un effetto positivo prima che i provvedimenti si verificassero. Il secondo strumento, la modifica delle regole sul lavoro dipendente (job act) invece avrebbe avuto bisogno di un tempo molto maggiore se non si fosse verificato un esempio assai significativo: la vicenda Fiom a Melfi. La Fiat di Melfi, di fronte ad una richiesta fortissima di auto Panda (e questo sì che è positivo) ha chiesto agli operai la disponibilità – pagata ovviamente – di poter lavorare anche il sabato. La Fiom di Landini ha immediatamente proclamato uno sciopero. Hanno aderito alla sciopero cinque operai mentre mille e quattrocento hanno accettato la proposta di Marchionne. Di fronte a questo risultato Landini avrebbe dovuto dimettersi e dedicarsi al giardinaggio. Questo episodio clamoroso dimostra come il sindacato sia arcaico e inutile. Di fronte a qualsiasi problema economico e sociale è totalmente incapace di formulare proposte risolutive a vantaggio dei lavoratori. L’unica cosa che è in grado di dire è soltanto “sciopero”. Sono lontani i tempi in cui il centro studi della Cgil con Giuliano Amato e altri studiosi della sinistra in utilissimo dialogo con i rappresentanti sindacali potevano formulare nuove indicazione di politica economica. Forse la stessa composizione degli iscritti ha ridotto ormai il grado di rappresentatività :il 52% della Cgil sono pensionati, il 30% statali. In realtà solo il 18% sono la gloriosa classe operaia. I dirigenti vivono nella abbondanza grazie alle quote di iscrizione dei pensionati; i bilanci non sono pubblici e non se ne parla, le liquidazioni, almeno quella di Bonanni di 340mila euro, mi è sembrata un tantino esagerata per un difensore dei diritti di lavoratori che vivono con 1.200 euro al mese. È evidente che il sindacato deve autoriformarsi se vuole riavere un ruolo utile e fondamentale nella conduzione politica e nella soluzione dei problemi sociali, dato che è nato per questo. Queste due politiche non bastano: più fondi disponibili e maggiore flessibilità risolvono due questioni importanti, ma gli ostacoli di una burocrazia pletorica ed inefficiente, una eccessiva pressione fiscale, una carenza nelle infrastrutture, dalla banda larga ai trasporti, sono ancora un ostacolo grave per un flusso continuo di investimenti per una ripresa consistente.

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