LA GIORNATA DELLA MEMORIA DEL GENOCIDIO ARMENO

HUŞER ՀՈՒՇԵՐ
Giornata della memoria del genocidio armeno
Locandina_Giornata_della_memoria_armena3
Giovedì 16 aprile, ore 16, Auditorium B
Ex Clinica Medica “Mario Aresu”, Via S. Giorgio 12 – CAGLIARI

Presiede
GIOVANNA CALTAGIRONE, Dipartimento di filologia, letteratura, linguistica

Relazioni
· NICOLA MELIS, Dipartimento di scienze sociali e delle istituzioni
La questione armena in prospettiva storica. Dall’Impero ottomano alla Repubblica di Turchia

· GIOVANNA CALTAGIRONE, Dipartimento di filologia, letteratura, linguistica
Aspetti della letteratura armena in lingua italiana

· ALESSANDRO ARAMU, Direttore della rivista di geopolitica SpondaSud
Il genocidio armeno: 100 anni di silenzio

· KARINÉ MAKINYAN, Università di Cagliari
Racconti degli armeni sugli armeni

Reading a cura dell’attrice RITA ATZERI

Informazioni caltagir@unica.it

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Cessi il silenzio complice di Caino
di Raffaele Deidda

Papa Francesco, commemorando il centenario del Mmetz Yeghern (Il Grande Male), lo sterminio di oltre un milione e mezzo di armeni compiuto nel 1915 dai turchi, ha detto: “Purtroppo ancora oggi sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi, decapitati, crocifissi, bruciati vivi, oppure costretti ad abbandonare la loro terra”. Il governo turco in risposta ha convocato il nunzio apostolico ad Ankara, monsignor Antonio Lucibello, per esprimere il proprio disappunto. Non sono piaciute le parole del Pontefice che ha definito quello degli armeni “Il primo genocidio del XX secolo“.

Ancora oggi in Turchia chi parla di genocidio armeno rischia il carcere in base all’art. 301 del Codice penale (Offesa alla dignità nazionale turca). La versione che si vuole far passare è quella del danno collaterale del conflitto, la risposta all’insurrezione degli armeni e la necessità di difendere le frontiere turche. Risposta che avrebbe causato l’uccisione di “solo” 300.000 armeni. E’ respinta l’ipotesi di un programma di annientamento di un popolo attuato con determinazione.

Nella rivista “SardegnaSoprattutto” è stato precedentemente richiamato il caso emblematico di Doğu Perinçek, presidente del Partito dei Lavoratori, il partito comunista più grande della Turchia, che in una manifestazione della comunità turca in Svizzera parlava del genocidio armeno come di “Una bugia internazionale, diffusa dalle potenze imperialiste che avevano invaso il nostro paese dopo il 1918″. Condannato da due corti svizzere (in Svizzera la negazione del genocidio armeno costituisce reato) è stato assolto dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che ha invece condannato la Svizzera per violazione dell’art.10 della Convenzione, che attiene alla libertà di espressione. Doğu Perinçek aveva affermato a sua difesa: “Considero l’accusa di razzismo un insulto alla mia persona, io sono comunista e lotto per la fratellanza dei popoli.”

Stridono le parole del “comunista” Perinçek con quelle del Papa: “Ancora oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino”. Per il Pontefice il primo genocidio del XX secolo ha colpito gli Armeni con lo sterminio di religiosi, donne, uomini, anziani e bambini. Prima di lui lo disse, nel 2001, Giovanni Paolo II. Ad oggi sono 23 i paesi che lo hanno riconosciuto. Fra quelli europei ci sono Francia, Italia, Germania.

Sono moltissimi quelli che non usano la parola genocidio, fra questi Stati Uniti e Israele, che ritengono più opportuno non deteriorare i rapporti con la Turchia. E’ confermata così la riflessione del Pontefice che richiama quella di Pietro Kuciukian, Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia: “La negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni”.

Non occorre essere cristiani, musulmani, atei o credenti per concordare col Papa che non è certo col “silenzio complice di Caino” che si può evitare il ripetersi delle tragedie che ha vissuto l’umanità. Impossibile non riconoscere che “Fare memoria di quanto accaduto è doveroso non solo per il popolo armeno e per la Chiesa universale, ma per l’intera famiglia umana”.
- Raffaele Deidda By sardegnasoprattutto/13 aprile 2015/Culture
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Tra sensi di colpa e realpolitik nel tempo del pensiero semplice

genocidio armeni 24 4 2015
di Nicolò Migheli
Il grido di papa Francesco sullo sterminio dei cristiani in Asia e Africa sembra destinato a rimanere inascoltato. Un’altra drammatica coincidenza con il 1915. Giusto nell’aprile di cent’anni fa cominciò nell’Impero Ottomano l’olocausto degli armeni. Centinaia di migliaia di persone crocefisse, uccise per mano dei turchi, le chiese rase al suolo, i cimiteri cancellati. Con loro i cristiani greci, siriaci, assiri, caldei, nestoriani e i più indifesi tra tutti: gli yazidi accusati di essere adoratori di Satana. Il ripetersi di quelle tragedie non sembra coinvolgere gli occidentali. La stessa sinistra e i movimenti pacifisti, muti e distratti.

Queste stragi non appartengono al paradigma dominante, non sono opera né dei sionisti né degli imperialisti anglo-americani-francesi, di conseguenza non esistono. Interessano solo alle destre che anelano al conflitto di civiltà. Dove è però la sinistra, quel pensiero politico che della difesa degli ultimi, dello schierarsi con ogni lotta di liberazione, aveva fatto la cifra del proprio impegno? Stare dalla parte di quei cristiani evidentemente non giova. Le ragioni sono molte. In questo tempo di pensiero semplice si tende ad equiparare il cristianesimo con il Vaticano e con il ruolo che le gerarchie cattoliche hanno nel favorire politiche conservatrici, specie sui diritti umani, in Italia ed in Europa. Posizione che dimentica o non sa, che molti dei cristiani uccisi e scacciati dalle loro terre non sono solo cattolici, molti appartengono a chiese autocefale molto antiche, nate dalle predicazioni apostoliche e che nulla hanno a che fare con Roma.

Nella memoria della sinistra terzomondista è presente il ricordo del cristianesimo come punta ideologica della penetrazione colonialista in America, Asia ed Africa; oppure il ruolo ambiguo giocato dalle gerarchie cattoliche nelle dittature sud americane. Posizioni che oggi sono poco utili nella interpretazione di quel che accade. Ad esempio in India i cristiani vengono discriminati perché predicano l’abolizione delle caste; i convertiti vengono dai dalit, gli intoccabili, gli ultimi degli ultimi.

Una religione di liberazione, secondo i dettati evangelici. Tutto ciò o non è conosciuto o è sovrastato del senso di colpa per quel che gli occidentali hanno fatto nel mondo. Nel caos mediorientale, le spiegazioni assumono altre chiavi di interpretazione. Ancora una volta i primi imputati sono i paesi occidentali e il loro ruolo nella destabilizzazione di Iraq e Siria, cosa vera peraltro. C’è questo ma non è tutto, come se fosse possibile che migliaia di combattenti, come quelli dell’Isis e delle centinaia di formazioni jihaidiste che riconoscono l’autorità del Califfo, siano agli ordini degli occidentali.

Ancora una volta una spiegazione semplice ad un fenomeno complesso. È evidente che il demone una volta uscito dalla giara agisce di vita propria. Benché oramai siano – lo saranno veramente?- ripudiati dai sauditi, essi sono l’emanazione della setta dei wahabiti che hanno permesso alla tribù dei Saud di conquistare la penisola araba e di diventare i custodi dei luoghi santi dell’Islam. La potenza finanziaria dei principi arabi viene usata per espandere il wahabitismo edificando moschee e formando imam radicali. La predicazione di questi imam tende a dividere il mondo tra musulmani e non. I cristiani vengono considerati i primi nemici insieme agli ebrei, definiti come crociati e da estirpare dalle terre in loro possesso.

Una visione così radicale non impedisce loro di avere rapporti con gli Usa e ai Sauditi di esserne fedeli alleati. Non sono soli però, agiscono in competizione con l’altra ala jihaidista, quella salafita dei Fratelli Musulmani che fanno riferimento al Qatar e alla Turchia. Questi usano il movimento fondato da al-Hasan al-Bannâ nel 1925 in Egitto e fuori legge in gran parte dei paesi islamici, per accrescere il proprio dominio. Un conflitto per il controllo della Umma sunnita. I cristiani orientali impauriti da queste interpretazioni messianiche, hanno preferito appoggiare governi dispotici come quelli del Baat iracheno-siriano, perché garantivano la libertà religiosa essendo laici.

Questo agli occhi dei fondamentalisti è una ulteriore colpa grave. I governi occidentali ricattati dalla finanza e dal petrolio saudita, impauriti dai teorici dello scontro di civiltà, ignorano il dramma. Lo considerano un affare interno, uno dei tanti eccidi che si compiono in quelle regioni. Realpolitik che sembra aver conquistato anche la sinistra. Nei giorni di Pasqua, nella periferia di Damasco, un campo di profughi palestinesi è stato conquistato dall’Isis al prezzo di centinaia di morti tra la popolazione civile e la decapitazione di alcuni combattenti. Anche quelle vittime non rispondono al paradigma dominante. Yarmouk non è Gaza.
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map Armenia
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Pietro Kuciukian: i giusti tra gli ottomani

di Simone Zoppellaro (1)

Nel centenario del genocidio armeno, il fondatore della Foresta dei Giusti invita a riflettere sul legame tra mondo ebraico e mondo armeno e sul ruolo dei giusti ottomani, come strada per una riconciliazione possibile. Nostra intervista.

Pietro Kuciukian è Console Onorario della Repubblica di Armenia in Italia e fondatore, insieme a Gabriele Nissim, di Gariwo, la foresta dei Giusti, organizzazione che promuove a livello internazionale la conoscenza e l’interesse verso le figure dei giusti di tutti i genocidi. Figlio egli stesso di un sopravvissuto al genocidio armeno, salvato da un turco, Kuciukian è un raccoglitore e divulgatore instancabile di storie che hanno per protagonisti uomini capaci di sfidare il proprio interesse e la propria epoca in nome del bene.

Console Kuciukian, so che è appena tornato da un viaggio in Israele effettuato insieme all’organizzazione Gariwo. Come è andata?
Insieme a Gabriele Nissim siamo andati in Israele invitati dalla Open University of Israel di Ra’anana e da Yair Auron, che è uno storico che si interessa di genocidi, specialmente del genocidio armeno. Nissim ha parlato dei giardini dei giusti, che stiamo promuovendo ormai in tutto il mondo e che ricordano i giusti di tutti i genocidi, e io invece ho parlato dei giusti ottomani, ma anche dei giusti armeni che hanno salvato gli ebrei, e dei giusti ebrei che hanno salvato gli armeni. Dopo siamo andati a Neve Shalom dove abbiamo inaugurato un nuovo giardino, un giardino dei giusti per tutti i genocidi. Neve Shalom è una cittadina che è abitata sia da ebrei che da palestinesi.

A questo proposito, volevo chiederle del legame storico e culturale che c’è fra mondo ebraico e mondo armeno, anche alla luce della recente pubblicazione del volume Pro Armenia: voci ebraiche sul genocidio armeno a cura di Fluvio Cortese e Francesco Berti. Quale importanza ha questo legame e quale ruolo può avere nel vincere i negazionismi che esistono ancora oggi?

Sia gli ebrei che gli armeni sono da sempre minoranze con una vulnerabilità strutturale, e quindi sono sempre stati più o meno emarginati. Questo punto può avvicinare questi due popoli nei millenni della loro storia. All’epoca del genocidio, come si è visto nel libro Pro Armenia che ha ricordato, ci sono stati molti ebrei che hanno aiutato gli armeni. Io ne ho trovati altri, oltre a quelli del libro. I tre maggiori sono Lewis Einstein, André Mandelstam e Henry Morgenthau. Da parte mia, ho trovato il gruppo NILI, formato dalla famiglia Aaronsohn di Zichron Ya’akov, che è proprio il luogo dove questo gruppo di spie ha operato in favore degli inglesi. Da questa località loro hanno avuto la grande intuizione – siamo nella Palestina di fine ottocento – di allearsi da subito con gli arabi. Quindi loro auspicavano una nazione e uno stato di ebrei, arabi e armeni. Hanno scritto molto sulla questione del genocidio armeno perché lo hanno visto di persona. Sarah Aaronsohn è stata un’eroina: lei è andata da Zichron Ya’akov – questo villaggio che io ho visitato – fino a Costantinopoli, nel 1915, e ha visto quello che succedeva agli armeni. Che erano arrotati sotto i treni, buttati, uccisi e massacrati. Ne è rimasta così impressionata che ogni volta che suo fratello Aaron nominava gli armeni lei aveva una crisi nervosa. Questo gruppo mandava notizie agli inglesi ad Alessandria, aiutandoli a sconfiggere gli ottomani; erano quindi alleati con Lawrence d’Arabia e con gli arabi. Non tutti erano d’accordo, e cresceva la paura della persecuzione degli ebrei. E in effetti poi hanno cominciato a perseguitare gli ebrei, a deportarli da Giaffa e da Gerusalemme. Fortunatamente, la famiglia Aaronsohn è riuscita ad avere molto oro dagli inglesi con il quale è riuscita a pagare e a corrompere i locali, e quindi la deportazione si è arenata. Io ho tradotto un libro molto interessante di Anita Engle su questa famiglia: Spie all’ombra della mezzaluna, edito da Baldini Castoldi Dalai. Sarah è stata presa, torturata e ha avuto la possibilità, sfuggendo un attimo, di procurarsi un revolver e uccidersi. Si è suicidata per non parlare. La funzione di questo gruppo NILI è stata importante perché riusciva a dare notizie di quello che succedeva agli ebrei e al mondo intero. Se gli armeni avessero avuto un gruppo così, che avesse dato all’epoca notizie di quello che succedeva agli armeni, forse si sarebbe evitato il genocidio. Poi ne ho trovati altri. Raphael Lemkin, che è colui che ha inventato il termine “genocidio”, che era un ebreo anche lui e aveva assistito a un processo: il processo Tehlirian. Soghomon Tehlirian aveva ucciso Talaat Pascià, l’ex ministro degli Interni ottomano, a Berlino, nel ’21, ed era poi stato assolto nel successivo processo svoltosi in Germania. Lemkin è rimasto molto impressionato da questo fatto e ha cominciato a studiare questo “crimine di lesa umanità” – come si chiamava allora il genocidio degli armeni – fino ad arrivare nel 1944 a coniare il termine “genocidio” che nel 1948 è stato adottato dalle Nazioni Unite. Poi c’è stato David Sasson, che era un ebreo della Alliance Israélite Universelle di Mosul, dove vedeva arrivare queste carovane, questi uomini cenciosi e queste donne nude che morivano per strada. Ha raccolto dei soldi assieme a degli amici ebrei e ha cercato di aiutarli. C’è stato poi Franz Wefel, che è l’autore de I quaranta giorni del Mussa Dagh, un’epopea che ha per protagonisti i pochi armeni che si sono salvati su Mussa Dagh; questo libro è stato il più letto durante la resistenza nel Ghetto di Varsavia. Trovavano ispirazione in questo libro: ecco questa vicinanza fra armeni ed ebrei. Inoltre, durante la Seconda guerra mondiale, quando gli ebrei avevano paura dell’attacco nazista, si erano rifugiati sul monte Carmelo e avevano nominato il piano di salvataggio “piano Mussa Dagh”: e quindi è anche interessante questo connubio fra armeni e ebrei all’epoca del genocidio degli ebrei.
Sempre nell’epoca della Shoah, abbiamo ben ventiquattromila persone che hanno salvato ebrei, negli anni ’40, di varie nazioni: ucraini, francesi, ungheresi, austriaci, ma anche armeni. Sono personaggi che, ovviamente con grande difficoltà, sono riusciti a salvare molte vite. Per esempio a Lione nel ’42 c’era un ebreo, Tancmans, all’epoca in cui la polizia francese iniziava a fare razzia degli ebrei. Lui scappava e si è rifugiato in una panetteria. In questa panetteria c’era una giovane, una certa Berthe Hougassian di 16 anni, che lo ha protetto. L’ha protetto, poi l’ha detto anche ai genitori, che erano a loro volta scampati al genocidio degli armeni nel ’15, e quindi capivano la situazione. Questa famiglia tutta insieme lo ha protetto fino alla fine della guerra. Di casi così ce ne sono molti altri: non faccio un elenco perché sarebbe molto lungo. Comunque c’è questa vicinanza, direi, una vicinanza di perseguitati.

Il 24 aprile a Yerevan, a Istanbul e in tante altre città del mondo verrà ricordato il centenario del Genocidio armeno. Volevo chiederle la sua opinione sul significato storico di questo evento. Che cosa rappresenta questo centenario per gli armeni di oggi?
Prima di tutto direi che è una cosa molto strana. Perché se a distanza di cento anni ancora tutto il mondo – perché è in tutto il mondo che gli armeni si stanno organizzando – ricorda ancora, vuol dire che è stata una cosa molto forte nella comunità e nell’animo di tutti gli armeni. Ormai non sono più gli scampati, ma i figli degli scampati, i nipoti e i pronipoti. E questo perché? Perché la negazione della Turchia fino ad oggi non è altro che la continuazione del genocidio, e quindi noi armeni siamo stati continuamente genocidati negli ultimi cento anni. Purtroppo, molti eredi del governo dei Giovani turchi che ha fatto il Genocidio sono entrati nelle Turchia repubblicana di Kemal Atatürk. Non potevano negare se stessi; quattro sono diventati addirittura ministri all’epoca di Kemal. Però il kemalismo in questo momento sta un po’ tramontando: Erdoğan l’anno scorso ha fatto un tentativo per la prima volta di condoglianze verso gli armeni. E questo, secondo me, è già un segno positivo.

Cosa si può fare per vincere il negazionismo che grava ancora oggi sul Metz Yeghern?

Proprio ora sto ultimando un libro sui giusti ottomani, cioè le persone che all’epoca del genocidio hanno salvato gli armeni. E ne ho trovati molti, di questi salvatori. Perché, mi dirà, questo lavoro? I Giovani turchi e i loro eredi sono orgogliosi di quanto hanno fatto, perché attraverso l’eliminazione degli armeni e l’espulsione dei greci hanno costruito uno stato nazionale turco. Così, sono orgogliosi anche di quelle persone che hanno eliminato gli armeni, tant’è che Talaat Pascià e Enver hanno non so quante piazze e monumenti in Turchia dedicate a loro. Ora, facendo vedere ai turchi e al mondo intero che ci sono stati dei turchi che hanno salvato gli armeni, vorrei che questo orgoglio nazionale non fosse più riversato sui malvagi e i responsabili, ma su quelli che hanno salvato gli armeni nel genocidio. Inoltre i turchi, scoprendo quello che hanno fatto questi salvatori, vengono a conoscenza anche del genocidio. Il genocidio è conosciuto oggi dal 77% dei giovani in tutto il mondo e in Turchia dal 10%, che è già una cifra interessante per noi armeni. Perciò serve questa ricerca sui giusti ottomani; e serve anche agli armeni, perché gli armeni non devono pensare che tutti i turchi siano nemici. Queste due cose messe a confronto possono aprire una via per la riconciliazione.

(1) Osservatorio Balcani e Caucaso del 7 aprile 2015
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* By sardegnasoprattutto/ 7 aprile 2015 / Società & Politica
** By sardegnasoprattutto/ 9 aprile 2015/ Culture

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- Genocidio Armeni

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