La recessione è allo spalle? No! E non si deve governare con le bugie!

Pinocchio visto da Enrico Mazzanti di Firenze anno 1883di Gonario Francesco Sedda

1. «Nel primo trimestre del 2015 il prodotto interno lordo (PIL), espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,3% rispetto al trimestre precedente ed è risultato invariato rispetto al primo trimestre del 2014». È quanto risulta dalla “Stima preliminare del Pil” che l’ISTAT ha reso nota il 13 maggio scorso. In nessuna parte si parla di «recessione alle spalle» o di «Italia fuori da recessione» come hanno fatto i pifferai di regime dalle colonne dei giornali cartacei o dagli schermi televisivi o di qualsivoglia marchingegno digitale.
Leggendo gli articoli si scopre che i roboanti titoli “che impressionano” si basano più sull’opinione di qualche esperto dell’ambiente ISTAT che sui dati forniti dallo stesso Istituto. La Stampa [«La ripresa c’è, la recessione è alle spalle», 13 maggio 2015; il titolo è virgolettato, ma nel testo non si trova l’autore di tale affermazione] ha scritto: «“È una chiara inversione di tendenza”, commentano all’Istat, anche se secondo gli esperti tecnicamente è necessario che si susseguano due trimestri di crescita per decretare la fine della recessione (il Pil del quarto trimestre 2014 è risultato invariato su base congiunturale e -0,5% su base tendenziale)».
Ma l’unica cosa “chiara” che viene fuori dalla chiacchierata con gli esperti è proprio che LA RECESSIONE NON È ALLE SPALLE! Anzi non si può neppure parlare di una “ripresa tecnica”, perché «tecnicamente è necessario che si susseguano due trimestri di crescita per decretare la fine della recessione». E poi, come si fa a vedere “chiaramente” una inversione di tendenza avendo a disposizione un solo dato congiunturale? Un altro dato congiunturale positivo si era avuto per il terzo trimestre 2013 (Pil con +0,1%), ma allora si preferiva parlare prudentemente di una luce che si intravedeva alla fine del tunnel. Forse che una rondine piccola non fa primavera e una un po’ più grande (+0,3%) invece sì?
Dopo aver “impressionato” il lettore o lo spettatore, dopo aver fatto passare il “messaggio memorabile” – «l’ISTAT certifica la svolta», «l’Italia è fuori da recessione» – si può anche lasciare spazio a qualche argomentazione più prudente. Così La Stampa “rimanda” a un’analisi [Il Pil non basta, ora serve uno sforzo comune, Francesco Manacorda, 13 maggio 2015] nella quale si avverte che «altri elementi, a partire da una disoccupazione giovanile che ha pochi uguali in Europa, ci avvertono invece che non è il caso di essere troppo ottimisti. Il problema è che la ripresa italiana è una ripresa troppo fragile». In effetti assumere il Pil come unico indicatore dell’andamento positivo o negativo dell’economia è molto riduttivo. Occorre tener conto anche del livello di disoccupazione, di quello della produzione industriale e di quello delle vendite dei beni sul mercato.
In ogni caso quella «ripresa troppo fragile» non è ancora neppure una “ripresa tecnica” (almeno due trimestri consecutivi con Pil in crescita).

2. In altra occasione [Democrazia Oggi, 24 settembre 2014], ragionando sulle previsioni (2014-2016) del Fondo Monetario internazionale (FMI) avevo concluso che, qualora si avviasse una ripresa, ci si poteva aspettare solo “un incerto e lento ricupero”. Un ragionamento analogo sulla base delle recenti previsioni (2015-2017) dell’ISTAT conferma tale conclusione.
Se facciamo uguale a 100 le unità di Pil nel 2011, il quadro è il seguente:

Nel 2012 con un calo del -2,40% si sono perse -2,40 unità di Pil che è regredito a 97,60.

Nel 2013 con un calo del -1,90% si sono perse -1,85 unità di Pil che è ulteriormente regredito a 95,75.

Nel 2014 con un calo del -0,40% si sono perse -0,38 unità di Pil che è ulteriormente regredito a 95,37.

Nel 2015 con una crescita prevista del +0,70% si ricupererebbero +0,67 unità di Pil che aumenterebbe fino a 96,04.

Nel 2016 con una crescita prevista del +1,20% si ricupererebbero +1,15 unità di Pil che aumenterebbe fino a 97,19.

Nel 2017 con una crescita prevista del +1,30% si ricupererebbero +1,26 unità di Pil che aumenterebbe fino a 98,45.

Ciò vuol dire che, oltre la scadenza dei miracolosi “mille giorni” di M. Renzi e all’avvicinarsi delle elezioni del 2018 (se non fatte prima), la crescita prevista dall’ISTAT non riagguanterebbe le 100 unità del Pil 2011 preso come riferimento (e non le riagguanterebbe neppure una crescita secondo le previsioni più favorevoli del DEF_2015 con +1,40% per il 2016 e +1,50% per il 2017).
La fase di ripresa sarà finita solo quando il Pil sarà cresciuto fino a toccare il valore di picco raggiunto prima che cominciasse la recessione e solo allora si potrà parlare non di una generica “crescita”, ma di una nuova fase di espansione.

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anche su Democraziaoggi

democraziaoggi loghettoUn commento di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi

Anche l’osservazione empirica (negozi che chiudono, piccole imprese che cancellano la P. IVA etc.) o le inchieste personali, fatte di scambio di opinioni con commercianti o artigiani, mostrano che la ripresa non c’è. Solo la propaganda di regime dice il contrario. E tuttavia un governo responsabile dovrebbe partire proprio da una parola di verità verso il Paese, indicando lo stato della crisi e la via per la ripresa e chiamando le forze politiche, i cittadini e i lavoratori ad uno sforzo comune, ad una grande mobilitazione. Così abbiamo battuto il terrorismo nei decenni scorsi. Ma tutto questo implica una gestione democratica della crisi e della politica e un ribaltamento anche degli obiettivi sostanziali, ossia introducendo elementi di uguaglianza, di redistribuzione delle risorse e dei sacrifici, ossia una giustizia sociale. L’esatto contrario di quanto hanno fatto i governi passati e di quanto fa questo, fondato sulla menzogna e sulla propaganda.
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Legge elettorale sarda
serieta-signoriA convegno anche per Ganau e Demuro la legge elettorale è incostituzionale… ma in ufficio si girano i pollici

di Amsicora, su Democraziaoggi (23 Maggio 2015)

Finalmente qualcuno delle alte sfere dice qualcosa sulla vigente legge elettorale della Sardegna con la quale sono stati eletti gli attuali 60 consiglieri. Noi, intendo Marco Ligas ed altri 25 elettori che abbiamo presentato ricorso al Tar e appello al Consiglio di Stato, di cui attendiamo la decisione, non possiamo che essere felici per questa manifestazione di interesse al tema della rappresentanza. E, mentre speriamo in un rinvio della legge truffa regionale al vaglio della Consulta, non possiamo non salutare con favore la critica della disciplina sarda in occasione del convegno “Partiti e democrazie in movimento“, ad opera del presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau, e dell’Assessore alle Riforme (si fa per dire!) Gian Mario Demuro.
Ganau, nel suo discorso di saluto, usa i nostri stessi argomenti: ha ricordato il ruolo fondamentale dei partiti nell’attuale sistema democratico e ha rivolto critiche all’attuale legge elettorale regionale perché mortifica anziché esaltare la rappresentanza dei sardi nell’Assemblea regionale. «Una pessima legge», ha detto, «nata in una logica di autoconservazione che non è riuscita, colpevolmente, a garantire una rappresentanza di genere ma neanche quella territoriale».
Questi sono i punti che noi abbiamo sollevato nel ricorso. La soglia per l’assegnazione del premio di maggioranza del 55% dei seggi al candidato-presidente che raggiune il 25% dei voti validi (circa il 13% dell’elettorato, considerati gli astenuti) è del tutto irragionevole e in palese violazione della libertà e uguaglianza del voto degli elettori. E poi, se la governabilità, secondo il legislatore regionale, è assicurata dal 55% dei seggi che senso ha il superpremio dell’ulteriore 5% a chi raggiune il 40% dei voti? Ed ancora, se la governabilità è garantita dal premio di maggioranza, che senso ha lo sbarramento? Per di più, uno sbarramento alto, al 5% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Un marchingegno per far entrare in Consiglio i baciapantofole del PD come Gavino Sale e tener fuori chi ha avuto la pretesa di autonomia come Michela Murgia. Insomma, oltre a creare una maggioranza artificiosa, si è voluta eliminare un’opposizione scomoda, cioé l’opposizione vera. Il risultato? Manca la governabilità, intesa non come artifizio per manetenere nella sedia un presidente, ma come capacità di risolvere i problemi, mobilitando la gente, e manca un’opposizione pungente, che è il sale della democrazia. E i risultati devastati si vedono…
Anche l’assessore degli Affari Generali, Gian Mario Demuro, si è lamentato e ha poi ammesso che la legge viola lo Statuto, cioé è incostituzionale. Da buon prof. ha poi spiegato che «una buona legge elettorale, perché sia coerente con l’articolo 16 dello Statuto sardo, deve promuovere le condizioni di parità. Deve farlo in modo tale che la capacità di rappresentare le differenze, insite nella differenza di genere, possa avere un luogo in cui si esprime, vale a dire il Consiglio regionale». Che bravo! Sennonché un assessore non si lamenta e non spiega. Questo posso permettermelo io, quisque de populo. Lui, l’Assessore non deve spiegar nulla, deve presentare un disegno di legge e farlo approvare dalla maggioranza che lo sorregge. Altrimenti se ne va a casa. Avrebbe dovuto far questo come primo atto, appena entrato in carica. Come fa un prof. di diritto costituzionale a stare in carica grazie ad una legge elettorale, per sua stessa ammissione, incostituzionale? Ed anche Ganau, quando, come in questo caso, si tratta di ricondurre nell’alveo costituzionale la legge che regola la formazione del Consiglio, ossia la rappresentanza politica dei sardi, non può stare a guardare. Chi ha responsabilità politiche lasci la convegnistica a noi poveri uomini comuni e faccia il suo dovere. Altrimenti abbiano la decenza di star zitti.

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