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democraziaoggi loghettodi Andrea Pubusa, su Democraziaoggi.
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Spartaco e i nuovi schiavi
democraziaoggi loghettodi Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
Incuriosito dai riferimenti di Luciano Canfora (Augusto figlio di dio, 2015, Laterza) alla Storia romana di Appiano ho letto un libro su Spartaco di Theresa Urbainczyk (€ 11,50), 2015, 128 p., Traduttore B. Forino, Editore Il Mulino (collana Universale paperbacks Il Mulino), un libro agile che riassume le scarse fonti antiche su questo grande personaggio, da sempre sinonimo di lotta per la libertà. Alla sua figura si sono ispirati film, serie televisive e perfino un balletto. Spartaco è il gladiatore che a capo di un esercito di schiavi ribelli nel I secolo a.C. tenne per quasi tre anni in scacco Roma, la più grande potenza militare del mondo antico. Fra storia e mito, le gesta e il ritratto affascinante di uno schiavo diventato icona della rivoluzione, come ai nostri giorni il Che.
Questa popolarità è dovuta, fra l’altro, a Karl Marx, che in una lettera del 27 febbraio 1861 così scrisse a Engels: « La sera per passare il tempo stavo leggendo “Le guerre civili romane” di Appiano, nel suo originale testo greco. Un libro di gran valore. … Spartaco emerge come uno dei migliori protagonisti dell’intera storia antica. Un grande generale (a differenza di Garibaldi), un carattere nobile, un genuino rappresentante dell’antico proletariato».
Certo, come precisa Luciano Canfora, si tratta di un riferimento atcnico al “proletariato”, che a quel tempo non esisteva, almeno nei termini delineati proprio da Marx. Ma il filosofo tedesco scriveva una lettera all’amico non certo destinata alla pubblicazione e, quindi, lo fa in perfetta libertà. Fatto sta che a questo giudizio di Marx si è ispirato il movimento operaio internazionale nel fare di Spartaco un simbolo per chiunque lotti per l’uguaglianza.
Anche il romanziere e garibaldino Raffaello Giovagnoli nel 1873 ha pubblicato il romanzo “Spartaco” come tributo all’eroismo garibaldino, e il romanzo stesso è stampato con una lettera di Garibaldi (maltrattato da Marx per la consegna del Meridione a Vittorio Emanuele) in prefazione; lì l’eroe dei due mondi si definisce un liberto e termina auspicando un futuro in cui non ci saranno né gladiatori né padroni.
Il libro su Spartato colpisce per la descrizione della vita dei gladiatori, tragica non solo per la quotidiana contiguità con la morte, ma perché priva di qualunque speranza. La disperazione li portava spesso al suicidio individuale o anche collettivo. Talora i gladiatori si davano, d’accordo, la morte l’un l’altro, lasciando all’ultimo “l’incombenza” del suicidio.
Questa lettura fa riflettere sulla bestialità dell’imperialismo romano, sulla sua ferocia e sulla riduzione in stato di disperazione di gran parte dei ceti subalterni dell’epoca. Nell’Italia del 73 a.C. su sei milioni di abitanti almeno due milioni erano schiavi. Questo spiega il successo di Spartaco e perché riuscì a mettere insieme un esercito di grandi dimensioni, battendo ben nove volte l’esercito più potente del mondo e scorrazzando in armi per l’Italia per quasi tre anni.
Il successo fu anche dovuto al fatto che – come riferisce Appiano – Spartaco divideva il bottino in parti uguali, e questo ne fece una specie di comunista ante litteram. Di grande valore simbolico anche il fatto che Spartaco, uno schiavo senza nulla e non interessato ai beni materiali, si sia battuto contro l’uomo più ricco del mondo di allora, Crasso, noto per la sua smodata avidità e bassezza morale.
Quella vicenda spiega da un lato il giudizio di Marx, dall’altro il successo del messaggio egalitario di Cristo e, dall’altro, richiama la disperazione degli schiavi di oggi, anzitutto i migranti. Molto spesso ci chiediamo perché i migranti rischino così tanto per venire da noi, ad essere maltrattati, se si salvano. Chi si documenta sulla condizione dei gladiatori, sulla loro disperazione senza limite, capisce questa loro apparante follia: attraversare il deserto, prendere le carrette del mare con alta probabilità di finire in pasto agli squali. Forse ci vorrebbe un nuovo Cristo per dare loro speranza se non qua, di là nel regno dei cieli. Qua, “in questa valle di lacrime”, ci vorrebbe senz’altro un nuovo movimento mondiale che, su basi nuove, riproponga la prospettiva del socialismo. Come il sarto di Ulm, di cui scrisse Brecht e ricordato da Lucio Magri in un bel libro, ha tentato di volare prematuramente, sfracellandosi al suolo, ma poi l’uomo ha volato, bisogna riprovarci. Solo una società fondata sull’eguaglianza, può eliminare le sofferenze inenarrabili dell’umanità. Si dirà: ma oggi la schiavitù non esiste, il capitaòlismo dà una chance a tutti. Nossignori, oggi la schiavitù esiste, ed è più diffusa e senza speranza, che ai tempi di Roma. Non ci credete? Leggete I nuovi schiavi. La merce umana nell’economia globale, Milano, Feltrinelli, di K Bales, recensito in questo blog.
- Su Democraziaoggi 6 giugno 2015

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