Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (13)

portico-romero cagliariape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni, alcuni non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il tredicesimo raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo del 19, il quarto del 20, il quinto del 21, il sesto del 23, il settimo del 24, l’ottavo del 25, il nono del 26, il decimo del 27, l’undicesimo del 29, il dodicesimo il 30.
Silvana Lai (3° classificata)
A morte Emilio Lussu
- segue -
Nelle serate fredde d’inverno, si stava al caldo, attorno al caminetto, con la mamma che ci raccontava le fiabe, ma anche fatti accaduti quando ella era ragazza, i miei fratelli essendo più grandi, l’ascoltavano incuriositi e le facevano tante domande, mentre io piccinina me ne stavo accovacciata in poltrona con in grembo un gattino tutto bianco (quel che la mamma raccontava… allora per me era come una fiaba…).
Con il passare degli anni nonostante le sue 93 primavere, aveva una memoria eccezionale, continuava a raccontarlo a figli, nipoti e pronipoti, come se lo stesse rivivendo
in quell’istante (ricordo indelebile vissuto nella sua giovinezza).
Emilio Lussu Brig SSIniziava a raccontare così: “Son passati tanti anni!”. Era il 1926, avevo 18 anni, ero graziosa, piccola e minuta, ma con tanta grinta e “antifascista”.
Per andare al lavoro passavo per piazza Martiri, dove mi soffermavo a consumare una cioccolata calda al Caffè Tramer che si trovava vicino allo studio di Emilio Lussu.
Capitava spesso d’incontrarlo in piazza o al caffè, ricordo che lo salutavo timidamente sollevando appena la mano sinistra; lui con garbo gentile annuiva con un lieve inchino (aveva una spiccata personalità).
Consumata la colazione proseguivo per Via Manno dove lavoravo presso la sartoria G. Miorin situata in Via Manno n. 1, angolo Largo Carlo Felice. Sartoria molto nota per gli abiti su misura, commissionati da aristocratici, alta borghesia e professionisti.
Si confezionavano smoking, tight, paltò, mantelli, pastrani e per le dame di alta società sontuosi abiti da cerimonia per le grandi occasioni, quali feste danzanti e spettacoli teatrali.
La sera al rientro a casa, la città mi faceva paura perchè gli “squadristi, camerati fascisti vestiti di nero” circolavano per le strade e presidiavano le piazze della città.
Le ronde erano sempre più numerose “uomini senza scrupoli” fermavano le persone sole, indistintamente uomini, donne, giovani o anziani, e se non mostravano il “Tricolore” venivano trascinati con cattiveria, per i vicoli o dietro i portoni della città, venivano costretti a bere l’olio di ricino, che a me per fortuna non è mai capitato.
Quando uscivo, il babbo si assicurava che avessi con me il “Tricolore”, a dire il vero, io avevo due distintivi dietro i baveri della giacca, se mi fermavano i fascisti sollevavo il bavero destro e mostravo il “Tricolore” mentre nel sinistro avevo il distintivo delle giovani Sardiste. Mi sapevo difendere! Ma la paura era tanta!
Il clima che si respirava era d’oppressione, per questo la sera rientravo con mio fratello. Lui era un professore di musica, insegnava, teneva le prove e suonava alle opere che davano al “Teatro Politeama Regina Margherita” situato in Via Manno.
Terminate le prove, veniva a prendermi in sartoria ed insieme si risaliva per la Via Manno, Piazza Martiri e poi giù per Via Garibaldi sino all’angolo del “Portico Romero” dove abitavamo.
Ma la sera del 31 ottobre del 1926, giorno dell’attentato ad Emilio Lussu, già dall’inizio la Via Manno era presidiata dagli “avanguardisti” (giovani universitari fascisti), brandendo il manganello, sollecitando i passanti ad affrettarsi e urlando: “Circolare!! Circolare!!”.
Noi ci chiedevamo cosa stesse succedendo e il perché di tanta confusione. A stenti percorremmo la Via Manno, ma arrivati in Piazza Martiri ci trovammo nel bel mezzo d’una sommossa e mai e poi mai avrei immaginato di trovarmi in mezzo ad una folla di facinorosi inferociti che gremivano la piazza e le strade adiacenti, sparando in aria e urlando: “A morte Emilio Lussu”.
Avevamo paura di perderci, la gente era tanta, ci strattonavano da tutte le parti e non riuscivamo ad attraversare la piazza per nientrare a casa. Allora decidemmo di prenderci a braccetto, stretti stretti, per farci strada, ma non era facile stare uniti in mezzo a quel disordine, tant’è che ci siamo persi. Rimasta sola mi son sentita persa, strattonata come un fuscello, tra la folla e i fascisti armati che urlavano ininterrottamente con cattivenia: “Circolare! Circolare!”.
Io cercavo mio fratello, disperata gridavo il suo nome, ad un tratto mi appare uno di loro, un fascista, che mi punta la rivoltella in fronte gridandomi con cattiveria: “Circolare! Circolare!”. È stato un attimo terribile di tanta paura, la mia reazione fu fulminea, con tutte le mie forze gli afferrai il braccio spostandoglielo in alto, gridandogli con tutta la mia rabbia: “Cosa stai facendo? Cosa stai facendo?”. Un amico di mio fratello, un musicista, avendo assistito alla scena, si avvicinò dall’amico fascista dicendogli di lasciarmi andare perché ero con lui; cosi mi tirò fuori da quella confusione, si assicurò che io stessi bene ed infine mi accompagnò a casa.
A stenti imboccammo la Via Garibaldi trovandoci nella medesima situazione e nel frattempo disperata, gli ripetevo “Cosa dirò ai miei genitori che non mi vedranno rincasare insieme a mio fratello?”.
Essendo conosciuto come un antifascista, mio fratello poteva essere in pericolo e quindi lo pregai di cercarlo ed aiutarlo finchè potesse rientrare a casa, sano e salvo.
Egli gentilmente disse che lo avrebbe fatto e si congedò ed io lo ringraziai per lo scampato pericolo.
E così fu che grazie ai suoi amici fascisti e musicisti, ma gentiluomini, ci aiutarono a venir fuori sani e salvi da quel “bordello” di forsennati.
Quella fu veramente una notte funesta e di morte, se dovessi anche vivere cento anni non dimenticherò mai quel terribile momento, quella schiera di fascisti inferociti assetati di morte.
Son passati più di novant’anni da quell’evento, ma vale la pena ricordarlo
Ricordarlo per chi c’era quel giorno.
Ricordarlo ai giovani che ancora non c’erano, perché diventino consapevoli che la pace è il bene più prezioso.
In memoria della tenera, dolce, cara mamma, venuta a mancare qualche anno fa alla veneranda eta di 94 anni.
Chi scrive è la piccinina col gattino in grembo, all’inizio del racconto. Scrivo ed allego il quadro dipinto personalmente, con il risultato di una scrupolosa, accurata
e lunga ricerca per riportarlo al verosimile di quel periodo, essendo la stampa in bianco e nero del 1941.
L’Arco Romero non esiste più… solo tramite un quadro.

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